venerdì 29 novembre 2024

Iperwriters - Bullismo intellettuale

Photo Nordii mathinsen on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 60 - Bullismo intellettuale

Venerdì, ore 13. L'evento che ho descritto nell'ultimo editoriale può essere stato drammatico, ma mi è stato utile per imparare a diffidare e a proteggermi. Ad altri è capitato qualcosa di simile, e in certi casi di peggiore. Ho assistito ad episodi di bullismo intellettuale, in presenza e online, che in confronto quello delle strade di periferia è un parco giochi per bambini.
Il bullismo intellettuale all'epoca in cui imperversavano le presentazioni di libri ante-social era raffinato, sottile e tagliente. Talmente sottile che quasi non ti accorgevi dei tagli. Io, che nutrivo un pregiudizio positivo, me ne sarei accorta perfino dopo mesi e anni. Ero affascinata dagli intellettuali borghesi progressisti ed ero convinta che non potessero mai, mai e poi mai agire come la teppa che avevo conosciuto in passato. Credevo con incrollabile fede che fossero umani e invidiosi (come lo sono io) ma abbastanza leali (come lo sono io) da rispettare il talento in chi ce l'ha.
Ad uso dei colleghi scrittori, proverò a fornire qui alcune considerazioni sul bullismo letterario italiacano, a mio avviso la premessa da cui derivano certi comportamenti sui social.
Se eravate uomini avevate sempre in sala lo scrittore-migliore-di-voi, quello il cui genio doveva essere riconosciuto e divulgato al posto del vostro che valeva poco o nulla.
Se eravate donne e puntavate sul vostro fascino erotico, subivate i più disgustosi tentativi di adescamento e gli attacchi di due scrittori-migliori-di-voi, un maschio e una femmina. Se puntavate solo sull'intelletto, eravate ricondotte su un terreno erotico: subivate i più disgustosi tentativi di adescamento e gli attacchi di due scrittori-migliori-di-voi, un maschio e una femmina.
Per tutti c'erano quelli che, sia sul palco mentre vi stavano presentando, sia fra il pubblico, vi facevano notare gli errori nel testo. Anche se avevate sbagliato un orario ferroviario. E i provocatori che (spesso fingendo un goliardico scherzo a cui non ci si poteva sottrarre senza mancare di spirito) colpivano in qualsiasi modo congruo e incongruo.
La mia tecnica, fin dal principio, è sempre stata quella di dar ragione a tutti. Alla mia ultima presentazione due tizi mi hanno chiesto: Ma in fondo scrivere non serve a niente, no?
Ho risposto sì, sì, certo. A niente.

venerdì 15 novembre 2024

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman

Venerdì, ore 13. A Gianfranco Orsi, allora direttore dei Gialli Mondadori, l'idea di un giallo ambientato nel mondo del fumetto è piaciuta moltissimo. Anche il romanzo finito lo convince, al punto di cercare di promuoverlo con più impegno (e suo gran divertimento): segnalazioni su giornali, la prefazione di Ernesto G. Laura (che ricordo con affetto) e una partecipazione a Lucca Comics.
Allora gli studi fotografici chiamavano gli scrittori emergenti per farne una serie di foto da vendere ai giornali. Uno mi ritrae, dichiarandosi attento ai nuovi avvenimenti letterari. Alla fine ero riuscita a fare un po' di letteratura italiacana cavalcando l'onda dei generi, no?
Ma doveva essere un venerdì tredici il giorno della mia prima uscita pubblica per presentare Superman non muore mai. Ho già descritto altrove l'evento, non ricordo come. Lo rifaccio alla luce di meditazioni recenti. Non avevo nessuna esperienza di presentazioni di libri, nessuna idea di quello che era richiesto a una scrittrice-showgirl.
La serata già comincia male, in un clima di freddezza e ostilità. Dal principio, mi viene fatto osservare che ho chiesto il formaggio sbagliato per la piadina ordinata al bar. Sono un'estranea, attesa al varco per essere rimessa al suo posto: a servire i cocktail in grembiulino.
Nelle due ore che seguono, apprendo che:
-sono un'artigiana e non un'artista;
-è meschino l'espediente, che avevo sempre ritenuto legittimo, di usare i generi per tentare la scalata sociale e socchiudere le porte della grande editoria. Avrei dovuto invece compiere la mia scelta “per amore”;
-i “veri” scrittori che mi hanno preceduta sono stati di gran lunga ben più all'altezza;
-non ho “studiato” abbastanza per scrivere;
-ho dipinto i fumettisti come tristi, miseri, infelici, mentre nella “realtà” sono gioiosi e grati di poter fare il mestiere più spassoso del mondo (ma io avevo conosciuto solo gente che faticava per mettere insieme due lire a fine mese).
In seguito mi avrebbero spiegato che, confessando candidamente di venire dal basso, era come se avessi schiaffeggiato il mio pubblico.
Avevo offeso i ricchi, come in una canzone di Dario Fo.

venerdì 1 novembre 2024

Iperwriters - Superman non muore mai

Photo: Rinson Chory on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 58 - Superman non muore mai

Venerdì, ore 13. La nave Iperwriters si augura di poter salvare dall'annegamento quanta più letteratura possibile, e che la fiction, come Superman, non muoia mai. Intendo la fiction creata secondo natura, da un umano/umana o al più da una coppia di umani. Non la fiction da mille e nessun autore (preparatoria all'intelligenza artificiale) da cui siamo alluvionati.
A questo punto occorre aprire un discorso sui generi. All'epoca in cui scrivevo Superman non muore mai il giallo/thriller/noir era in transizione. Ancora ghetto letterario, ma in fase di rivalutazione. In caduta libera nelle collane da edicola, ma appetibile per la distribuzione in libreria.
In quanto a me, mi trovavo nel mezzo di questo movimento ed ero uno degli scrittori di genere (allora pochi) consapevoli che “rompendolo” (così si diceva allora) era possibile ottenere risultati innovativi e alla pari con la scrittura “alta”.
Se io non avevo, secondo certe critiche “costruttive”, esiti stilistici personali, non ne vedevo neppure nella letteratura non-di-genere. Esauriti gli sperimentalismi linguistici, restava un narrare a volte barocco e cacofonico, a volte di una secchezza costruita ad arte, gettata lì con falsa noncuranza e sottilmente arrogante.
Inoltre, nella mia ancestrale ingenuità, ero convinta che solo i poveri praticassero i generi letterari. Poveri erano stati gli scrittori che amo di più: Edgar Allan Poe, Robert Erwin Howard, Jack London, Igino Tarchetti. C'è sicuramente una simpatia naturale fra la povertà e l'horror.
(Va bene, anche i ricchi possono avere la Vocazione, ma allora sono tenuti ad essere come Henry James. E i borghesi? Abbastanza puri di cuore da rinunciare al “lavoro di supporto” ben pagato per vivere di sola editoria.)
Infine, perché scriviamo? Per vendicare i torti subiti, per farci comprendere e amare, per raggiungere con i nostri messaggi chi avremmo voluto vicino al posto di quelli che si sono stati.
I ricchi, protetti dalle offese, supportati e avvantaggiati, buoni comunicatori, che possono raggiungere fisicamente chi vogliono, che bisogno hanno di scrivere? E poi, perché i generi, avendo a disposizione tutto il resto?
Perdonatemi: malgrado il mondo mi costringa ad agire in modi complicati, sono un'anima semplice.

giovedì 31 ottobre 2024

Hate & Love: il romanzo di Mister Noir


Presentazione di Andrea Carlo Cappi 

Quello di Mister Noir è un fenomeno letterario di cui si parla da molto tempo sui media nazionali e che meriterebbe un'attenzione ancora maggiore. Specie dopo vent'anni di successi, appena compiuti e festeggiati con l'uscita del romanzo di Sergio Rilletti Hate & Love, ora in volume e ebook su Amazon da Oakmond Publishing.
Nell'ottobre 2004 Rilletti, autore scoperto qualche tempo prima da Andrea G. Pinketts e da me, pubblicò sulla nostra M-Rivista del Mistero il primo episodio di una serie di racconti thriller-umoristici. Ne era protagonista Mister Noir, detective milanese affetto - come il suo autore - da tetraparesi spastica. Non si può negare che il suo ideatore conosca bene le problematiche relative e che pertanto possa raccontarne la realtà quotidiana dalla stessa sedia a rotelle. Ma, per farlo, ha scelto un linguaggio tutt'altro che buonista.
Rilletti è un grande esperto di thriller, tanto da essere autore anche di una storia per Il Grande Diabolik pubblicata un paio di anni fa. Con Mister Noir (di cui non si sa se questo sia il vero nome o uno pseudonimo) rielabora l'icona del detective privato geniale, eccentrico, burbero e sarcastico, e la abbina a un'assistente giovane e dinamica chiamata Elena Fox. Questa variante moderna di Nero Wolfe & Archie Goodwin di Rex Stout si trova a confronto con vicende che vanno dal giallo al fantastico, ma sempre in chiave ironica e paradossale. L'autore sceglie di divertirci e divertirsi, attingendo a suggestioni della tv anni Sessanta, come Agente speciale e Ironside, e ad altre più recenti come X-Files.

Hate & Love è il primo romanzo lungo su questi personaggio, dopo le novelettes e i racconti già riuniti nel volume Mister Noir, anche quello in cartaceo e ebook su Amazon da Oakmond Publishing. Stavolta l'investigatore e la sua assistente partono da un caso in apparenza impossibile - un liceale sparito da una finestra al quarto piano di casa sua a Milano, mistero che troverà una spiegazione del tutto razionale - per arrivare a una vicenda che coinvolge una setta di streghe in Liguria, sfociando dichiaratamente nel fantastico. La parte conclusiva è una clamorosa battaglia a metà tra lo scontro finale con un cattivo dello 007 anni '60 e Dal tramonto all'alba di Tarantino & Rodriguez, facendo di questo romanzo la storia più "kolossal" della saga.
Tutto ruota intorno a un gioco di ruolo fantasy online chiamato Hate & Love: a chiunque vi partecipi capita qualcosa di molto strano, a partire dall'obbligo di sottoporsi a regole ferree e prove rischiose anche nella vita reale. Data la forte presenza giovanile tra i personaggi, il romanzo è adatto anche a un pubblico young adult, oltre a essere un ottimo punto di ingresso per chiunque voglia entrare nell'universo di Mister Noir.
Ma, ben nascosto dietro l'intrattenimento, rimane un sottofondo molto serio: un protagonista disabile che trascende i propri limiti fisici, dandoci una lezione di vita di cui prendere nota.

e, per chi se lo fosse perso


venerdì 18 ottobre 2024

Iperwriters - Superman è morto

Photo: Eddie Zhang on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 57 - Superman è morto

Venerdì, ore 13. Chiusa la digressione sulle cartolibrerie, la nave Iperwriters riprende la sua traversata.
Volevano far morire Superman, o fingevano di volerlo morto. Non ricordo. Al principio avevo infatti intenzione di intitolare il mio romanzo Superman è morto. Ma gli eroi ascesi al Cielo del mito raggiungono l'eternità, e così i supereroi dei fumetti. Infatti, Superman non sarebbe mai morto nella fiction e il romanzo è stato Superman non muore mai.
Un punto di svolta nel mio percorso professionale. Alle soglie dei quarant'anni non avevo ancora combinato quasi nulla. A quarant'anni oggi si è ancora ragazzi, ma per noi nati negli anni '50 significava sentirsi fuori dai giochi. Non ero la scrittrice che avrei voluto essere. Stavo per abbandonare l'ambizione nutrita da sempre di far parte un giorno della maledetta letteratura italiacana.
Con Superman non muore mai è accaduto qualcosa, una specie di incantesimo. C'è un tempo, in ogni arte o mestiere, in cui si lotta per apprendere, si tenta di riuscire, si fallisce; e dopo ogni fallimento superare la ferita all'autostima e ricominciare è sempre più duro. Questo tempo, lungo o breve, appare interminabile.
E poi c'è un attimo, e a stento ci si crede, un attimo che arriva inatteso, in cui la tecnica che prima non potevamo padroneggiare diventa qualcosa come una seconda natura. Lo sforzo c'è ancora, ma come quello di un atleta che si impegna a fondo, e nell'esecuzione sperimenta leggerezza e felicità. Sentire di essere riusciti a fare quello che si voleva in un lavoro creativo è la gioia più rara che esista al mondo.
Superman non muore mai non è un'opera perfetta, e per le edizioni più recenti ho ripulito e lucidato la struttura e apportato alcuni modifiche. Ma è la prima opera veramente mia. E per mia intendo che poteva essere ideata e scritta soltanto da me, e non da altri. Da esperienze soltanto mie, ruminate e trasformate soltanto a modo mio.
Dopo questo inizio comincia per me il decennio migliore, dalla metà degli anni '90 fino al 2005 circa. Divento una fucina che consuma entusiasticamente libri, film e serie televisive, elabora spunti, idee, proigetti. Alcuni dei quali portati a compimento.
Fare quello che si vuole con gli elementi della fiction, come un giocoliere con i suoi strumenti, è inebriante.

martedì 15 ottobre 2024

Il trafficante di Manila


Recupero di Andrea Carlo Cappi

Un gruppo di avventurieri si lancia in una caccia al tesoro: tre milioni di dollari in lingotti d'oro nascosti nella base militare sull'isola di Corregidor, al largo di Manila, contesa durante la II guerra mondiale tra statunitensi e giapponesi. Sono passati oltre vent'anni dalla fine del conflitto e l'unico a conoscere l'ubicazione esatta dell'oro è morto da tempo; ma Pat Morrison (Burt Reynolds) americano che vive di espedienti a Manila, riesce a localizzare quattro ex soldati - Jesús, Draco, Hansen e Trev - che, insieme, possono ricostruire il percorso fino al tesoro nella galleria sotterranea in cui è stato occultato prima dell'arrivo dei nipponici.
Film interessante, anche se non del tutto riuscito: forse la svista maggiore è una scena di apertura che vorrebbe essere comica, in una riserva indiana negli USA: uno degli ex soldati è l'apache Draco, che sogna di ritrovare a Manila una fiamma del tempo di guerra e per questo abbandona la sua donna in patria (nel corso della vicenda ritroverà la ragazza dei suoi sogni che però, senza voler fare body shaming, nel frattempo ha acquisito la stessa taglia della consorte Native American).
Dopo questo avvio fuorviante, pur senza elevarsi al di sopra del B-movie, Il trafficante di Manila (1969) imbocca i binari del caper (cioè una storia imperniata su un "colpo") con tutte le difficoltà impreviste che i personaggi devono affrontare, da cui il titolo originale Impasse.


Lo stesso Morrison è piuttosto imprudente: per cominciare è l'amante di Mariko, graziosa moglie giapponese di Jesús, membro filippino del gruppo di ex militari; oltretutto l'americano si innamorerà della signorina Bobby Jones (Anne Francis), tennista professionista giunta a Manila per un torneo e figlia di Trev, che si è fatto credere morto per non rovinarle la vita. E, da qui, tutto cio che può andare storto, andrà storto. Hansen viene arrestato dopo una rissa. Trev, colto da un attacco di cuore mentre assiste di nascosto a un match della figlia, appena è fuori pericolo viene sequestrato dal subdolo giornalista Wombat, che ha scoperto i suoi segreti e chiede un riscatto.
Sicché occorre organizzare l'evasione di Hansen e il salvataggio di Trev, occasione per Burt Reynolds di esibirsi in inseguimenti a rotta di collo per le strade della città e scazzottate acrobatiche. Nel contempo Hansen, razzista, farebbe volentieri a meno di trovarsi in squadra con un apache e un filippino, e dà origine a ulteriori tensioni. Morrison però riesce a farsi dare le istruzioni da Trev e insieme agli altri tre raggiunge l'isola di Corregidor per infiltrarsi nella base, controllata dell'esercito filippino, e andare alla ricerca del tesoro. Ma un nuovo impasse rimette tutto in discussione: il colpo va riprogettato e, la seconda volta, risulterà ancora più rischioso della precedente.
Si sa che ho un debole per le trame di questo genere, quindi - anche se non siamo di fronte a un capolavoro - consiglio la visione di questo film agli appassionati del caper, ai/alle fan di Burt Reynolfds e ai cultori delle produzioni cinematografiche realizzate nelle Filippine, di cui si vedono scorci di fine anni Sessanta. Per la cronaca, l'ho recuperato di recente in dvd in Spagna, ma mi risulta che sia reperibile anche in Italia.








martedì 8 ottobre 2024

Solo chi cade può risorgere


Recupero di Andrea Carlo Cappi

Mi sono sempre domandato come, per questo classico del noir statunitense, si sia arrivati a un titolo così magniloquente come Solo chi cade può risorgere, partendo da quello originale, difficilmente traducibile, Dead Reckoning: il termine significa "navigazione stimata" e indica la posizione di un natante o un aereo valutata in base a una posizione certa precedente, alla direzione e alla velocità; ma alla lettera suona come "calcolo a morto" e si presta a macabri doppi sensi; ed è stato impiegato come sottotitolo per l'episodio di Mission: Impossible del 2023, di cui si attende la seconda parte.
Presentato in anteprima a San Francisco il 31 dicembre 1946, distribuito negli USA nel gennaio successivo e approdato un po' alla volta nel resto del mondo, il film che vede in scena la coppia Humphrey Bogart-Lizabeth ha assunto in traduzione una varietà di titoli quali in Francia En marge de l'anquête ("A margine dell'inchiesta") in Francia, in Spagna Callejon sin salida ("Vicolo cieco", poi riciclato anche per Il trafficante di Manila del 1969), in Messico Mujer maldita ("Donna maledetta"). Quello usato in Italia, dove risulta uscito il 19 febbraio 1948, è sicuramente il più originale e memorabile.
A parte le osservazioni da traduttore, ho rivisto con piacere questo film dopo decenni e per la prima volta in lingua originale, su un dvd della Sinister Film datato 2017 (anche con audio in italiano e sottotitoli), con l'indiscutibile vantaggio di non ricordare come andasse a finire.


Siamo appena dopo la fine della Seconda guerra mondiale. In una cittadina statunitense (di fantasia) chiamata Gulf City un uomo corre sotto la pioggia, sfuggendo alle auto della polizia e forse a qualcun altro. Si rifugia in una chiesa cattolica, dove scorge il parroco a colloquio con un cappellano militare ancora in uniforme, rimpatriato da poco. Il fuggiasco (Humphrey Bogart) ha bisogno di parlare con qualcuno e decide di confidarsi con il cappellano. Ha inizio un lungo flashback, con la voce fuori campo di Bogart che rimanda alla narrazione in prima persona del romanzo noir di quegli anni, benché il film sia basato su un soggetto originale per il cinema.
Apprendiamo che l'uomo in fuga si chiama Warren "Rip" Murdock, da civile titolare di una compagnia di taxi a St. Louis, in guerra capitano dei paracadutisti. Lui e il sergente Johnny Drake (William Prince), oltre che amici, erano un duo inarrestabile oltre le linee nemiche; e, per evitare che si parli di omosessualità inconfessata, il capitano è un donnaiolo impenitente mentre il sergente è rimasto fedele al ricordo di una ragazza rimasta in patria, legato alle note di una canzone. Pochi giorni prima, i due militari sono stati riportati di fretta negli USA dall'Europa, senza che venisse loro rivelato il motivo. Finché, su un treno per Washington, hanno appreso che il giovane sergente stava per ricevere una medaglia al valore del Congresso. A questa notizia, alla prima occasione Johnny si è dato alla fuga, facendo perdere le proprie tracce.
Rip, incaricato informalmente di rintracciarlo, ha intuito che Johnny si fosse arruolato sotto falso nome per nascondere qualcosa del proprio passato, che sarebbe riemerso appena fossero state pubblicate sui giornali le sue foto come eroe di guerra. il primo indizio è la medaglietta dell'Università di Yale, da cui il sergente non si separava mai. Da qui il capitano è risalito al vero nome, J. J. Preston, e all'ultimo indirizzo, a Gulf City, nel cui unico albergo degno di tale nome ha trovato un messaggio firmato con il grido di guerra dei paracadutisti: Jeronimo: Il giovane sapeva che Murdock lo avrebbe cercato.


Ma Johnny non si fa vivo. Il capitano prova a controllare in obitorio la presunta vittima di un incidente stradale, ora carbonizzata: riconosce tra gli oggetti personali la medaglietta di Yale. Dai giornali locali delle settimane precedenti all'arruolamento del giovane scopre che Johnny Preston era ricercato per l'omicidio del ricco signor Chandler, a causa di una donna: la signora Coral Chandler (Lizabeth Scott), ex cantante di un night-club; fra i testimoni, un cameriere del locale. 
Rip rifiuta di credere che l'amico sia un assassino. Va a parlare con il cameriere, scopre che Johnny ha lasciato a quest'ultimo un messaggio per lui, ma non riesce a farselo consegnare. Ci si mettono di mezzo il proprietario del club Martinelli (Morris Carnovsky) e il suo braccio destro Krause (Marvin Miller), ma soprattutto l'apparizione di Coral, che viene invitata a esibirsi nella canzone che aveva conquistato Johnny, Either it's love or it isn't. Per quanto sospettoso nei confronti di lei, Rip non può che restarne affascinato. Quando il mattino dopo si risveglia in albergo con un cadavere nella stanza, non gli resta che chiedere l'aiuto di Coral per uscire dalla situazione, nella speranza di dimostrare quantomeno l'innocenza dell'amico.
Non racconto altro di questa storia decisamente noir, con qualche concessione alle regole di Hollywood. C'è una punta scherzosa di maschilismo in Rip Murdock, che lui stesso smentisce quando riconosce il coraggio di Coral, intrappolata di fatto in un mondo in cui sono certi uomini a dettare le regole, spesso con l'inganno e con la violenza. Si potrebbe notare anche che i personaggi collegati alla malavita hanno cognomi italiani, il che a dire il vero capitava spesso nella realtà di quegli anni. Ma colpisce il contrasto tra chi è andato in guerra e ne è rimasto segnato, e la realtà in patria dove invece tutto è rimasto come prima: la testimonianza di un'epoca, una volta di più attraverso una storia noir.



 

Il corpo (2024)

  Recensione di Andrea Carlo Cappi English version In Italia, negli anni '70, si chiamava "thrilling" ed è un piacere ritrovar...