giovedì 22 giugno 2023

Spy Game incontra Andrea Carlo Cappi - 1

A. C. Cappi sulla Ku-Damm, Berlino, 2009 (foto: V. Paggi)

Spy Game incontra...

Dopo il veterano Enzo Verrengia e l'esperto Giovanni Ingrosso, in questa serie di interviste alle firme della collana in ebook Spy Game - Storie della Guerra Fredda di Delos Digital incontriamo stavolta un autentico attivista della narrativa di spionaggio italiana: Andrea Carlo Cappi, ben noto al pubblico di Segretissimo Mondadori con il suo nome per i romanzi e i racconti della serie Medina e con lo pseudonimo (da tempo confessato) "François Torrent" per le serie Nightshade e Sickrose. Oltre a essere uno dei membri più attivi della cosiddetta "Legione Straniera" della spy story italiana, ha ereditato il ruolo di curatore della collana Spy Game dal suo ideatore Stefano Di Marino, che nel 2019 lo aveva reclutato come autore. In questa prima parte parliamo dunque della spy story secondo Cappi, mentre nella seconda esploreremo i suoi altri percorsi nell'arco di oltre trent'anni di carriera.



Andrea Carlo Cappi, lo "storico" delle spionaggio

SG: Parlaci innanzitutto dei protagonisti della serie che scrivi per Spy Game.

ACC: Miguel Torrent e Manuel Weissmann sono due personaggi diversi tra loro, che nel 1947 in Spagna si trovano a collaborare con l'MI6: è il loro handler, l'agente britannico Miles Harker, a riunirli nella squadra "Dark Duet", nome ripreso dal titolo di un romanzo di Peter Cheyney di quegli anni.
Miguel Torrent, le cui origini sono state raccontate in alcune storie raccolte nel volume Dossier Contreras, è nato a Maiorca e ha militato come repubblicano a Barcellona durante la Guerra Civile spagnola. Ma le manovre dei servizi segreti russi lo costrinsero a fuggire in Francia, dove durante la guerra fu reclutato da Harker e rimandato in Spagna come spia. In queste circostanze incrontrò Leni Schneider, che riappare negli episodi di Spy Game.
Manuel Weissmann - ispirato a una persona vissuta realmente - è nato invece vicino a Cordoba da padre tedesco e madre spagnola; nonostante l'aspetto poco iberico, è cresciuto tra flamenco, corride e cultura gitana. Arruolato suo malgrado nell'Abwehr, il servizio segreto tedesco, e stato distaccato in Francia durante il conflitto, ma dopo la liberazione di Parigi è passato dalla parte degli Alleati, nella persona di Harker.
Nella Spagna del dopoguerra entrano in gioco molti fattori: la dura repressione dei movimenti antifranchisti da parte del regime, il conflitto tra gli interessi occidentali e quelli sovietici, ma anche i nazisti che qui hanno trovato rifugio alla caduta di Hitler. Siamo all'alba della Guerra Fredda, eppure scottano ancora le ceneri della Guerra Civile spagnola del 1936-39 e della Seconda guerra mondiale scoppiata subito dopo, che nel 1945 ha portato alla divisione dell'Europa in due blocchi contrapposti. Torrent e Weissmann devono quindi fare i conti con le ombre di un passato molto vicino che influenzano il loro presente.
A differenza di altre uscite di Spy Game, costituite da episodi autoconclusivi o miniserie, quella di Torrent e Weissmann è una continuing story in cui ogni episodio comincia dalla fine del precedente.


SG: Il cognome Torrent lascia pensare che Dark Duet si ricolleghi a tutto il tuo universo narrativo noir-spionistico, che riunisce le serie Medina, Nightshade, Sickrose e Black.

ACC: Possiamo dire che in buona parte Dark Duet sia addirittura all'origine del cosiddetto "Kverse": la prima idea di questi personaggi risale al 1991 e a un progetto cui lavorai per gli Oscar Mondadori l'anno successivo, ma che venne abbandonato quando l'editor Stefano Magagnoli si trasferì in un'altra area. Quindi il progetto è anteriore anche alla comparsa nel 1994 di Carlo Medina, il primo protagonista di questo universo a essere stato pubblicato.
Paco Torrent, il personaggio che appare nella serie Nightshade e da cui ho ricavato il mio pseudonimo, è il nipote di Miguel Torrent. Quando cominciai a scrivere per Segretissimo nel 2001, ragionavo in base al mio progetto del decennio precedente: realizzare una grande saga spionistica che partisse dalla Guerra Civile spagnola per arrivare ai giorni nostri.


SG: A questo proposito, dal 1997 con Ladykill, il romanzo sul caso Diana Spencer con protagonista Carlo Medina, ma ancora di più dal 2002 a oggi con i romanzi di Mercy "Nightshade" Contreras, la tua caratteristica sono gli agganci alla cronaca globale, appunto, dei nostri giorni. Anche al punto di diventare persino "profetico", secondo alcuni.

ACC: Non faccio altro che seguire la tradizione dei due principali autori francesi pubblicati in Segretissimo, Jean Bruce con OSS 117 e Gerard De Villiers con SAS: l'innesto di trame di fantasia su situazioni autentiche di tensione internazionale, con i relativi retroscena. Con una certa frequenza, mi ritrovo a toccare argomenti non ancora noti al grande pubblico prima che lo diventino. All'inizio dell'estate del 2013 scrissi Programma Firebird, pubblicato nel dicembre di quell'anno, in cui parlavo per la prima volta dell'ISIS, di cui molti avrebbero scoperto l'esistenza solo nel gennaio 2015. Nell'autunno 2020 scrissi Sicaria, in cui segnalavo la minaccia di una guerra civile negli USA dopo la mancata rielezione di Trump; il romanzo fu pubblicato a inizio marzo del 2021, due mesi dopo l'assalto a Capitol Hill avvenuto nel frattempo. Quindi, nelle mie storie per Segretissimo, si parla di attualità in tempo reale.


SG: Qual è stata la tua iniziazione alla spy story?

ACC: Come per tutta la mia generazione e dintorni, attraverso il cinema. Accadde all'età di sei anni, con due film girati prima che nascessi: Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock e Agente 007 - Licenza di uccidere di Terence Young, che vidi nell'autunno del 1970 rispettivamente al Cinema La Fenice e al Cinema Atlas di MIlano. Da lì, oltre alle storie di spionaggio di Agatha Christie, sarei passato a leggere i romanzi di Ian Fleming, poi quelli pubblicati da Segretissimo, arrivando quindi a Len Deighton e John Le Carré... senza dimenticare Frederick Forsyth. A sei anni avevo deciso di diventare uno scrittore di thriller e a quattordici ero ormai determinato a occuparmi di narrativa di spionaggio. 


SG: Dunque anche nel tuo caso c'è stata un'evoluzione nei tuoi gusti come lettore e autore...

ACC: Più che evoluzione, una sintesi. Come lettore o spettatore sono ancora oggi affezionato alle storie spionisticamente più improbabili della serie cinematografica di 007 o degli attuali film di Mission: Impossible. Ma da quarantacinque anni mi documento abitualmente sulle attività dei servizi segreti nella realtà. Da questo è nato, nel 2010, il mio volume di non-fiction Le grandi spie, in cui ho raccontato casi e figure della storia dello spionaggio dalla Prima guerra mondiale sino a quel momento.


SG: Con il tuo nome, ma soprattutto come François Torrent, sei da oltre vent'anni un esponente molto attivo della "Italian Foreign Legion", la Legione Straniera di Segretissimo. Parlaci della tua esperienza.

ACC: Come lettore e aspirante autore di spy story desideravo scrivere per quella collana. Ci approdai come traduttore a metà anni Novanta e come autore nella primavera del 2001, quando l'allora direttore Sandrone Dazieri approvò il progetto della serie Nightshade, inaugurata nel marzo 2002 con Missione Cuba. Sotto la curatela di Sergio "Alan" D. Altieri nel 2007 arrivò a Segretissimo - per tre romanzi e qualche racconto - anche Medina, nato sugli speciali de Il Giallo Mondadori. Infine, con la direzione di Franco Forte, nel 2021 ha visto la luce la serie spin-off con protagonista Rosa "Sickrose" Kerr, anche questa firmata François Torrent. Le tre serie sono legate da una continuity che attraversa i decenni e abbraccia anche le mie storie pubblicate in Spy Game, i noir della serie Black e altri racconti o romanzi brevi.


SG: Qual è allora la tua visione della spy story?

ACC: Fondere le dimensioni investigativa e avventurosa con uno scenario realistico, sia per quanto riguarda le trame, che appunto si basano su fatti reali e situazioni plausibili, sia per quanto riguarda le prestazioni dei protagonisti o le attrezzature di cui dispongono: vale a dire che nelle mie storie di spionaggio non ci sono gadget fantascientifici, né personaggi che affrontino acrobazie improbabili. Per fare un esempio, Nightshade e Sickrose sono esperte di arti marziali, ma non vanno oltre quanto ho visto fare con i miei occhi dal guro Roberto Bonomelli, il maestro che ha preparato le coreografie dei loro combattimenti nei romanzi.
C'è giusto un aspetto che differenzia le mie storie per Segretissimo da quelle per Spy Game: nelle prime c'è una maggiore componente di azione, che risponde alle aspettative del pubblico della collana; negli episodi di Dark Duet - dove pure ogni tanto scatta qualche navaja o si spara qualche colpo d'arma da fuoco - prevalgono invece le tecniche e le situazioni dello spionaggio più classico.
Questa è del resto la filosofia con cui Stefano Di Marino ha creato Spy Game: far lavorare autori e autrici della narrativa di spionaggio italiana, stavolta senza usare pseudonimi stranieri, su vicende verosimili ambientate nella Guerra Fredda e più vicine alla spy story di Graham Greene o John Le Carré.


SG: A questo proposito, qualcuno ha commentato che ormai la Guerra Fredda è "storia vecchia"...

ACC: La Storia non è mai "vecchia". E mai come in questo periodo non solo dalla Guerra Fredda ma addirittura da tutto il Novecento si possono trarre lezioni fondamentali sul presente. Uno dei primi autori italiani a occuparsi di giallo e spy story fu Giorgio Scerbanenco, che era nato a Kiev e il cui padre era stato ucciso durante l'invasione russa dell'Ucraina indipendente, nel '22. Nel 1922, intendo.
La Storia si ripete. Ricordo una conversazione con Stefano Di Marino in cui lui osservò come la Russia ci stesse dando, di nuovo, parecchio lavoro come autori di spionaggio. Raccontare storie di quel passato non troppo lontano ci può aiutare a capire cosa succede oggi e cosa potrebbe accadere domani.


SG: Prima di passare al resto della tua produzione [nella seconda parte dell'intervista, N.d.R.], quali sono le tue prossime uscite spionistiche?

ACC: per Spy Game è appena stato pubblicato il nono episodio di Dark DuetRischio sulle Ramblas, e in autunno arriverà il decimo, La lista di Norimberga. Nel luglio 2023 esce da Segretissimo in edicola e ebook Agente Nightshade - Vodka Gang, quindicesimo romanzo lungo della serie, mentre a novembre è previsto Sickrose - Bandida, terzo romanzo della serie spin-off con protagonista Rosa Kerr, sempre da Segretissimo in edicola e ebook.

L'intervista continua a questo link!




Tutti gli episodi della serie Dark Duet di A. C. Cappi,
in ebook da Delos Digital:


Retroscena e anticipazioni di Spy Game a questo link

Sindrome 75 - Borderfiction@Admiral - Milano, 22 giugno


Giovedì 22 giugno 2023, ore 18.45, aperitivo Borderfiction all'Admiral Hotel, v. Domodossola 16, Milano (ingresso libero): Giancarlo Narciso e Andrea Carlo Cappi presentano la graphic novel di Francesco G. Lugli e Gian Luca Margheriti "Sindrome 75" e l'antologia di racconti spin-off a loro cura "Sindrome 75 - Cronache dall'Apocalisse", entrambe edite da Excalibur - RaccontaMI. Fantascienza, distopia e supereroi alternativi in una Milano le cui vicende hanno seguito un altro corso a partire dal marzo 1975...


 

sabato 17 giugno 2023

Torre Crawford Milano 2023 - 17 giugno ore 16.00


Torna Borderfiction Eventi nella sua sede classica, l'Admiral Hotel di Milano (via Domodossola 16, ingresso libero) con due appuntamenti in pochi giorni: sabato 17 giugno ore 16.00 il primo - che vedrà vari ospiti a partire da Claudia Salvatori e riguarda in un certo qual modo anche due delle presenze storiche delle serate di Borderfiction, Andrea G. Pinketts e Stefano Di Marino - è il ritorno all'Admiral del Premio Torre Crawford, già "protagonista" di un doppio incontro nell'autunno 2021; giovedì 22 alle 18.45 il secondo, imperniato sulla graphic novel di Lugli & Margheriti Sindrome 75 e sull'antologia spin-off da loro curata Sindrome '75 - Cronache dall'Apocalisse.
L'appuntamento di sabato 17 giugno alle 16.00 è dunque con "Torre Crawford Milano 2023", anteprima del Festival Torre Crawford che si terrà a San Nicola Arcella (Cosenza) nei primi tre giorni di settembre. Questo dell'Admiral è uno degli eventi "extraterritoriali" (se ne sono tenuti, oltre che a Milano anche a Roma, Benevento e Cosenza) che collegano un'edizione del Premio e del Festival Torre Crawford all'altra.
In questa occasione avranno luogo la consegna ufficiale di un premio ispirato ad Andrea G. Pinketts a Claudia Salvatori, che le verrà consegnato da Elisabetta Friggi e Rossella Marino dell'Associazione Pinketts; e l'annuncio dei finalisti della IV edizione del Premio Torre Crawford, ossia dei racconti selezionati dalla giuria dell'omonimo concorso, che andranno a costituire l'antologia Uomo in mare! in uscita a inizio settembre 2023, edita direttamente dall'Associazione Torre Crawford.
Sarà inoltre presentata la precedente antologia del Premio, Un'inquietante sensazione indefinibile, a cura di Andrea Carlo Cappi, presidente della giuria e conduttore dell'evento, che include il racconto premiato di Claudia Salvatori.
All'evento partecipano anche gli altri vincitori delle ultime due edizioni Claudio Bovino, Mario Gazzola (che presenta il volume da lui curato Hyde in Time) e Valentina Di Rienzo (che presenta il suo nuovo romanzo L'esigenza di uccidere).


Per chi non conoscesse il Premio Torre Crawford, si tratta di un concorso letterario per racconti inediti la cui prima edizione ha avuto luogo nel 2020. Nasce a San Nicola Arcella, rinomata località della costa cosentina in cui a cavallo tra XIX e XX secolo d'estate risiedeva e lavorava lo scrittore statunitense (nato e a lungo vissuto in Italia) Francis Marion Crawford. Questi, oltre a essere un ponte culturale tra Italia e Stati Uniti, fu il primo autore di bestseller nel senso moderno del termine, antesignano di Mario Puzo, Ken Follett e Stephen King. Romanziere affine al verismo, scrittore di romanzi storici, firmò anche memorabili racconti gotici, uno dei quali - tra le più celebri storie di vampiri di ogni tempo - è ambientato proprio a San Nicola Arcella e, in particolare, ai piedi della "Torre Crawford", come viene tuttora chiamata l'antica torre spagnola che oggi domina l'apprezzata spiaggia locale.
Da qui e dal legame ancora vivo tra San Nicola Arcella e Francis Marion Crawford è nata l'idea di un premio letterario che facesse rivivere lo spirito dello scrittore. Ogni anno viene quindi proposto un tema preciso, ricavato da una citazione dell'autore "americo-italiano", su cui i partecipanti elaborano un racconto originale che può appartenere a qualsiasi genere narrativo o essere del tutto "mainstream".
La giuria presieduta da Andrea Carlo Cappi - lavorando su copie anonime dei testi - sceglie i racconti che ritiene migliori e che vanno a comporre l'antologia annuale, impreziosita da una traduzione inedita (dello stesso A. C. Cappi) della storia di Crawford che ha ispirato il concorso di quell'anno, così come da un racconto sullo stesso argomento di una firma italiana contemporanea di prestigio.
I primi tre volumi, disponibili in volume anche presso la segreteria del Premio Torre Crawford, sono stati editi in cartaceo e ebook da Oakmond Publishing: Perché il sangue è la vita (2020) - unica delle raccolte a essere esplicitamente dedicata all'horror in quanto si apre con la storia di vampiri ambientata a San Nicola Arcella - che vede ospite Cristiana Astori; Innamorarsi di un fantasma (2021) che contiene un'inedito di Alda Teodorani; Un'inquietante sensazione indefinibile (2022), con un racconto di Claudia Salvatori. Tutti e tre i libri sono in vendita all'appuntamento del 17 giugno.
Dalla seconda edizione, una particolare sezione del concorso è riservata alle scuole secondarie superiori: i primi due racconti classificati entrano a loro volta a far parte dell'antologia. A tutto ciò si sono aggiunti altri due premi ispirati a due autori italiani recentemente scomparsi, assegnati ai racconti della raccolta che più si avvicinino allo spirito dell'uno e dell'altro. Il primo, dal 2021, è "E io lo dico a Pinketts!" (dal titolo del primo racconto premiato, al Mystfest di Cattolica, di Andrea G. Pinketts), in collaborazione con l'Associazione Pinketts; è stato vinto nel 2021 da Claudio Bovino (anche primo classificato di quell'anno) e nel 2022 da Claudia Salvatori. Il secondo, dal 2022, è "Il Prof" (dal soprannome di Stefano Di Marino, l'erede di Emilio Salgari), vinto da Valentina Di Rienzo.
Tra i nomi annunciati il 17 giugno, che si ritroveranno nell'antologia del 2023, figurano i vincitori del Premio Torre Crawford, del Premio "E io lo dico a Pinketts!" e del Premio "Il Prof" di quest'anno... ma la classifica definitiva e i vincitori delle varie categorie saranno decisi nelle prossime settimane da una seconda giuria, costituita da Cristiana Astori, Enrico Luceri, Claudia Salvatori e Alda Teodorani, sotto la presidenza di Andrea Carlo Cappi. La rivelazione avverrà alla cerimonia di premiazione a San Nicola Arcella, la sera di sabato 2 settembre 2023, nel corso della IV edizione del Festival Torre Crawford, con vista - appunto - sulla Torre Crawford.

venerdì 16 giugno 2023

Iperwriters - Magia verde

Photo: Nareeta Martin on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 23 - Magia verde

Venerdì, ore 13.
Sono sceneggiatrice di fumetti, anche se nessuno lo sa. All'anagrafe, per rinnovarmi la carta d'identità, l'impiegato deve andare a cercare "sceneggiatore" in un apposito elenco: in seguito avrei attribuito l'aneddoto a Marino Strano, protagonista del mio Superman non muore mai. Se la professione non fosse stata nell'elenco, non sarei esistita. Nel mio quartieraccio nessuno sapeva che si potesse diventare sceneggiatore. Sceneggiatrice? Una ragazza era appena arrivata dalla Luna.
Questa situazione mi irritava, ma in un certo modo mi esaltava, in quanto prometteva una clamorosa rivincita quando sarei stata scoperta. Non sarei stata scoperta: ho continuato a navigare incognita fino a quando non sono diventati sceneggiatori tutti. A quel punto non c'era più nulla da scoprire.
Mi vengono i brividi quando penso alla leggerezza con cui volavo in quel nuovo e adrenalinico mestiere, affrontando tutte le sfide, accettando tutte le offerte, cimentandomi in ogni genere narrativo: thriller, noir, fantascienza, storico, western, fantasy, commedia, dramma.
Mi fanno paura le attuali scuole di fumetto, i corsi di scrittura creativa che durano settimane, ma anche mesi o anni. Anni a imparare l'ingegneria della fiction.
Il mio metodo di lavoro all'inizio degli anni '80 consisteva in questo: quando dovevo scrivere per un certo editore o una certa testata mi procuravo (o mi venivano forniti in studio) pacchi e pacchi di pubblicazioni in tema. E leggevo per ore, per giorni. Leggevo fino a quando non sentivo di aver metabolizzato quella che potrei chiamare l'anima di quella forma, stile e linguaggio. Il processo di assimilazione era molto piacevole, per nulla razionale. Razionale e invece faticoso era ricreare quell'anima, facendola passare attraverso la mia chimica personale. Riuscire era un'esperienza di grande appagamento. L'idea sembrava arrivare dal Cielo.
Sceneggiavo già da più di quindici anni e avevo già pubblicato cinque romanzi quando, in una convention di sceneggiatori Disney, ho ascoltato la mia prima lezione di scrittura creativa.
Comunque, il mio atteggiamento verso il lavoro resta tuttora magico. Non è magia bianca, perché un po' di nero nel mestiere di scrivere scorre sempre. Ma non è neppure nera, e tantomeno rosa.
Potrebbe essere magia verde, la magia della natura. Quella che fa crescere le piante.


venerdì 2 giugno 2023

Iperwriters - Sola, ma non al comando

Photo: Andreas Dittberner on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 22 - Sola, ma non al comando

Venerdì, ore 13.
Per sfortuna ho incontrato colleghi e intellettuali borghesi che, non avendo le mie capacità, mi hanno rimproverato di “non aver scelto” i fumetti e i gialli. Solo perché avevo avuto il candore di confessare che mi erano capitati.
Se fossi stata una tranquilla femminista della loro casta, avrei avuto le migliori scuole, i corsi di formazione all'estero, tutte le opzioni e gli strumenti per scegliere. Ma ero una cagna randagia, e per giunta parecchio bastonata.
Tra i venti e i trent'anni ero una pietra rotolante e non controllavo la mia vita. Avevo una vaga idea di diventare giornalista per vivere scrivendo. I fumetti erano meglio: preferivo l'invenzione alla cronaca.
Ho colto al volo un'opportunità, lanciandomi dove per altri fare un passo sarebbe stata follia. Nessuno lo avrebbe fatto. Tutti, tutti miravano alla stabilità: sia in alto che in basso. Ma era proprio questo a spingermi avanti.
Ero l'unica a sceneggiare fumetti. Nel mio quartiere, nella mia città e regione. In Italia esistevano pochissimi sceneggiatori donne (a parte le mitiche sorelle Giussani, che avevano una casa editrice ed erano padrone del loro lavoro).
Ero sola. La sola.
Inoltre, tutto quello che sapevo fare al mondo era decodificare e ricodificare strutture narrative. Ed ecco che un lavoro unico veniva creato per me, rendendomi unica. Per salvarmi, per permettermi di sopravvivere. Perché potessi scrivere in una stanza, senza perdere la salute mentale a contatto con gli umani.
Non sono furba, non sono una cialtrona, e neppure una puttana (per quanto mi abbiano spesso trattata come tale). Per risparmiarmi molte sofferenze dovevo restare sola, e allo stesso tempo rendermi indipendente. Non c'era da esaltarsi, da credere perfino in un intervento divino?
Neppure all'Università sapevano cosa fosse una sceneggiatura. Non capivano che cosa facessi. Non lo capivano neppure dopo che lo avevo spiegato, come se non avessi neppure parlato. Non sapevo se arrabbiarmi o ridere.
Comunque in quel primo anno, sfornando soggetti e sceneggiature per le testate della Lancio e della Universo, non me ne importava. Ero in uno stato di felice e avventurosa ubriacatura.



mercoledì 31 maggio 2023

Spy Game incontra Giovanni Ingrosso


Giovanni Ingrosso

Spy Game incontra...

Continua su Borderfiction Zone la serie di incontri con gli autori della collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda. Dopo Enzo Verrengia, parliamo con Giovanni Ingrosso, entrato a far parte della squadra nel 2023, ma ormai da anni autore di narrativa di spionaggio, oltre che esperto dei suoi retroscena storici.

Giovanni Ingrosso, l'indagatore della Guerra Fredda

SG: Benvenuto tra gli autori di Spy Game. Abbiamo conosciuto il tuo nuovo protagonista, ex partigiano e funzionario dei servizi segreti italiani negli anni Settanta, negli episodi Ufficio R e L’oro del lago, prime due parti di una trilogia che si conclude con L’uomo di Cambrige e della quale stai già preparando il seguito. Presentaci la tua serie e il tuo protagonista.

GI: Quando Cappi mi ha offerto di collaborare a una collana di spionaggio, il mio cuore ha fatto un salto. Ho pensato che era un bellissima occasione per entrare nel mondo delle “Storie di Frontiera”, il mondo di Andrea Carlo Cappi, Andrea G. Pinketts, Alan D. Altieri, Stefano di Marino, senza dimenticare Ferdinando Pastori, Sergio Rilletti e gli altri autori conosciuti agli incontri di Borderfiction all’Admiral Hotel di Milano.
Una simile occasione richiedeva un approccio di lusso. Ho pensato prima di tutto a un personaggio diverso dal solito agente segreto, più sul genere Le Carré che sul genere Fleming. Un personaggio che guarda da fuori le storie e poi le racconta. Ho scelto il cognome di un famoso sceneggiatore come Zavattini, che rappresentava esattamente questo. Poi ho pensato che con quel cognome doveva per forza essere di Pennabilli e di conseguenza avere gusti da romagnolo: pane, mortadella e lambrusco. Ho cercato di raccontare uno qualunque, che fa la spia per i casi della vita e non per vocazione… Ma attenti: Zavattini non è un fessacchiotto, quindi da lui ogni tanto c’è da aspettarsi qualche colpo di genio, da vero professionista, e una profonda, prudente conoscenza del mondo in cui si muove
Ma Zavattini è anche il testimone di un’epoca della storia italiana coincidente con la Guerra Fredda, in cui i servizi segreti, nostri e altrui, hanno imperversato sul nostro povero paese. Così ci sono la strana morte di Adriano Olivetti e quella fin troppo annunciata di Mattei; il terrorismo, rosso e nero, ma forse figlio della stessa matrice; e lo scontro tra i servizi segreti del mondo Mediterraneo, dal Mossad alla PIDE portoghese, dalla SDECE francese al SIFAR italiano, dalla strage di Bologna a quella di Ustica. Queste storie sono state narrate mille volte, sempre in modo ambiguo e senza conclusioni. Io le racconto senza proporre una "verità vera", che non conosce nessuno che sia ancora vivo, bensì ipotesi che potrebbero anche essere vere, basate su quello che si sa e su quello che si può verosimilmente immaginare.


SG: la Guerra Fredda è spesso lo scenario delle tue storie di spionaggio.

GI: Io nella Guerra Fredda, come molti babyboomers come me, ci sono vissuto, e anche nella “Notte della Repubblica”, una notte annunciata e che nessuno ha voluto illuminare. Ricordo il botto sinistro dell’attentato di piazza Fontana, udito da chilometri di distanza mentre giocavo a pallone in un campetto di periferia. Ricordo la reazione collettiva, stupita, alla notizia del sequestro Moro, arrivata mentre facevo l’esame di economia dello sviluppo con la professoressa Lenti Targetti all’Università di Pavia. La Guerra Fredda è stata come un rumore di fondo dei primi trent’anni della mia vita e mi piace raccontarli, infilandoci dentro anche tante note nostalgiche di un costume che, piaccia o no, ha influenzato per anni il paese dove sono nato.

SG: Com'e stata la tua iniziazione alla spy-story?

I miei interessi per la spy story risalgono alla mia adolescenza. Sono partito con James Bond, che somiglia più a un “avventuriero e un pirata” che a una vera spia. Ma è stato un’ icona della mia gioventù e di un consumismo ancora alle origini, che sarebbe diventato quello delle Barrow’s, delle cravatte di Hermès e dei Ray Ban. Più che altro un modello di stile, piuttosto che un esempio di agente segreto.
Ho sempre legato la passione per le spy story a quella per la storia politico-militare e infatti i miei libri sono veri e propri manuali di storia dell’epoca che descrivo. Ci metto tutta la precisione possibile, cerco accuratamente di evitare ossimori e anacronismi; le descrizioni di oggetti, abbigliamento e ambienti cercano sempre di essere molto accurate, e sono parecchio influenzate da Ian Fleming.

SG: Come sei diventato autore di spionaggio?

GI: Ho cominciato a scrivere tardi, avevo più di cinquant’anni ed era il 2007. Feci un corso di scrittura creativa con Paolo Roversi: avevo pubblicato la mia tesi di laurea in Scienze Strategiche, ma scrivere romanzi è un’altra cosa. Sono partito subito con un romanzo di spionaggio sulla Guerra Fredda, Zsuzsana, e lì dentro ci ho messo tutti gli autori che avevano influenzato i mei gusti letterari, da Alistair McLean a Frederick Forsyth, da Tom Clancy a Ken Follett. In realtà i miei sono più romanzi di azione che spy story alla John Le Carré o alla Graham Greene.
Un autore di noir – non esattamente un autore di spionaggio – che mi ha influenzato è stato Don Winslow con il suo Il potere del cane, che mi ha spinto a scrivere Gli Illuminati: Uragano sui Caraibi. Io però, al contrario di Winslow, tendo all’happy end o magari al finale a sorpresa, come in See You in Budapest, un’avventura alle soglie dell’era nucleare.

SG: Qual è il tuo approccio a questo genere?

GI: I miei personaggi maschili non sono mai supereroi alla James Bond, ma più spesso sono vittime del destino che li scaraventa in mezzo alle vicende drammatiche della storia – alla George Smiley – e che rispondono come possono, ma quasi sempre sanno arrangiarsi, perché non sono degli stupidi. 
Poi ci sono le donne: le mie “personagge” invece sono sempre determinate, sanno gestirsi da sole; spesso sono madri e non somigliano mai alle... mezze zoccole in estasi di fronte al maschione supereroico. Questo mi succede probabilmente perché ho sempre incontrato soprattutto donne che, ho dovuto ammettere, erano migliori di me, almeno quelle che sono state importanti nella mia vita. Infine ci sono i cattivi: mai cattivissimi, anche loro spesso più vittime che aguzzini.
Nelle mie storie la violenza è sempre limitata al necessario, così come le scene di sesso. Una volta Pinketts mi definì "una specie di Liala". Lui aveva un modo strano di fare i complimenti, ma francamente non mi dispiacerebbe avere lo stesso successo di Amalia Liana Negretti Odescalchi alias Liala, che sapeva azzeccare i gusti dei suoi lettori in tempi in cui a scrivere dovevi essere davvero bravo e non c’erano le E.L. James e le Cilizie Gurrado, con alle spalle uno stuolo di editor o un padre giornalista. Inoltre nei miei romanzi infilo personaggi realmente esistiti: personaggi storici come Malenkov e Chruščëv, o Ettore Maiorana e spessissimo Ian Fleming.
Io scrivo perché mi diverto, perché scrivere è come fare una seduta di psicanalisi, e scrivo perché spero di incuriosire i miei lettori sui mondi che descrivo. Non scrivo solo romanzi ma anche saggi, per esempio Un conflitto lungo 50 anni, anche questo sulla Guerra Fredda, sulle sue cause e sulle sue origini.


SG: Hai un ricordo di Stefano Di Marino, fondatore della collana Spy Game in cui lui stesso, prima di lasciarci, ha pubblicato la miniserie che ne stabiliva le regole?

GI: Nell’invitarmi a collaborare a Spy Game, Cappi mi ha fatto un enorme complimento, dicendomi che in qualche modo prendevo il posto di Stefano Di Marino, cosa molto difficile. Ho incontrato più volte Stefano nelle serate di Borderfiction. Non ho avuto l’occasione di conoscerlo a fondo, ma mi sarebbe piaciuto molto. Ricordo la sua conoscenza approfondita della letteratura noir, del fantastico e di molto altro, la sua ironia da liceale indisciplinato, il suo non troppo letterario interesse per Lisa Ann, nota diva di un mondo in un certo senso fantasy .
“A noi piace farci le saghe”, disse una volta, con la sua ineffabile espressione di ragazzino che ne ha fatta una delle sue, mentre raccontava di un qualche lavoro forse fatto con Alan D. Altieri, altro genio di questo genere, che grazie a Borderfiction ho avuto il piacere e l’onore di incontrare. Stefano era bravissimo a nascondere i suoi dolori, fisici – le sue ginocchia erano un disastro a causa della sua passione per il hickboxing, “contratta” in Estremo Oriente – e dell’anima. La sua morte ha colpito tutti come uno schiaffo ricevuto di sorpresa.
Così ho intrapreso questa avventura nello Spy Game. Ne approfitterò per raccontare, romanzandola, la storia di un paese, il mio, che è stato la vittima di potentati stranieri, ma soprattutto di una classe dirigente incompetente, ignorante ed egoista fino al masochismo.

venerdì 19 maggio 2023

Iperwriters - Viva l'Inghilterra

Photo: Shawnanggg on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 21 - Viva l'Inghilterra

Venerdì, ore 13. A sedici anni, incastrata in un Bronx culturale italiano, volevo fuggire in Inghilterra. Perché proprio l'Inghilterra? Era stata governata con successo da donne, e da lassù spirava un vento di libertà. Mi appariva allora tutto quello che non era l'Italia.
A diciotto anni, a venti, a trenta, ancora desideravo espatriare.
Perché non l'ho fatto? Il mio talento, se è un talento e se lo possiedo, sta nella narrazione. Se avessi fatto musica, cantato, danzato o dipinto avrei avuto modo di comunicare in un linguaggio universale. Avrei potuto soffrire per qualche tempo proponendomi e partecipando ad audizioni, o facendo l'artista di strada. Soffrire per un tempo ragionevolmente breve.
Ma il mio strumento era la lingua italiana. A volte mi domando se, emigrando negli anni '70 e facendo la cameriera per un ventennio, impadronendomi di un'altra lingua e scrivendo di notte, sarei alla fine riuscita. Il mio immaginario, le mie scelte di stili e contenuti sono più britannici che italiani, ma anche sul mercato di lingua inglese avrei potuto scontrarmi con ostacoli imprevedibili. Comunque, non avrò mai una risposta.
Ero condannata alla sorte di tutti gli scrittori italiani: vendere abbastanza per poter essere notata da agenti ed editori stanieri. Non ho mai raggiunto questo traguardo. Ci sono andata vicina forse nel 2010 in circostanze che racconterò più avanti, ma troppo tardi: ormai era arrivata la fine del mondo.
E così, eccomi a sceneggiare fumetti, alla fine del '79, a ventiquattro anni.
Ed ecco la mia prospettiva: tentare la scalata all'interno di un paese nemico per vincere. Avevo una fede incrollabile nelle mie capacità, e poi... pareva che l'Italia avesse intenzione di progredire.
Il mio percorso di vita e lavoro è stato (in anticipo) quello dei ragazzi delle generazioni successive e dei millennials: precariato, incarichi saltuari e marginali sottopagati, lunghi periodi di disoccupazione, insicurezza e perenne lotta per la semplice e cruda sopravvivenza.
Ma d'altra parte, guardandomi indietro, devo ammettere che, sapendo solo ideare correzioni della realtà, essere approdata a quell'agenzia di fumetti, quando ero praticamente sull'orlo del baratro, è stato un miracolo.
E che, malgrado tutto il male, ogni evento successivo della mia vita è stato da miracolata.

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