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lunedì 5 ottobre 2020

Chinatown (1974)


Retrospettiva di Alby Bottecchia

Los Angeles 1937: Jake Gittes, interpretato da Jack Nicholson (Easy Rider, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Batman, The Wolf), è un detective privato specializzato in divorzi e adulteri. Viene  assunto dalla moglie di un importante funzionario del dipartimento idrico-energetico di Los Angeles per provare una presunta infedeltà. Sembra un incarico come tanti altri, sennonché poco dopo aver accettato il lavoro, si presenta nel suo ufficio Evelyn Mulwary, interpretata da Faye Dunaway (Gangster Story, Il caso Thomas Crown, I tre giorni del Condor), vera moglie dell'ingegnere, morto in circostanze misteriose. Assunto da Evelyn, Gittes comincia a indagare scoprendo un legame tra la scomparsa di Mulwary e il suo rifiuto a collaborare al progetto di una diga.

Le indagini portano Jake a incrociare il cammino del bieco quanto facoltoso Noah Cross, interpretato dal regosta John Huston (Il mistero del falco) in una delle sue numerose apparizioni come attore. Noah è il padre di Evelyn e con lei condivide con l un disturbante segreto. Il detective si renderà amaramente conto che sapere  la verità non sempre equivale a fare giustizia e che i rimpianti più dolorosi sono quelli di chi rimane ad assistere al trionfo del male, pur avendo avuto tra le mani l'artefice di un crimine.

Nel 1974 Roman Polanski (regista e guest star nel ruolo di un sicario) e Robert Towne (sceneggiatore) confezionano la loro lettera d'amore al cinema noir con un film cupo, amaro ma al tempo stesso ironico, avvincente e imprevedibile fino all'ultimo fotogramma. Nicholson rilegge i detective interpretati da Humprey Bogart scalfendone l'invincibilità (Jake è più un incassatore che un picchiatore), ma restituendone intatti arguzia e umorismo.

Forget it, Jake. It's Chinatown.

venerdì 24 luglio 2020

Leslie White, un detective dal vero


Recensione di Alby Bottecchia

Borderfiction Zone è lieta di dare il benvenuto a una nuova firma: Alby Bottecchia, che oggi ci propone una storia vera che sembra un romanzo.

Giovedì 20 Marzo 1931: Los Angeles è scossa dalla morte di Charlie "Gray Wolf" Crafword, potente uomo d'affari con oscuri legami al sottobosco malavitoso locale. La squadra investigativa della procura distrettuale guidata da Blaney Matthews ha già un possibile indiziato: David Harris Clark, eroe della prima guerra mondiale, brillante avvocato, nonché ex-procuratore distrettuale di L.A., che sembra essere misteriosamente scomparso e che le dichiarazioni di alcuni testimoni collocano sulla scena al momento del delitto.
L'incarico di ritrovare Clark spetta al brillante investigatore e aspirante scrittore pulp Leslie White: un giovane e arguto criminologo forense, dotato di uno spiccato talento investigativo e di un acuto senso di giustizia.
Il viaggio per ritrovare Clark porterà White a ripercorrere la propria carriera di detective, in particolare le occasioni in cui i due uomini hanno incrociato la loro strada con quella dell'ambiguo Crafword.
Dal crollo della diga di St. Francis nel 1928 al processo che distrusse la carriera e le speranze della star del muto Clara Bow, dal processo al gangster Albert Marco al brutale omicidio di Ned Doheny Jr., figlio di un anziano e stimato magnate petrolifero, le carriere di White e Clark si intrecciano indissolubilmente alla storia di L.A. A volte i due sono artefici e testimoni di eventi che cambieranno per sempre la storia della città.
In A Bright and Guilty Place, Richard Rayner racconta la carriera avventurosa e romanzesca di un detective eroico e brillante legandola alla storia di Los Angeles con un ritmo da romanzo pulp (le vicende sembrano uscite dalla penna di Raymond Chandler), senza rinunciare a un umorismo sagace e pungente... Seguite Leslie White nei vicoli oscuri di Los Angeles, non ve ne pentirete. Bang!





sabato 20 ottobre 2018

Stefano Di Marino: avventure nell'ignoto



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Da oltre vent'anni i lettori della storica collana Segretissimo di Mondadori seguono con entusiasmo le avventure de Il Professionista, firmate da Stefano Di Marino con lo pseudonimo ormai da tempo svelato di “Stephen Gunn”. Un successo ineguagliato, di cui i media si guardano bene dal parlare. Eppure, se esistessero classifiche dei bestseller per i libri venduti in edicola, ogni titolo della serie sarebbe in testa per settimane, proprio come risulta esserlo in versione ebook nella categoria “guerra e spionaggio” di Amazon.
Nondimeno Di Marino, oltre a essere lo scrittore di genere più attivo e più venduto in Italia, è anche uno dei pochi in grado di affrontare con noncuranza e talento qualsiasi filone, dall'avventura al western, dal giallo al fantastico. Almeno una volta all'anno Dbooks.it, attento editore indipendente, pubblica un suo corposo romanzo che esce dagli schemi abituali. Quest'anno a Strani Mondi, l'appuntamento milanese d'autunno con la letteratura fantastica, è stato presentato in anteprima Kalimantan – Il fiume dei diamanti, in cui l'autore ha riunito con abile contaminazione molte sue passioni nel campo della narrativa popolare.
La vicenda si apre ai giorni nostri in chiave noir, con la spettacolare evasione di Dino Rital – ovvero, in gergo marsigliese, “Dino l'Italiano” – arrestato a Copenhagen per un clamoroso furto d'arte. A liberarlo è Margot van Horn, giovane donna d'affari (sporchi), interessata a scoprire dove il ladro abbia nascosto il suo bottino, una reliquia indonesiana che, sostiene lei, sarebbe di proprietà della sua famiglia.
Dopo questo prologo, la storia si dipana su due piani temporali. Parte della vicenda si svolge nel 1857, quando l'avventuriero olandese Thomas van Horn, giocando tra diplomazia e pirateria, con l'aiuto dell'amante e complice Purina, si impadronisce del tesoro del sultano di Tarakan, nel Kalimantan occidentale. Tra una battaglia navale e una tempesta, la loro nave finisce alla foce di un fiume in cui la corrente sembra procedere a rovescio, trascinandola in secca nei pressi di un luogo singolare nella giungla inesplorata. È qui che, all'ombra di un antichissimo tempio appartenuto a una civiltà scomparsa, si trova il villaggio governato dal misterioso professor Wells e custodito da una legione di tagliatori di teste. Potrebbe essere un rifugio sicuro per van Horn e il suo equipaggio, ma ben presto vengono alla luce segreti inconfessabili e orrori indicibili.
L'altra parte della vicenda si svolge al giorno d'oggi. Margot van Horn, discendente di Thomas, è intenzionata a trovare quel luogo misterioso e appropriarsi delle ricchezze che nasconde. Rital potrebbe essere l'alleato ideale nell'impresa. Così, trascinato in un labirinto di ambigue alleanze e costretto a scontri violenti tra fazioni rivali, l'italiano si lascia coinvolgere nell'avventura che li porterà sulle tracce del pirata.
Il lettore non può fare a meno di notare gli intenzionali parallelismi tra personaggi e situazioni delle varie epoche, a testimonianza che i tempi cambiano, ma la natura umana rimane sempre la stessa. Tuttavia, se si pensa di sapere già tutto ciò che aspetta i protagonisti, si resterà sorpresi: in agguato ci sono orrori ancora più indicibili di quelli con cui fece i conti l'antenato di Margot.

Di Marino e Cappi al Ribs and Beer, Milano, 18 ottobre 2018 (foto Dbooks.it)

Ne abbiamo parlato alla successiva presentazione del romanzo, nel corso del primo aperitivo letterario del ciclo Ribs & Books presso il ristorante-pub Ribs and Beer a Milano Lambrate, in gemellaggio con il mio Martin Mystère - Le guerre nel buio. Sono emersi i nomi di Emilio Salgari, H. G. Wells e di Edgar Rice Burroughs, ma anche di Joseph Conrad e Richard Connell (l'autore de La pericolosa partita), e potremmo includere nel gruppo anche Jules Verne. Tra i numerosi riferimenti letterari, spicca il nome di Alfredo Castelli, i cui fumetti anticiparono clamorosamente fin dal 1975 – con Allan Quatermain, ispirato all'omonimo personaggio di H. Rider Haggard, cui fece seguito Martin Mystère nel 1982 – molta della fiction degli anni a venire, da Indiana Jones alla Lega dei Gentiluomini Straordinari, da X-Files a Men in Black. Non a caso, entrambi i romanzi – Kalimantan e Le guerre nel buio – contengono riferimenti al mitico conflitto tra le civiltà ancestrali e altamente tecnologiche di Atlantide e Mu, che avrebbe portato alla reciproca distruzione e a un cataclisma di proporzioni planetarie, antefatto di molti episodi della saga di Martin Mystère.
Ciò che rende unico Di Marino è la naturalezza con cui riesce a descrivere duelli, arrembaggi, orrori e sentimenti, passioni e ossessioni... tutto con la giusta misura. Smentendo i pregiudizi su questo tipo di narrativa, i suoi personaggi, donne e uomini che siano, non sono figure anonime: gli basta una frase o una battuta di dialogo per farci comprendere cosa provino, persino dubbi e incertezze dietro una facciata fintamente imperturbabile. Show, don't tell, come si suol dire.
Il risultato è un romanzo incalzante di 435 pagine, che un editore più blasonato avrebbe riempito di spazi bianchi fino ad arrivare a 600 pagine e a un prezzo ben superiore ai 17,50€. Ma un editore più blasonato non si avventurerebbe a pubblicare un libro del genere, perché – per nostra fortuna – non assomiglia a nessun bestseller presente sul mercato.

Aperitivo "Ribs&Books", 18 ottobre 2018 (foto: Marco Donna)


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