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venerdì 27 gennaio 2023

Babylon (2022)


Recensione di Andrea Carlo Cappi

"Se pensate che perlopiù i film siano brutti..." scriveva il grande romanziere noir Raymond Chandler nel 1948, dopo la sua scomoda esperienza come sceneggiatore a Hollywood, "vi basterà parlare con qualcuno dell'ambiente e scoprire come vengono fatti per stupirvi che ce ne sia anche qualcuno bello." In un certo senso, Babylon di Damien Chazelle estremizza questo concetto: ci presenta Hollywood nei suoi lati più fragili, problematici, decadenti od oscuri, ma al tempo stesso ne attesta la capacità di creare, nonostante tutto, universi che fanno sognare milioni di persone.
Babylon si svolge tra il 1926 e il 1932 (con una coda "vent'anni dopo"). Hollywood è già consolidata come centro dell'industria del cinema, un mondo assurdo in cui le apparenze vanno sempre mantenute, anche a costo di far sparire qualche cadavere. Ma due grandi cambiamenti sono in arrivo. Il primo è, nel 1927, il passaggio dal cinema muto al sonoro con tutte le sue conseguenze già inscenata nel 1952 in chiave di commedia musicale dal celebre Cantando sotto la pioggia (che nella finzione sarebbe stato ispirato proprio da alcuni episodi narrati in Babylon).
Il secondo cambiamento, sottinteso, è l'arrivo nel 1930 del Codice Hays, che proietta la sua ombra moralizzatrice non solo su quanto avviene sullo schermo, ma anche sulla vita privata dei divi... o perlomeno su ciò che di essa arriva sulla stampa, specie quando si tratta di relazioni omosessuali. E a queste regole se ne aggiungono altre di marca segregazionista: al cinema possono apparire musicisti neri che suonano insieme, purché siano tutti neri; le mixed bands non sono ammesse ed è un problema se un componente non sembra abbastanza nero (nella realtà accadde, per esempio, ad alcuni membri dell0orchestra di Duke Ellington).

Il protagonista Manuel "Manny" Torres, interpretato (in inglese con qualche battuta in spagnolo) da Diego Calva, è un immigrato che da assistente di produzione diviene dirigente di studio, un outsider che a tratti fa pensare al Nick Carraway de Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Dev'essere nato sotto la vergine con ascendente ariete, perché il suo destino è aggiustare situazioni che hanno ormai superato ampiamente la soglia del disastro ma, soprattutto, riuscire a trovare una soluzione per ogni problema.
Il cinismo che riesce ad acquisire non lo salva però dall'amore per la travolgente Nellie LeRoy ovvero Margot Robbie, come sempre perfetta in ruoli borderline, da Tonya Harding ad Harley Quinn; qui il suo personaggio, che ha molti tratti in comune con Marilyn Monroe, incarna ciò che Woody Allen in Mariti e mogli definì "donna kamikaze".
Il terzo comprimario è il divo plurisposato e semialcolizzato Jack Conrad (un impeccabile Brad Pitt). Tutti e tre vivono il sogno di Hollywood non solo come autoaffermazione, ma anche per far parte di qualcosa di più grande e duraturo.

Alcuni personaggi sono presi dalla Storia del Cinema, come il leggendario produttore Irving Thalberg (Max Minghella), che ispirò a Francis Scott Fitzgerald il romanzo Gli ultimi fuochi, da cui il film di Elia Kazan con Robert De Niro; a Thalberg, che qui non fa una splendida figura, è intitolato uno dei premi speciali della Notte degli Oscar. Altro personaggio reale è il gangster James McKay (un Tobey Maguire davvero inquietante) titolare del Cal-Neva, famigerato hotel-casinò sul confine tra California e Nevada che decenni dopo avrebbe portato alla dannazione anche Marilyn.
Il folle regista Otto Von Strassberger (Spike Jonze) è l'intuibile parodia di Erich Von Stroheim. La giornalista Elinor St. John (Jean Smart) richiama le celebri columnists Hedda Hopper, Elsa Maxwell o Louella Parsons ed è l'unica che abbia trovato il modo di restare sempre a galla; a lei viene affidato un monologo illuminante sul senso del cinema per chi lo fa. Ci sono poi il padre parassitario di Nellie (Eric Roberts), l'attrezzista-spacciatore The Count (Rory Scovel); la cabarettista Lady Fay Zhu (Li Jun Li) che per campare scrive le didascalie per il cinema muto... finché dura; e il jazzista Sidney Palmer (Jovan Adepo), uno dei pochi a cercare una via d'uscita dal caos, mentre altri continueranno a flirtare con l'autodistruzione.
Babylon passa dalla commedia all'umorismo nero al dramma, da momenti eleganti ad altri grotteschi o persino disgustosi; strizza l'occhio ai cinefili con riferimenti e citazioni, a partire dal titolo che richiama il libro Hollywood Babylon di Kenneth J. Anger sui veri o presunti scandali della Mecca del Cinema. Ma oltre a suggestioni da vecchi fatti di cronaca, vediamo replicare una gag di James Bond e l'incipit di Viale del tramonto, la danse macabre de Il settimo sigillo e l'elefante di Hollywood Party, fino ad autocitazioni dello stesso regista e persino allusioni ai personaggi di Brad Pitt e Margot Robbie nei film di Tarantino. Film su Hollywood che si nutre di film su Hollywood, in tre ore Babylon raggiunge proprio quello che certi critici prevenuti cercano di negare: la dimostrazione che, malgrado tutto quello che c'è dietro, il sogno del cinema perdura.

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