"Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde" di Robert Louis Stevenson (1886) è un capolavoro della narrativa gotica, ma anche un'icona del dualismo dell'animo umano, oltre che - come sottolineò Stephen King in un suo saggio - una disamina dell'ambiguo potere della scienza che si ricollega al "Frankenstein" di Mary Shelley. E, fatto molto curioso, è anche il romanzo che fu scelto per inaugurare la rinascita de "Il Giallo Mondadori" dopo la Seconda guerra mondiale, pur essendo del tutto estraneo alle linee della collana, prima e dopo.
Correva voce che il manoscritto originale del lungo racconto fosse bruciato nel caminetto di casa Stevenson, per mano dell'autore o, secondo altre versioni, di sua moglie. Quindi sarebbe esistito un "doppio perduto" di una storia sulla perdizione del "doppio".
Tempo fa ci arrivò un curioso messaggio che riportammo - sospettosi - su questo blog. Ma ora riceviamo dalla casa editrice Edikit un brano di un testo di imminente pubblicazione in un volume a cura di Mario Gazzola, che potrebbe scuotere tutte le convinzioni in merito al dottor Jekyll. Nell'enigmatica nota con cui il curatore accompagna l'estratto si fa riferimento anche a un "Hyde e l'altro", opera di una contemporanea di Stevenson di nome Jane Mason, da cui proviene l'illustrazione di apertura.
Dov'è stato recuperato dunque l'estratto che segue, in cui incontriamo un Hyde spaventosamente lucido, pronto a esprimere appieno le proprie malefiche potenzialità? E sarà un caso se questo misterioso manoscritto stevensoniano torna alla luce in un'epoca in cui la natura (umana e non) ha risvegliato in Occidente le paure ataviche dell'uomo, dalla pestilenza alla guerra?
... Le mie escursioni notturne nei goffi ma energici panni del bieco Hyde divennero sempre più frequenti, man mano che guadagnavo maggiore sicurezza nella miscelazione dei componenti e nei dosaggi della pozione da assumere. E parimenti più ardite divennero le mie imprese e le gratificazioni che ne traevo, pur senza trovarmi mai veramente sazio: ogni piacere, ogni godimento, per quanto sfrenato, qualsiasi forma di possesso e abuso riuscissi (e riuscivo sempre) a stabilire sul prossimo che per sua sfortuna incappava sul mio cammino, non bastava mai a saziare la mia brama di spingermi oltre.
Era esattamente come in tutti quei libri gotici che avevo letto, il profondo studio di Baring-Gould o i racconti a tinte forti di altri scrittori francesi, come quel Dumas, che sembrava aver profetizzato il mio stesso destino, oppure Guy de Maupassant (sempre i dannati francesi!), in cui un uomo qualsiasi durante le fasi lunari di luna piena si trasforma in un lupo ferocissimo e insaziabile. Ma quello del licantropo è un mito comune a molte culture ben prima della letteratura gotica contemporanea, non è solo una creatura di fantasia per spaventare bambini e donzelle, e neppure un prodotto della malattia mentale, come sostengono diversi psicologi moderni. Esso non rappresenta che il ritorno a quel primitivo stato di ferocia naturale che esalta i sensi e gli istinti sopiti del carnivoro umano, dalle menadi greche ai vlukodlak slavi fino ai berserker scandinavi, i terribili compagni di Odino nella Caccia Selvaggia, un altro rituale di sangue ben rappresentato dal dipinto del pittore norvegese Arbo.
Il lupo sbrana la preda per istinto, è nella sua natura, e incarna la Paura per antonomasia della razza umana: quella dell’aggressione e della violenza. L’uomo che ritrova il lupo in sé si scopre più robusto, più forte, il naturale dominatore del creato. E, come dimostrano i riti orgiastici di tante culture tribali, più potente e vorace è anche il suo sesso. Proprio come in me ora. Edward Hyde non era dunque un mostro, bensì semplicemente l’uomo riportato alla sua originaria natura ferina. L’uomo che sedeva fiero al vertice della piramide naturale, che si nutriva e si serviva a proprio piacimento delle creature che lo circondavano nella valle dell’Eden, che dominava la femmina com’essa aveva bisogno fisiologico d’esser dominata.
Un lupo, ma con la profondità mentale che solo all’uomo garantisce l’inesauribilità del desiderio, in forza del quale la brama più divorante, il piacere più dolce, è sempre quello che sta ancora dinanzi ai nostri occhi come una chimera da conquistare. Come un frutto per Tantalo.
Questo era il vero potere del mio farmaco: la droga avrebbe scatenato il potere della mia mente di mutare il mio stesso corpo (o, chissà, forse solo la sua percezione da parte del mondo), aprendo la porta del mio studio privato allo scellerato Hyde, che non sarebbe mai stato riconosciuto quale alter ego luciferino dello stimato e mite dottor Jekyll. E così avrebbe potuto andare liberamente fino al fondo più oscuro di un’esistenza votata al Male assoluto, senza correre rischi di punizioni da parte della legge degli uomini e senza impedire che l’altra metà della mia anima, quella proba e virtuosa, proseguisse il proprio cammino nel Bene.
A volte pensavo che avrei dovuto condividere la mia scoperta con il resto dell’umanità: avrei potuto preparare la dose più grande possibile della mia pozione, alla diluizione più intensa, quindi introdurmi con la scusa di qualche ricerca medica per la salute pubblica e finalmente versarla nell’acquedotto municipale di Londra. Sarebbe stata l’apoteosi demoniaca di un genio del Male: non più un semplice malfattore dei vicoli notturni, ma un gigante della statura di un Satana miltoniano, che col suo gesto blasfemo avrebbe liberato dalle catene della “civiltà”, del “bene”, le menti di tutti gli uomini, persino quelle delle donne.
Finalmente Hyde avrebbe regnato su un immenso baccanale di lupi feroci e menadi infoiate, come all’inizio dei tempi nelle selve primitive, di nuovo e per sempre.
PS del 14 aprile 2023: la soluzione dell'enigma a questo link.