martedì 15 settembre 2020

A proposito di Max



Ricordo a più voci per Massimo Caviglione

Ci sono persone che nella vita hanno fatto poco o nulla, ma a lungo e rumorosamente, tant'è che è difficile scordarsi di loro. Viceversa, ci sono persone che hanno fatto moltissimo, ma con eleganza e silenzio. Giustamente (?) la gente non si è mai accorta di loro, troppo impegnata a seguire gli inutili e chiassosi. Giustamente (?) certuni non si ricordano di loro, a meno che non ci sia qualche pretesto per usarli a proprio vantaggio, mettendosi in mostra come "miglior amico" del defunto del momento. Per questo oggi, nel giorno del suo primo compleanno negato, Borderfiction Zone ospita i ricordi di coloro che hanno conosciuto Massimo Caviglione. (Noi ci rivediamo in fondo, per tirare le somme. A.C.C.).


Max era un uomo raro. Di pochissime parole, non faceva nulla per apparire simpatico al mondo. Eppure lo era, privilegio degli autentici amabili che non cercano il consenso come strategia sociale.
Sarà che ho vissuto a lungo in Liguria, per tutto il tempo dei miei studi universitari, e di liguri veraci tra Balbi e De Ferrari ne ho conosciuti a bizzeffe, e francamente di primo acchito si mostravano tutti burberi, un po' scostanti, avari di sorrisi. In verità non era mai così: quella sorta di maschera bisognava gestirla e scalfirla col tempo e, dopo l'inevitabile e necessario periodo di rodaggio (che pareva quasi un corteggiamento), arrivavano amicizie indimenticabili, autentiche. Che poi non siano durate nel tempo, ci metto la mia parte di responsabilità – purtroppo la distanza geografica ha un suo notevole peso specifico.
Sono convinto che Max facesse parte di questa categoria. Purtroppo la crudeltà fulminea del tempo incombente e gli eventi della vita hanno avuto un pessimo sopravvento. Sono riuscito soltanto a “intravedere” un uomo divertente, colto e un grande professionista. Ci siamo, per così dire, sfiorati. Di sicuro poteva andare meglio. Ma io credo nell'eterno ritorno degli spiriti e da qualche parte, in un'altra epoca, ci “ribeccheremo” (passatemela...), inanellando interminabili discussioni sul Male, sul capitalismo e sulle donne creative. 
Max era Massimo Caviglione. 
Danilo Arona 



Di Max ricordo innanzitutto la capacità di ascoltare, di mettersi in sintonia. I silenzi riempiti dalla sua voce, e lui, attento che valuta, ti consiglia, ti solleva. 
Max, un fratello maggiore, comprensivo, dolce e ironico. Poi penso alla casa con il bovindo ombreggiato di piante, e al giardino profumato dov’era bello chiacchierare con lui e Claudia, in un angolo il gatto Abel. I libri dappertutto, a creare un nido accogliente e rassicurante. Max si ritagliava da quel giardino segreto come un intellettuale fervido e appassionato. Mi ricordo il suo gusto della ricerca che lo portava a scoprire misteriosi testi gotici e non solo. Ti faceva appassionare con entusiasmo e competenza. Era un amante della parola, un traduttore raffinato che non si accontentava ma sapeva rendere un testo qualcosa di unico.

Cristiana Astori



Ho avuto troppo poco tempo per conoscerlo, Max, e anche questo significa la sua morte per me: la perdita di una persona che avrei voluto continuasse a essere qui, presente in questo presente, a farsi conoscere. Da me, e da altre persone. Da più persone possibili. Perché avrei voluto che diffondesse il più possibile quello che, con il suo semplice esistere, ha donato a me in pochissimo tempo. Lo ricordo e ricorderò passeggiare lungo un viale alberato. Forse aveva un braccio dietro la schiena, o forse è stato il suo incedere tranquillo, pacato eppure pensieroso, leggero e grave al contempo, a farmelo dipingere così.
Parlavamo di non so bene che cosa. Di libri, forse, o della lingua francese da cui lui traduceva, o di ricordi vecchi di decenni riportati al presente con una freschezza lucida, distaccata ma piena di compassione - quell´affetto verso ciò che si è stati che è prerogativa di chi ha la pazienza, il coraggio, l´umiltà di mettersi a tavolino davanti a se stesso per comprendersi senza giudizio. 
Max parlava, mi parlava, della sua conoscenza con Claudia, del suo percorso e di quello di lei, di idee e progetti e forse speranze e ideologie, visioni che tutt´oggi sarebbero viste come radicali, folli, utopie che vanno bene giusto nei libri, eppure erano state lì - con lui, con Claudia, decenni prima, e io cercavo di capire grazie a lui come possa accadere questa strana cosa, dove finiscano la eclatanti rivoluzioni di ieri, dove vadano a nascondersi idee che, ai tempi, promettevano di non poter essere dimenticate.
E lui me ne parlava, passeggiando quieto come un reduce di una guerra ideologica conclusa prima di poter essere vinta o persa - o così la vedevo io allora, non concependo una terza via, non avendo ancora intuito che alcune strade non smettono mai di essere percorse, di decennio in decennio e di generazione in generazione, e anche per questo la sua morte ha scavato un buco dentro di me: per quello che Max, con il suo modo di essere, rappresentava. 
Leggo e rileggo l´ultima lunga e goffa frase e mi domando come epurarla da ogni tono eclatante preservandone l´intensità. 
Quel che di Max ho conosciuto è il contrario dell´eclatanza: non urla né slogan, non il tono carico di promesse delle grandi affabulazioni storiche, non l´impianto spettacolare dei sogni narcisisti. Neanche la non meno solipsistica autocommiserazione di chi è invecchiato vedendo il proprio credo venire maliziosamente relegato tra i trafiletti meno rilevanti. 
(Non so se fosse ottimista o pessimista, Max, ma vorrei dirglielo, oggi, che le cose per molti versi stanno migliorando. Che cammino in una società che penso potrebbe piacergli, e di cui vorrei mostrargli i germi - Guardali, Max, sono lì, non sono più soltanto nei discorsi e nei libri.) 
Quel che di Max ho conosciuto era l´esatto opposto: rivelare i grandi eventi con i piccoli gesti - e me lo immagino, ora, come un amanuense che, con movimenti sciolti e precisi, compila preziosi scrigni di testimonianze. 
Lo ricordo e ricorderò mentre, passeggiando lungo quel viale alberato tra un accenno di discorso e l´altro, ha fatto un passo più breve e si è fermato. Non si parlava più, a quel punto, di libri o lingua francese o lotte o visioni o quel che rimane, ma di lui. Lui solo, lui nudo, spogliato da ogni interpretazione e significato e in ciò disarmato - non so se ci sia qualcosa che trovo più coraggioso, quando si tratta di rappresentarsi - solo per condividere con me un frammento microscopico e pesantissimo di sé, evocandolo con un gesto che, in qualsiasi altro frangente, non avrebbe lasciato in me nessuna impressione - ma Max era Max, e quel suo disarmarsi ha disarmato anche me, facendomi finire sul palco in cui stava rimettendo in scena quel frammento del proprio vissuto, imprimendomelo dentro. 
E così, ogni volta che mi capita d´inciamparvi - in quell'apparentemente innocuo, per niente eclatante, gesto - penso a Max. Al coraggio necessario non tanto a esporsi così a una semisconosciuta con cui stai passeggiando in paese, ma a realizzarsi con tale dolorosa precisione - a quanta brutale lucidità serva per mostrarsi così a se stessi. 
Non avrei scritto queste parole se Claudia non mi avesse chiesto di commemorare Max. Non sono capace di fare delle condoglianze senza che un acuto senso di vanità, horror vacui, distorca le mie parole, tantomeno di trasformare una morte nell'occasione di un discorso celebrativo, d´ispirazione, motivazionale - ma è quello che in questo caso vorrei. 
Vorrei che Max continuasse a riverberare - quella sua capacità di darsi, dicendosi, così intensamente, e per quel che mi ha detto e dato. 

Serena Bertogliatti 




Ricordo Massimo Caviglione come una persona autenticamente libera, prima di tutto. Aveva un’indipendenza di giudizio, uno spirito critico, una capacità di attingere a un patrimonio cospicuo di letture, esperienze, approfondimenti nei vari campi della cultura che ne facevano un interlocutore sempre stimolante e originale. Un uomo così chiaramente disdegnava le maschere, le ipocrisie, i compromessi del vivere sociale, a costo anche di muovere contro i propri interessi. Integro, dunque, e tenace nella difesa dei propri principi. 
Non si può parlare di Massimo senza ricordare il suo lungo sodalizio di vita e artistico con Claudia Salvatori, scrittrice eclettica e fuori dagli schemi, che nel corso della sua carriera ha contaminato e attraversato i generi, in alcuni casi arrivando a riformularne i paradigmi. Il mio ricordo più vivido è legato a lunghe chiacchierate con loro, durante le quali avevo l’impressione di entrare in una sorta di cenacolo, di laboratorio culturale in servizio permanente effettivo. Le parole e i momenti vissuti con loro mi hanno fatto crescere come persona, come lettore, come autore. 
Vorrei, però, che non venissero trascurate le traduzioni dalla lingua francese curate da Massimo, quelle che me lo hanno fatto enormemente apprezzare come intellettuale; in particolare, ricordo come particolarmente curate e raffinate quelle legate ai romanzi di Eliette Abécassis, penso ad esempio a Qumran o a L’oro e la cenere, di cui conservo gelosamente una copia autografata proprio da lui. Lo considero il ricordo prezioso di un’amicizia che ha conosciuto alti e bassi, come spesso accade alle vicende umane, ma che ha lasciato il segno di un incontro importante, ricco, capace di imprimere un segno importante.

Daniele Cambiaso 



Sono diventata amica di Massimo e Claudia durante la decade dei miei venti anni, che è coincisa con l`inizio del Millennio. 
Come molti giovani della mia generazione, non sapevo da che parte iniziare a scegliere, a farmi strada. A me piacevano le Lettere, le Lingue, la psicologia, l`introspezione, l`arte. Mia mamma, che non sapeva come consigliarmi, mi disse che Claudia e Massimo magari avrebbero potuto. Un giorno li vidi camminare per il paese e decisi di fermarli, chiacchierammo, mi diedero il loro numero di telefono fisso e poi venni invitata a un dopo-cena nella loro casa isolese con vista fiume Scrivia. 
Volevo sapere come si fa a diventare uno scrittore: se ci fosse una ricetta da seguire. 
Ma, a parte l`inclinazione, è una questione di determinazione nel continuare a seguire la propria vocazione. E allora ricordo molti discorsi fatti su questo punto. Mi spiego meglio: quando in età post-adolescente si insinua in noi il tarlo di volere fare ciò che ci piace, ma che non è in campo medico, né edile, né commerciale, ecco innescare un circolo mortale nel parentado e nelle conoscenze che iniziano a tempestarci di domande e cercano di farci cambiare idea. Allora ineffabilmente ci attacchiamo al gruppo giovanile filo-artistico di turno, che nel mio caso di allora era quello genovese. Claudia e Massimo mi raccontarono dei loro ricordi giovanili e dei tempi universitari. 
Per me Massimo e` stato un grande amico, paziente, buon ascoltatore, colto e fidato.  Credo abbia notato come io a quei tempi fossi in difficoltà nella ricerca di un equilibrio di vita e forse alle volte incerta sul da farsi.  E mi ha sempre spinto a continuare la ricerca di un mio mondo, una mia dimensione. 
Per cui ricordo che letteralmente mi diceva di “non mollare mai !” Poi a volte mi diceva che io gli nascondevo qualcosa; intendeva che potevo anche incazzarmi con lui, come dire che ero troppo educata. Pero` dico io: incazzarmi di cosa? Di sicuro non con Massimo, ma con la gente magari, boh? 
Andammo a Milano con Claudia e Massimo e anche a Genova a delle presentazioni letterarie. Diciamo che sono stata un pochino come una “nipote” virtuale. 
Io ora abito da dieci anni all`estero e in tutto questo termpo ho rivisto Claudia e Massimo una sola volta, cinque o sei anni fa, nella loro nuova casa ad Arquata. In quell`occasione Massimo si lamento di come la crescita esponenziale di internet con tutte le sue app e derivati abbia svalorizzato le traduzioni fatte dai professionisti. Credo che Massimo avrebbe voluto e meritato di piu` dalla sua professione. 
Durante il lockdown Claudia mi ha contattato per rendermi noto della scomparsa di Massimo avvenuta qualche mese prima: sono rimasta di stucco alla notizia. 
Mi rattrista ampiamente la perdita di un caro amico, che di sicuro sara` sempre ricordato. 
Mia figlia e` nata il 16 Settembre e quando avevo comunicato la notizia a Claudia e Massimo, con molto entusiasmo Massimo disse che lo stesso giorno era nato lui. 
Mi dispiace molto sapere che non ci rincontreremo più e che non potrò farti conoscere la mia bambina. Riposa in pace. 

Emanuela Casella



Massimo Caviglione. Una voce artistica e letteraria

Il bello delle serigrafie è che i colori sono assolutamente veri e che tutto in esse sembra permanere. 
La sentinella dell’arte: quale consolazione poter pensare spesse volte a quell’opera che lui amava e che anche a distanza era capace di farti vedere e contemplare. Opera che rappresenta l’uccello-garante dell’arte vera. Così come erano pure e incommensurabilmente uniche la sua umanità e la sua sensibilità, garanti del vero artistico e letterario, ma non solo.
Erano generosità intellettuale e dialogica a caratterizzarlo anche mentre contemplava l’opera di Concetto Pozzati; contemplazione che secondo lui serviva anche da difesa in caso di eccessivo risucchio concettuale; (mentre manteneva sempre dubbi sull’eventuale non riproducibilità delle opere, soprattutto nell’epoca attuale, ma viveva la cromia sempre come assolutamente vera).
Per lui il titolo del quadro concettuale, che mostra qualcosa per dire qualcos’altro, poteva essere importante ma era già successivo alla contemplazione, chiedendosi se, non a conoscenza della concezione, il primo piano enorme di un uccello gli avrebbe comunicato parimenti il concetto. Il fenomeno contemplativo nel suo primo livello di trance per lui non c’entrava infatti con quello che il quadro voleva e vuole rappresentare, ma era il fascino figurativo in quanto tale ad esercitarsi. Nel momento in cui il suo occhio si fissava sul dettaglio, ogni dettaglio era un reticolo di altro. Mentre come ben sapeva, l’opera sfugge per definizione a tutti i significati.
Quest’oggi, rivolgendo ancora una volta l’attenzione alla Sentinella dell’Arte, non possono non affiorare alla memoria le sue parole sulla medesima opera, consegnate con generosa fraternità un grigio pomeriggio di pioggia, trascritte allora su un non grande foglio di carta riciclata.
“Voglio descrivertela brevemente affinché anche tu possa averne visione come in presenza. È un primo piano enorme, sarà novanta per novanta, un quadrato, quasi tutto occupato da questo primissimo piano d’uccello. Lo sfondo è blu poroso, quasi a indicare una sorta di cielo notturno, in alto a destra la luna quasi dorata. Poi tutto risulta occupato dall’uccello bianco con la cresta nera, e sotto il collo c’è una striscia dorata che fa da pendant alla luna. A prima vista dà l’impressione di una specie di collage. Evoca una sorta di sovrapposizione tra i quattro piani: cielo, luna, uccello, striscia. In realtà è tutto stampato perché è una serigrafia. All’interno di questo primo piano, ci sono però alcune parti dipinte a mano, è questa la cosa rilevante. È simbolo della verifica, notturna, legata all’elemento oscuro primordiale, fondo; fa da richiamo questo uccello al vero valore artistico, schernendo o ridicolizzando tutto ciò che artistico non è? È davvero la simbolizzazione del vero artistico? Sentinella appunto. L’elemento notturno rappresenta sia l’elemento ctonio, sia il fatto che si tratta di un animale mitologico: non è un uccello di specie riconoscibile. Cresta e becco neri, le altre parti della testa bianche; e dal collo dipinte a mano: righe del pennello sovrapposte a mano. Nel momento in cui la contempli è come se ti addormentassi e ti risvegliassi in un mondo perfettamente sconosciuto, ti addormenti e ti svegli in un’altra dimensione, come in certe favole ti trovi in un altro mondo quasi di colpo.” 

Erika Dagnino


Ricordo di Max

Poche parole, scarne, dure, in un tiepido pomeriggio di gennaio. 
Freddo e sgomento, le gambe che cedono, il vuoto che si apre gelido dentro la pancia, mentre il volto avvampa e la gola si fa arida. 
A quasi otto mesi di distanza da quel giorno, le sensazioni riescono a tornare prepotentemente, come fossero ancora attuali. 
Il dolore lo è e continuerà a esserlo sempre. 
Avverto un senso di colpa profondo. 
L’ultimo appuntamento mancato a dicembre, la tua influenza – apparentemente un normale male di stagione – poi il ricovero per accertamenti, il pensiero che tutto dovesse risolversi in pochi giorni, senza problemi, il pensiero di venirti a trovare appena rientrato a casa, per non darti ulteriore incomodo in quel momento e in quella circostanza fastidiosa. 
Poi quella notizia. 
Inattesa e devastante. 
E il senso di colpa. 
Avrei sicuramente potuto fare di più. 
È sempre così. È la storia che si ripete. 
Rimane di te il ricordo di un amico delicato, attento, che non dimentica i dettagli, che dà importanza ai dettagli, che racconta e insegna con la leggerezza di un professore antico, che nasconde un sorriso sincero dietro quella barba ispida e quel volto apparentemente burbero. 
Ora posso dirtelo: mi hai sempre indotto un po’ di soggezione. O forse sarebbe meglio dire timore reverenziale. Sì, lo ammetto, la tua cultura, la tua memoria e il tuo piglio mi hanno sempre fatto sentire al cospetto di una commissione d’esame, alla fine sempre benevola e conciliante, ma che al principio di ogni nostro incontro pareva una parete impossibile da scalare. 
Complicato e pragmatico al tempo stesso, come un ossimoro, custodivi in te qualcosa di insondabile, qualcosa di arcano e arcaico a cui forse solo una persona poteva avere accesso. L’unica persona che ha condiviso con te l’essenza stessa della vita e che ti ha accompagnato lungo tutto il cammino, dai giorni spensierati dell’adolescenza fino all’ultimo sofferto passaggio. Sono certo che dobbiate essere entrambi grati del vostro incontro e di tutto ciò che ne è seguito. 
Mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di lavorare con te, confrontarci sui temi a noi cari, mettere alla prova la mia narrativa con le tue competenze. Purtroppo il tempo non è mai stato dalla nostra parte. E poi non c’è stato più. 
Mi manca, colpevolmente mi manca, il saluto che non ci siamo dati. 
Sono certo che avresti trovato le parole per rendere tutto più lieve e sdrammatizzare il momento. 
Resta il dolore della terra, quella nuda terra che ti ha accolto e quella fredda che mani aliene hanno posto sul tuo ultimo giaciglio. 
Restano i discorsi interrotti, quelli che, presi e ripresi, avremmo potuto continuare a fare… 
Manchi e mancherai. 
Spero di essere stato all’altezza della tua amicizia. 
Un grande e affettuoso abbraccio, Max, ovunque tu sia… 

Gianluca D'Aquino



Il mio ricordo più antico di Massimo risale a quindici anni fa, quando l'ho conosciuto a Genova, la nostra città natale. A quel tempo collaboravo con un'associazione culturale e dovevo curare la presentazione di un libro di cui proprio Massimo era il relatore. Quella conversazione ha dato tanto ad entrambi perché fin da subito è nata un'intesa, un'affinità di anime che abbiamo percepito subito; è stato uno di quei momenti in cui il tempo si ferma e ci si trova catapultati in una dimensione speciale fatta di letteratura, scrittura e amicizia, le nostre opinioni si fondevano magicamente e alla fine abbiamo deciso come fanno i bambini, perché Massimo aveva una parte infantile da fanciullino pascoliano che non si vergognava di mostrare alle persone di cui si fidava; abbiamo deciso di diventare migliori amici. Purtroppo ci vedevamo poco, abitando lontani, ma tutte le volte che lui e Claudia venivano a Genova io ero alla stazione sull'attenti ad aspettarli. 
Le telefonate con Massimo erano infinite anche se rare e negli ultimi anni sempre più rare, perché io ho avuto la bambina e il tempo era sempre meno, purtroppo. 
Quelle telefonate svisceravano tutti gli argomenti che ci stavano a cuore al momento e poi c'era sempre quel terreno comune fatto di belle lettere che ci rendeva felici, a volte ci divertivamo a non andare d'accordo su alcuni autori classici ma sempre nel rispetto reciproco perché Massimo nell'amicizia metteva sempre al centro la persona con una delicatezza commuovente. 
Massimo correggeva i miei racconti e mi pungolava a scrivere, non sempre gli piaceva quello che leggeva ed io apprezzavo la sua sincerità. Aveva una visione particolare molto angolata nel raccontarmi alcuni suoi aneddoti di vita come uno scrittore surrealista, ma lui era un traduttore puro e mi parlava di questa sua affascinante attività nei particolari. 
Ricordo anche i pranzi tutti insieme e l'emozione quando presentavamo un nuovo libro della nostra adorata Claudia, che tanto assomiglia a Massimo in alcune espressioni e movenze, perché le anime gemelle spesso si assomigliano dopo una vita passata insieme. 
Addio Amico, ci hai lasciati in un silenzio invernale che ci ha lasciati attoniti, inaspettatamente presto, ti ricordo col sorriso dei tuoi occhi azzurri. 

Francesca Galleano 



La nostra amicizia è cresciuta nel tempo ... iniziata in un incontro a piazza della Annunziata quando avevo circa diciotto anni e si è trasformata in un amore fraterno. Max era mio fratello davvero e la sua sensibilità ha colmato buchi affettivi di tante persone. La dolcezza e la comprensione misurata in ore di attenzioni e parole e carezze verbali non hanno avuto eguali nella mia vita ed è per questo che Max ha lasciato un vuoto, un profondo e doloroso buco che solo i ricordi, e solo in parte, riescono a colmare.
L'attenzione che metteva a disposizione per chi ne aveva bisogno andava oltre il semplice ascolto. Siamo tutti capaci di ascoltare, ma è nel passaggio successivo, nella capacità empatica di capire l'altro che si trova la differenza tra le due modalità. Max era questo: non l'orecchio che ti ascoltava, ma il cuore che sentiva e capiva e sapeva riconoscere dal tono di voce il tuo stato d'animo. 
La presenza costante di un affetto grande e la conoscenza profonda del sentire femminile erano la sua forza e mostravano un livello di apertura mentale e di rispetto che rasentano l'unicità di un uomo che conosceva il sapore del sale e cercava in ogni modo di adattare il suo essere ad un mondo che non era e non è abituato a tale forma di profondità e di emotività verso gli altri. 
La sua sofferenza nel non essere talvolta capito nell'espressione della sua amicizia ed essere altrettanto misconosciuto nell'ambito lavorativo lo mortificano ma non lo hanno mai reso diffidente.... nella sua fragilità era nascosta una forza incredibile che lo ha migliorato anno dopo anno e di tutto questo amore ne era consapevole, grato alla vita di aver avuto al suo fianco Claudia, moglie, ma soprattutto compagna in un percorso angusto, ma agevole se teneva stretta la sua mano.
Ti vorrò sempre bene Max e sono sicura che troverai il modo di farci sentire ancora il tuo bene e la tua vicinanza, come sono certa che il mondo che ti ha accolto dopo il tuo ultimo respiro sia migliore di questo e ti riconosca il merito e il privilegio del tuo valore. 

Maura Grosso 


Si dice che le persone dall’animo sensibile abbiano voce bassa, sguardi tenui, forse tratti gentili. Sono idiozie, credo, perché ho conosciuto nerboruti maschiacci straordinariamente delicati, o donne dall’aspetto di vecchie iene con cuori di zucchero. 
Max era una persona dall’animo sensibile, certamente una persona gentile. Io l’ho visto solo una volta di persona, ma non certo dal suo aspetto ho potuto dedurre che fosse deluso, che fosse una persona piena di voglia di dare amore incappata nei meandri pericolosi della vita. Era un’anima candida e ferita. 
Mi è stato vicino, con amicizia fraterna, in un momento difficile per me. Mi scriveva, con Claudia, degli sms (che non cancellerò mai) così intrisi di affetto e bontà da lasciarmi sgomenta. 
Ovunque sia, io lo ringrazio di aver sfiorato la mia vita con il suo affetto e la sua vicinanza. In quei giorni bui i suoi messaggi erano per me un grande conforto, la forza con cui mi esortava a non abbattermi era commovente e nello stesso tempo contagiosa. 
Grazie Max. Amico. 

Michela Martignoni 


Ciao Massimo, Buon Compleanno! Che poi oggi è anche il mio di compleanno e quindi auguri ad entrambi. 
Sei stato proprio dispettoso ad andartene così. 
Quanti ricordi! Eravamo compagni di classe e tu eri un buon compagno. 
Comunque la nostra lunga amicizia è iniziata il quinto anno di scuola superiore, quando con noi è arrivata Claudia.
Abbiamo iniziato ad uscire insieme. Insieme abbiamo pranzato, passeggiato nella pineta di Pegli,insieme siamo andati in discoteca. 
Poi il lavoro, la vita di tutti i giorni, l'amicizia e...il tuo amore per Claudia eterno, inalterato fino alla fine.
Ecco cosa mi manca: le nostre conversazioni di persone ormai anziane.
Parlavamo di tutto senza falsi pudori o retorica: religione, politica, letteratura, i tempi della scuola, i miei nipoti e , come ho detto, prima del tuo bene grande, grandissimo per la tua Claudia con la quale sei stato ancora più dispettoso perché l'hai lasciata sola. 
Addio Massimo o meglio arrivederci. 

Erminia Pastorino 



Le stampe di Max 

L’ultima traduzione di Massimo Caviglione apparsa in stampa è quella, curatissima come sempre e giustamente divertita, offerta a un gioiellino nero/ironico dell’Ottocento, La città vampira di Paul Féval, nel volume da edicola Cerimonie nere (luglio 2017): il canto del cigno della collana Urania Horror finiva col prefigurare due congedi ben più seri e tristi, il primo di Giuseppe Lippi (dicembre 2018) – che lì regalava una delle sue ultime curatele gotiche – e il secondo appunto di Max, pochi mesi fa.
In realtà per me il primo incontro con le sue raffinate capacità di traduttore era stato su Qumran di Eliette Abécassis, un romanzo affascinante con connotazioni insieme di genere e letterarie, dove davvero la squisita eleganza nel confronto col francese aveva avuto modo di brillare. In questo ricordo parto volutamente dal fronte del lavoro di Max, delle sue tante traduzioni, perché mi pare un sacrosanto ancorché minimo tributo a un grande professionista: un uomo che del mondo editoriale ha potuto conoscere aspetti interessanti, coinvolgenti, diciamo pure appassionanti, come pure altri molto più amari. Un professionista e insieme un gentiluomo incapace di sgomitare come altri farebbero, incapace di fare il cortigiano, e che – diciamo – non ha avuto sempre fortuna con gli interlocutori. Et de hoc satis.
Solo in seguito avrei conosciuto – in realtà pochi incontri, ma affettuosi – anche l’uomo Max: un signore barbuto, garbato e coltissimo, incontrato assieme a Claudia, sua compagna di una vita, una volta ad Arquata Scrivia e tre a Torino. Quasi sempre per parecchie ore di chiacchiere vivaci: piacevolissimo conversatore, Max mostrava panorami di letture da cui emergevano gusto, intelligenza e genuino piacere intellettuale. Un curiosus – non soltanto di libri, ma di film e arti varie – di animo limpido, con una vena di malinconia profonda da sapiente antico. Nell’imbattermi in certi busti classici mi sarà caro pensare al suo profilo. 
Max era affascinato da stampe e acqueforti: ne aveva in casa, ne parlava con entusiasmo. Da uomo di cultura con esperienze editoriali, il tema della riproducibilità dell’arte poteva affascinarlo intellettualmente: ma era puro piacere quello che si avvertiva in lui davanti alle tavole. Profili di città, mappe, architetture fantastiche… Girando con mia moglie per il centro di Torino, davanti a qualche negozio o bancarella con stampe esposte, è immediato pensare a lui. Ecco, mi piace ricordare quest’uomo buono alla luce delle sue gioie. E tra le pieghe delle sue traduzioni, in certi guizzi, in alcune soluzioni del passaggio tra una lingua e l’altra che denotano non solo professionalità e soddisfazione artigianale ma un piacere più intimo, non sarà una forzatura anche per noi individuarne qualche traccia. 

Franco Pezzini


Dietro ogni grande donna c'è un grande uomo. Di solito si dice viceversa, ma per la par condicio dovrebbe essere vero anche il contrario. Specie se la coppia è composta da due persone inimitabili che sono una persona senza confronti. Ho conosciuto per prima il volto più pubblico di quest'entità, ancorché schivo e più dedito a questioni serie - per esempio scrivere e pubblicare splendidi romanzi e racconti - che all'apparenza, da qualche decennio molto di più importante della sostanza. Quando in un incontro pubblico le ho chiesto come facesse a scrivere tanto bene sia la soggettiva femminile, sia quella maschile, Claudia Salvatori rispose: Perché io sono un uomo.
Del resto ogni scrittrice/scrittore (quant'è scomodo essere politicamente corretti in una lingua in cui in realtà scrittore è anche neutro ma se lo usi ti dicono che è maschile e discriminatorio) ha il diritto di essere nel contempo di ogni sesso, razza, età, religione e universo, a seconda di quale voce decida di assumere, a patto che abbia la capacità di interpretarla. Ma nel caso di Claudia, l'interconnessione artistica con Massimo Caviglione le ha sempre consentito di essere anche uomo. Ergo, lui era anche moglie: tant'è che rilevava con la sua consueta ruvida ironia di essere chiamato il signor Salvatori. Noncurante della stupidità delle convenzioni.
Vedere questa coppia, in realtà un unico essere con due teste (bizzarro, per l'autrice che ha esordito con La donna senza testa), due corpi e una doppia possibilità di percezione, per me rappresentava la realtà di una perfetta macchina bio-intellettuale, impossibile da progettare ma realizzata dal destino. Metà scrittrice, metà traduttore, entrambi con la capacità di accedere al doppio di stimoli e al doppio di letture e interpretazioni. Ora, in apparenza, Max ci ha lasciati. Ma io non credo. Max vive non solo nel ricordo di chi, come avete visto, lo ha amato, apprezzato, stimato e ascoltato. Max vive in una coppia indissolubile, in ciò che insieme hanno dato alla cultura italiana finora e in quello che entrambi potranno continuare a dare in futuro. Superman non muore mai, il titolo di un romanzo di Claudia, vale anche per i superpoteri della cui esistenza il fumetto ancora non ha preso atto.

Andrea Carlo Cappi

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