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martedì 13 novembre 2018

Stan Lee, fornitore di meraviglie

Stan Lee in un albo Marvel degli anni Sessanta


Confessioni di Stan Lee raccolte da Andrea Carlo Cappi

Il 12 novembre 2018, a quasi novantasei anni - che avrebbe compiuto il 28 dicembre - muore Stanley Lieber in arte Stan Lee, forse la figura più nota nella storia del fumetto mondiale: già dagli anni Sessanta la sua immagine appariva di frequente sugli albi della Marvel Comics, creando un rapporto diretto con i lettori. Ma molti hanno conosciuto "Stan the Man" in tempi più recenti, quando già ultraottantenne prese l'abitudine di apparire in un cameo umoristico alla Alfred Hitchcock nei film basati sui personaggi della sua casa editrice. La primissima apparizione risale in realtà al 1989, come membro della giuria in Processo all'incredibile Hulk, tv movie derivato dalla storica serie di telefilm con Bill Bixby e Lou Ferrigno, in cui per la prima volta si vedeva sullo schermo anche un altro personaggio Marvel, Daredevil.
Stan Lee non ha creato tutti i personaggi che popolano l'Universo Marvel: ne ha ripresi alcuni come Capitan America, Submariner o la prima Torcia Umana dalla Timely Comics, la compagnia in cui aveva cominciato a lavorare nel 1939, prima di andare in guerra: il suo esordio era stato proprio su un numero di Captain America Comics nel 1941. Altri ancora sarebbero nati nei decenni successivi per mano di autori della Marvel.
Tuttavia furono molti i nuovi eroi che Stan Lee creò di persona, in collaborazione con il fratello Larry Lieber, con celebri autori-disegnatori quali Jack Kirby e Steve Ditko, e con colleghi come Bill Everett. I loro personaggi, che avrebbero costituito l'Universo Marvel, erano contraddistinti dalla formula "supereroi con superproblemi", che li rendeva più umani agli occhi dei lettori rispetto a superuomini e superdonne dei fumetti precedenti.
Dagli anni Duemila i personaggi della Marvel hanno conosciuto nuova popolarità grazie ai cosiddetti "cinecomics". Stan Lee occupava ormai solo una carica onorifica, ma era sempre presente, oltre che nelle partecipazioni straordinarie dei film, anche nei contenuti speciali dei dvd, restando una figura familiare al pubblico. Nel 2018 ha fatto in tempo a vedere il decennale dei Marvel Studios (peraltro acquisiti nel frattempo dalla Walt Disney) e il lancio del più ambizioso progetto cinematografico della sua compagnia, Infinity War.

Il 5 dicembre 2003 il Noir in Festival si videocollegò da Courmayeur con Los Angeles, da dove Stan Lee rispose alle domande di Giorgio Gosetti, alle mie e a quelle del pubblico in sala. La conversazione fu pubblicata l'anno dopo su M-Rivista del Mistero e nel 2012 all'interno del volume Spiderman - 50 anni di un mito. Oggi è il giorno più adatto a riproporla.

I fumetti

Cominciai quando avevo circa diciassette anni. C’era un posto libero in una casa editrice, pensavo di voler fare lo scrittore e accettai il lavoro. Non sapevo che si trattasse di fumetti, credevo fossero libri o riviste. Quando seppi che il lavoro era nella sezione fumetti, pensai che sarebbe stato divertente, che me ne sarei occupato per un po’, per fare esperienza, e che poi mi sarei avventurato nel mondo reale. Per qualche ragione, dopo più di mezzo secolo, me ne sto ancora occupando.
Quando ho cominciato, volevo fare qualcosa di diverso. Come scrittore non volevo fare un’imitazione di qualcos’altro. C’era una certa formula che dovevo seguire. Sapevo che i lettori volevano supereroi con superpoteri e che volevano che gli eroi indossassero dei costumi. Ma, a parte quello, cercai fare tutto in modo differente. Tentai di renderli molto umani. Qualsiasi essere umano ha un difetto di qualche genere. C’è chi è timido, c’è chi è debole, c’è chi non vede o non sente bene. Pensai che, dando loro certe fragilità umane, li avrei resi più credibili, malgrado fossero dotati di superpoteri.
Se leggi una storia il cui protagonista riflette i tuoi stessi desideri, le tue stesse ambizioni, ma anche le tue paure e le tue inquietudini, puoi legarti maggiormente a quel personaggio, puoi credere in quel personaggio.
Ritengo che i supereroi possano essere simili alle persone normali. Se l’eroe è solitario, ha problemi sentimentali, è tormentato, questo lo rende simpatico al lettore. Una cosa che ho sempre cercato di fare come scrittore è stato usare molto i thought balloons, i fumetti con i pensieri, riconoscibili dalle bollicine sopra la testa dei personaggi. Mostrare ciò che un personaggio sta pensando è un altro modo per permettere al lettore di comprendere il personaggio.
In verità sono molto pigro. Quando ho creato l’Uomo Ragno, dovevo motivare i suoi superpoteri, quindi mi sono dovuto inventare che fosse stato morso da un ragno radioattivo. Lo stesso valeva per Daredevil: mi inventai che un liquido radioattivo gli fosse finito negli occhi. Hulk era stato investito dai raggi gamma, i Fantastici 4 dai raggi cosmici… Ero a corto di ragioni per cui i supereroi potessero diventare tali, così mi venne in mente che se erano dei mutanti, potevano nascere coi loro superpoteri. Succede. Dopotutto, un serpente con due teste è un mutante. Se erano dei mutanti, non c’era più bisogno di ragni radioattivi o raggi gamma, non c’era niente da spiegare e potevo andare avanti con la storia.
Quando cominciai, scrivevo sceneggiature per i fumetti con le stesse tecniche usate per lo schermo: descrizione della scena e dialoghi. In seguito lasciai la mano più libera agli artisti per quanto riguardava il layout. I disegnatori erano liberi di scegliere come comporre la scena. Poi mi passavano le tavole e io aggiungevo dialoghi e didascalie. In questo modo potevo lavorare più rapidamente, con più disegnatori nello stesso momento.


Capitan America

Capitan America non era una mia creatura: era stato inventato anni prima da Jack Kirby e Joe Simon. Era ancora un personaggio monodimensionale: un “buono” con superpoteri che combatteva contro i cattivi, affiancato da una spalla teen-ager, Bucky Barnes. Ma non si poteva dire molto altro di lui. Quando cominciai a scriverne come personaggio Marvel negli anni Sessanta, Capitan America non usciva da molti anni. Decisi di riportarlo in vita. Ma volevo dargli un po’ di personalità, qualche problema. Volli renderlo incapace di adattarsi al mondo degli anni Sessanta. Capitan America si sentiva, in qualche modo, un anacronismo, un uomo di altri tempi che non capiva gli eventi, la musica, l’ambiente degli anni Sessanta. E fu così che lo ripresentai al pubblico.
Alcuni anni dopo smisi di scriverne le sceneggiature, ma ci furono altri scrittori che proseguirono il lavoro, cercando di portarlo ancora più avanti, di renderlo più realistico. Avevamo fatto morire Bucky, lo avevamo sottoposto a molte prove (avevo appena menzionato il periodo dopo il Watergate, in cui Capitan America non si riconosceva più nel suo paese e aveva adottato un costume nero e il nome di battaglia Nomad, A.C.C.) Tutto questo con l’obiettivo di rendere il personaggio una persona reale in un mondo reale. Perché alla gente vera succedono molte cose, a volte muoiono degli amici. Ed è interessante vedere come un eroe reagisce alle sventure che capitano nella sua vita. Questa era l’intenzione.


Televisione e cinema

Ralph Bakshi è un genio, un grande animatore. Amavo i suoi vecchi cartoni animati dell’Uomo Ragno. Non disponevano ancora di tutti gli effetti al computer che si usano oggi, ma avevano molto spirito, molta anima. Erano molto interessanti. Vorrei aggiungere che in questo momento c’è una nuova serie a cartoni animati sull’Uomo Ragno. Non so se sia stata già trasmessa in Italia, ma posso dire che è la migliore mai realizzata. Spero che la vedrete. Sono sicuro che vi piacerà.
Dipende tutto dalla qualità. Nel fumetto, il successo dipende dal fatto che una storia sia scritta bene e sia disegnata bene. Un film funziona se è ben scritto, ben diretto e ben recitato. Siamo stati molto fortunati: abbiamo avuto i migliori registi, i migliori sceneggiatori e i migliori attori. Quello che arriva sullo schermo cinematografico è molto fedele al contenuto dei fumetti. Nessuno ha cercato di alterarne lo spirito o la qualità. Quindi penso che siamo stati fortunati sotto tutti i punti di vista.
Sam Raimi, regista di Spiderman, è un mio vecchio amico, una persona splendida e di grande talento. Andiamo perfettamente d’accordo. Se vi raccontassi qualcosa della trama del nuovo film, mi ammazzerebbero. Ma posso anticiparvi che l’avversario è il Dottor Octopus, che sarà interpretato da un vero attore e non sarà un personaggio generato al computer, anche se verranno usati opportuni effetti speciali. Sono pronto a scommettere che Spiderman 2 sarà all’altezza del primo film, o addirittura migliore. Aspettate e vedrete.
Non seguo direttamente lo sviluppo: produttori e registi scelgono da soli… e ogni tanto mi concedono una partecipazione straordinaria. Nel mio prossimo cameo avrò addirittura una battuta. Posso considerarmi un membro del cast.
Ora è in uscita Ghost Rider e in lavorazione Fantastic Four. Stiamo preparando un film su Silver Surfer, uno sul Dottor Strange, uno su Submariner (Silver Surfer è apparso nel sequel di Fantastic Four, il Dottor Strange è arrivato sullo schermo solo più tardi, all'interno della saga di The Avengers, mentre il film su Submariner non è mai stato realizzato, A.C.C. 2018) A dire il vero praticamente ognuno dei personaggi principali della Marvel è protagonista di una sceneggiatura in preparazione in uno studio di Hollywood piuttosto che un altro. Ci saranno poi i sequel: oltre a Spiderman 3 anche Daredevil 2 e così via (Daredevil 2 non è mai stato realizzato: dopo il primo film e lo spin-off su Elektra, il progetto è rimasto fermo e Daredevil è tornato solo di recente nella serie tv realizzata da Netflix, A.C.C. 2018). È incredibile quanti “Marvel movies” sono in lavorazione in questo momento.
Credo che ai bambini piacciano. Cerchiamo di realizzare i film con gli stessi criteri con cui facciamo fumetti: in modo che possano piacere a ogni tipo di pubblico. Complessi quanto basta per essere apprezzati da un lettore adulto, ma chiari e comprensibili anche per i più piccoli. E cerchiamo di fare lo stesso con il cinema: adeguati a un pubblico adulto, ma divertenti per un pubblico più giovane.

Dopo la Marvel

Sono fuori da un po’ dai fumetti. Ora sto a Los Angeles, mentre la Marvel Comics è a New York. Negli ultimi anni mi sono occupato essenzialmente di cinema e televisione.
Per quanto riguarda la Marvel… è una strana situazione. Non l’ho effettivamente lasciata, sono tuttora il presidente emerito, più che altro un titolo onorario, e ancora faccio quello che posso per sostenere la Marvel, partecipo alle convention… Ma ho formato una mia compagnia, chiamata POW Entertainment, dove POW sta per Purveyors of Wonder (“Fornitori di Meraviglie”, N.d.R.) Ci occupiamo di cinema, televisione e animazione, basati su mie idee originali che non hanno nulla a che vedere con la Marvel. Sentivo che era venuto il momento di fare le mie cose. Mi sto divertendo molto, lavoro con gente come Nick Cage, Pierce Brosnan, Robin Williams. Realizzo una serie a cartoni animati chiamata Striperella, non so se ne avete sentito parlare, con Pamela Anderson nel ruolo di una donna che fa la danzatrice esotica di notte… e la supereroina di notte... più tardi. Stiamo anche lavorando a un cartone animato con protagonista Hugh Hefner, l’editore di Playboy, chiamato X-SuperBunnies: nessuno sa che Hefner è un supereroe che combatte per la libertà, così come nessuno sa le sue ragazze sono scienziate nucleari che lottano per salvare il mondo. Ci stiamo lavorando in questo momento ed è molto divertente (A dire il vero, non mi risulta nulla in merito a questi progetti! A.C.C. 2018)


La musica

Mi piace la musica di ogni genere. Comincia a piacermi anche il rap, l’unico problema è che non capisco che cosa dicono. Il rock mi piace: anni fa ho scritto anche testi per varie rock band. Sono amico di molte rockstar. Ho un aneddoto: una volta, in Inghilterra, ho ricevuto una telefonata in albergo. Una voce disse: “Sono Paul McCartney, ho saputo che è in Inghilterra, deve venirmi a trovare.” Io dissi: “Non conosco nessun Paul McCartney.” Ero sicuro che fosse uno scherzo. Ma lui mi diede un indirizzo e io ci andai, giusto per vedere di che cosa si trattasse. Ed era davvero Paul McCartney! Viveva in una grande casa, con davanti una grossa Rolls Royce e accanto una piccola Mini Morris. Sembrava che la Rolls Royce avesse appena avuto un figlio. La ragione per cui mi voleva vedere era che sua moglie Linda aveva una figlia che stava lanciando una band chiamata “Susie and the Red Stripes” (lei era Susie) e volevano che facessi un fumetto con lo stesso nome per promuovere il gruppo. Dovevamo riparlarne, ma poi non se ne fece nulla: quando lui arrivò in America io ero in Messico e quando io tornai in Inghilterra lui era da un’altra parte. Non ci incontrammo più, ma era stato molto divertente sollevare il telefono e sentirmi dire: “Pronto, sono Paul McCartney, vorrei vederla.” Non si sa mai che cosa aspettarsi, quando suona il telefono.

I cattivi

Ci siamo sempre ispirati al quello che accadeva nel mondo reale. Durante la Seconda guerra mondiale, i cattivi erano spesso nazisti. All’epoca della Guerra Fredda molta gente in America aveva paura della Russia e pensavamo che i comunisti fossero i cattivi. Ma dopo diventammo più attenti e più sofisticati: non potevamo prendere un intero gruppo di persone e dire che erano tutti cattivi. Oggigiorno, quando serve un nuovo cattivo, prendiamo un terrorista. Uno dei maggiori problemi nei fumetti e inventare dei cattivi. Si può usare lo stesso eroe, ma in ogni storia ci vuole un nuovo cattivo. Può diventare faticoso, d'altra parte il buono deve pur combattere contro qualcuno. E bisogna sempre trovare un nuovo cattivo, un mese dopo l’altro.
Me ne piacciono tantissimi. Amo il Dottor Destino, il Dottor Octopus, Goblin, l’Uomo Sabbia… non li ricordo nemmeno tutti. Purtroppo sono smemoratissimo. Per darvi un’idea della mia pessima memoria, vi dirò che quando inventavo un personaggio, gli davo sempre un nome di battesimo che cominciasse con la stessa lettera del cognome, come Peter Parker, Matt Murdock, Reed Richards. Lo facevo già quarant’anni fa. La ragione era che, se riuscivo a ricordare uno dei nomi, avevo un indizio sull’iniziale dell’altro nome. Per cui cominciavo con Bruce… come si chiamava? Bruce Banner, ecco com’era. Credo una volta di avere scritto “Bert Banner” invece di Bruce Banner. E tutti i lettori mi scrissero: “Non si ricorda il nome dei suoi stessi personaggi?” Me la cavai da codardo, dicendo: “Il nome completo è Robert Bruce Banner.” Sono uno smemorato.

Il supereroe preferito

Quello che mi somiglia di più non è un supereroe. Probabilmente è J. Jonah Jameson, il direttore del giornale per cui lavora l’Uomo Ragno. Se dovessi scegliere un supereroe, direi Reed Richards, non perché il mio corpo si allunghi, e non perché io sia uno scienziato intelligentissimo. Reed Richars è un uomo che parla sempre troppo. Annoia sempre la Cosa, che gli dice di stare zitto. Quindi assomiglio a Reed Richards: quando comincio a parlare, non smetto più. Ma sono come un padre a cui si chiede qual è il figlio preferito: li amo tutti quanti.
Excelsior!




sabato 28 luglio 2018

La vespa e la formica






Recensione di Andrea Carlo Cappi

Potrebbe essere il titolo di una favola di Esopo in chiave entomologica, ma mi riferisco invece a Ant-Man and the Wasp, serie a fumetti anni Sessanta della Marvel Comics dedicata alle imprese dei due supereroi eponimi – le cui vere identità erano all’epoca Hank Pym e Janet van Dyne – quando non apparivano insieme ad altri supereroi in The Avengers. E mi riferisco soprattutto al film che nell’estate 2018 vede invece come protagonisti i personaggi che, fumettisticamente, ne hanno assunto i ruoli nella generazione successiva, Scott Lang e Hope van Dyne, figlia dei primi due.
Innanzitutto vi rassicuro: non ho intenzione di abbandonarmi qui ad alcuno spoiler sulla produzione più recente e attuale dei Marvel Studios, anche se ne troverete qualcuno riguardante i film degli anni passati. Ma penso di poter affermare ciò che tutti gli appassionati già sanno: dopo Infinity War, il cosiddetto MCU – l’universo cinematografico che riunisce buona parte, ma non tutti, dei personaggi dei fumetti Marvel visti nell’ultimo decennio su grande e piccolo schermo – è in sospeso fino alla tarda primavera del 2019, nell’attesa della seconda parte del film dedicato ai Vendicatori e alle Guerre dell’Infinito. Il che non impedisce a sceneggiatori e registi di fare cronologicamente qualche passo indietro nel tempo.



Nel caso di Ant-Man and the Wasp, si parla solo di un balzo a qualche settimana prima di Infinity War, spiegando in che cosa fossero impegnati i personaggi di questa sotto-serie e perché nessuno di loro abbia più a che fare con l’una o l’altra fazione in cui i Vendicatori si erano divisi nel corso di Captain America – Civil War. Va ricordato che, grazie al sistema tecnologicamente avanzato contenuto nella sua tuta, Ant-Man è in grado di cambiare dimensioni, raggiungendo quelle di una formica (come lascia intendere il nome) per tornare poi a quelle normali; un intenso addestramento impartitogli dal suo mentore Hank Pym e dalla figlia di questi, Hope, ha fatto di lui un combattente formidabile nell’una e nell’altra taglia. Ma in Civil War lo abbiamo visto applicare la stessa tecnologia in senso inverso, trasformandosi – come già a suo tempo si era visto nei fumetti – in Giant Man durante lo scontro tra supereroi in Germania, dal lato dei ribelli.
Catturato dopo quell’episodio, in base ad accordi tra i governi tedesco e americano, e nel rispetto del Protocollo di Sokovia sulla limitazione delle attività superumane, Scott Lang (Paul Rudd) ha patteggiato due anni di arresti domiciliari, nel corso dei quali non può allontanarsi di un millimetro dai confini domestici prestabiliti, tantomeno impegnarsi in attività da supereroe. Né gli è consentito avere contatti con Hank Pym (Michael Douglas), inventore del processo di miniaturizzazione molecolare oltre che già supereroe nei panni di Ant-Man negli anni Ottanta, prima da solo, poi insieme a Janet/Wasp; o con la figlia di questi, Hope (Evangeline Lilly), che abbiamo lasciato alla fine di Ant-man mentre era sul punto di collaudare una versione modernizzata della tuta di Wasp.
La scena di apertura del film ci riporta indietro di trent’anni, quando Hank e Janet (Michelle Pfeiffer, ringiovanita in questa sequenza grazie a sofisticati effetti speciali) si congedarono dalla figlia prima di partire per una missione che si sarebbe rivelata fatale e di cui abbiamo già visto una sequenza nel precedente Ant-Man: per disinnescare un missile nucleare prima che raggiungesse il bersaglio, Janet dovette miniaturizzarsi a oltranza, riuscendo nell’intento ma perdendosi poi in un universo quantico da cui non avrebbe mai fatto ritorno. Tuttavia, nel corso della sua prima avventura, Scott non ha avuto scelta che usare a sua volta lo stesso espediente, riducendosi a misure subatomiche ma riemergendo grazie alle nuove tecnologie sviluppate nel frattempo da Hank. E se Janet fosse ancora viva, laggiù, da qualche parte, e le scoperte scientifiche del marito potessero ora permetterle di tornare?



Va precisato che, mescolando elementi presenti da mezzo secolo nei fumetti Marvel (a volte raffigurati con memorabili scenari psichedelici) e teorie scientifiche contemporanee, il Regno Quantico è un universo vero e proprio, uno dei tanti scoperti da Stephen Strange nella sua prima lezione di arti mistiche nel film Doctor Strange, in cui le leggi convenzionali dello spazio-tempo perdono di validità. Ma, stando a quanto si apprende in questa nuova pellicola, certi esperimenti nel campo della fisica quantistica possono avere conseguenze imprevedibili. Del resto Scott ancora non lo sa, ma la sua esperienza sub-atomica ha lasciato in lui più tracce di quanto possa immaginare.
Così, mentre lui passava due anni senza uscire di casa, giocando con la figlia e facendo da consulente all’agenzia di sicurezza privata in cui lavorano Luis (Michael Peña) e i suoi ex-compagni di galera – opportunamente denominata X-Con, che suona come ex-con, ovvero ex-detenuti – Hank e Hope si sono dati da fare, nonostante siano tuttora ricercati dall’FBI in quanto complici indiretti e involontari delle attività di Ant-Man come supereroe ribelle. Hanno perfezionato la tecnica di miniaturizzazione-sminiaturizzazione, applicandola ad autoveicoli e persino a un intero edificio, e progettato un portale per viaggiare nell’universo quantico. Hope (che nel frattempo si è fatta crescere i capelli, abbandonando il rigido caschetto del primo film, meno pratico per indossare l’elmetto) ha ormai ereditato il ruolo di Wasp, cosa che le torna utile quando deve trattare con loschi figuri per procurarsi i componenti che occorrono per completare il progetto.
Per consentire a Hank di giungere all’obiettivo finale – la ricerca di Janet – Scott e Hope devono ora riunire le forze per fronteggiare il subdolo mercante tecnologico Sonny Burch (Walton Goggins); scontrarsi con un misterioso rivale denominato Ghost (Hannah John-Kamen) che si interessa alla stessa tecnologia; discutere con un astioso collega del dottor Pym, Bill Foster (Laurence Fishburne); e sfuggire all’agente FBI Jimmy Woo (Randall Park). Mentre il film si addentra sempre di più nella sua dimensione fantastica, non mancano il cameo del creatore della Marvel, Stan Lee, e, dato che siamo a San Francisco, una variante inedita del classico inseguimento tra auto sulle strade collinari.
Il film, che rappresenta il ventesimo episodio della saga cominciata nel 2008 con Iron Man, è una piacevole mescolanza di poliziesco, azione, commedia (con le consuete gag del gruppo di ex-galeotti) e teorie (fanta)scientifiche portate a un’efficace rappresentazione visiva. È consigliabile avere visto ameno il precedente Ant-Man per apprezzare molti degli aspetti che qui vengono ormai dati per acquisiti. I doverosi collegamenti con la continuity dell’intera saga sono riservati invece alle sequenze inserite nei titoli di coda, che ancora molti spettatori si perdono nella frenesia di correre all’uscita come se la sala andasse a fuoco; e sì che sono una consuetudine da almeno quindici anni, in questo genere di film!



martedì 1 maggio 2018

Avengers: la Guerra dell'Infinito




Delucidazioni di Andrea Carlo Cappi

Dopo il riassunto della fase più recente del Marvel Cinematic Universe e prima di toccare argomenti potenzialmente spoiler, posso dire ciò che già si conosce dalla conferenza stampa dell’ottobre 2014 in cui i Marvel Studios presentarono i progetti a venire sull’universo basato sui fumetti di Stan Lee e soci. La vicenda delle Pietre dell’Infinito, con tutto ciò che esse comportano, non si conclude con questo film. La storia è stata preparata meticolosamente, aggiungendo un tassello dopo l’altro, episodio dopo episodio, a partire dal 2011 con Captain America – The First Avenger. La seconda parte, annunciata per il maggio 2019, si sarebbe dovuta intitolare Avengers- Infinity War II, mentre ora è etichettata semplicemente come Avengers 4. Circola la voce, attribuita all’attrice Zoe Saldana, che possa chiamarsi Infinity Gauntlet (ovvero Il guanto dell’Infinito, titolo della saga originale a fumetti del 1991). I film del ciclo in uscita prima del maggio 2019 – i prossimi annunciati sono Ant-Man and The Wasp e Captain Marvel – sono ambientati prima degli eventi di Infinity War. Altri tasselli che andranno a comporre lo scenario completo.


Sul piano pratico, più di ogni altro episodio dell’MCU, Infinity War richiede la visione preventiva di una buona parte dei capitoli precedenti con i vari personaggi. I film sono quasi tutti disponibili in vari supporti video e alcuni sono già passati sulle reti televisive. Non entrate quindi al cinema aspettandovi che venga ripresentato singolarmente ogni personaggio, tra protagonisti e comprimari di ogni serie: Infinity War dura due ore e trentasei minuti e sono in scena almeno una settantina tra supereroi, loro parenti, amici, alleati e nemici, quindi non c’è spazio per i riassunti; fate riferimento al mio articolo precedente e alla prima parte di questo, in cui vi ricordo alcuni punti da tenere presente a proposito delle Pietre dell’Infinito. Sarete avvisati quando cominciano gli spoiler.



Cosa sono, per cominciare, le Pietre dell’Infinito? Sono sei gemme forgiate al tempo del Big Bang, ognuna delle quali ha un potere immenso, pericoloso se dovesse cadere in mani sbagliate. Sono state custodite per millenni in luoghi sacri, ma da qualche tempo a questa parte sono riemerse, con conseguenze spesso devastanti. Perché le Pietre interessano a Thanos, re di Titano? Ovvio: sia per l’immenso potere che ha ciascuna di esse, sia per il potere moltiplicato che acquisiscono una volta riunite. Per questo Thanos dispone del Guanto dell’Infinito, che dovrebbe raccoglierle tutte e sei.
La Pietra dello Spazio, contenuta nel Tesseract (o Cubo Cosmico, per chi ricorda i fumetti di Capitan America degli anni Settanta) è stata recuperata in Norvegia durante la Seconda guerra mondiale da Johann Schmidt alias Teschio Rosso (Hugo Weaving); maneggiata da questi con troppo noncuranza nello scontro finale di Captain America – The First Avenger, la Pietra lo ha scagliato chissà dove nello spazio-tempo, prima di sprofondare nell’Atlantico. È stata recuperata dallo SHIELD (il servizio segreto dell’universo Marvel) e il suo capo Nick Fury (Samuel L. Jackson), alla fine di Thor l’ha affidata al professor Selvig (Stellan Skarsgård) perché la studiasse. Innescando così la catena di eventi imprevedibili pilotata da Loki (Tom Hiddleston) in accordo con Thanos (Damion Poitier), per favorire l’invasione aliena della Terra fermata nella Battaglia di New York in The Avengers. La Pietra è stata portata quindi ad Asgard e qui custodita fino al Ragnarok, quando è stata ritrovata da Loki poco prima della distruzione totale. Difficile che questi abbia resistito alla tentazione di appropriarsene di nuovo, portandola con sé nell’esodo degli asgardiani...
La Pietra della Mente si trovava nello scettro di Loki, che se n’è servito in The Avengers per controllare il professor Selvig e Clint ʻOcchio di Falco’ Barton. Caduta in mano all’Hydra (organizzazione creata a suo tempo dal Teschio Rosso), è stata usata per conferire poteri ai gemelli Pietro e Wanda Maximoff, che tuttavia sono passati dalla parte dei buoni. Studiata da Tony ʻIron Man’ Stark e Bruce ʻHulk’ Banner (Mark Ruffalo), ha accidentalmente dato vita al malefico Ultron (James Spader), per poi animare l’androide benevolo chiamato Visione (Paul Bettany). La Pietra si trova ora sulla fronte di Visione. Questi, entrato a far parte dei Vendicatori, ha una storia d’amore nascente con la collega Wanda ʻScarlet Witch’ Maximoff (Elizabeth Olsen), anche se in Civil War i due si sono trovati da parti opposte della barricata.


La Pietra della Realtà, che si manifesta anche sotto forma di Etere, è stata recuperata dopo che in Thor – The Dark World è stata usata nel tentativo di distruggere la Terra da parte di una delle razze ribelli tenute sotto controllo per millenni dagli asgardiani. Costoro, non fidandosi a conservare ad Asgard ben due Pietre dell’Infinito – Spazio e Realtà – hanno affidato quest’ultima al Collezionista (Benicio Del Toro), che la custodisce fra i suoi trofei nella propria dimora sul planetoide Knowhere. È lui a spiegare le origini delle Pietre e il loro potere ai Guardiani della Galassia.
La Pietra del Potere è rimasta a lungo indisturbata nel suo contentore, l'Orb, sul pianeta Morag. Fino a quando Thanos (ora interpretato da Josh Brolin) ha deciso di impadronirsi dell’intera collezione. Ha incaricato quindi di sottrarla il suo affiliato Ronan (Lee Pace), mettendogli a disposizione le proprie figlie adottive, le guerriere Nebula (Karen Gillan) e Gamora (Zoe Saldana). Ma Ronan intendeva appropriarsene per distruggere il pianeta Xandar, con cui aveva vari conti in sospeso; Gamora voleva invece venderla al Collezionista; mentre il primo a rubarla è stato Star Lord (Chris Pratt), anche se alla fine la Pietra finiva nelle mani di Ronan. È così che nacquero i Guardiani della Galassia, che riuscirono a evitare la distruzione di Xandar e affidarono la Pietra alle autorità locali perché la custodissero.
La Pietra del Tempo è stata ereditata e impiegata in modo brillante dal dottor Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) nel film a lui dedicato e si trova nel medaglione che questi porta al collo, denominato Occhio di Agamotto. Strange ha imparato a usarla con la consulenza più o meno volontaria del bibliotecario Wong (Benedict Wong), assistente dell’Antica (Tilda Swinton) di cui è divenuto l’erede come Signore delle Arti Mistiche.
Quanto alla Pietra dell’Anima, ancora non si sa dove si trovi, ma qualcuno potrebbe avere un indizio... E da qui in poi, vi avviso, cominciano gli spoiler!



Libero spoiler, da qui in avanti, anche se cercherò di moderarmi. Torniamo a quanto stavo per dire, ma mi sono trattenuto, all’inizio del mio articolo precedente. Le reazioni a Infinity War da parte del pubblico in sala sono di shock. L’ho visto alla prima proiezione pomeridiana in una città spagnola, tra ragazzi che indossavano magliette di Spiderman e Capitan America (io, per non essere da meno, portavo quella con il logo dello SHIELD). Ammutoliti e immobili, hanno seguito tutti i titoli di coda in attesa di un barlume di speranza. Che in effetti arriva nella sequenza dopo i titoli di coda, tenue e ancora non del tutto chiaro: il suo autentico significato verrà precisato dall’imminente Captain Marvel. Una ragazza, alzandosi infine per uscire, ha mormorato: «Sto ancora tremando».
Non siamo infatti di fronte a una situazione tipo L’impero colpisce ancora, in cui alla fine, sì, Han Solo era stato catturato, ma gli eroi si accingevano ad accorrere in suo aiuto, rassicurando gli spettatori per il seguito. Qui siamo di fronte a una situazione come quella in cui James Bond stringeva imbambolato il cadavere della moglie, mentre Blofeld se ne andava libero di conquistare il mondo. In questo caso, anche peggio, dal momento che l’obiettivo di Thanos è purificare l’universo eliminandone metà degli abitanti. Ciliegina sulla torta: il messaggio che alla fine di ogni film promette il ritorno imminente di uno degli eroi visti in scena si riduce stavolta a un lapidario Thanos will return. Perché alla fine la sconfitta è totale e rimane in piedi quasi solo lui.
Il conteggio delle vittime comincia fin da subito, quando a conferma dei nostri timori l’astronave che intercetta i profughi asgardiani risulta proprio essere quella di Thanos. Mentre Heimdall spedisce al volo Bruce Banner sulla Terra, Thor viene catapultato nello spazio e recuperato dai Guardiani della Galassia, che danno il loro tocco di umorismo in una situazione drammatica.
Ha inizio così una singolare combinazione di squadre di eroi che combattono sulla Terra, su Titano e su Knowhere per impedire a Thanos di completare la collezione. Ma non è facile, perché una pista conduce il malefico alla finora introvabile Pietra dell’Anima, custodita da una figura già nota (riconoscibile anche se ne è cambiato l’interprete). Si arriva così alla grande battaglia finale nel Wakanda, in cui il premio è la Pietra della Mente, che non può essere rimossa dalla fronte di Visione senza ucciderlo... a meno di realizzare per tempo una complessa operazione e distruggere la gemma prima che sia troppo tardi.
In fondo è vero: pur circondato da tutti gli eroi Marvel, è Thanos il vero protagonista del film, il personaggio che ha maggiore spazio per l’introspezione psicologica. Il suo obiettivo è così importante da convincerlo a fare qualsiasi sacrificio personale, che ovviamente costa la vita a qualcun altro.
Ed è una scelta coraggiosa quella della Marvel di realizzare un film monumentale che interrompe la storia nel momento della più completa e disperante débacle. Ma siamo solo a metà di Infinity War e non va dimenticato che le Pietre possono modificare Tempo, Spazio e Realtà tanto per il peggio quanto per il meglio.



lunedì 30 aprile 2018

Avengers: alle porte dell'infinito




Panoramica di Andrea Carlo Cappi

Il momento che i fan del Marvel Cinematic Universe aspettavano è arrivato: l’uscita di Avengers – Infinity War. E le reazioni del pubblico in sala sono... Ve lo dico nel prossimo articolo: questo è uno di quei casi in cui è difficile parlare di un film senza inciampare negli spoiler. Per ora comincio a occuparmi degli episodi dell’MCU che hanno portato al nuovo film... e già ora vi avviso di spoiler per chi ancora non li abbia visti.
Comincio a precisare, per chi negli ultimi anni abbia consumato una manciata di film di supereroi e abbia le idee confuse, che in questo universo non ci sono i personaggi della DC Comics (quella di Superman, Batman e WonderWoman). Ma non ci sono nemmeno altri personaggi della Marvel Comics apparsi al cinema di recente e che sul grande schermo seguono un percorso diverso: dai Fantastici Quattro – stroncati peraltro da un pessimo e inutile reboot dopo due buoni film degli anni Duemila – agli X-Men, inclusi Wolverine/Logan e Deadpool, che invece hanno sempre mantenuto un ottimo livello.


Nel caso dell’MCU non si tratta di semplici origins movie e relativi sequel, bensì di un complicato tessuto narrativo in cui a volte personaggi importanti appaiono e si sviluppano in pellicole che non portano il loro nome. La storia generale va avanti anche se avete un attimo di distrazione e vi perdete qualche supereroe in apparenza secondario.
Per esempio, a molti spettatori non assidui può essere sfuggito Ant-Man, film del 2015 dedicato a un personaggio ideato da Stan Lee nel 1962 e a lungo presente nei fumetti Marvel assieme alla moglie The Wasp: due supereroi in grado di miniaturizzarsi, entrambi poi arruolati nei Vendicatori; Ant-Man in seguito avrebbe invertito il processo di miniaturizzazione diventando Giant Man, per cedere infine il ruolo dell’uomo-formica al successore Scott Lang.
Nella versione cinematografica il primo Ant-Man, Hank Pym (Michael Douglas) e la prima Wasp, Janet Van Dyne (che dovrebbe apparire nell’imminente sequel con il volto di Michelle Pfeiffer), risultano essere stato attivi negli anni Ottanta al servizio dello SHIELD, il servizio segreto che in seguito avrebbe riunito i Vendicatori; fino a quando Janet non è scomparsa in missione. Ora Pym e sua figlia Hope (Evangeline Lilly) istruiscono il criminale informatico dal cuore d’oro Scott Lang perché riporti in azione Ant-Man. Alla fine del film si intuisce che Hope riprenderà il ruolo di Wasp e che Ant-Man sarà arruolato tra i Vendicatori ribelli in Civil War.


Quest’ultimo è uno degli episodi chiave nella serie Avengers, anche se ufficialmente è il terzo film di Capitan America. Civil War è liberamente basato sulla saga omonima a fumetti, che circa una decina di anni fa coinvolse l’intero universo Marvel. Nel film, di fronte alle richieste internazionali di mantenere un controllo sulle azioni dei supereroi dopo quanto avvenuto in Age of Ultron, i Vendicatori si scindono in due gruppi: uno fedele a Tony Stark alias Iron Man (Robert Downey Jr.), fautore della supervisione dell’ONU, l’altro fedele a Steve Rogers alias Capitan America (Chris Evans) che invece sostiene una rapidità di risposta alle minacce straordinarie per affrontare le quali si è costituito il gruppo.
Alla fine Cap abbandona il suo scudo e i colori americani del suo costume, mentre con alcuni dei suoi compagni viene bollato come fuggitivo. Lo rivedremo in Infinity War con la barba lunga e con le stelle e strisce dell’uniforme annerite... un abbigliamento che richiama i fumetti degli anni Settanta in cui Steve Rogers, sentendo traditi i valori che lo avevano generato, adottò per qualche tempo un costume nero e il nome di battaglia Nomad.


In Civil War non ritorna solo, stavolta dalla parte dei buoni, Bucky Barnes alias Winter Soldier (Sebastian Stan), amico fraterno di Cap nel primo film di questi e – vittima di un lavaggio del cervello da parte dei sovetici – mortale avversario nel secondo; così nel Team Cap vediamo Ant-Man, collaudare l’effetto Giant Man.
Ma in Civil War appare per la prima volta, nel Team Iron Man, la nuova versione di Spiderman (Tom Holland), assai diversa tanto da quella della trilogia di Sam Raimi quanto da quella del meno convincente reboot arrestatosi dopo il secondo episodio.
Sempre in Civil War viene introdotto l’eroe africano T’Challa (Chadwick Boseman), che eredita dal defunto padre il costume e i poteri di Black Panther.


Entra in scena nel 2017 un altro personaggio storico della Marvel Comics: Stephen Strange, il signore delle arti mistiche protagonista di Doctor Strange, interpretato alla perfezione da Benedict Cumberbatch. Un film che risalta tanto sul piano tecnico per lo sviluppo di effetti speciali collaudati in Inception di Chris Nolan, quanto sul piano della saga, in quanto mostra il potere della Pietra del Tempo, che si rivelerà determinante in Infinity War.
Nella sequenza dopo i titoli di coda, che i fan dei Marvel Studios hanno imparato ad aspettare pazienti senza precipitarsi fuori dal cinema come se da ciò dipendesse la loro sopravvivenza, c’è l’anteprima di una scena con Strange e Thor che si vedrà in Ragnarok.


Nell’estate 2017, senza ripetere per la terza volta le sue origini, il personaggio di Peter ʻSpidey’ Parker si esibisce in Homecoming, un proprio film collegato alle conseguenze della battaglia di New York nel primo The Avengers. L’adolescente Spiderman ha Tony Stark come mentore e l’Avvoltoio (un notevole Michael Keaton) come avversario. Non mancano apparizioni di Pepper (Gwyneth Paltrow)  e Happy (Jon Favreau) dai film di Iron Man. E non dimentichiamo un’adorabile Marisa Tomei nei panni di zia May, personaggio notevolmente ringiovanito rispetto alla vecchina dei fumetti ma più adeguata ai nostri tempi. Come del resto questo più giovane Spiderman del cinema ben restituisce, seppure in una rilettura contemporanea, lo spirito del ragazzino sfigato dei fumetti di Lee e Ditko del 1962.


Ulteriore apporto fondamentale in questi ultimi anni è stato quello di due film dal successo inaspettatamente clamoroso: Guardians of the Galaxy e Guardians of the Galaxy vol. 2, basati su una serie spaziale a fumetti della Marvel. A prima vista sembrerebbero non aver molto a che fare con il filone degli Avengers, ma in realtà sviluppano gradualmente la figura inquietante di Thanos (Josh Brolin), già intravisto in The Avengers e destinato a essere il più spaventoso cattivo dell’intera saga.
Le due pellicole mettono insieme un improbabile manipolo di personaggi in grado di essere al tempo stesso idioti integrali ed eroi assoluti: il terrestre Peter Quill alias Star Lord (Chris Pratt); una delle due figlie adottive e ribelli di Thanos, Gamora (Zoe Saldana, bellissima anche in versione verde, dopo la pelle blu indossata in Avatar); il rude Drax (Dave Bautista), cui Thanos ha sterminato come d’abitudine la famiglia; e il procione mutato Rocket Raccoon (Bradley Cooper in motion capture) con il suo braccio destro Groot – albero parlante con la voce di Vin Diesel – che dopo essersi sacrificato nel primo film ricresce un po’ alla volta fino a diventare un capriccioso adolescente dedito ai videogiochi, come lo ritroviamo in Infinity War.


È anche l’ingresso ufficiale dello humour nell’MCU: se prima poteva esserci qualche aspetto ironico, qui gli elementi drammatici si mescolano ad aspetti decisamente, sfrenatamente comici. Nella sub-serie, di cui è già stato promesso un Vol. 3, appaiono anche Michael Rooker nel ruolo del pirata spaziale Yondu, Kurt Russel nella parte di Ego, ma anche Sylvester Stallone e Michelle Yeoh. Della squadra entrano a far parte inoltre l’altra figlia adottiva – suo malgrado – di Thanos, Nebula (Karen Gillan) e l’ingenua aliena empatica Mantis (Pom Klementieff), che appariranno a loro volta in Infinity War.
Il vantaggio è che tutte le razze spaziali hanno una padronanza perfetta della lingua inglese e l’adottano come idioma di base, il che facilita in maniera notevole la comunicazione, le minacce e gli insulti tra alieni e terrestri. A parte Groot, che com’è noto è in grado di dire solo ʻIo sono Groot’. La lingua inglese universale è una convenzione consolidata nei fumetti ed ereditata dai film. È noto del resto che gli asgardiani hanno un marcato accento britannico-shakespearaiano, anche se possono perderlo un po’ alla volta a forza di bazzicare gli States.


E, parlando di abitanti di Asgard, in Ragnarok – che ufficialmente era il terzo film di Thor (Chris Hemsworth) ma di fatto era ormai immerso nella continuity generale – abbiamo ritrovato Loki (Tom Hiddleston) sempre più doppiogiochista, che accompagna il fratello alla ricerca del padre Odino (Anthony Hopkins); ritrovato Hulk, sparito alla fine di Age of Ultron, che dopo un clamoroso scontro con Thor si ritrasforma nel proprio alter ego umano Bruce Banner (Mark Ruffalo); conosciuto la Valchiria (Tessa Thompson). Tutti costoro, sopravvissuti alle insidie del pianeta Sakaar, pattumiera cosmica gestita dal debosciato Grandmaster (Jeff Goldblum) e incentrata sulle sfide tra gladiatori, si uniscono a Heimdall (Idris Elba), per fare i conti con la dea della morte Hela (Cate Blanchett) e il suo braccio destro, l’Esecutore (Karl Urban).
Se il film ha un sottofondo umoristico molto vicino a quello di Guardians of the Galaxy, la battaglia finale porta alla fine di Asgard, il Ragnarok della mitologia nordica. E all’evacuazione in massa dei suoi abitanti superstiti su un’astronave che, si intuisce nella sequenza dei titoli di coda, si trova sulla rotta di qualcun altro...


Dopo il primo Avengers l’MCU è tracimato anche in tv, con diverse serie spin-off collegate alle trame dei film, anche se ne subiscono le conseguenze senza influenzarle... e i relativi personaggi non appaiono ancora (o non appaiono più) sul grande schermo.
Unica vera occasione mancata in questo grande progetto Marvel: Black Panther, manifestamente il film realizzato in modo più frettoloso e approssimativo (nella sceneggiatura, non negli effetti speciali), sprecando il materiale epico a disposizione. Un primo, vistoso, errore di montaggio: nella sequenza pre-titoli – anziché l’efficace scena che si vede più avanti, in cui l’eroe eponimo affronta una banda di terroristi stile Boko Haram – viene tolta completamente ogni carica emozionale, collocando in posizione introduttiva un per nulla epico antefatto, che avrebbe potuto essere inserito poi come flashback. Così come viene liquidato in modo troppo sbrigativo il cattivo Clau (Andy Serkis, finalmente di persona, non come personaggio in CGI), già ben prefigurato in Age of Ultron, lasciando spazio invece a Killmonger (Michael B. Jordan), con una pettinatura un po’ troppo alla moda per essere davvero convincente.
Il film si risolve dunque in un’introduzione all’entourage del sovrano del Wakanda, che si vedrà in gioco in Infinity War, con una bella scena di inseguimento nella parte più spionistica della vicenda e un’interessante battaglia finale, ma niente di paragonabile a qualsiasi altro film del ciclo. Avremo modo di rifarci proprio con Infinity War. Ma di questo  parliamo nel prossimo articolo.



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