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sabato 28 luglio 2018

La vespa e la formica






Recensione di Andrea Carlo Cappi

Potrebbe essere il titolo di una favola di Esopo in chiave entomologica, ma mi riferisco invece a Ant-Man and the Wasp, serie a fumetti anni Sessanta della Marvel Comics dedicata alle imprese dei due supereroi eponimi – le cui vere identità erano all’epoca Hank Pym e Janet van Dyne – quando non apparivano insieme ad altri supereroi in The Avengers. E mi riferisco soprattutto al film che nell’estate 2018 vede invece come protagonisti i personaggi che, fumettisticamente, ne hanno assunto i ruoli nella generazione successiva, Scott Lang e Hope van Dyne, figlia dei primi due.
Innanzitutto vi rassicuro: non ho intenzione di abbandonarmi qui ad alcuno spoiler sulla produzione più recente e attuale dei Marvel Studios, anche se ne troverete qualcuno riguardante i film degli anni passati. Ma penso di poter affermare ciò che tutti gli appassionati già sanno: dopo Infinity War, il cosiddetto MCU – l’universo cinematografico che riunisce buona parte, ma non tutti, dei personaggi dei fumetti Marvel visti nell’ultimo decennio su grande e piccolo schermo – è in sospeso fino alla tarda primavera del 2019, nell’attesa della seconda parte del film dedicato ai Vendicatori e alle Guerre dell’Infinito. Il che non impedisce a sceneggiatori e registi di fare cronologicamente qualche passo indietro nel tempo.



Nel caso di Ant-Man and the Wasp, si parla solo di un balzo a qualche settimana prima di Infinity War, spiegando in che cosa fossero impegnati i personaggi di questa sotto-serie e perché nessuno di loro abbia più a che fare con l’una o l’altra fazione in cui i Vendicatori si erano divisi nel corso di Captain America – Civil War. Va ricordato che, grazie al sistema tecnologicamente avanzato contenuto nella sua tuta, Ant-Man è in grado di cambiare dimensioni, raggiungendo quelle di una formica (come lascia intendere il nome) per tornare poi a quelle normali; un intenso addestramento impartitogli dal suo mentore Hank Pym e dalla figlia di questi, Hope, ha fatto di lui un combattente formidabile nell’una e nell’altra taglia. Ma in Civil War lo abbiamo visto applicare la stessa tecnologia in senso inverso, trasformandosi – come già a suo tempo si era visto nei fumetti – in Giant Man durante lo scontro tra supereroi in Germania, dal lato dei ribelli.
Catturato dopo quell’episodio, in base ad accordi tra i governi tedesco e americano, e nel rispetto del Protocollo di Sokovia sulla limitazione delle attività superumane, Scott Lang (Paul Rudd) ha patteggiato due anni di arresti domiciliari, nel corso dei quali non può allontanarsi di un millimetro dai confini domestici prestabiliti, tantomeno impegnarsi in attività da supereroe. Né gli è consentito avere contatti con Hank Pym (Michael Douglas), inventore del processo di miniaturizzazione molecolare oltre che già supereroe nei panni di Ant-Man negli anni Ottanta, prima da solo, poi insieme a Janet/Wasp; o con la figlia di questi, Hope (Evangeline Lilly), che abbiamo lasciato alla fine di Ant-man mentre era sul punto di collaudare una versione modernizzata della tuta di Wasp.
La scena di apertura del film ci riporta indietro di trent’anni, quando Hank e Janet (Michelle Pfeiffer, ringiovanita in questa sequenza grazie a sofisticati effetti speciali) si congedarono dalla figlia prima di partire per una missione che si sarebbe rivelata fatale e di cui abbiamo già visto una sequenza nel precedente Ant-Man: per disinnescare un missile nucleare prima che raggiungesse il bersaglio, Janet dovette miniaturizzarsi a oltranza, riuscendo nell’intento ma perdendosi poi in un universo quantico da cui non avrebbe mai fatto ritorno. Tuttavia, nel corso della sua prima avventura, Scott non ha avuto scelta che usare a sua volta lo stesso espediente, riducendosi a misure subatomiche ma riemergendo grazie alle nuove tecnologie sviluppate nel frattempo da Hank. E se Janet fosse ancora viva, laggiù, da qualche parte, e le scoperte scientifiche del marito potessero ora permetterle di tornare?



Va precisato che, mescolando elementi presenti da mezzo secolo nei fumetti Marvel (a volte raffigurati con memorabili scenari psichedelici) e teorie scientifiche contemporanee, il Regno Quantico è un universo vero e proprio, uno dei tanti scoperti da Stephen Strange nella sua prima lezione di arti mistiche nel film Doctor Strange, in cui le leggi convenzionali dello spazio-tempo perdono di validità. Ma, stando a quanto si apprende in questa nuova pellicola, certi esperimenti nel campo della fisica quantistica possono avere conseguenze imprevedibili. Del resto Scott ancora non lo sa, ma la sua esperienza sub-atomica ha lasciato in lui più tracce di quanto possa immaginare.
Così, mentre lui passava due anni senza uscire di casa, giocando con la figlia e facendo da consulente all’agenzia di sicurezza privata in cui lavorano Luis (Michael Peña) e i suoi ex-compagni di galera – opportunamente denominata X-Con, che suona come ex-con, ovvero ex-detenuti – Hank e Hope si sono dati da fare, nonostante siano tuttora ricercati dall’FBI in quanto complici indiretti e involontari delle attività di Ant-Man come supereroe ribelle. Hanno perfezionato la tecnica di miniaturizzazione-sminiaturizzazione, applicandola ad autoveicoli e persino a un intero edificio, e progettato un portale per viaggiare nell’universo quantico. Hope (che nel frattempo si è fatta crescere i capelli, abbandonando il rigido caschetto del primo film, meno pratico per indossare l’elmetto) ha ormai ereditato il ruolo di Wasp, cosa che le torna utile quando deve trattare con loschi figuri per procurarsi i componenti che occorrono per completare il progetto.
Per consentire a Hank di giungere all’obiettivo finale – la ricerca di Janet – Scott e Hope devono ora riunire le forze per fronteggiare il subdolo mercante tecnologico Sonny Burch (Walton Goggins); scontrarsi con un misterioso rivale denominato Ghost (Hannah John-Kamen) che si interessa alla stessa tecnologia; discutere con un astioso collega del dottor Pym, Bill Foster (Laurence Fishburne); e sfuggire all’agente FBI Jimmy Woo (Randall Park). Mentre il film si addentra sempre di più nella sua dimensione fantastica, non mancano il cameo del creatore della Marvel, Stan Lee, e, dato che siamo a San Francisco, una variante inedita del classico inseguimento tra auto sulle strade collinari.
Il film, che rappresenta il ventesimo episodio della saga cominciata nel 2008 con Iron Man, è una piacevole mescolanza di poliziesco, azione, commedia (con le consuete gag del gruppo di ex-galeotti) e teorie (fanta)scientifiche portate a un’efficace rappresentazione visiva. È consigliabile avere visto ameno il precedente Ant-Man per apprezzare molti degli aspetti che qui vengono ormai dati per acquisiti. I doverosi collegamenti con la continuity dell’intera saga sono riservati invece alle sequenze inserite nei titoli di coda, che ancora molti spettatori si perdono nella frenesia di correre all’uscita come se la sala andasse a fuoco; e sì che sono una consuetudine da almeno quindici anni, in questo genere di film!



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