venerdì 25 agosto 2023

Iperwriters - Stress professionale

Photo: Venti Views on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 28 - Stress professionale

Venerdì, ore 13.
Sono, come dicevo, nel ghetto dei fumettisti, circondata da meravigliosi artisti tanto al di sopra di me. Da non crederci, vero? Oggi che il fumetto popolare boccheggia come un pesce nella plastica, oggi che esiste solo il fumetto d'arte di nicchia o d'élite, pare che stia parlando del Giurassico. Eppure.
Ero un'artigiacana, un falegname di parole e immagini.
Non mi ha consolata, in seguito, vedere quelle stesse persone che avevano preso un albo a fumetti con due dita e subito lo avevano posato, per manifestare in quanto poco conto lo tenessero, convertirsi al culto di questa o quella testata di comics. Né veder arrivare seconde e terze ondate di sceneggiatori, perché erano sempre più sottopagati e di conseguenza sarebbero stati ridotti anche i miei guadagni. Né vedere sorgere scuole su scuole di fumetto mentre l'editoria, la sola che poteva garantire compensi dignitosi, si restringeva come un calzino in modo inversamente proporzionale.
Come creare spazio per gli acculturati di massa? Rendendoli dilettanti, cioè artisti. Ora, gli artisti hanno il tormento e l'estasi. Gli artigiani, che sono professionisti, hanno soltanto lo stress. Scrivere per vivere è un lavoro logorante. Cominciavo a sperimentare crisi di saturazione, e uno dei miei metodi per superarle era cambiare. Una nuova proposta, una nuova collaborazione mi ricaricavano.
Gli artisti (e anche tutti gli altri) mi chiedevano: Come fai a fare tante cose diverse? Come fai a passare da Topolino a Oltretomba e Terror (testate horror della Ediperiodici per cui stavo cominciando a scrivere)? Non sapevano spiegarselo, e quello che non si spiega non esiste. Io cercavo di spiegarlo dicendo: "È il mio lavoro."
Ma questa pluralità immaginaria, questa capacità di suonare diversi strumenti, la comprende solo chi, come me, è pourri (per usare un'espressione francese), marcio di fiction.
Credevo che essere poliedrici fosse un merito da ricercare e utilizzare. Mi sbagliavo. Era richiesta un'unica storia, un'unica voce, un unico stile. Specializzarsi in un unico genere e in un unico modo di scriverlo, badando bene a ricercare una routine (ma fingendo originalità), evitando quelle variazioni che rendono sopportabile una narrativa già omologata fino alla nausea.
Niente poliedri, troppa fatica leggerli. Una lastra piatta cancellabile.

venerdì 11 agosto 2023

Iperwriters - Artisti e artigiacani

Photo: Anil Reddy on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 27 - Artisti e artigiacani

Venerdì, ore 13. Come ho detto sceneggiavo di tutto, o quasi. Ma qual era la mia posizione sociale, o come socializzavo il mio lavoro, che poi è la stessa cosa? La risposta è semplice e prevedibile per chi mi conosce bene: non avevo nessuna posizione.
Intendo che restavo unica e gli altri mi giravano intorno senza partecipare della mia dimensione. Frequentavo un ambiente di radical chic che mi sottovalutavano e mi trattavano con sufficienza, falsa cortesia, curiosità maliziosa, e sempre come un'eccentrica, a volte irritante e a volte divertente. Alcuni avrebbero voluto cimentarsi nella sceneggiatura, ma solo per un periodo limitato di tempo. Nessuno, nessuno, nessuno di loro avrebbe mai svolto questo lavoro in via prioritaria e definitiva. Avevano altro a cui mirare. Master all'estero, giornali a cui accedevano con sconcertante facilità, carriere universitarie che parevano preparate da sempre. I meno ricchi di famiglia aspiravano comunque a uno stipendio sicuro e regolare.
Nella prima parte degli anni '80 il fumetto era veramente un ghetto. Potete valutare voi stessi da questa scena: sono su un autobus, con un disegnatore che lavora per il mio stesso studio, e parlando delle motivazioni che lo hanno portato lì dice: "Lo faccio per non andare in fabbrica". Queste parole mi si sono stampate in mente, perché anch'io lo facevo per non andare dove volevano gli altri.
Ma certo! Da che mondo è mondo ci si riscatta dalle caste subalterne solo con l'arte della boxe, o con l'arte e basta. Ma non era arte, quella che facevamo noi fumettari. Il mondo non era più quello che doveva essere da che mondo è mondo.
Nella mia città, in Italia, in Europa, in Occidente tutti stanno diventando artisti. Tutti scrivono, dipingono, fanno teatro, cinema, poesia, danza, recitazione e tutto quello che le povere Muse (mai così tanto al servizio di così tanti) possono ispirare. E tutti questi artisti, aerei e rarefatti, sono in alto, tanto tanto più in alto di me.
Io sono un'artigiana, anzi un'artigiacana.
Avevo creduto che il fumetto fosse narrazione, e la narrazione fosse propedeutica ad altre forme di espressione artistica. Mi sbagliavo.
Tutti quegli artisti erano “sperimentali” e snaturavano cinema e poesia, frantumavano il teatro, vaporizzavano la letteratura.
Distruggevano la narrazione.


giovedì 27 luglio 2023

Iperwriters - Libero porno in libero stato

Photo: Nazarizal Mohammad on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori


Letteratura italiacana - 26 - Libero porno in libero stato

Venerdì, ore 13.
In agenzia mi chiedono se “ho problemi di carattere morale a sceneggiare fumetti porno”. Alzo le spalle, sorrido e rispondo di no. Già mi giudicavano (come tutti del resto) enigmatica, ma ora divento un mistero vivente.
È doverosa una spiegazione. Togliendo la Caritas, la raccolta fondi per le malattie rare, gli enti benefici e l'obbedienza del buon cittadino (soprattutto nel pagare le tasse), a quale chiodo si possono attacare principi morali nel mondo contemporaneo? E la pornografia, caramellata e ammiccante, non viene forse largamente diffusa dagli attuali mezzi di comunicazione?
Ma non si trattava solo di dare cinicamente alla gente quello che la gente vuole.
Nel mio quartieraccio ero stata mitragliata e bombardata di pornografia fin dalla più tenera età. Barzellette sconce su omosessuali e ragazze incinte, allusioni bavose, smorfie, battute e occhiate. Ogni minimo discorso che uscisse di bocca veniva sessualizzato. Ogni parola innocente che ti usciva di bocca veniva parafrasata in sesso. A nove anni sono stata informata che “se tuo marito non lo mette nella tua cosa te lo mette in bocca”. Non da un maschiaccio sogghignante, ma da una bambina della mia età.
Allora, rendiamo questa pornografia sincera, portandola a galla dal groviglio di bisce nel fango in cui tutti si sta affogando.
Ma, ancora, c'è di più. Una rivalsa, una inevitabile reazione alla diseducazione ricevuta. Una specie di divertimento intellettuale vendicativo nell'idea di vendere la stessa merce (alquanto modificata e, direi, perfino nobilitata) a quelle stesse persone che me l'avevano tirata addosso gratis. Stavo facendo quello che si chiama cavalcare la tigre, anche se non conoscevo ancora l'espressione, né il suo significato.
Allora non sapevo, non potevo spiegare tutto questo: in agenzia non avrebbero capito. Chiedendomi se avevo problemi morali, intendevano verificare se fossi cattolica praticante.
Erano tutti stupefatti, scandalizzati e quasi ammirati dal talento con cui sceneggiavo porno. Era un lavoro facile. Vorrei che i VHS prima e la digitalizzazione poi non avessero mai ammazzato quella meravigliosa fonte di guadagno.
Lavoravo tre ore senza ammazzarmi di fatica, poi con Max una passeggiata in una sera d'estate, pizza e cinema.
Erano giorni felici.


venerdì 14 luglio 2023

Iperwriters - Cannibalismo

Photo: Andreas Dittberner on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 25 - Cannibalismo

Venerdì, ore 13. Un piccolo aneddoto per animare la navigazione.
L'agenzia mi affre l'opportunità di una collaborazione con la testata Topolino, allora gestita da Mondadori. Sono felice, ma anche in preda all'ansia da prestazione. Insomma, devo giocarmela bene.
E il soggetto viene approvato: L'avaraccio di Paperin di Paperinière. Avevo scelto una parodia di Molière, e l'avaro era ovviamente Zio Paperone. Procedo alla sceneggiatura. Viene approvata e pagata, ma con una serie di note critiche, fra le quali mi si rimprovera il cannibalismo di Paperino.
Sono costernata. Che cosa ho fatto? In una vignetta Paperino è a tavola con i nipotini e mangia un pollo. Un papero non può mangiare un altro animale da cortile bipede.
Ora, io ero cresciuta con il Topolino degli anni '60, e avevo amato immensamente le storie di Romano Scarpa e di altri autori italiani, che erano film d'avventura hollywoodiani arricchiti da invenzioni sfolgoranti e parodie di classici che ne restituivano lo spirito trasformato in divertimento puro. Conoscevo le censure per sceneggiatori Disney: niente politica, sesso, morte, malattie. Ma nelle vecchie storie certi argomenti venivano sfiorati. In Topolino e la collana Chirikawa il nostro eroe viene rapito in culla, rimuove il trauma e da grande soffre di vertigini. Inquietantissima la scena del rapimento. In Topolino e l'imperatore della luce partono alla ricerca di uno zio di Pippo scomparso in Africa e lo ritrovano pazzo. In Paperino e il Misterioso mister Moster Paperino viene clonato da uno scienziato pazzo e Archimede uccide il clone con un'iniezione letale.
Giurerei di aver visto paperi a pranzo con cosce di pollo in mano, ma non saprei dire in quale storia, in quale pubblicazione, in quale anno. Non mi era sembrato di peccare ripetendo quello che avevano fatto sceneggiatori migliori di me. In seguito, negli anni '90, collaborando con la Disney Italia, ho avuto problemi solo quando mi ispiravo ai grandi sceneggiatori del passato, nelle idee e nel linguaggio, troppo crudi per le nuove morbidezze richieste dal mercato per bambini.
Insomma, il primo contatto con una testata mitica con cui ero cresciuta è stato decisamente traumatico.
Ma avevo soltanto cannibalizzato me stessa, il serbatoio di immaginario disneyano della mia infanzia.



mercoledì 5 luglio 2023

La solitudine del Minotauro - Francesco G. Lugli


Recensione di Andrea Carlo Cappi

A Milano, nella prima metà degli anni Dieci del XXI secolo, all'incirca due volte l'anno - e sempre in corrispondenza dei principali eventi legati alla moda - vengono commessi misteriosi delitti che lasciano vittime spaventosamente mutilate. "Serial killer", diranno a questo punto lettrici e lettori (e uno dei personaggi) che ormai credono di averle già viste tutte. No, qualcosa di ben più complesso e, se vogliamo, non insolito nella narrativa thriller, ma forse mai trattato con pari efficacia. In ogni caso, quando si offre a qualcuno la possibilità di uccidere impunito, finisce che costui (o costei) ci prova gusto e si lascia prendere appena un po' la mano.
Sicché la Questura deve organizzare una squadra per dare la caccia ai cosiddetti "Cannibali", che non sono realmente tali, né membri di un noto movimento letterario di un paio di decenni fa. Ma scordatevi anche i commissari paciosi che spesso appesantiscono di colesterolo e trigliceridi la narrativa italiana di genere. Pensate a una versione molto più realistica e contemporanea degli sbirri del poliziottesco. E immaginate che, di fronte a una struttura criminale pericolosamente organizzata, nemmeno gli agenti - uomini e donne - possano sentirsi al sicuro. Anzi, rischino di diventare loro stessi i primi della lista, i bersagli più appetibili.


Ci sono due validi motivi perché io recensisca questo libro: primo, perché è un thriller assolutamente notevole e, secondo, perché l'autore non è solo un amico, ma uno scrittore che seguo da una dozzina d'anni con estremo interesse, tanto da averlo coinvolto in tre mie antologie dedicate al noir milanese: Un giorno a Milano e Una notte a Milano (edite nella stessa collana, "Calibro 9", sotto un altro marchio dello stesso editore) e Menegang (Borderfiction Edizioni). Questo romanzo riprende proprio i fili delle storie pubblicate nelle prime due, che infatti all'epoca Francesco G. Lugli mi aveva assicurato essere solo i prodromi di una vicenda più estesa.
Ebbene, di solito di un thriller italiano particolarmente riuscito si dice che "non ha nulla da invidiare a quelli americani". In questo caso potremmo dire che parecchi thriller d'oltreoceano hanno molto da invidiare a La solitudine del Minotauro. Se questa storia - peraltro sotto molti aspetti tipicamente milanese - non fosse stata ambientata in Italia bensì in una metropoli degli USA, l'editor avrebbe costretto l'autore ad aggiungervi duecento pagine di lungaggini inutili e violenza gratuita (mentre qui si trova solo quella necessaria) temperata da buonismi superflui e sterotipi consunti.


Ne La solitudine del Minotauro invece non c'è né tempo né spazio per i déjà vu. Quando se ne avvicina uno, è lo stesso protagonista e capo della squadra - Remo Giorgi detto "il Minotauro" - ad allontanarlo a calci. Proprio per questo Lugli si può permettere anche di sfruttare, in modo originale, espedienti cinematografici come qualche situazione classica dello psychothriller (completamente ribaltata) o il freeze frame con la "scheda" di un personaggio (di scuola tarantiniana). Il tutto con quel gusto tipicamente europeo, ma poco diffuso in Italia, di imparare i trucchi dei maestri americani, farli propri e riutilizzarli in una trama scevra da certe ingenuità hollywoodiane. Per chi poi ha frequentato gli stessi bar, c'è anche la nostalgia di ritrovare sotto forma di personaggi un paio di amici che non sono più tra noi.
Quindi un thriller che ci riporta al vero noir milanese della mediaticamente dimenticata ma mai davvero sopita Scuola dei Duri di Andrea G. Pinketts, con un autore che riconferma le sue capacità dopo il pregevolissimo noir Il risveglio della notte di qualche anno fa (sempre nella collana "Calibro 9"), senza dimenticare il surreale Il Codice Beatles scritto con Ferruccio Gattuso e riapparso recentemente da Excalibur o la graphic novel Sindrome 75 concepita con Gian Luca Margheriti (anch'essa edita da Excalibur).


Prima presentazione a Milano: Admiral Hotel, v. Domodossola 16, mercoledì 5 luglio ore 19.15 (Borderfiction Eventi, ingresso libero).





venerdì 30 giugno 2023

Iperwriters - Sol Levante

Photo: andy II on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori


Letteratura italiacana - 24 - Sol Levante


Venerdì, ore 13. Nel mio primo anno da sceneggiatrice lavoro per le stesse testate di fumetti che leggevo alle elementari. Più tardi, avrei lavorato per la Disney perché da piccola avevo letto i fumetti Disney. Gli etologi lo chiamerebbero imprinting. Ma da tutta o quasi la fiction esistente avevo ricevuto l'imprinting.
Lavorando per un'agenzia potevo accedere a tutta o quasi l'editoria a fumetti, senza dover affaticarmi a viaggiare, propormi e rendermi simpatica. Durante la prima parte degli anni '80 ho scritto un po' di tutto e un po' per tutti. Mi è stato chiesto un soggettone per una dozzina (o ventina) di episodi dell'adattamento a fumetti di Candy Candy per la Fabbri (purtroppo non riesco a ritrovare gli albi e non ricordo i titoli, ma ho ancora le fatture relative). I cartoni giapponesi erano sbarcati nelle tivù italiane.
Ho sempre provato una forte attrazione per il Giappone, quasi un'appartenenza ideale. Il Sol Levante antico, ma anche quello moderno, che ha saputo ricrearsi dopo la seconda guerra mondiale, dopo la bomba atomica, la tragedia di Mishima e di una casta di intellettuali suicidati, procedendo a balzi in pochi decenni quello che l'Occidente ha percorso in secoli. Con risultati spesso stupefacenti e scintillanti. Negli stessi anni di Candy Candy guardavo i film di Kurosawa e Oshima. E oggi, i manga sono le vere anime del fumetto.
In tutto questo tempo abbiamo assistito alla diffusione della fiction orientale, soprattutto nel camo delle arti visive. Ad ogni film che guardo ritrovo l'immaginario occidentale: è più evidente nell'horror, nel gotico e nella ghost story, ma si possono ritrovarne le orme anche negli altri generi. Naturalmente, un immaginario occidentale mutante, reinventato, estremizzato e raffinato, sempre più sincero e trasparente.
Di recente ho visto un documentario sulla fine del Giappone imperiale: senza la bomba la guerra non sarebbe finita tanto presto, e i giapponesi sarebbero rimasti schiavi di credenze barbare e superstiziose. Come credere a un figlio di Dio, per esempio (come se in Europa non ci avessero creduto mai). A un imperatore che riceve un'investitura sacra dalla dea solare Amaterasu. Una dea? Sì, sempre divino è, c'è parità di genere.
Fose per questo mi sento affine ai popoli orientali. Perché mi pare che a loro la sola cosa che piaccia dell'Occidente sia l'immaginario.
Tutto quello che resta, se il sole è spento.


domenica 25 giugno 2023

Spy Game incontra Andrea Carlo Cappi - 2

Di Marino e Cappi all'Università Statale di Milano, 2010

Spy Game incontra...

Seconda parte dell'intervista ad Andrea Carlo Cappi, nell'ambito degli incontri con autori e autrici della collana in ebook Spy Game - Storie della Guerra Fredda di Delos Digital. Dopo il percorso dello scrittore nell'ambito della spy story, vediamo ora le sue attività in altri campi della narrativa.

Andrea Carlo Cappi, autore di molti generi

SG: La maggior parte della tua produzione sembra imperniata sullo spionaggio. Ma quale etichetta ritieni più adatta al tuo lavoro?

ACC: Cronologicamente, la prima è "giallo", dato che sono emerso dall'anonimato con i miei primi racconti su Il Giallo Mondadori. Il mio esordio ufficiale, anche se stavo già lavorando "nell'ombra" da un paio di anni, fu un mystery con protagonista Ernest Hemingway in appendice al Giallo Mondadori, uscito a metà ottobre del 1993. Poi, sempre in appendice al Giallo, seguirono le prime storie con il Cacciatore di Libri, detective bibliofilo milanese, mentre quelle con Carlo Medina - a partire da Milano da morire - apparvero sugli speciali stagionali.
Anche se spesso viene dimenticato, buona parte della mia produzione iniziale e una quota di quella dei trent'anni successivi rientra nella categoria "giallo milanese": ho fatto parte della Scuola dei Duri fondata da Andrea G. Pinketts, sia partecipando all'antologia-manifesto Crimine - Milano giallo-nera, sia frequentando attivamente il gruppo che si era creato all'epoca. Con i romanzi su Toni Black mi rifaccio invece alla novela negra spagnola.
Per quanto il termine "giallo" sia spesso identificato con il solo "giallo classico", in realtà è una definizione più estesa, che include tanto il "noir" quanto la spy story. Dato però che negli anni mi sono occupato anche di altri generi, alla fine per la mia produzione ho adottato anch'io la definizione prediletta da Stefano Di Marino: "narrativa popolare".

Dal 4 luglio 2023 in volume e ebook


SG: Infatti hai scritto anche fantascienza, horror, romanzi storici...

ACC: ... e a volte commistioni tra generi. Alcuni racconti con il Cacciatore di Libri si avvicinano al fantastico. La serie di racconti e romanzi brevi con Antonio Stanislawsky unisce fantascienza e giallo. La saga Danse Macabre, ispirata ai fumetti italiani di vampire degli anni Settanta, mescola horror, erotismo, urban fantasy, thriller, persino con un tocco di spy story. Ma anche nei "sexy-thriller" scritti a quattro mani con Ermione siamo di tanto in tanto sconfinati nella fantascienza, come nella novelette Nuova carne, ora presente nella nostra antologia Neri amori, o nel romanzo LUV.
Quanto alle mie incursioni nella narrativa storica, Rochester è di fatto un giallo imperniato sull'omonimo poeta inglese (lo stesso poi portato sullo schermo in The Libertine) mentre Il Visconte/La spia del Risorgimento nasce come saga di spionaggio nell'Ottocento. Purtroppo, dopo l'improvvisa scomparsa dell'amico e co-autore Paolo Brera nel 2019, sarà impossibile proseguirla: mi sono limitato a un racconto con lo stesso protagonista nell'antologia Come d'Arco scocca. Tuttavia è in arrivo, nell'autunno 2023, un altro mio romanzo storico: Il ponte sospeso.

Neri amori di Cappi & Ermione

SG: Sei noto anche per i tuoi romanzi su personaggi dei fumetti, da Martin Mystère a Diabolik ed Eva Kant.

ACC: Sì. A Mystère, oltre ad alcuni racconti, ho dedicato un serial online, sette romanzi - uno dei quali ha vinto nel 2018 il Premio Italia come miglior romanzo fantasy del 2017 - e i serial che da due anni escono in appendice agli albi mensili del fumetto. Sono tutte storie originali legate alla continuity del personaggio. Quindi nel luglio 2023 escono in edicola la riedizione de L'ultima legione di Atlantide (già pubblicato in libreria nel 2014) e il primo episodio di un nuovo serial, Le Tavole del Destino, in appendice all'albo n. 401, illustrato come il precedente Zona Y da Carlo Velardi.
Per quanto riguarda Diabolik ed Eva Kant, sono protagonisti di quattro romanzi originali e delle mie novelization dei recenti film. Ma nel luglio 2023 sullo speciale estivo Il Grande Diabolik esce un mio racconto originale illustrato da Giuseppe Palumbo con protagonista King, personaggio fondamentale dell'universo di Diabolik, che appare anche nell'imminente terzo film dei Manetti bros.

Il romanzo di Martin Mystère del 2022

SG: Com'è scrivere storie con personaggi ideati da altri, in questo caso Alfredo Castelli  e le sorelle Giussani?

ACC: In un certo senso, non è diverso dallo scrivere di personaggi miei, a parte la responsabilità di non deludere le aspettative del pubblico che li conosce, li segue e li ama da decenni. Ma è la stessa prova che affrontano con successo, mese dopo mese, tutti coloro che lavorano alle sceneggiature per le storie a fumetti. Una volta che si entra, per così dire, nella mente dei personaggi, si riesce a scrivere qualcosa di personale, senza però tradirli.
Ma anche scrivere una novelization - nel caso particolare dei film dei Manetti bros., di storie nate a fumetti e poi trasposte al cinema - richiede un forte intervento creativo. Una buona novelization non può essere una banale trasposizione di dialoghi e azioni: dev'essere un vero e proprio romanzo, in cui vanno approfonditi anche aspetti assenti sullo schermo, ma necessari per un libro.

Diabolik: la seconda novelization

SG: Per concludere, un tuo ricordo di Stefano Di Marino, ideatore della collana Spy Game oltre che grande autore di "narrativa popolare".

ACC: Non è facile riassumere in poche parole venticinque anni di lavoro e amicizia, e di scambi di opinioni quasi quotidiani. Stiamo parlando di una figura inarrivabile e insostituibile, che non è stata mai riconosciuta come meritava. Ha vissuto nel paradosso di essere l'autore italiano di maggior successo nel campo del thriller senza che nessuno lo dicesse mai, nel continuo tentativo, alla lunga riuscito, di farlo scomparire. Ma chi scrive, come dico sempre, non sparisce mai, finché si riesce a mantenerne la presenza con i suoi libri. Nel suo caso, anche con i premi: il Premio Stefano Di Marino di Segretissimo Mondadori, in cui sono uno dei giurati, e il Premio Il Prof, associato al Premio Torre Crawford, di cui presiedo io stesso la giuria.

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Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...