Enzo Verrengia durante un incontro pubblico |
Spy Game incontra...
Dopo la prima parte dedicata alla sua visione della spy-story, ecco la continuazione dell'intervista di Spy Game allo scrittore Enzo Verrengia. Vediamo ora anche il suo lavoro di autore in altri settori e la sua passione per la narrativa di genere in molte forme.
Enzo Verrengia, autore poliedrico
SG: Tra i tuoi libri più recenti c'è anche un romanzo con Sherlock Holmes, pubblicato in edicola e ebook nella collana Sherlock de Il Giallo Mondadori, dedicata alle rivisitazioni del celebre detective di Sir Arthur Conan Doyle.
EV: Sì. Anche quella è la realizzazione di un sogno. Adoro Holmes, e da quasi venti anni ho la fortuna di avere dei familiari a Londra: la sorella minore di mia moglie e sua figlia, la mia nipotina adorata. Quindi ormai la capitale britannica non ha quasi più segreti per me. A ciò si aggiunga la mia passione per l’Età Vittoriana e la monumentale biblioteca dedicated che possiedo.
Sherlock Holmes e la formula di Hyde inoltre riprende il background de L’eredità di Hyde, un mio romanzo uscito nel 2013 da Piemme. Anche qui, vi sono molti sconfinamenti nella spy-story, dato che c’è in ballo Mycroft, il fratello maggiore di Sherlock, notoriamente implicato nella diplomazia segreta con il Club Diogene, paravento del Secret Service vittoriano ed edwardiano.
SG: Hai scritto anche sceneggiature per Martin Mystère, detective dell'impossibile, la celebre serie a fumetti creata da Alfredo Castelli per Sergio Bonelli Editore.
EV: Sì, una storia sul misterioso incidente che provocò la distruzione del dirigibile Hindenburg, un caso che mi appassiona da tempo, insieme al rapimento e
all’uccisione del figlioletto di Charles Lindbergh. Sempre per Martin Mystère, ho scritto il soggetto di un’avventura in cui compare Jules Verne che viaggia nel tempo. Le sceneggiature a fumetti mi piacciono moltissimo e spero di poter farne altre.
SG: Ma le tue esperienze come autore sono ancora più estese...
EV: Decisi di fare lo scrittore in quinta elementare, quando cominciai a scrivere un romanzo di fantascienza scopiazzato da Ultimatum alla Terra, che avevo visto in televisione. Poi, col tempo, mi evolvevo man mano che crescevo. Negli anni ’70 volevo scrivere thriller erotico-intellettuali che mescolavano il clima dei film alla Dario Argento con certa morbosità altoborghese ripresa da Metti una sera a cena.
Infine, cominciai a lavorare da esterno per la RAI, con regie radiofoniche e apparizioni televisive in sketches commissionatimi all’interno di programmi contenitore come Domenica In. Questo mi insufflò una vena comica da cui venne fuori un mio libro che ebbe un certo successo, La notte degli stramurti viventi, raccolta di parodie di noti film di fantascienza tarati sull’accento pugliese e meridionale in genere. Valse a segnalarmi per qualche antologia come Miguel son sempre mi, dove applicavo lo stesso meccanismo ai più celebri spot. Sta di fatto che l’ironia e l’umorismo mi caratterizzano parecchio specialmente quando presento dal vivo i miei libri. Faccio battute graffianti che colpiscono l’uditorio perché contrastano con la mia faccia da impiegato fantozziano di una volta.
SG: Ci sono state influenze del tuo lavoro come traduttore su quello di scrittore o viceversa?
EV: Prima di inziare a leggere quasi esclusivamente in inglese, francese e spagnolo, le opere che mi passavano sotto gli occhi erano ovviamente traduzioni italiane. Tra queste, mi piacevano molto quelle di Bruno Oddera. Oggi, però, è necessario rispettare molto gli originali, perché la lingua del mondo è più complessa.
Come autore, risento molto della mia passione per Joseph Conrad, e, tra i contemporanei, Peter Høeg, che avvistai a Copenaghen durante il mio viaggio di nozze, ma non osai avvicinare. Quanto agli altri, li ho già citati: Ambler, Le Carrè, Forsyth e, grandemente, Jack Higgins.
SG: In un mondo editoriale che procede a etichette, ci sono autori di narrativa che
invece spaziano tra un genere e l'altro e tu sei tra questi...
EV: Certamente, e ne sono felice. Ripeto, detesto gli autori italiani che narrano di serate al pub, di squallore esistenziale, di indecisioni sulla propria sessualità, di vite da studenti fuori sede e di “impegno sociale”. Io, per innamorarmi di ciò che scrivo, ho bisogno di grandi fondali, e li ritrovo nella spy-story, nella fantascienza, nel thriller storico, nel memoir che fonde tutto questo…
E mi permetto di rimandare ancora a La spirale dell’estate, la mia autobiografia “ritoccata”, che malgrado possa sembrare strano, contiene episodi da me realmente vissuti nell’estate del 1967, la famosa Summer of Love. Per me fu abbastanza avventurosa, anche se non proprio nei termini raccontati. Quel mio prozio di cui parlavo, conobbe davvero un celeberrimo autore di spionaggio con il quale fu in corrispondenza fino alla morte (dell’autore) avvenuta il 12 agosto 1964…
SG: La collana Spy Game è stata fondata da Stefano Di Marino, anche lui scrittore di tutti i generi, con cui hai spesso scambiato opinioni letterarie. Qual è il tuo ricordo di lui?
EV: Stefano venne a Pescara nel 2019, come ospite della seconda edizione di Pescara a Luci Gialle. Con lui c’era un altro carissimo amico, Andrea Carlo Cappi, che non a caso ha preso le redini di Spy Game. Fui molto felice di incontrarli finalmente di persona entrambi. Fra l’altro, Cappi mi aveva fornito a suo tempo una copia preziosissima di Goldeneye, un TV movie inedito in Italia sugli anni di Fleming in Giamaica.
Stefano era una persona eccezionale. Competente, entusiasta, iperattivo, sempre provvido di consigli. Ci sentimmo diverse volte al telefono, e le sue “dritte” mi furono indispensabili nel lavoro. Posseggo più o meno tutti i suoi libri. La notizia del tutto inattesa della sua morte me la diede un altro fraterno amico scrittore, Mariano Sabatini.
Oreste Del Buono definì Scerbanenco una “macchina per fabbricare storie”. Credo
che siano parole adatte anche per Stefano Di Marino.
Tutti gli ebook di Enzo Verrengia pubblicati da Delos sono disponibili