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venerdì 20 maggio 2022

Il giallo secondo Sciascia


Recensione di Andrea Carlo Cappi

L'editore Graphe.it ripropone in volume un saggio di Leonardo Sciascia sul romanzo poliziesco, accompagnato dal debito apparato bio-bibliografico e da una prefazione dell'esperta Eleonora Carta. Apparse sotto forma di due brevi articoli nel 1975 e poi riunite in un unico testo - il che spiega forse l'assenza di riferimenti a un nome significativo come Dürrenmatt e il fatto che Borges sia citato solo in una delle varie edizioni - le osservazioni dello scrittore sono ovviamente significative, per chi conosce le sue incursioni in una narrativa che del genere riprendeva e smontava alcuni meccanismi.
Si sa che Sciascia era un lettore di gialli e non solo di quelli "trasversali" di Gadda o Greene. La sua competenza in materia è ben visibile, soprattutto quando esamina la detective story imperniata sulla figura dell'investigatore pressoché onnisciente, con funzione di deus ex machina o quantomeno di portatore di una sorta di giustizia divina. Non a caso ne ritrova un modello nella Bibbia, nella figura del profeta Daniele e delle sue "indagini".
Osserva come l'investigatore "classico" sia più spesso un "tipo" che un personaggio: vale a dire una figura con caratteristiche immutabili, che in pratica non ha un passato, non invecchia, non ha quasi una vita privata al di fuori del romanzo e dell'indagine contingente, vista esclusivamente come un problema intellettuale. Acute le osservazioni su Edgar Allan Poe e le storie del suo cavalier Dupin, in cui appare la prima figura di "spalla del detective", ossia lo stesso (anonimo) narratore. Applicando il dubbio metodico, Sciascia arriva persino a chiedersi se il delitto di Mary Rogers - che ispirò il racconto Il delitto di Marie Roget, in cui si diede, attraverso la finzione, una soluzione molto vicina a quella successivamente scoperta per il caso originale - sia avvenuto realmente oppure non sia a sua volta una finzione nella finzione ideata da Poe in una nota alla ripubblicazione del suo racconto.

La teoria che Sciascia riprende e discute è che il pubblico non voglia fare troppa fatica mettendosi in competizione con il detective, ma semplicemente godersi la lettura come passatempo passivo, al pari della visione di un film. Per questa ragione uno stimolo intellettivo come quello dei romanzi di R. Austin Freeman avrebbe riscosso minor successo rispetto, per esempio, ai libri di Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes, in cui è il dottor Watson a svolgere il compito che dovrebbe spettare a chi legge, ossia porsi domande.
Di fronte a investigatori sempre uguali a loro stessi (inclusi Philo Vance di S.S. Van Dine, Ellery Queen di "Ellery Queen" e l'avvocato Perry Mason di Erle Stanley Gardner) o che rasentano la macchietta - in particolare Hercule Poirot di Agatha Christie - Sciascia conferisce lo status di vero "personaggio" dai risvolti umani - non "tipo" - solo al Jules Maigret di Simenon. Minore tolleranza è rivolta a Edgar Wallace - che, pur essendo stato l'autore di punta delle prime annate de Il Giallo Mondadori, usciva spesso dai rigori del filone classico - così come ai "gialli d'azione" americani, anche se vengono citati i capisaldi Dashiell Hammett e Raymond Chandler. Di Sanantonio, il personaggio di Frédéric Dard, Sciascia apprezza soprattutto il linguaggio irriverente nei confronti del pubblico.
Tuto questo però è un indizio sul tipo di gialli che Sciascia aveva letto e leggeva. Be', teniamo presente anche che lo spazio che aveva a disposizione in due articoli era senz'altro ridotto e non era possibile citare tutti gli aventi diritto. Per esempio, benché pubblicato su Il Giallo Mondadori fin dagli anni Sessanta e quindi già notissimo all'epoca, non viene menzionato Ed McBain, artefice di una tipologia di poliziesco diverso dai modelli precedenti. Né si tiene conto di Giorgio Scerbanenco, cui Garzanti aveva dato ampio risalto nelle sue collane. Nel 1975 inoltre era uscito da troppo poco il primo romanzo di Loriano Macchiavelli per prevedere gli sviluppi tanto dell'autore quanto di un giallo italiano che non sarebbe stato riconosciuto ancora per quindici anni. Ed era ben lontano dall'arrivare in Italia Manuel Vázquez Montalbán, che all'epoca in Spagna muoveva i primi passi su un sentiero non dissimile da quello dello stesso Sciascia.

Tuttavia il grande autore siciliano cade in alcuni pregiudizi. Definisce "sadici" gli agenti segreti di Peter Cheyney e - forse per fortuna - non fa alcun riferimento a Ian Fleming, pubblicato in quegli anni ne I Gialli Garzanti, dove dagli anni Cinquanta aveva grande successo Mickey Spillane. E su quest'ultimo, da intellettuale di sinistra, Sciascia lancia gli strali tipici della categoria: lo scrittore americano non esitava a far scaricare le pistole di Mike Hammer su agenti sovietici infiltrati negli USA e il suo anticomunismo (di maniera) era una colpa addirittura più grave del suo tasso di "sesso e violenza", relativamente elevato per quei tempi, specie in confronto agli investigatori asessuati del giallo classico.
D'altro canto Spillane scriveva per un pubblico americano nell'epoca della caccia alle streghe maccarthista, che era però anche l'epoca degli spietati servizi segreti stalinisti. Ne parlava del resto anche Fleming, seppur da un punto di vista più europeo e quindi più problematico: il creatore di 007 era contrario alla malefica commissione del senatore McCarthy e, almeno fino a un certo punto, un simpatizzante della rivoluzione cubana. Ma ciò non implica che nella realtà tutti i comunisti fossero automaticamente buoni in quanto comunisti, e chi raccontava nefandezze sovietiche fosse per forza cattivo come persona e come scrittore. Già prima di Sciascia, Umberto Eco aveva esaminato Fleming e Spillane con una maggiore apertura mentale.  
Tale punto di vista "ideologico" non toglie però importanza alla visione critica che Sciascia dà del giallo e che è alla base di una parte importante delle sue opere. Stiamo pur sempre parlando di un intellettuale di sinistra che affronta un argomento che certi suoi colleghi, ancora a metà degli anni Settanta, nemmeno consideravano "letteratura" e disprezzavano apertamente come un prodotto destinato alle menti semplici e incolte. Proprio questo atteggiamento snob degli altri intellettuali del settore ha contribuito, perfettamente sincronizzato con altri fattori, al disinteresse di massa verso i libri che oggi possiamo constatare in Italia. Pertanto con questo saggio Sciascia non soltanto ha il merito di avere difeso il romanzo poliziesco, ma anche quello di avere incentivato il pubblico alla lettura.


martedì 6 ottobre 2020

Segretissimo: 60 anni di eroi nell'ombra


Percorso di Andrea Carlo Cappi

Sessant’anni fa lo staff de Il Giallo Mondadori si accorse che tanto in Francia quanto nel mondo anglosassone si stava sviluppando sempre di più la variante del thriller chiamata spy-story, che per raccontare le sue vicende si agganciava alla realtà politica internazionale del momento: la Guerra Fredda, nella fattispecie. Così, sul modello di analoghe edizioni francesi, nell'ottobre del 1960 Mondadori diede vita a una nuova testata con lo stesso formato del Giallo, destinata anch’essa alle edicole – canale vitalissimo ai tempi e ancora fondamentale oggigiorno – che in qualche caso avrebbe superato nelle vendite la sorella maggiore. Era nato Segretissimo, che dopo sei decenni di vita è forse l'unica collana al mondo interamente dedicata alla narrativa di spionaggio. E da oltre vent'anni è anche la nuova frontiera del thriller italiano.

Prima dell'ottobre 1960, le occasionali storie di spionaggio rientravano nella tradizionale collana mondadoriana del Giallo settimanale, rinata nel dopoguerra. Per esempio quelle firmate da Peter Cheyney, già padre dell’agente federale Lemmy Caution portato in quegli anni sullo schermo da Eddie Constantine. Da una delle spy-story del romanziere britannico (pubblicata in italiano come A colpi di mitra) fu tratto il film Corriere diplomatico con Tyrone Power. Cheyney era uno degli autori hardboiled di punta de Il Giallo Mondadori degli anni Cinquanta, tanto che alla sua morte la vedova concesse al direttore Alberto Tedeschi l’autorizzazione a farne completare un romanzo incompiuto, lavoro che (se la memoria non mi inganna) venne affidato allo scrittore Franco Enna.

Ma con gli anni Sessanta la proposta di narrativa spionistica era tale da indurre Mondadori alla creazione di una nuova collana dedicata al sottogenere e accompagnata da notizie di cronaca internazionale sull'argomento. Segretissimo fu inaugurato con una grafica innovativa e le sofisticate illustrazioni di Ferenc Pinter su fondo nero; poi venne ripreso – sempre su fondo nero – lo stile de Il Giallo Mondadori: il cerchio rosso contenente un’illustrazione di Carlo Jacono, che già realizzava le copertine per l'altra collana. La nuova pubblicazione, inizialmente mensile poi settimanale, raggiunse presto le centinaia di migliaia di copie vendute per ogni numero: di fatto si trattava ogni volta di un colossale bestseller, malgrado la permanenza in edicola fosse di una sola settimana. E non c'è da stupirsi.

Anche se si trattava quasi sempre di narrativa pulp nel senso pressoché etimologico del termine (azione e avventura a basso prezzo in formato rivista), anche se non sempre gli autori e i traduttori avrebbero potuto essere in lizza per il Nobel, e anche se l'orientamento degli scrittori era spesso fin troppo occidentale e atlantico a ogni costo (esiste persino la leggenda che fosse la CIA a finanziare le avventure di Nick Carter, erede spionistico del classico detective americano nato a fine Ottocento) i personaggi di Segretissimo avevano in ogni caso il pregio di raccontare sotto forma di romanzo la realtà di quegli anni. In presa diretta.

Certo, era facile criticare il contenuto ideologico di molti romanzi o disprezzare la forte componente erotica che entrò in alcuni romanzi (soprattutto quelli di De Villiers) a partire dagli anni Settanta-Ottanta. D’altra parte il sesso è sempre stato una delle armi principali nel mondo dei servizi segreti (ne ho parlato ampiamente nel mio libro di non-fiction Le grandi spie: basta pensare a Mata Hari, Marthe Richard, Christine Keeler...) quindi è inutile fingere che non esista. Tant'è che negli anni Sessanta le meravigliose copertine dipinte de Carlo Jacono, per quanto assai poco esplicite, furono oggetto di sequestro da parte di solerti pretori, che misero anche i sigilli allo studio dell'artista. Qualche anno dopo, vedendo censurata preventivamente in redazione una delle sue immagini più scottanti, Jacono nascose il corpo nudo di una ragazza dipingendovi sopra il vetro opaco di una cabina-doccia e annotò a margine della tavola l’invito, nel caso la correzione non fosse bastata, a chiamare un esorcista.

I primissimi romanzi pubblicati furono tutti opera del francese Jean Bruce, dalla fortunata serie OSS 117, che in italiano diventava misteriosamente OS 117: forse, più che con l’OSS, il servizio segreto USA degli anni Quaranta da cui proveniva il protagonista, si temeva un’associazione di idee dei lettori italiani con le SS, che avevano lasciato una scia di morti e un pessimo ricordo soltanto di quindici anni prima. Il personaggio del principe pirata Hubert Bonisseur de la Bath era nato nel 1949, opera dell’ex-agente segreto antinazista Jean Brochet, che aveva adottato come nom de plume il cognome di un collega americano. Il suo personaggio precedeva di quattro anni l’agente 007 James Bond di Ian Fleming e le storie cambiavano formula di volta in volta: in prima persona, in terza, in prima persona alternata di vari personaggi, più scherzose o più serie a seconda dell’umore di Bruce. Il cinema cominciò ad appropriarsene negli anni Cinquanta, ma fu soprattutto dopo il successo dei film di 007 che OSS117 ebbe spazio sul grande schermo. Di recente è stato ripreso in chiave umoristica in due brillanti pellicole con Jean Dujardin (e se ne aspetta da tempo una terza). Alla morte prematura di Bruce la saga fu proseguita prima dalla moglie Josette e poi dai figli.

Su Segretissimo apparvero poi avventure spionistiche firmate da alcuni degli autori più famosi de Il Giallo Mondadori (James Hadley Chase, Rex Stout, Ellery Queen, Brett Halliday, per dirne alcuni), ma la parte del leone continuarono a farla le serie. Da quella di Francis Coplan, agente FX18, di Paul Kenny (pseudonimo degli autori belgi Van den Pahuyse & Libert), che iniziò nel 1953 ed ebbe alcune versioni cinematografiche, a quella tuttora di enorme successo di Sua Altezza Serenissima (SAS) Malko Linge di Gérard De Villiers, inaugurata dopo la morte di Fleming nel 1964, perché il suo editore francese non voleva restare a corto di bestseller spionistici.

Oltre a quelle francofone, c’erano naturalmente le serie in lingua inglese: dagli USA Nick Carter, firmata da un pool di autori sotto lo pseudonimo collettivo di... Nick Carter; Matt Helm di Donald Hamilton, che ebbe versioni cinematografiche umoristiche con Dean Martin e più serie in tv (ma nei panni di investigatore privato), con Anthony Franciosa; Sam Durrell di Edward S. Aarons; Phil Sherman di Don Smith; Domino di John Tiger, ispirata alla memorabile serie tv Partita a due; Gli acquanauti di Ken Stanton, che faceva concorrenza a Clive Cussler per le ambientazioni subacquee.

E dalla Gran Bretagna Jonas Wilde, l’eliminatore di Andrew York; e Boysie Oakes, il Liquidatore di John Gardner, e il dottor Jason Love di James Leasor, che ebbero entrambi divertenti trasposizioni sullo schermo. Il capostipite James Bond – che secondo un testimone sarebbe stato rifiutato dallo storico direttore de Il Giallo Mondadori, Alberto Tedeschi, poi redarguito per il tragico errore dal signor Mondadori stesso – approdò nella collana molto più tardi, con i sequel scritti da John Gardner e dall’ottimo Raymond Benson. Ma non mancavano numerosi romanzi singoli, tra cui alcuni veri gioielli del sudafricano Desmond Bagley, e persino spy-story di altre nazionalità. Infine, negli anni Ottanta, arrivarono anche i primi autori italiani senza pseudonimo, Remo Guerrini Andrea Santini.

La fine della Guerra Fredda nel 1989 ha fatto pensare ad alcuni che la testata fosse destinata all’estinzione, come ormai avrebbe dovuto essere tutta la narrativa di spionaggio. Ma il mercato e la Storia hanno smentito tutte le previsioni in tal senso. Segretissimo si è trasformato ed è rimasto per una ventina d’anni più un libro da edicola che una rivista, pur riprendendo presto l’abitudine dei contenuti speciali, in particolare il racconto in appendice. Per qualche tempo è stato anche meno riconoscibile, senza la sua grafica tradizionale. Ma poi il classico cerchio rosso ha ripreso a campeggiare in copertina e infine dalla primavera del 2012 la collana ha di nuovo cambiato formato, portandosi a una versione più moderna e compatta di quello originario.

Così, nonostante tutti i prodotti da edicola abbiano diminuito le vendite, la testata si è rilanciata e oggi continua a vendere migliaia e migliaia di copie, sia della collana mensile di inediti, sia degli speciali, sia della collana mensile parallela che alterna riedizioni (a volte anche ritradotte) della serie che per oltre mezzo secolo si è dimostrata di maggiore successo, SAS di Gérard De Villiers.

Oggi proprio gli italiani – alcuni dei quali, me compreso, sono celati sotto pseudonimi stranieri, anche se lo speciale Legion del 2008 ne ha rivelati parecchi – sono tra le presenze più importanti: la serie Il Professionista di Stephen Gunn, pseudonimo ormai noto di Stefano Di Marino, è anzi quella di maggior successo dopo SAS, tanto da allietare i suoi seguaci anche con la collana di speciali Il Professionista Story, contenente due romanzi a numero, che propone non solo riedizioni ma anche storie inedite che si inseriscono tra un’avventura e l’altra, raccontando la saga in ordine cronologico. Ai sessant’anni di Segretissimo corrispondono anche i venticinque anni de Il Professionista, festeggiati con uno speciale giunto in edicola proprio nell'ottobre 2020.

Un libro che resta in vendita un mese in edicola (un paio di mesi gli speciali) e vende così tanto, per il mercato italiano ha oggettivamente più successo della maggior parte dei volumi pubblicati in libreria, la cui vita media non è poi molto più lunga e la visibilità dura ancora meno. Solo che è un successo non misurato dal mondo editoriale e dalla critica. Bestseller non riconosciuti, di cui metodicamente non si parla. Per fortuna i lettori rimangono fedeli e altri se ne aggiungono, grazie alle forme di comunicazione sorte in questi anni: dal blog di Segretissimo all’ingresso della collana nel mondo degli e-book.

Per quale motivo il successo di Segretissimo perdura, nonostante i suoi detrattori? Intanto, come ha insegnato la severa lezione dell’11 settembre 2001, «lo spionaggio non è morto, ha ancora molto da raccontare» (parole di John Le Carré). E poi perché di fronte a una letteratura thriller, gialla o noir da libreria spesso ripetitiva, Segretissimo continua a proporre un genere che è invece in incessante evoluzione e ha da tempo abbandonato i piacevoli ma datati cliché di un tempo. Chi non legge questi libri può anche divertirsi a bollarli come seriali e di nicchia (queste invece sono parole dell’ufficio marketing di una casa editrice fallita poco dopo averle pronunciate, segno che di editoria ne capivano, vero?) E la critica può anche cercare di ignorare il fenomeno, considerandoli libretti facili e di scarso valore... non certo opere di veri autori noir. Giusto?

Sbagliato. Perché il noir, per usare una parola oggi abusata, nasce dal giallo, che a sua volta è letteratura di intreccio. Quindi deve avere sia l’atmosfera, sia una trama solida e coerente che spinga il lettore a vedere come va a finire (Dashiell Hammett insegna, si pensi a un capolavoro di denuncia socio-politica come Piombo e sangue!)

Perché un romanzo che appartiene di diritto a un genere popolare deve avere anche una forte componente di intrattenimento, deve dare emozioni; e solo in questo modo, se l’autore desidera anche trasmettere un messaggio o semplicemente dipingere determinate situazioni internazionali, il lettore è in grado di coglierle appieno. Stephen Gunn predisse la svolta di al-Qaeda poi realizzatasi nel 2001 e François Torrent (il mio alias) annunciò con oltre un anno d’anticipo l’arrivo dell’ISIS. Dunque certi libri andrebbero letti con particolare attenzione.

Perché scrittori di questo genere non ci si improvvisa: si può credere di poter scrivere un giallo (per poi nobilitarlo con la parola noir) dopo aver visto un paio di fiction tv, o un thriller dopo aver letto un paio di storie di serial killer, anche se le differenze tra prodotti originali e prodotti imitativi si vedono. Ma non basta aver visto un paio di film di 007 per poter produrre una vera storia di spionaggio.

Perché, infine, in Italia c’è una tradizione epica cominciata da Emilio Salgari, il quale, romanzando vicende reali che andavano dalla Malesia al Sudan, di fatto era l’autore di Segretissimo di quegli anni; e non va dimenticato anche il nostro cinema di genere, ora tanto amato da Tarantino e dai suoi colleghi. Una tradizione di cui non si parla, per ignoranza e disattenzione, ma che si è rivitalizzata proprio con gli autori italiani di Segretissimo. E tutto questo, anche rispetto agli amati e documentatissimi romanzi pulp-spionistici degli anni Sessanta-Settanta, rappresenta un notevole passo avanti tanto per Segretissimo quanto per tutta la letteratura di genere.





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