venerdì 12 maggio 2023

Spy Game incontra Enzo Verrengia - 2

Enzo Verrengia durante un incontro pubblico 

Spy Game incontra...

Dopo la prima parte dedicata alla sua visione della spy-story, ecco la continuazione dell'intervista di Spy Game allo scrittore Enzo Verrengia. Vediamo ora anche il suo lavoro di autore in altri settori e la sua passione per la narrativa di genere in molte forme.

Enzo Verrengia, autore poliedrico

SG: Tra i tuoi libri più recenti c'è anche un romanzo con Sherlock Holmes, pubblicato in edicola e ebook nella collana Sherlock de Il Giallo Mondadori, dedicata alle rivisitazioni del celebre detective di Sir Arthur Conan Doyle.

EV: Sì. Anche quella è la realizzazione di un sogno. Adoro Holmes, e da quasi venti anni ho la fortuna di avere dei familiari a Londra: la sorella minore di mia moglie e sua figlia, la mia nipotina adorata. Quindi ormai la capitale britannica non ha quasi più segreti per me. A ciò si aggiunga la mia passione per l’Età Vittoriana e la monumentale biblioteca dedicated che possiedo.
Sherlock Holmes e la formula di Hyde inoltre riprende il background de L’eredità di Hyde, un mio romanzo uscito nel 2013 da Piemme. Anche qui, vi sono molti sconfinamenti nella spy-story, dato che c’è in ballo Mycroft, il fratello maggiore di Sherlock, notoriamente implicato nella diplomazia segreta con il Club Diogene, paravento del Secret Service vittoriano ed edwardiano.


SG: Hai scritto anche sceneggiature per Martin Mystère, detective dell'impossibile, la celebre serie a fumetti creata da Alfredo Castelli per Sergio Bonelli Editore.

EV: Sì, una storia sul misterioso incidente che provocò la distruzione del dirigibile Hindenburg, un caso che mi appassiona da tempo, insieme al rapimento e
all’uccisione del figlioletto di Charles Lindbergh. Sempre per Martin Mystère, ho scritto il soggetto di un’avventura in cui compare Jules Verne che viaggia nel tempo. Le sceneggiature a fumetti mi piacciono moltissimo e spero di poter farne altre.


SG: Ma le tue esperienze come autore sono ancora più estese...

EV: Decisi di fare lo scrittore in quinta elementare, quando cominciai a scrivere un romanzo di fantascienza scopiazzato da Ultimatum alla Terra, che avevo visto in televisione. Poi, col tempo, mi evolvevo man mano che crescevo. Negli anni ’70 volevo scrivere thriller erotico-intellettuali che mescolavano il clima dei film alla Dario Argento con certa morbosità altoborghese ripresa da Metti una sera a cena.
Infine, cominciai a lavorare da esterno per la RAI, con regie radiofoniche e apparizioni televisive in sketches commissionatimi all’interno di programmi contenitore come Domenica In. Questo mi insufflò una vena comica da cui venne fuori un mio libro che ebbe un certo successo, La notte degli stramurti viventiraccolta di parodie di noti film di fantascienza tarati sull’accento pugliese e meridionale in genere. Valse a segnalarmi per qualche antologia come Miguel son sempre mi, dove applicavo lo stesso meccanismo ai più celebri spot. Sta di fatto che l’ironia e l’umorismo mi caratterizzano parecchio specialmente quando presento dal vivo i miei libri. Faccio battute graffianti che colpiscono l’uditorio perché contrastano con la mia faccia da impiegato fantozziano di una volta.


SG: Ci sono state influenze del tuo lavoro come traduttore su quello di scrittore o viceversa?

EV: Prima di inziare a leggere quasi esclusivamente in inglese, francese e spagnolo, le opere che mi passavano sotto gli occhi erano ovviamente traduzioni italiane. Tra queste, mi piacevano molto quelle di Bruno Oddera. Oggi, però, è necessario rispettare molto gli originali, perché la lingua del mondo è più complessa.
Come autore, risento molto della mia passione per Joseph Conrad, e, tra i contemporanei, Peter Høeg, che avvistai a Copenaghen durante il mio viaggio di nozze, ma non osai avvicinare. Quanto agli altri, li ho già citati: Ambler, Le Carrè, Forsyth e, grandemente, Jack Higgins.


SG: In un mondo editoriale che procede a etichette, ci sono autori di narrativa che
invece spaziano tra un genere e l'altro e tu sei tra questi...

EV: Certamente, e ne sono felice. Ripeto, detesto gli autori italiani che narrano di serate al pub, di squallore esistenziale, di indecisioni sulla propria sessualità, di vite da studenti fuori sede e di “impegno sociale”. Io, per innamorarmi di ciò che scrivo, ho bisogno di grandi fondali, e li ritrovo nella spy-story, nella fantascienza, nel thriller storico, nel memoir che fonde tutto questo…
E mi permetto di rimandare ancora a La spirale dell’estate, la mia autobiografia “ritoccata”, che malgrado possa sembrare strano, contiene episodi da me realmente vissuti nell’estate del 1967, la famosa Summer of Love. Per me fu abbastanza avventurosa, anche se non proprio nei termini raccontati. Quel mio prozio di cui parlavo, conobbe davvero un celeberrimo autore di spionaggio con il quale fu in corrispondenza fino alla morte (dell’autore) avvenuta il 12 agosto 1964…

SG: La collana Spy Game è stata fondata da Stefano Di Marino, anche lui scrittore di tutti i generi, con cui hai spesso scambiato opinioni letterarie. Qual è il tuo ricordo di lui?

EV: Stefano venne a Pescara nel 2019, come ospite della seconda edizione di Pescara a Luci Gialle. Con lui c’era un altro carissimo amico, Andrea Carlo Cappi, che non a caso ha preso le redini di Spy Game. Fui molto felice di incontrarli finalmente di persona entrambi. Fra l’altro, Cappi mi aveva fornito a suo tempo una copia preziosissima di Goldeneye, un TV movie inedito in Italia sugli anni di Fleming in Giamaica.
Stefano era una persona eccezionale. Competente, entusiasta, iperattivo, sempre provvido di consigli. Ci sentimmo diverse volte al telefono, e le sue “dritte” mi furono indispensabili nel lavoro. Posseggo più o meno tutti i suoi libri. La notizia del tutto inattesa della sua morte me la diede un altro fraterno amico scrittore, Mariano Sabatini.
Oreste Del Buono definì Scerbanenco una “macchina per fabbricare storie”. Credo
che siano parole adatte anche per Stefano Di Marino.

Tutti gli ebook di Enzo Verrengia pubblicati da Delos sono disponibili


mercoledì 10 maggio 2023

Spy Game incontra Enzo Verrengia - 1

Enzo Verrengia a Vauxhall Cross, Londra, sede dell'MI6 

Spy Game incontra...

Comincia su Borderfiction Zone una serie di interviste agli autori della collana in ebook Spy Game - Storie della Guerra Fredda edita da Delos Digital, che propone romanzi brevi di spionaggio classico. Il primo ospite è Enzo Verrengia veterano della spy-story e della narrativa di genere italiane, scelto da Sergio "Alan D." Altieri per la cosiddetta "Legione Straniera" di Segretissimo Mondadori (così chiamata perché molti autori vi figurano con pseudonimi stranieri, anche se le loro identità sono ormai ben note) e da Stefano Di Marino per la squadra originaria di Spy Game. In questa prima parte parliamo appunto della spy-story secondo Verrengia, nella seconda delle sue varie esperienze come autore.

Enzo Verrengia, scrittore di spie

SG: Parlaci del tuo nuovo personaggio, l'Anonimo, che ha esordito in Spy Game nella primavera 2023 con La corsa della tartaruga e Caccia a due.

EV: L’Anonimo è un mio alter ego potenziato. Opera nei servizi segreti con una partecipazione emotiva, intellettuale e culturale. Rispetto a me, ha il vantaggio di essere molto più prestante sul piano fisico. La Guerra Fredda gli scorre addosso negli anni di piombo, che ne risentirono moltissimo.
Negli anni delle trame nere e degli opposti estremismi, ero poco più di un ragazzo, ma già interessato alla partita geopolitica. Mio padre lavorava nella Polizia, allora Pubblica Sicurezza, dove c’erano molte ricadute di quanto accadeva dietro le quinte delle manifestazioni di piazza. In più, un prozio aveva fatto parte dell’OVRA, il servizio segreto di Mussolini, rischiando la vita per salvare quelli che avrebbe dovuto catturare. Tanto che ebbe la medaglia della Resistenza. Peraltro di questo c’è traccia nel mio romanzo La spirale dell’estate, uscito nel 2021.


SG: In cosa si differenzia l'Anonimo dal protagonista del tuo precedente ciclo per Spy Game, la trilogia costituita da Morte a Venezia, Il mondo finisce a BerlinoFinale di caccia pubblicata tra il 2019 e il 2021?

EV: Anche lì c’è un mio clone narrativo, Leopardi. Con la differenza che il racconto è in terza persona e il protagonista ha qualche anno in meno dell’Anonimo. Leopardi rappresenta lo sviluppo della mia personalità liceale e universitaria. Ho sentito non solo l’odore dei lacrimogeni ma anche quello virtuale di una cospirazione che ha portato il mondo allo stato attuale di completa incontrollabilità.
E ritengo sia iniziato tutto con l’ascesa di Gorbaciov, che ha destabilizzato l’Unione Sovietica, provocato il crollo del Muro di Berlino e distrutto l’equilibrio planetario basato sulla pace armata e sulla MAD, la distruzione reciproca assicurata nel caso fosse scoppiata la Terza Guerra Mondiale. Quest’ultima, nella sua variante odierna, è ancora più a rischio di apocalisse di quanto non fosse fino al 1989.


SG: Quale fu la tua iniziazione alla spy-story?

EV: Capii subito che James Bond non c’entrava niente con il vero spionaggio. Lo consideravo più che altro un supereroe in smoking o tuta subacquea. Poi, a una stazione di servizio, durante un viaggio con i miei, comprai La spia che venne dal freddo e Lo specchio delle spie di John Le Carré, e da lì cambiò tutto. Avevo quattordici anni e compresi che i segreti, gli intrighi, le trame oscure, si consumavano senza gadget e bionde esplosive.

SG: C'è stata un’evoluzione dei tuoi interessi e nei tuoi gusti come lettore di spionaggio?

EV: Dopo Le Carré, scoprii Len Deighton e l’intera messe dei britannici, fino al loro mentore supremo, Eric Ambler, adorato dallo stesso Fleming. Seguì il mio grande entusiasmo per il nazithriller, con relativa nomenclatura annessa: Ken Follett, Frederick Forsyth e soprattutto Jack Higgins. Finché negli anni ’80 vi fu la svolta del
technothriller, e Tom Clancy divenne un altro mio nume tutelare, insieme a Larry Bond e Joe Weber. Fra l’altro, nel frattempo avevo scoperto un altro sottogenere spionistico, il thriller fantapolitico alla Sette giorni a maggio, e il presidential thriller.


SG: Con lo pseudonimo di Kevin Hocks e la serie L'Operativo, sei uno degli autori della “Italian Foreign Legion”, la Legione Straniera di Segretissimo Mondadori: parlaci di questa esperienza.

EV: Apparire su Segretissimo, che intanto avevo iniziato a comprare, era un sogno che consideravo impossibile da realizzare. Però ritagliai tempo ai testi radiotelevisivi e agli articoli giornalistici, con i quali sbarcavo il lunario, per scrivere un mio romanzo di spionaggio, Sandblast, dove entrava in scena un personaggio che già immaginavo seriale: l’Operativo.
Fu il compianto Vittorio Curtoni a mettermi in contatto con l’altro compianto Sergio Altieri, che ne fu entusiasta e me lo fece pubblicare. In seguito il timone passò al carissimo Franco Forte, che mi incoraggiò a continuare, apprezzando il mio lavoro. E non gliene sarò mai abbastanza grato.

SG: Qual è la tua visione della spy-story come autore?

EV: La spy-story deve poggiare su solide basi di politica internazionale, che anche l’Italia ha. Si pensi al lodo Moro, che ha risparmiato innumerevoli attentati terroristici sul nostro territorio, o ai contatti di Andreotti con tutte le parti in causa del Grande Gioco, alle ex colonie africane, alla morte di Giovannone, al sacrificio di Calipari, ecc. Non è vero che il nostro Paese fa da provincia del mondo. Anche adesso, in Ucraina, gli interessi italiani non sono meno rilevanti di quelli altrui.
Ciò premesso, credo che la spy-story sia l’unica forma letteraria capace di fornire interpretazioni della Storia in diretta. Detesto il minimalismo dei giovani autori venuti fuori negli anni ’80 e oggi in andro e menopausa. Bisogna raccontare grandi progettualità, anche nel male, manovrate da personalità dalle molteplici sfaccettature. Nella spy-story converge tutto, anche i sentimenti, le introspezioni, l’intellettualismo. Non è tutto kiss-kiss bang-bang.

Continua a questo link.



venerdì 5 maggio 2023

Iperwriters - Fuga da quale Bronx

Photo: Nazarizal Mohammad on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 20 - Fuga da quale Bronx

Venerdì, ore 13. Sono nata negli anni '50, e se avete conosciuto una periferia italiana di quel decennio capirete perché volevo fuggire.
Mi sentivo come un pesce intrappolato in una pozza putrida durante la peggiore siccità del secolo.
In teoria, le mie aspettative di futuro sarebbero state quelle del boom. Ma venendo dalla casta sociale più bassa, con un corredo di ostacoli esterni (i coevi ci odiano) e interni (ci facciamo del male e gli altri ne approfittano), era escluso che potessi accedere allo status di autore di successo entro i trent'anni, e costruirmi uno di quei feudi televisivi che allora (ancora) garantivano una durata e un nome. Ero destinata a non pubblicare mai neppure uno sciagurato libro di poesie a pagamento.
Il solo ascensore sociale a mia disposizione era per l'inferno.
Di tutto quello che poteva subire una femmina biologica e in particolare una femmina non conforme alla richiesta sociale (bullismi, molestie, mobbing, eccetera) non mi hanno veramente fatto mancare nulla. Volevo fuggire, ma non volevo suicidarmi.
E volevo sottrarmi a un destino sociale da moglie di qualcuno o schiava salariata. Avevo un sacro terrore dell'insegnamento in scuole come quelle frequentate da studente e nessun interesse per altri mestieri.
Dovevo arrangiarmi con i soli strumenti storici che da sempre permettevano alle femmine di umili origini di salire: la religione, lo spettacolo e la scrittura.
Un'altra carriera, mi direte? Sì, forse, appartenendo a una casta alta, avrei tentato con la magistratura o la politica, che non avrebbero escluso un'attività letteraria collaterale... anzi, l'avrebbero favorita.
Ma, ci crediate o no, negli anni '60 avere successo come scrittrice mi pareva perfino più probabile, più realizzabile che avanzare faticosamente in un altro campo, meno prestigioso. Come dire, non potevo scalare l'Everest ma potevo volare sulla luna.
Ma, mi chiederete: Non lo sapevi che in Italia nessuno riesce a vivere di diritti d'autore?
Avevamo pagato per i libri letti. Ci sembrava naturale essere pagati per quelli che avremmo scritto.
No, non lo sapevo. Noi non lo sapevamo.

venerdì 21 aprile 2023

"Sindrome 75" a Milano - 21 aprile '23


In una Milano isolata dal mondo e invasa da creature mostruose, l'epica lotta di un manipolo di eroi contro le forze del male: un volume a fumetti e un libro di narrativa editi da Excalibur nella collana RaccontaMI. La graphic novel "Sindrome 75" di Francesco G. Lugli & Gian Luca Margheriti (a cura di Adriano Barone), illustrata da Locatelli-Cesana-Ganto e l'antologia di racconti "Sindrome 75 - Cronache dall'Apocalisse" con le storie di Bay, Cappi, Casazza, Geroli, Lugli, Margheriti, Miozzi, Pastori, Rebatto e Sangiorgi sono presentate a Milano venerdì 21 aprile 2023 alle ore 18.00 presso Willy's Bar, viale Sabotino 1.

Iperwriters - Bancarella senza premio

Photo: Nacho A on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 19 - Bancarella senza premio

Venerdì, ore 13. Scusate la digressione del precedente editoriale, e scusate se insisterò ancora sul costo della cultura.
Alle superiori, quando avevo un po' di soldi da spendere, andavo dalle capanne degli schiavi (il quartiere di periferia in cui abitavo) alla bancarella di libri (in semicentro, territorio della classe media). Un chilometro di distanza, che spesso percorrevo a piedi.
(Veramente le bancarelle erano due: una vendeva libri nuovi, in edizione economica accessibile alla mia paghetta; l'altra vendeva libri molto usati, perfino ingialliti e accartocciati, ancora più economici).
Alla bancarella ho trovato tutte le meraviglie che sono tuttora le mie pietre miliari: Il ritratto di Dorian Gray, Madame Bovary, Cime tempestose, Frankenstein, le opere di Stevenson e Poe.
Le ho scovate per puro istinto animale. Sui profili social tento di scrivere: laurea in lettere, in seguito autodidatta. Non c'è mai completamento automatico della frase, perché nessuno la usa. Eppure, in molti sono convinti di aver lavorato seriamente solo fino alla terza media. Io pure sentivo di dovermi istruire da sola.
Ho scovato i libri, dicevo, come un cane da tartufi mai addestrato usa comunque il suo fiuto, e scova i tartufi. E, da cane senza padroni, probabilmente se li mangia. Ma, diversamente da un cane, io i tartufi li pagavo.
La cultura ha un costo per chi la produce. In tutti i sensi e sotto tutti gli aspetti: tempo, energia, studio, fatica, rabbie, tensioni, e tanta pazienza. Un notevole costo esistenziale. Senza premio.
Una generazione di scrittori della mia età, come me, ha pagato un costo per la cultura di formazione, e un costo per la cultura che ha prodotto. Parliamo di persone che avevano investito molto, o quasi tutto, su un progetto di tipo letterario. Questa generazione oggi è scomparsa. Civilmente, quando non fisicamente.
I libri che hanno scritto, che abbiamo scritto dando sangue e anima, si sono venduti alla fine degli anni '90 per uno e due euro. I blogger attuali ignorano che siano mai esistiti. Alcuni “recensori” negano perfino che io sappia scrivere.
Avevamo investito noi stessi per avere una vita: e la cultura ci è costata la vita.

martedì 11 aprile 2023

Mister Hyde: il doppio e il suo doppio


"Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde" di Robert Louis Stevenson (1886) è un capolavoro della narrativa gotica, ma anche un'icona del dualismo dell'animo umano, oltre che - come sottolineò Stephen King in un suo saggio - una disamina dell'ambiguo potere della scienza che si ricollega al "Frankenstein" di Mary Shelley. E, fatto molto curioso, è anche il romanzo che fu scelto per inaugurare la rinascita de "Il Giallo Mondadori" dopo la Seconda guerra mondiale, pur essendo del tutto estraneo alle linee della collana, prima e dopo.
Correva voce che il manoscritto originale del lungo racconto fosse bruciato nel caminetto di casa Stevenson, per mano dell'autore o, secondo altre versioni, di sua moglie. Quindi sarebbe esistito un "doppio perduto" di una storia sulla perdizione del "doppio".
Tempo fa ci arrivò un curioso messaggio che riportammo - sospettosi - su questo blog. Ma ora riceviamo dalla casa editrice Edikit un brano di un testo di imminente pubblicazione in un volume a cura di Mario Gazzola, che potrebbe scuotere tutte le convinzioni in merito al dottor Jekyll. Nell'enigmatica nota con cui il curatore accompagna l'estratto si fa riferimento anche a un "Hyde e l'altro", opera di una contemporanea di Stevenson di nome Jane Mason, da cui proviene l'illustrazione di apertura.
Dov'è stato recuperato dunque l'estratto che segue, in cui incontriamo un Hyde spaventosamente lucido, pronto a esprimere appieno le proprie malefiche potenzialità? E sarà un caso se questo misterioso manoscritto stevensoniano torna alla luce in un'epoca in cui la natura (umana e non) ha risvegliato in Occidente le paure ataviche dell'uomo, dalla pestilenza alla guerra?

... Le mie escursioni notturne nei goffi ma energici panni del bieco Hyde divennero sempre più frequenti, man mano che guadagnavo maggiore sicurezza nella miscelazione dei componenti e nei dosaggi della pozione da assumere. E parimenti più ardite divennero le mie imprese e le gratificazioni che ne traevo, pur senza trovarmi mai veramente sazio: ogni piacere, ogni godimento, per quanto sfrenato, qualsiasi forma di possesso e abuso riuscissi (e riuscivo sempre) a stabilire sul prossimo che per sua sfortuna incappava sul mio cammino, non bastava mai a saziare la mia brama di spingermi oltre.
Era esattamente come in tutti quei libri gotici che avevo letto, il profondo studio di Baring-Gould o i racconti a tinte forti di altri scrittori francesi, come quel Dumas, che sembrava aver profetizzato il mio stesso destino, oppure Guy de Maupassant (sempre i dannati francesi!), in cui un uomo qualsiasi durante le fasi lunari di luna piena si trasforma in un lupo ferocissimo e insaziabile. Ma quello del licantropo è un mito comune a molte culture ben prima della letteratura gotica contemporanea, non è solo una creatura di fantasia per spaventare bambini e donzelle, e neppure un prodotto della malattia mentale, come sostengono diversi psicologi moderni. Esso non rappresenta che il ritorno a quel primitivo stato di ferocia naturale che esalta i sensi e gli istinti sopiti del carnivoro umano, dalle menadi greche ai vlukodlak slavi fino ai berserker scandinavi, i terribili compagni di Odino nella Caccia Selvaggia, un altro rituale di sangue ben rappresentato dal dipinto del pittore norvegese Arbo.
Il lupo sbrana la preda per istinto, è nella sua natura, e incarna la Paura per antonomasia della razza umana: quella dell’aggressione e della violenza. L’uomo che ritrova il lupo in sé si scopre più robusto, più forte, il naturale dominatore del creato. E, come dimostrano i riti orgiastici di tante culture tribali, più potente e vorace è anche il suo sesso. Proprio come in me ora. Edward Hyde non era dunque un mostro, bensì semplicemente l’uomo riportato alla sua originaria natura ferina. L’uomo che sedeva fiero al vertice della piramide naturale, che si nutriva e si serviva a proprio piacimento delle creature che lo circondavano nella valle dell’Eden, che dominava la femmina com’essa aveva bisogno fisiologico d’esser dominata.
Un lupo, ma con la profondità mentale che solo all’uomo garantisce l’inesauribilità del desiderio, in forza del quale la brama più divorante, il piacere più dolce, è sempre quello che sta ancora dinanzi ai nostri occhi come una chimera da conquistare. Come un frutto per Tantalo.
Questo era il vero potere del mio farmaco: la droga avrebbe scatenato il potere della mia mente di mutare il mio stesso corpo (o, chissà, forse solo la sua percezione da parte del mondo), aprendo la porta del mio studio privato allo scellerato Hyde, che non sarebbe mai stato riconosciuto quale alter ego luciferino dello stimato e mite dottor Jekyll. E così avrebbe potuto andare liberamente fino al fondo più oscuro di un’esistenza votata al Male assoluto, senza correre rischi di punizioni da parte della legge degli uomini e senza impedire che l’altra metà della mia anima, quella proba e virtuosa, proseguisse il proprio cammino nel Bene.
A volte pensavo che avrei dovuto condividere la mia scoperta con il resto dell’umanità: avrei potuto preparare la dose più grande possibile della mia pozione, alla diluizione più intensa, quindi introdurmi con la scusa di qualche ricerca medica per la salute pubblica e finalmente versarla nell’acquedotto municipale di Londra. Sarebbe stata l’apoteosi demoniaca di un genio del Male: non più un semplice malfattore dei vicoli notturni, ma un gigante della statura di un Satana miltoniano, che col suo gesto blasfemo avrebbe liberato dalle catene della “civiltà”, del “bene”, le menti di tutti gli uomini, persino quelle delle donne.
Finalmente Hyde avrebbe regnato su un immenso baccanale di lupi feroci e menadi infoiate, come all’inizio dei tempi nelle selve primitive, di nuovo e per sempre.

PS del 14 aprile 2023: la soluzione dell'enigma a questo link.

venerdì 7 aprile 2023

Iperwriters - Il costo della cultura

Photo: Mika Baumeister on Unspash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 18 - Il costo della cultura

Venerdì, ore 13. E' stata una vera sfortuna vivere in un'epoca in cui la cultura si regala. Ovvero, si finge di promuoverla per immetterla nel circuito degli svuotacantine, assimilando libri e film a mobili vecchi, abiti vecchi, stoviglie vecchie, e ogni sorta di roba vecchia.
Per analizzare il processo (e le motivazioni) che hanno trasformato la cultura e le arti nella donna-gallina del finale di Freaks di Todd Browning (la ricordate?) occorrerebbero tre o quattrocento di questi editoriali.
Parliamo di potere d'acquisto e facciamo un po' di comparazioni. Tutti sappiamo che un ebook, oggi, costa da 0 a 0,99 damned euro. Non ne diamo la colpa alla digitalizzazione: infine, se per un ebook si pretendessero 100 euro, 100 euro verrebbero pagati.
Mezzo secolo fa, negli anni '70, un libro, anche in edizione economica, costava quanto un ingresso al cinema o in discoteca. Un classico nel pubblico dominio costava, perché gli editori sostenevano costi di stampa. Con le nostre paghette, da giovani, dovevamo scegliere se leggere o comprare un biglietto ferroviario per passare una domenica al mare. E per avere un libro in edizione di lusso aspettavamo Natale o il compleanno. La cultura aveva un suo costo, com'era giusto, perché noi ne capivamo il valore.
Max e io, da giovani, andavamo al cinema almeno tre sere alla settimana. Avevamo un abbonamento per un posto fisso a teatro che non avremmo potuto permetterci: regalo di mia suocera, molto costoso. Ho quindici scaffali di libri in casa, un piccolo patrimonio se potessi rivenderli rivalutati con un interesse del dieci per cento annuo.
Oggi i giovani vengono pagati per comprare libri, andare al cinema, a teatro e nei musei. Ora, conosciamo le leggi di mercato: il sentimento del valore di un oggetto cresce in proporzione al suo prezzo. Se te lo svendono, pensi che valga poco. Se te lo regalano, è una delusione. Se ti costringono a comprarlo, lo rivendi. A quegli sventurati che ancora ne fanno uso: probabilmente, insegnanti che già stanno cercando di farti capire l'importanza della lettura.
Strano paradosso di un sistema capitalista: pubblicità progresso con invito alla lettura e opere letterarie tirate dietro in perdita.
Ma anche questo è parte di un lavoro, in corso da decenni, per azzerare ogni merito alla creatività umana.

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...