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mercoledì 24 ottobre 2018

Tie-in: l'altra faccia della scrittura





Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Fino a poco tempo fa, sapevo dell'esistenza della International Association of Media Tie-in Writers per aver letto che ne faceva parte Raymond Benson, scrittore del quale ho tradotto diversi noir e buona parte della sua produzione su James Bond 007. È stato lui a presentarmi all'associazione, di cui sono entrato a far parte la scorsa estate, come – almeno credo – primo autore in lingua italiana. E ho scoperto che ci sono autori che discutono di questioni che sinora avevo affrontato da solo.
La IAMTW raccoglie scrittori che si dedicano (anche) a personaggi e universi narrativi non creati da loro: dalle novelizations basate su sceneggiature per cinema e tv, ai racconti e romanzi sequel di saghe celebri (come, appunto, James Bond), alle storie inedite costruite intorno a serie di film, telefilm, fumetti e videogiochi. Nel mio caso si tratta di fumetti, avendo pubblicato romanzi con protagonisti Diabolik & Eva Kant, gli "eroi neri" creati da Angela e Luciana Giussani, e su Martin Mystère, il detective dell'impossibile di Alfredo Castelli.


Il tie-in trae origine da due tipi diversi di narrativa. Una è quella seriale, d'appendice o pulp, in cui poteva capitare che una saga fosse scritta da autori diversi. Basta pensare a Nick Carter, il celebre detective poi ripreso in chiave umoristica a fumetti da Bonvi negli anni Settanta: le sue avventure furono scritte tra il 1886 e gli anni Cinquanta da un'infinità di autori che si firmavano tutti "Nicholas Carter". L'usanza fu ripresa con la rinascita di Nick Carter negli anni Sessanta in versione agente segreto: sotto lo stesso pseudonimo si sono alternati numerosi scrittori, da Michael Avallone a Martin Cruz Smith.



Le novelizations, come ha sottolineato un recente articolo di Deborah Allison sui due diversi adattamenti della sceneggiatura del film del 1978 Capricorn One (uno per il mercato americano, di Ron Goulart, e uno per il mercato britannico, di Ken Follett sotto lo pseudonimo Bernard L. Ross), sono nate addirittura negli anni Venti; dal momento che, molto prima della tv e dell'home video, per rivivere l'emozione di un film era necessario trovare una sala che lo proiettasse, l'editoria creò un'alternativa efficace e accessibile: trasformare in libro un film che non fosse tratto da un testo precedente. Il fenomeno oggi forse è meno diffuso, ma nel frattempo scrivere un romanzo da una sceneggiatura è divenuto un'arte a sé stante.
In una scena di Manhattan, Woody Allen deprecava la moda dei romanzi basati su sceneggiature di film. In realtà, come in qualsiasi settore della narrativa, ci sono solo libri belli e libri brutti. Le novelizations migliori sono quelle che, partendo dalla trama e dai dialoghi scritti dagli sceneggiatori, approfondiscono la psicologia dei personaggi, sviluppano i retroscena, colmano a volte anche qualche lacuna della storia, che può sfuggire sullo schermo ma non nella parola scritta. Un bravo scrittore di tie-in può anche produrre un romanzo di qualità superiore al film su cui si basa. Mi è capitato di constatarlo proprio con Raymond Benson, che oltre ad avventure originali di 007 adattò a romanzo tre film dell'era di Pierce Brosnan: il risultato era addirittura superiore all'originale.
Per darvi un'idea delle diverse esperienze di un autore di tie-in, Benson è un maestro degli ibridi tra vari media: ha collaborato sotto pseudonimo a romanzi del ciclo Splinter Cell di Tom Clancy, adattato come giochi per computer avventure di 007 e The Mist di Stephen King, scritto romanzi basati sull'universo dei videogiochi Metal Gear Solid, Hitman e, con John Milius, Homefront. Nel frattempo continua a firmare i suoi mystery.


Se dubitate del fatto che da un film si possa trarre un buon romanzo, pensate che non è un lavoro molto diverso da ricavare una sceneggiatura da un libro: si tratta di passare da un medium a un altro adattando la storia a un contesto diverso. Ma, se ancora non siete convinti, pensate a tutte le volte che William Shakespeare ha preso la trama di un racconto altrui e ne ha fatto un capolavoro del teatro. Oppure a quale lavoro di riscrittura e rielaborazione di storie e personaggi preesistenti abbiano fatto tutti gli autori che si sono dedicati al "ciclo bretone", ossia le storie della Tavola Rotonda, da Geoffrey di Monmouth a Chretien de Troyes, da Thomas Malory a John Steinbeck, passando per T. H. White, l'autore de La spada nella roccia.


Talvolta i miei libri su Diabolik o Martin Mystère sono stati definiti novelizations di fumetti*, forse anche con una sfumatura di disprezzo. Non ci sarebbe niente di male se lo fossero: molto prima che me ne occupassi io, entrambi i personaggi erano stati protagonisti di interessanti romanzi basati su sceneggiature di storie già pubblicate a fumetti. Ma in realtà non si tratta di questo. I miei sono romanzi originali, quindi un lavoro di tipo diverso: storie mie, che tuttavia hanno protagonisti ideati da altri autori.
Non va mai dimenticato che il pubblico si attende di trovare lo stesso tipo di emozioni che conosce dalle storie a fumetti. E qui, da una parte, ci si trova nella stessa posizione di uno sceneggiatore che scrive un nuovo episodio di una serie a fumetti o televisiva o cinematografica di cui non è il creatore: devi conoscere a fondo i personaggi, per sapere cosa possano o non possano fare, altrimenti il pubblico si accorgerà che i conti non tornano. Dall'altra parte, occorre passare dal linguaggio visivo per cui i personaggi sono nati in origine a quello assai diverso della narrativa: si fa a meno delle immagini – anche se i lettori avranno bene in mente le fattezze dei protagonisti – ma si guadagna in introspezione psicologica.


Dal momento che ho una produzione piuttosto vasta, posso dire che quando scrivo un tie-in non mi sento meno autore di quando lavoro a un romanzo appartenente a una delle mie numerose serie. Anche perché in entrambi i casi i miei riferimenti – la redazione di Diabolik e il creatore di Martin Mystère coadiuvato dagli esperti dell'Amys – non solo collaborano attivamente con me, ma mi lasciano molta libertà creativa, pur nel rispetto delle caratteristiche dei personaggi e dell'universo in cui si muovono. Al tempo stesso, come lettore, so che non mi piacerebbe leggere una storia in cui l'autore tradisse gli uni e l'altro.
Per questo è stato doppiamente gratificante vincere con il mio romanzo originale con Martin Mystère uscito nel 2017, La Donna Leopardo, il Premio Italia 2018 per il miglior fantasy: come i lettori del fumetto hanno ritrovato i loro personaggi rappresentati in modo fedele, così la giuria dell'Italcon ha valutato il mio libro come un'opera originale, indipendentemente dalla sua appartenenza a una serie non creata da me. Naturalmente, se mi venisse chiesto di lavorare su personaggi che non conosco altrettanto bene... dovrei mettermi a studiare, fino a essere in grado di pensare come loro.


Sono esistiti tie-in italiani? Certo. Per esempio, alla fine degli anni Sessanta, come accennavo, nacquero ben due serie di romanzi basati su sceneggiature per fumetti di Diabolik, una in Italia e una in Francia, sull'onda del lancio internazionale del film distribuito dalla Paramount Pictures, Danger: Diabolik di Mario Bava.
In tempi più recenti, Antonio Bellomi pubblicò novelizations di avventure storiche di Martin Mystère e in seguito fece comparire il detective dell'impossibile in team-up con suoi personaggi in alcuni racconti della sua serie sul Club Pi Greco. Ora, nella sua nuova versione alternativa, il giovane Martin è uno dei personaggi della Bonelli approdati in libreria, con un romanzo di Pierdomenico Baccalario. (Le mie storie, come quelle di Bellomi, si attengono invece alla continuity della serie storica).
Ma ci sono altri esempi illustri, come gli adattamenti delle sue sceneggiature di celebri serie tv di Biagio Proietti, da solo (Coralba, in ebook da Delos) o a quattro mani con Diana Crispo (Chiunque io sia, basato su La mia vita con Daniela, e il mitico Dov'è Anna?, nel quale i due sceneggiatori inserirono anche un episodio mai realizzato per la televisione, perché ritenuto troppo scabroso all'epoca.)



Da tutto questo si deduce però che non ci si possa improvvisare tie-in writer. Negli Stati Uniti si è creata una schiera di professionisti della narrativa che non esitano ad affrontare saghe amatissime come Star Trek o Star Wars, X-Files o Supernatural, eroi dei fumetti come Batman (ricordo che ne scrissero maestri quali Stuart M. Kaminsky o Joe R. Lansdale), oppure personaggi che hanno fatto la storia della narrativa d'avventure come Tarzan o Doc Savage, o ancora mostri sacri del giallo come Mike Hammer, il detective di Mickey Spillane riportato in vita da Max Allan Collins. Ma questo in fondo vale per tutta la narrativa di genere: occorre conoscerne a fondo le regole, se si vuole scrivere qualcosa che non sia solo un banale déjà vu.

*Nota posteriore: questo articolo fu scritto molto prima che scrivessi novelizations non dei fumetti ma dei film di Diabolik.



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