venerdì 15 dicembre 2023

Iperwriters - E allora ve la do io

Photo: Athanasios Papazacharias on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 36 - E allora ve la do io

Venerdì, ore 13.
È una fortuna e una sfortuna che una rivista snob mi abbia respinta e disprezzata reputandomi buona solo a scrivere fumetti e gialli e sentenziando che "altro è la letteratura". Una provocazione a cui dovrò reagire. Aprirà una fase di intensa creatività e di errori di valutazione che sto ancora pagando.
Ora, io partivo da una formazione classica e umanistica, ma avevo scritto fumetti e gialli. Alla fine degli anni '80 i gialli sono ancora un ghetto, non ancora il Tutto, o almeno quel tutto in orbita al di fuori dei santuari dei grandi premi letterari. Persone più o meno malintenzionate mi chiedono: "Non vorresti scrivere un vero romanzo? Non vorresti fare letteratura?"
Certo che vorrei farne.
Adesso mi dicono che "Altro è la letteratura".
Non mi pareva di aver fatto proprio altro, piuttosto un avviamento a. Ho scritto cose piccole, d'accordo, ma sono ancora giovane e posso crescere.
E precisamente, cos'è questo altro? Quello che chiamano immobilità pensosa a me appare piuttosto come una stagnazione stilistica che pur nella sua pesantezza ha l'esilità di un peto. L'ho detto nei precedenti editoriali: la letteratura italiacana, dopo gli anni '50, mi è aliena. O sono io l'aliena, e comunque non so, non saprò mai scrivere in einaudese, fetrinellese, premiostreghese.
Ma dovevano farlo Robert Luis Stevenson, o Guy de Maupassant? Edgar Allan Poe sarà stato immobile e pensoso, qualche volta, quando non doveva affannarsi in giro per vendere i suoi racconti. Stava forse pensando di fare letteratura bassa con le sue trame gialle? I grandi del XIX secolo raccontavano la vita trasfigurandola in metafore, o parabole fantastiche per rivelare al mondo i segreti più neri. Erano scrittori biologici, che obbedivano alla loro natura senza gonfiare i muscoli davanti allo specchio nello sforzo narcisistico di comporrre capolavori. Non seguivano canoni perché erano loro a inventarli.
Le mie tendenze mi portavano verso quel tipo di fiction che, perdio, un tempo era quella che si faceva col sangue. Dovevo mettermi l'autostima sotto le scarpe? Cambiare? Diventare schizofrenica? Suicidarmi?
No. Ed ecco la mia reazione, dopo mesi a rimuginare: fottetevi.
Io farò quello che so fare, cercherò di farlo al meglio e di risplendere, risplendere quanto più possibile.
E vedrete che letteratura.

venerdì 1 dicembre 2023

Iperwriters - Altro è la letteratura

Photo: Chris Kandis on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 35 - Altro è la letteratura

Venerdì, ore 13.
Facciamo un passo indietro. Sto ancora barcollando nel doposbornia da Premio Tedeschi, fra concorsi per inediti e spedizioni di dattiloscritti a case editrici.
Sto puntando su un racconto sul genere de La donna senza testa, la storia di una sirena dal titolo La creatura sommersa. Altra metafora di una condizione umana al di sotto del sociale e senza voce. Con quel racconto ero stata finalista l'anno precedente, sempre al Premio Calvino. Mi avevano definita “nella nostra letteratura, uno spirito singolare”.
Vale la pena di proporlo. Non alle riviste di narrativa popolare e rosa, a cui ho già saltuariamente collaborato. Ma a quelle pochissime riviste di letteratura “alta”.
Mi viene rifiutato. Se si trattasse di un semplice rifiuto non me ne ricorderei più e non ricorderei nemmeno i nomi delle riviste, oggi defunte. Ma mi arrivano due lettere ben diverse dalle solite due righe "Non rientra nella nostra linea editoriale". Lettere gelide e perfide, sapientemente congegnate.
Nella prima, mi si dice che non sono all'altezza delle loro pubblicazioni. Nella seconda aggiungono che fumetti e gialli (avevo inviato purtroppo il mio curriculum), sono caratterizzati da un rapido ideare, mentre la letteratura è immobilità pensosa. Segue una spiegazione dei motivi per cui il mio testo non raggiunge quella densità e profondità che solo i lettori colti e raffinati sanno gustare. Mi raccomandano con benevola condiscenza di dedicarmi alle mie usuali attività, in cui sicuramente riuscirò molto bene. E concludono così: "Altro è la letteratura".
Bene. Credo di essere rimasta per molto tempo senza sentimenti, in uno stato di dolorosa desolazione. Non faccio letteratura? Non ho neppure le capacità per farne? Oh, my God.
Dunque appartengo alla paraletteratura. Sono una sottospecie di scrittore, che è anche e soprattutto una sottospecie umana. Così è stato decretato da una rivista che non è la storica e mitica Nuovi Argomenti, ma si pone come un Nuovo Argomento. In fondo, è la stessa opinione che hanno di me gli artisti locali.
Se rileggo la lettera oggi mi chiedo: perché, per un semplice rifiuto, tanta volontà di fare del male? Non me lo sono chiesto allora.
Quell'Altro è la letteratura mi segna profondamente e mi cambia la vita.

lunedì 27 novembre 2023

Brindisi in giallo con Albina Olivati


Presentazione di Andrea Carlo Cappi

Come editor di questo romanzo oltre che amico dell'autrice, sono chiaramente di parte. Ma non sarei suo editor se non fossi in primo luogo un suo lettore entusiasta.
Nell'ormai vasto panorama del giallo italiano Albina Olivati si è fatta conoscere da qualche anno con una voce propria e originale, e il suo nuovo romanzo Brindisi per un delitto (Oakmond Publishing, 187, pagine, 9.90€) ne è la conferma. Segno zodiacale Vergine, come Agatha Christie, questa volta la scrittrice ringiovanisce una formula classica della Regina del Giallo e la innesta in una situazione che richiama La finestra sul cortile.
Forse grazie al suo lavoro come cronista, Albina Olivati è un'attenta studiosa tanto della natura umana quanto delle dinamiche della provincia italiana. Sicché i suoi gialli sono popolati di personaggi tanto bizzarri quanto realistici, descritti con ironia a tratti affettuosa, a tratti pungente. Il risultato è un mystery - o forse oggi dovremmo dire cozy crime - di rara e piacevole leggerezza.
Congedati per ora i professori Ersilio Salvi e Clementina Olmi dei romanzi Termine corsa e Il bagno di Apollo (con una trasferta del primo a Milano per il romanzo breve Morte di un povero Casanova nell'antologia Menegang), la scrittrice ci porta a metà degli anni Ottanta e ci presenta Delphine Frustalupi, ex impiegata single trasferitarsi a Sondrio per essere più vicina alle sue amate piste da sci.
Una sera Delphine nota a una finestra della casa di fronte un'ombra che pare accennare un brindisi. Quando il giorno dopo scopre che dall'altra parte della strada è stato commesso un omicidio e che l'arma usata dall'assassino è un cavatappi, si sente in dovere di indagare. La vittima è un giovanotto dalla pessima fama e la polizia sembra avere già trovato un probabile colpevole. Ma Delphine non è convinta e comincia a vagliare con il suo acume i vari pettegolezzi di una città "in cui si conoscono tutti", in cerca del bandolo della matassa.
Non voglio svelare altro per non guastare le sorprese e gli incontri che vi attendono (compreso quello con una lavatrice molto particolare). Ma posso dire che Brindisi per un delitto, in esclusiva su Amazon in cartaceo e ebook da Oakmond, come un calendario dell'Avvento si svolge nell'arco di un mese tra fine novembre e Natale, ed è un perfetto regalo di stagione per chi sappia apprezzare un giallo intelligente dai vivaci tocchi di umorismo.

Albina Olivati Brindisi per un delitto, 187 pagine, Oakmond Publishing
Ebook: 4,90€
Cartaceo: 9,90€



martedì 21 novembre 2023

Jane e Vera: le signore dello spionaggio


Rievocazione di Andrea Carlo Cappi

Le due signore nelle fotografie sono Jane Sissmore Archer, a sinistra, e Vera Atkins, a destra: due figure straordinarie che hanno avuto ruoli fondamentali nei servizi segreti britannici degli anni Quaranta. Due maestre dell'intelligence che - forse in quanto donne, forse in quanto troppo competenti - non sempre sono state ascoltate come avrebbero meritato e sono state addirittura ostacolate nelle loro attività.
Sono loro le protagoniste della mia novelette "La trappola di Synok". nuovo episodio della serie "Dark Duet", uscito oggi come n. 34 della collana (esclusivamente in ebook) di Delos Digital "Spy Game - Storie della Guerra Fredda", nella quale scrivono esclusivamente autrici e autori italiani. Ci sono entrato come scrittore nel 2019, chiamato dal suo ideatore Stefano Di Marino, per ereditarne poi la direzione editoriale.
"La trappola di Synok" è una storia di fantasia, in cui tuttavia ho voluto come protagoniste Jane e Vera, quest'ultima già apparsa nel precedente episodio "Notte e nebbia". Per una volta lascio fuori scena i personaggi principali, che si muovono in Spagna nell'autunno del 1947, per spostare l'attenzione su cosa avviene a Londra quando viene scoperta una lista che dovrebbe contenere i nomi di infiltrati sovietici nei servizi segreti britannici.

Cominciamo da Vera Atkins, nata nel 1908 in Romania con il nome Vera May Rosenberg. Il cognome è quello del padre, il tedesco Max Rosenberg, anche se in futuro - forse perché tradisce meno le origine ebraiche, aspetto molto rischioso negli anni a venire - Vera adotterà quello della madre britannica, Hilda Atkins, che a sua volta era nata Zefra Hilda Etkins. Studia a Parigi e a Londra e nel 1937 emigra in Inghilterra con la madre, rimasta vedova. Viene reclutata come spia ancora prima della guerra da un'altra leggenda dell'intelligence, William Stephenson, che sta svolgendo indagini private per conto di Winston Churchill, all'epoca all'opposizione: l'obiettivo è scoprire le vere intenzioni di Hitler, che il governo britannico - a differenza di Churchill - ancora non vede come una minaccia incombente.
Nel 1940 Vera parte per una missione personale in Olanda: corrompere un agente dell'Abwehr (il servizio segreto militare tedesco) per ottenere un passaporto destinato al cugino Fritz Rosenberg in fuga dalla Romania, un episodio che terrà nascosto per tutta la sua vita. Allo scoppio della guerra rimane intrappolata nei Paesi Bassi e per tornare a Londra deve chiedere aiuto alla Resistenza belga. Intanto Churchill, ora primo ministro, costituisce lo Special Operations Executive, in sigla SOE, un'organizzazione segretissima della cui esistenza pochi sono informati. Il suo compito consiste in spionaggio e sabotaggio nei territori occupati dal Terzo Reich. Vera - nonostante non abbia ancora ottenuto la cittadinanza britannica - viene assunta come segretaria nella Sezione F, che si occupa della Francia occupata e della quale ben presto diviene la vicedirettrice de facto.
Vera deve preparare gli agenti destinati a operare di là dalla Manica. Tra questi ci sono trentasette donne. L'aspetto tragico della vicenda è che nel 1943 la rete francese del SOE viene compromessa e molti degli operativi sono catturati dai tedeschi, a volte nello stesso istante in cui arrivano in Francia. A molti di loro viene riservato un destino orribile. Nel dopoguerra Vera si occupa di indagare sulla sorte dei centodiciassette agenti della Sezione F caduti in missione, in particolare su quella di quattro donne uccise nel campo di concentramento alsaziano di Natzweiler-Struthof, vicenda che ho raccontato nella precedente novelette della mia serie, "Notte e nebbia".
Il SOE è stato sciolto nel 1946 e Vera si sposta presso l'MI6, il servizio di spionaggio britannico, ma deve lasciarne gli uffici nel 1947. A dispetto dei suoi meriti, non le viene conferita alcuna onorificenza nel Regno Unito, mentre riceve dalla Francia la Croce di Guerra nel 1948. Lavora per l'UNESCO e, nel frattempo, fa da consulente per le biografie di alcune sue agenti: i film Odette (di Herbert Wilcox, 1950) su Odette Sansom - miracolosamente sopravvissuta alla missione - e Scuola di spie (Carve Her Name With Pride, di Lewis Gilbert, 1958) su Violette Szabo, fucilata nel lager di Ravensbruck; e il libro Madelaine di Jean Overton Fuller (1952), su Noor Inayat Khan, uccisa dai nazisti a Dachau. Vera morirà nel 2000, tredici anni dopo avere ricevuto la Legione d'Onore francese e tre dopo essere stata finalmente insignita del titolo di Commander of the British Empire. La sua attività nel SOE è raccontata nel film A Call To Spy (id., di Lydia Dean Pilcher, 2019) dove viene interpretata dall'attrice Stana Katic (al centro nella locandina qui sotto).


Diverso è il percorso di Jane Sissmore. Nasce nel Bengala britannico nel 1898, ma la famiglia rientra in patria quando è ancora una bambina. Frequenta le scuole in Inghilterra e a diciotto anni viene assunta come dattilografa dall'MI5, il controspionaggio, ma continua gli studi sino a diventare avvocato nel 1924. Nel frattempo fa carriera all'interno dell'organizzazione, unica donna ad avere un ruolo di funzionario. In questa veste all'inizio del 1940 incontra Walter Krivitskij, agente sovietico passato agli americani nel 1937 e ora venuto a parlare con i britannici. Jane si rivela abilissima nell'arte dell'interrogatorio e raccoglie i primi indizi sul caso che in futuro sarà ricordato come quello dei "Cinque di Cambridge": gli infiltrati dello spionaggio russo nei servizi segreti di Londra e nel Foreign Office. Ma lo stesso anno, avendo criticato in modo esplicito la scarsa competenza del nuovo direttore ad interim dell'MI5, viene licenziata. Nel frattempo sposa l'ex aviatore John Archer e diviene nota anche come Jane Archer.
Non resta a lungo senza lavoro, perché viene reclutata subito dall'MI6, dove opera nella Sezione V, che indaga su organizzazioni sospette in Irlanda. Nel 1944 passa alla Sezione IX, che si occupa invece dell'URSS: anche se in quel momento Stalin è un alleato contro Hitler, il previdente servizio segreto britannico comincia già a valutare quali saranno le mosse dei sovietici dopo la guerra. Ma anche qui Jane viene ostacolata e non per caso: a dirigere la sezione che si occupa delle spie russe è Harold Philby, proprio colui che solo molti anni dopo sarà identificato come la principale talpa sovietica nell'intelligence di Londra.
Costretta a lasciare l'MI6, nel 1946 Jane torna all'MI5, dove nel frattempo è cambiata la direzione. Philby sa che lei è l'unica che sarebbe capace di scoprirlo e dall'MI6 riesce a impedirle di seguire qualsiasi pista la possa portare a lui. Nondimeno, lei continuerà a seguire le tracce dei Cinque di Cambridge, contribuendo malgrado tutto alla loro identificazione. Nel 1963 Philby, nel frattempo distaccato a Beirut, sarà costretto alla fuga (come si vedrà anche nel n.37 di "Spy Game" di Franco Luparia, intitolato "Un gentiluomo alla deriva", in uscita nel febbraio 2024). Jane lavora per l'MI5 fino agli anni Sessanta e muore nel 1982, ricordata come una delle menti più brillanti dello spionaggio di Sua Maestà. A lei spetta il merito di essere stata la prima a sospettare di Philby.


Non svelo nulla se dico che ne "La trappola di Synok" (ove Synok era il vero nome in codice di Philby) si sa fin dal principio che la presunta lista degli infiltrati è in realtà un falso elaborato a scopo di depistaggio, per accusare funzionari innocenti e distogliere l'attenzione dalle vere spie sovietiche: chi ha letto gli episodi precedenti sa anche chi l'ha elaborata e come è stata fatta arrivare a Londra.
Nella mia finzione, Jane Sissmore Archer non si lascia ingannare, ma deve riuscire a convincere i vertici di MI5 ed MI6 che si tratta solo di un gioco di specchi. Quindi immagino che chieda aiuto a Vera Atkins, da poco allontanata a sua volta dall'MI6, nel tentativo di portare alla luce la verità prima che abbia inizio la caccia alle persone sbagliate.
Nella maggior parte delle mie storie di spionaggio ci sono donne nel ruolo di protagoniste, ma in questo caso l'identificazione tra autore e personaggi è stata più facile del solito. Quante volte nella vita capita di vederci chiaro e cercare di mettere gli altri sull'avviso, senza riuscire a essere ascoltati...

giovedì 16 novembre 2023

Iperwriters - Il lago maledetto

Photo: Big Dodzy on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 34 - Il lago maledetto

Venerdì, ore 13.
Il cambiamento, come sempre, avviene per opera di Max. Andiamo a vivere da soli, in un appartamento dall'affitto molto, moltissimo esoso. Cerchiamo perciò di comprare casa, come tutti allora e come tutti oggi, con l'aiuto delle rispettive famiglie.
Con il nostro budget e un mutuo scopriamo di poterci permettere: un bilocale in centro con una stanza cieca, un seminterrato buio, un secondo piano da ristrutturare nella zona più tossica della città. Queste sono le case che ricordo di aver guardato, con orrore e disperazione.
Poi Max scova un'inserzione che riguarda una casa in vendita in un paese dell'entroterra. Andiamo a vederla. Con la stessa cifra di quegli orrori in città possiamo avere una terratetto indipendente con due camere, una cucina, un salottino e un grande vano fondi. Non il giardino che vorremmo, ma due balconi vivibili. Uno affacciato su una torre del XV secolo, l'altro sul fiume fino all'orizzonte.
Il giorno stesso facciamo un'offerta per comprarla.
Il balcone rivolto alla torre, in estate, è circondato da voli di rondini. Frecce nere che ci girano intorno gridando e a volte scendono in picchiata fino a sfiorare le nostre teste. Da quello sul fiume vediamo anatre e aironi. Scopriamo che è più rilassante andare in città col treno che partendo in auto dalle periferie, nello stesso intervallo di tempo. Anche Milano è raggiungibile in poco più di un'ora.
Il paese è perfetto per me: di basso profilo, trascurato dagli snob, ricco di paradisi segreti. Alla fine degli anni 80 qualcuno ha ancora mucche e cavalli. Facciamo amicizia con dei pastori che allevano pecore e caprette sulle alture. Gatti popolano la nostra piazzetta e vengono a visitarci.
Ma c'è un motivo particolare che mi rende felice di vivere lì. Un lago a poco più di un chilometro dal paese. Amo quel posto: c'ero stata l'anno del diploma, per festeggiare; è una fortuna averlo vicino a casa.
Presto scopro che il lago è un tabù e una leggenda nera locale, a causa di una serie di annegamenti e tragici decessi avvenuti sulle sue sponde. La gente del posto non entra nell'acqua. Solo qualche gitante di ferragosto si tuffa, o a volte lo attraversa in canoa. Il lago è maledetto, solitario, intatto. Tutto per me.
Ma che c'entra un lago, maledetto o no, con la letteratura? Per quasi vent'anni mi ha lavata dalla fatica del lavoro, rigenerandomi.

giovedì 9 novembre 2023

Moonchild: la (ri)nascita di una Dea


Nota di Claudia Salvatori

Moonchild non è un libro, come recitava una vecchia pubblicità, “per molti ma non per tutti”. Non è neppure per pochi, o per pochissimi. Attualmente è per nessuno. E per gli unici - e i curiosi - che navigano fuori dal Pensiero Unico.
Non possediamo informazioni corrette sulle civiltà e religioni antiche; non ci insegnano certamente i fondamenti della sapienza ermetica a scuola. La filosofia è talmente disertata che c'è bisogno di intitolarle un festival perché ci si ricordi che una volta esisteva. Così, anche i curiosi trovano difficile penetrare questo prisma multiforme in cui scintillano romanzo, saggio, poesia, misticismo, antropologia, trattazione scientifica, rivelazioni mascherate da non-rivelazioni e viceversa, trivialità voluta e sapientemente dosata per esaltare la sua controparte lirica.
Aleister Crowley mi ha affascinata da sempre. Mi si è presentato nel romanzo della mia amica Patrizia Pesaresi Sotto mentite spoglie, che ho avuto il piacere di pubblicare con Iperwriters. E io stessa l'ho fatto apparire in un mio lavoro, Golden Dawn, secondo episodio della mia trilogia Walkiria Nera. Avendo iniziato tardi un mio percorso di studio delle conoscenze sepolte, ed essendo ancora impegnata in una queste che non finirà probabilmente in questa vita, posso fornire di Moonchild soltanto un'interpretazione personale.

Il romanzo narra del naufragio di un mondo e di una cultura, della diaspora degli ultimi esoteristi nel primo Novecento. Minati all'interno da lotte intestine, secondo le versioni ufficiali provocate dallo stesso Crowley e secondo lui, Aleister, opera di altri, i suoi rivali maghi neri. Attaccati dall'esterno da una secolarizzazione ottusa, dall'industrializzazione liberticida e dal potere della borghesia, che per Crowley è il vero crimine.
La protagonista è l'Anima. Quell'anima che noi, nipoti del secolo dei Lumi e con nipoti millennials, non possediamo più, a meno di rivolgerci a una sempre più malata e impallidita Chiesa Cattolica, o rischiare il ridicolo affiliandoci a sette di dubbia sincerità. Crowley la fa rivivere letterariamente. E apre, se così si può dire, un sipario su Dio, che naturalmente è una Dea.
Un giovane mago concepisce con una donna prescelta un embrione e, per mezzo di un esperimento magico e cerimoniale, attira nel nascituro un'anima lunare. Appare la Dea nella sua triplice natura: Artemide-Diana-Iside, sorella del Sole, portatrice di luce, Proserpina, che vive in parte sulla terra e in parte nell'Ade, ed Ecate, regina dei morti e delle tenebre. Fra il suo corteggio di anime una si incarnerà, la più pura, in quanto disposta al sacrificio per amore.

L'esperimento fallisce, perché la donna prescelta non è una sacerdotessa consacrata, ma una femmina della specie, legata al mago solamente da una volubile passione erotica. Infatti, scappa con un altro su uno yacht. Il mago lo aveva previsto, e l'intera operazione era un diversivo per tenere occupati i maghi della Loggia Nera.
Ma nasce una creatura, una bambina più sviluppata dei neonati comuni, si presume con facoltà intellettive altrettanto notevoli. Bella, con occhi blu e lunghi capelli del colore dei raggi di luna. Finirà in America, dove andrà, fisicamente, lo stesso Crowley. Nuovo paradiso, o terra di nuove opportunità per ricostruire e rinascere.
Non si conosce il destino della figlia della Luna. In quanto al mago, ha raggiunto un livello di saggezza superiore, per essersi identificato nel suo nemico morto e in tutte le creature viventi. Per l'esoterista, erede delle antiche scienze sacre e dello gnosticismo, la sconfitta è una vittoria, come nella vittoria si cela una inevitabile sconfitta. La vita, la morte e tutte le dualità si risolvono.

Questo libro può essere letto in modi diversi, a seconda dell'occhio e della mente che legge. Ma va letto per lasciarsi abbacinare da una prosa e brani poetici di uno splendore chiarissimo e oscuro.
Condivido l'opinione di Aldo Luigi Mancusi che Crowley sia stato un genio come letterato, non solo come esoterista. Lo prova l'analisi, veramente da scrittore di razza, della storia letteraria d'Occidente: "Ai tempi della cavalleria la nostra simpatia andava ai cavalieri erranti, che riparavano i torti; ai re che liberavano il popolo con coraggio e saggezza. Ma quando la monarchia è diventata tirannia e oppressione feudale abbiamo scelto i nostri eroi fra i ribelli: Robin Hood (...) Poi, ai tempi di Byron, abbiamo cominciato a simpatizzare con briganti e corsari (...) Oggi, o meglio l'altro ieri, siamo stati ridotti ad amare delle vere e proprie canaglie (…), o i detective che (sebbene dalla parte della società) si impegnano nel far sembrare gli agenti di polizia degli imbecilli."
Aleister scriveva nel 1917. Provate a dire che non era un profeta.

Di Crowley Independent Legions ha pubblicato anche la raccolta di versi Macchie Bianche, gioielli di poesia mistica ed erotica.




sabato 4 novembre 2023

Spy Game incontra Valentina di Rienzo


Continua su Borderfiction Zone la serie di incontri con gli autori della collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda. Dopo Enzo Verrengia, Giovanni Ingrosso e Andrea Carlo Cappi, conosciamo Valentina Di Rienzo, autrice entrata da poco a far parte della squadra, con un un curriculum di cinque romanzi e due riconoscimenti nell'arco di un anno, in due edizioni consecutive del Festival Torre Crawford: il Premio "Il Prof" (dedicato alla memoria di Stefano Di Marino) nel 2022 e il Premio Torre Crawford nel 2023.

Valentina Di Rienzo: l'esigenza del thriller

SG: Benvenuta in Spy Game. Presentati al pubblico.

VDR: Mi chiamo Valentina e non scrivo da un giorno. Qualcuno dovrebbe inventarlo per davvero, il gruppo di mutuo aiuto degli Scrittori Anonimi. O magari esiste già e devo solo scoprirlo. Chissà.
Sono nata nel 1984. Mamma e papà mi hanno cresciuta con l’idea che la televisione fosse il male e, ci crediate o no, il loro movente non si era generato sulla convinzione che il tubo fosse saturo di seni e sederi - erano gli anni di Drive In - o dei messaggi elettorali del Cavaliere. Piuttosto ritenevano che quella fosse una distrazione poco formativa per la mia creatività e per il mio futuro, di sicuro non la migliore. Quale ne sia il vero motivo, questa decisione ha fatto sì che dovessi escogitare un sistema per passare il tempo, soprattutto perché ero una bambina introversa e timida, a tratti asociale. Con gli anni poi sono peggiorata.
Prima ancora che imparassi a scrivere dovetti quindi inventarmi un sistema per passare le giornate. Mi si apriva un bivio: potevo sezionare animali e intraprendere una serena carriera da omicida seriale - peraltro rara, in quanto femmina - oppure impiegare l’unica passione che a quel tempo avevo. Disegnare. Amavo Diabolik e Dylan Dog, mi piaceva molto ricopiare le loro tavole oppure disegnare, mia sponte, soggetti che ne fossero ispirati almeno nello stile.

SG: Dal disegno come sei arrivata a scrivere thriller?

VDR: Il passo successivo fu una sorta di sincrasia. Mescolai in un amalgama dai contorni indefinibili i miei hobby. Con il passare degli anni la TV era diventata sempre più accessibile anche alla sottoscritta. Mi ero innamorata del disneyano Aladdin, guardavo volentieri i vari cartoni animati del periodo. Ero appassionata anche a I cavalieri dello zodiaco; la mia già fragile psiche ne fu presto ricompensata quando un vero genio fu assunto per scegliere gli spot trasmessi dal canale: incurante del target di riferimento dell’emittente in quel particolare orario pomeridiano, costui (o costei) pensò bene di inserire il trailer di Twin Peaks fra una puntata e l’altra dell’anime. Scene spaventose, quelle della pubblicità in questione, che mi hanno perseguitata fino all’età di vent’anni. Mancava però la ciliegina sulla torta.
A circa otto anni vidi per la prima volta It, il film in due episodi creato per la televisione... Stia calmo, assistente sociale, erano gli anni Novanta e le concezioni generali sull’educazione dei più piccoli molto meno stringenti rispetto a oggi; stringente era invece l’ambivalenza di opinione dei miei genitori, è evidente. It fu una specie di epifania, per la mia mente. Il caro Stephen lì aveva piazzato di tutto: la pubertà e l’inizio di adolescenze travagliate, problemi familiari, i primi amori, un pagliaccio omicida, la metafora del fatto che ciò che non risolvi da piccolo tornerà in forma ancora più mostruosa quando sarai adulto. Cosa però più importante, It mi iniziò alla lettura. Fu il primo romanzo degno di questo nome - un libro da grandi - che lessi nella mia vita.
La prima vera forma di creatività che concretizzai dopo il disegno fu la creazione di un fumetto. Da cima a fondo, storia, dialoghi e illustrazioni. Del resto avevo dieci anni e nessuna idea che quel lavoro richiedesse in realtà l’impegno di diverse figure professionali. Il tentativo fu fallimentare. Nel giro di quattro, cinque tavole l’impresa mi apparve titanica - come in effetti era - e irrealizzabile, perciò deposi matita e blocco di fogli. Mi era rimasta però la voglia di raccontare una delle molte storie che mi passavano per la testa. Dal nulla, senza che io le cercassi o le stimolassi, almeno consapevolmente.
L’unica soluzione che mi sembrò praticabile fu provare a metterle nero su bianco. Non sulla carta ma sullo schermo dell’Intel 486 che mio padre ci aveva regalato. La storia era embrionale, sconclusionata, ma il solo fatto di scriverla, l’azione di crearla, mi piacque. Così diventai una ventenne lettrice di thriller - amavo molto Jeffery Deaver - e un’aspirante scrittrice. Della mia passione per il disegno avevo fatto un lavoro, la grafica pubblicitaria.

SG: E a questo punto comincia la tua avventura nel thriller...

Il mio primo romanzo (Il vangelo segreto) fu pubblicato nel 2011 da Edizioni Centoautori. Racconta la storia di una giovane egittologa americana che vive e studia al Cairo e, suo malgrado, si trova a inciampare in un antico papiro copto, il cui ritrovamento mette a repentaglio la vita sua e di tutti quelli che la circondano.
La promozione mi portò a conoscere alcuni autori, inoltre iniziai a muovere timidamente i primi passi nell’ambiente dei narratori della mia città, Milano. Approdai così ad Andrea G. Pinketts, Andrea Carlo Cappi e Stefano Di Marino. Quando mi avvicinai a loro per la prima volta, per me fu difficile anche solo pensare di aprire bocca. Li avevo raggiunti durante uno degli storici incontri settimanali, qualcosa che ai miei occhi di ragazza appariva come una via di mezzo fra l’invadenza e lo stalking. Perdipiù avevo scoperto che Cappi non solo era un prolifico e bravissimo autore italiano ma anche uno dei più capaci traduttori del mio amato Deaver. Una sorta di creatura mitologica, lì, proprio a pochi passi da me.
Pinketts era Pinketts, che altro potrei dire? E poi c’era Stefano Di Marino, il Prof. Si sarebbe aggiunto alle mie conoscenze, poco tempo dopo, Giuseppe Foderaro, che è diventato negli anni un mio caro amico. Ora. Uno si aspetterebbe che autori così siano inarrivabili, inaccessibili, trincerati dietro spessi scudi di meritata fama e successo. Avrei scoperto più avanti che non sempre è così. Il successo non segue teorie logiche, non accompagna necessariamente i meriti e la fama non è sempre in grado di colmare la solitudine.
Da tutti loro ho imparato qualcosa. Tutto ciò che so sull’azione, sulla costruzione di una scena di combattimento, sulle armi da fuoco e da taglio, su come riportare sulla carta una scena erotica, lo devo al Prof, ai suoi manuali, ai suoi corsi di scrittura creativa cui ho potuto partecipare e ai suoi numerosissimi romanzi. Era un uomo estremamente ricco di fantasia, pieno di talento, ma che non si risparmiava quando poteva trasmettere queste immense passioni e capacità.
Da allora sono trascorsi oltre dieci anni e purtroppo Stefano non è più tra noi. È stato commovente vincere il premio a lui dedicato nel corso della terza edizione del Premio Torre Crawford e ancora di più lo è stato essere invitata a partecipare a questa bellissima raccolta di storie di spionaggio da lui creata. Oggi il testimone è nelle mani di Andrea Carlo Cappi, uno fra i suoi più cari amici.


SG: Abbiamo conosciuto il tuo nuovo protagonista, negli episodI Almujanad-La recluta e Abn'awah-Lo sciacallo, inizio di una serie dall'ambientazione insolita. 

Il protagonista della serie è Hazim Shawqi, un agente ventiduenne della Polizia Nazionale del Cairo. All’inizio della storia Shawqi lavora all’interno del deposito prove del commissariato, ha quindi un ruolo marginale, potremmo dire, nelle forze dell’ordine.

SG: Cosa ti spinge a tornare letterariamente al Cairo e a scegliere proprio il 1970?

Sono appassionata all’Egitto da moltissimi anni - sia all’antichità artistica e storica sia al Paese che è oggi, sebbene sia un luogo non semplice e di certo non a misura d’uomo. Nel 2006 ebbi la fortuna di visitarlo attraverso una crociera archeologica sul Nilo che mi consentì di vedere Il Cairo, appunto, e poi il resto, giù fino alla Nubia e al confine con il Sudan. A quel tempo stavo scrivendo il romanzo che cinque anni più tardi sarebbe stato pubblicato da Edizioni CentoAutori, la mia opera d’esordio: Il vangelo segreto, thriller storico-archeologico ambientato ai giorni nostri. Oggi quel romanzo è disponibile in una seconda edizione - rivista e corretta - che risale al 2021 e che, alla scadenza dei diritti del “vecchio” editore, ho ripubblicato in autonomia su Amazon KDP. È l’episodio pilota di una serie di tre romanzi nei quali ritroviamo i medesimi personaggi, fra cui Raul Ferrini, il tenente dei carabinieri cui ho dedicato un primo spin-off dal titolo L’esigenza di uccidere (Morellini Editore, 2022) e un secondo che si chiama Il favore delle tenebre (Morellini Editore, 2023).
Questa lunga premessa bibliografica mi serviva per rispondere alla domanda principale: Hazim Shawqi è uno dei personaggi di quel primo romanzo. Ne Il vangelo segreto, Shawqi è però un uomo adulto, ultracinquantenne, ed è arrivato al grado di colonnello della Polizia Nazionale. Anche un altro personaggio che compare ne Lo sciacallo si trovava già in questo romanzo: Anwar Hassan. Quando sono stata invitata a partecipare alla collana Spy Game mi è perciò venuto naturale pensare di sfruttare le biografie di due personaggi che avevano già fatto parte del mio universo narrativo. A maggior ragione è stato stimolante chiedermi cosa li avesse portati a diventare i personaggi che erano ne Il vangelo segreto. Ma devo evitare spoiler.
Mi limito ad aggiungere qualche parola sull’ambientazione geografica e temporale: l’Egitto era un luogo che avevo visto di persona e il cui scenario politico-economico conosco perché ne sono appassionata e perché avevo già fatto delle ricerche per gli altri miei romanzi. Approfondendo il periodo storico che mi interessava, ho subito realizzato che, sebbene non fosse coinvolto direttamente nella Guerra Fredda, anche l’Egitto offriva un panorama socio-politico interessante per una serie di spionaggio.
Il 1970 fu l’anno della morte del presidente Nasser, che fu sostituito da Sadat. Nasser stesso aveva creato un’organizzazione segreta che vigilava sui nemici del sue regime, era da poco nata la Fratellanza Musulmana e via dicendo. Avevo per le mani ottimi spunti su cui imperniare la creatività. Il primo episodio della serie, La recluta, inizia nel febbraio del 1970: a quel tempo fra le sabbie e la terra arida d’Egitto ribolliva lo scontento e un sempre più feroce desiderio di rivalsa contro il governo, e soprattutto verso un presidente che aveva ormai deluso le aspettative su entrambi i fronti politici, perfino fra i suoi sostenitori. C’era poi la questione del conflitto con Israele, le ferite della sconfitta subita durante la Guerra dei sei giorni non si erano ancora rimarginate. Il febbraio di quel 1970 mi è sembrato immediatamente il momento perfetto da cui far partire la serie.


SG: Le tue storie di spionaggio denotano capacità e competenza. Quali sono le tue letture e visioni di questo genere? Qual è il tuo approccio alla spy story?

Qui casca l’asino, come si suol dire. Grazie per il complimento, ma in realtà non sono una grande esperta di spionaggio letterario o cinematografico, almeno non di quello classico. Ho visto qualcuno dei film di 007 e letto il romanzo apocrifo di Bond scritto da Jeffery Deaver. Temo che molti lettori della serie ora chiuderanno la pagina e smetteranno di seguirmi.
Scherzi a parte, restando sui classici, purtroppo, non posso annoverarne molti altri fra le mie letture. Ho seguito con piacere qualche serie TV e ho amato/amo le storie di Stefano Di Marino, specialmente quelle de Il Professionista. Il fatto è che sono sempre stata molto più appassionata di crime, di noir, di poliziottesco, anche d’azione. Il giallo canonico stesso - inteso come quello all’inglese, per esempio, mi annoia un po’. Prediligo storie con più adrenalina oppure più dure, più pulp, come per esempio la celeberrima serie con Duca Lamberti di Scerbanenco, che ho letteralmente adorato, o tanti altri autori italiani, Enrico Pandiani fra i miei preferiti. A Di Marino stesso, così come ad Andrea Carlo Cappi, devo l’avermi insegnato - perlopiù attraverso i loro testi e le narrazioni - come scrivere lo spionaggio.
Credo infatti che il mio stile nella collana sia un po’ più action di quanto una classica spy-story dovrebbe essere. D’altro canto trovo affascinante anche raccontare gli appostamenti, i pedinamenti e il mestiere più analitico tipico del genere. Quando mi è stato chiesto di scrivere il pilota di questa serie, devo ammetterlo, ero intimorita proprio per il fatto di non reputarmi una grande conoscitrice del tema. Per me era una sfida e non mi sarei tirata indietro per nessun motivo al mondo. Quando poi ho iniziato a scrivere La recluta mi sono resa conto di quanto fosse divertente intessere una trama spionistica, soprattutto per via dell’ambientazione. Non ho vissuto personalmente il periodo storico di cui scrivo, gli anni Settanta, ma posso ripescare informazioni dai libri, dalle foto d’epoca e soprattutto dai racconti di mio padre che in quegli anni era adolescente - e ha ottima memoria, sebbene pensi il contrario.
Ho rispolverato, fra le altre, la mia curiosità sulla fotografia come era intesa a quel tempo, andando a frugare anche fra i ricordi delle scuole superiori, quando sviluppavamo in camera oscura dalle pellicole in bianco e nero. Io potevo usare una bella reflex della Pentax, che è di mio padre; le fotocamere digitali, nei primi anni Duemila, erano ancora rare e dai prezzi proibitivi. Insomma: il mio approccio a Spy Game è stato una vera full immersion in manuali, serie TV, quel poco di romanzi che il tempo che avevo a disposizione mi consentiva di leggere, tanta ricerca sul web e qualche domanda al papà. Un po’ più complesso è reperire materiale sull’Egitto degli anni Settanta, ma per quello ci sono il buon senso e la fantasia.
Sono veramente orgogliosa di poter scrivere questa serie, quindi aspettatevi a breve nuovi sviluppi per Shawqi, Samira e Hassan!

Gli episodi di Spy Game di Valentina di Rienzo

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