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martedì 18 agosto 2020

La rinascita di Bucky Barnes


Percorso di Alby Bottecchia

C'era una volta Bucky Barnes, il personaggio che Joe Simon e Jack Kirby idearono durante la Seconda guerra mondiale come giovane spalla del loro eroe protagonista, Capitan America - un po' sul modello di Robin per Batman - e che come il più celebre titolare di serie, venne recuperato un ventennio più tardi da Stan Lee e inserito nell'universo della Marvel Comics Group. Se nelle storie ambientate in tempo di guerra Bucky aveva il ruolo di braccio destro di Steve Rogers, in quelle datate anni Sessanta, risulta missing in action, alimentando il senso di colpa di Cap per non essere riuscito a salvarlo. Di Bucky conta soprattutto... l'assenza. Ma nel tempo il personaggio assumerà un ruolo molto importante nell'universo Marvel. Il nostro Alby Bottecchia ne ripercorre le tracce.

Bucky Barnes è un guerriero nato: figlio di un sergente dell'esercito rimasto ucciso in addestramento nel 1935, viene adottato dai commilitoni del padre e diventa la mascotte di Fort Leigh. A quindici anni rimane coinvolto in una rissa durante una licenza e, nonostante la giovane età e lo svantaggio numerico, riesce ad avere la meglio sulla maggior parte dei suoi assalitori prima di venire arrestato. Una volta rilasciato, il ragazzo viene avvicinato dal generale Philips. Colpito dalla sua abilità con le armi, dalla velocità di combattimento e dal coraggio del giovane, Philips lo arruola in un programma speciale. Bucky viene inviato a Hereford, Inghilterra, sede del neonato SAS, il reparto speciale creato dai britannici per incursioni dietro le linee nemiche; qui affina le sue doti di assassinio furtivo, sabotaggio e furto di informazioni, e la sua tecnica di combattimento raggiunge livelli eccezionali.

In coppia con Steve Rogers alias Capitan America, Bucky porta a termine numerose missioni ad alto rischio affrontando avversari micidiali del calibro di Red Skull, Master Man e Einrich Zemo. Proprio durante un confronto con Zemo avviene un drammatico incidente: cercando di disattivare un prototipo di bomba a bordo di un'aereo teleguidato, i due eroi rimangono coinvolti in un'esplosione e  le loro vite cambieranno radicalmente: scagliati entrambi in acqua, cadono in animazione sospesa, Steve, ritrovato cinquant'anni dopo dal gruppo di eroi noto come Avengers, ne diventa la guida e l'ispirazione.
A Bucky purtroppo  il destino riserva una sorte peggiore: affetto da amnesia, subisce la perdita del braccio sinistro a causa dell'immersione prolungata nelle gelide acque della Manica; l'arto verrà successivamente rimpiazzato da una protesi speciale, in grado di accrescere notevolmente forza e resistenza. Nonostante l'amnesia il ragazzo conserva intatte le proprie capacità e l'ufficiale del KGB che lo ha recuperato lo trasforma in un killer al servizio dell'Unione Sovietica e il principale responsabile di una catena di omicidi che si snoda lungo tutto l'arco della Guerra Fredda, con un nome in codice che diviene sinonimo di terrore: Winter Soldier.

Alla fine della Guerra Fredda il cilindro che contiene il corpo di Bucky (tenuto in stasi tra una missione e l'altra) viene acquisito da Red Skull, che usa Winter Soldier come arma contro il suo vecchio partner, Capitan America. Grazie al Cubo Cosmico - un artefatto alieno in grado di manipolare la realtà - Steve sblocca i ricordi del suo socio, il quale seppur perseguitato dai suoi trascorsi da assassino riprende ad operare come agente jolly agli ordini di Nick Fury, direttore dell'agenzia spionistica SHIELD.
In seguito alla Guerra Civile dei supereroi, che ha visto contrapporsi due fazioni - una guidata da Iron Man, favorevole alla supervisione governativa degli eroi mascherati - e l'altra contraria - proprio sotto l'egida di Steve Rogers - Cap viene sconfitto e arrestato. È a questo punto che il piano di Red Skull raggiunge il suo culmine: sui gradini del tribunale di New York, Steve viene abbattuto da tre colpi sotto gli occhi della fidanzata, l'agente SHIELD Sharon Carter, morendo durante il trasporto in ospedale.

Bucky cerca di vendicare il suo migliore amico: dopo essersi impadronito del mitico scudo di Steve, a seguito di un duello serrato con la bellissima e letale Natasha Romanov alias Black Widow. Affronta quindi Red Skull, ma purtroppo viene catturato. Liberato proprio da Natasha, Bucky accetta di assumere il ruolo di Capitan America, indossando un'uniforme nuova di zecca disegnata da Tony Stark. Insieme a Black Widow, con la quale instaura un profondo legame sentimentale, e al partner storico di Steve nei tempi moderno, Sam Wilson alias Falcon, riesce a fermare il piano di Red Skull per impadronirsi del governo degli Stati Uniti.
Il ritorno di Bucky e il suo assurgere al ruolo di Capitan America sono opera dello scrittore Ed Brubaker (autore di Incognito, Fade Out) e del disegnatore Steve Epting (The Marvel Project).
La magistrale abilità degli autori nel tratteggiare la psicologia del personaggio (in perfetto equilibrio tra un'eroe d'azione e un uomo tormentato dai demoni del proprio passato), il ritmo incalzante della narrazione e il sapore cinematografico  rendono questo avvincente... film a fumetti una lettura assolutamente consigliata.









martedì 13 novembre 2018

Stan Lee, fornitore di meraviglie

Stan Lee in un albo Marvel degli anni Sessanta


Confessioni di Stan Lee raccolte da Andrea Carlo Cappi

Il 12 novembre 2018, a quasi novantasei anni - che avrebbe compiuto il 28 dicembre - muore Stanley Lieber in arte Stan Lee, forse la figura più nota nella storia del fumetto mondiale: già dagli anni Sessanta la sua immagine appariva di frequente sugli albi della Marvel Comics, creando un rapporto diretto con i lettori. Ma molti hanno conosciuto "Stan the Man" in tempi più recenti, quando già ultraottantenne prese l'abitudine di apparire in un cameo umoristico alla Alfred Hitchcock nei film basati sui personaggi della sua casa editrice. La primissima apparizione risale in realtà al 1989, come membro della giuria in Processo all'incredibile Hulk, tv movie derivato dalla storica serie di telefilm con Bill Bixby e Lou Ferrigno, in cui per la prima volta si vedeva sullo schermo anche un altro personaggio Marvel, Daredevil.
Stan Lee non ha creato tutti i personaggi che popolano l'Universo Marvel: ne ha ripresi alcuni come Capitan America, Submariner o la prima Torcia Umana dalla Timely Comics, la compagnia in cui aveva cominciato a lavorare nel 1939, prima di andare in guerra: il suo esordio era stato proprio su un numero di Captain America Comics nel 1941. Altri ancora sarebbero nati nei decenni successivi per mano di autori della Marvel.
Tuttavia furono molti i nuovi eroi che Stan Lee creò di persona, in collaborazione con il fratello Larry Lieber, con celebri autori-disegnatori quali Jack Kirby e Steve Ditko, e con colleghi come Bill Everett. I loro personaggi, che avrebbero costituito l'Universo Marvel, erano contraddistinti dalla formula "supereroi con superproblemi", che li rendeva più umani agli occhi dei lettori rispetto a superuomini e superdonne dei fumetti precedenti.
Dagli anni Duemila i personaggi della Marvel hanno conosciuto nuova popolarità grazie ai cosiddetti "cinecomics". Stan Lee occupava ormai solo una carica onorifica, ma era sempre presente, oltre che nelle partecipazioni straordinarie dei film, anche nei contenuti speciali dei dvd, restando una figura familiare al pubblico. Nel 2018 ha fatto in tempo a vedere il decennale dei Marvel Studios (peraltro acquisiti nel frattempo dalla Walt Disney) e il lancio del più ambizioso progetto cinematografico della sua compagnia, Infinity War.

Il 5 dicembre 2003 il Noir in Festival si videocollegò da Courmayeur con Los Angeles, da dove Stan Lee rispose alle domande di Giorgio Gosetti, alle mie e a quelle del pubblico in sala. La conversazione fu pubblicata l'anno dopo su M-Rivista del Mistero e nel 2012 all'interno del volume Spiderman - 50 anni di un mito. Oggi è il giorno più adatto a riproporla.

I fumetti

Cominciai quando avevo circa diciassette anni. C’era un posto libero in una casa editrice, pensavo di voler fare lo scrittore e accettai il lavoro. Non sapevo che si trattasse di fumetti, credevo fossero libri o riviste. Quando seppi che il lavoro era nella sezione fumetti, pensai che sarebbe stato divertente, che me ne sarei occupato per un po’, per fare esperienza, e che poi mi sarei avventurato nel mondo reale. Per qualche ragione, dopo più di mezzo secolo, me ne sto ancora occupando.
Quando ho cominciato, volevo fare qualcosa di diverso. Come scrittore non volevo fare un’imitazione di qualcos’altro. C’era una certa formula che dovevo seguire. Sapevo che i lettori volevano supereroi con superpoteri e che volevano che gli eroi indossassero dei costumi. Ma, a parte quello, cercai fare tutto in modo differente. Tentai di renderli molto umani. Qualsiasi essere umano ha un difetto di qualche genere. C’è chi è timido, c’è chi è debole, c’è chi non vede o non sente bene. Pensai che, dando loro certe fragilità umane, li avrei resi più credibili, malgrado fossero dotati di superpoteri.
Se leggi una storia il cui protagonista riflette i tuoi stessi desideri, le tue stesse ambizioni, ma anche le tue paure e le tue inquietudini, puoi legarti maggiormente a quel personaggio, puoi credere in quel personaggio.
Ritengo che i supereroi possano essere simili alle persone normali. Se l’eroe è solitario, ha problemi sentimentali, è tormentato, questo lo rende simpatico al lettore. Una cosa che ho sempre cercato di fare come scrittore è stato usare molto i thought balloons, i fumetti con i pensieri, riconoscibili dalle bollicine sopra la testa dei personaggi. Mostrare ciò che un personaggio sta pensando è un altro modo per permettere al lettore di comprendere il personaggio.
In verità sono molto pigro. Quando ho creato l’Uomo Ragno, dovevo motivare i suoi superpoteri, quindi mi sono dovuto inventare che fosse stato morso da un ragno radioattivo. Lo stesso valeva per Daredevil: mi inventai che un liquido radioattivo gli fosse finito negli occhi. Hulk era stato investito dai raggi gamma, i Fantastici 4 dai raggi cosmici… Ero a corto di ragioni per cui i supereroi potessero diventare tali, così mi venne in mente che se erano dei mutanti, potevano nascere coi loro superpoteri. Succede. Dopotutto, un serpente con due teste è un mutante. Se erano dei mutanti, non c’era più bisogno di ragni radioattivi o raggi gamma, non c’era niente da spiegare e potevo andare avanti con la storia.
Quando cominciai, scrivevo sceneggiature per i fumetti con le stesse tecniche usate per lo schermo: descrizione della scena e dialoghi. In seguito lasciai la mano più libera agli artisti per quanto riguardava il layout. I disegnatori erano liberi di scegliere come comporre la scena. Poi mi passavano le tavole e io aggiungevo dialoghi e didascalie. In questo modo potevo lavorare più rapidamente, con più disegnatori nello stesso momento.


Capitan America

Capitan America non era una mia creatura: era stato inventato anni prima da Jack Kirby e Joe Simon. Era ancora un personaggio monodimensionale: un “buono” con superpoteri che combatteva contro i cattivi, affiancato da una spalla teen-ager, Bucky Barnes. Ma non si poteva dire molto altro di lui. Quando cominciai a scriverne come personaggio Marvel negli anni Sessanta, Capitan America non usciva da molti anni. Decisi di riportarlo in vita. Ma volevo dargli un po’ di personalità, qualche problema. Volli renderlo incapace di adattarsi al mondo degli anni Sessanta. Capitan America si sentiva, in qualche modo, un anacronismo, un uomo di altri tempi che non capiva gli eventi, la musica, l’ambiente degli anni Sessanta. E fu così che lo ripresentai al pubblico.
Alcuni anni dopo smisi di scriverne le sceneggiature, ma ci furono altri scrittori che proseguirono il lavoro, cercando di portarlo ancora più avanti, di renderlo più realistico. Avevamo fatto morire Bucky, lo avevamo sottoposto a molte prove (avevo appena menzionato il periodo dopo il Watergate, in cui Capitan America non si riconosceva più nel suo paese e aveva adottato un costume nero e il nome di battaglia Nomad, A.C.C.) Tutto questo con l’obiettivo di rendere il personaggio una persona reale in un mondo reale. Perché alla gente vera succedono molte cose, a volte muoiono degli amici. Ed è interessante vedere come un eroe reagisce alle sventure che capitano nella sua vita. Questa era l’intenzione.


Televisione e cinema

Ralph Bakshi è un genio, un grande animatore. Amavo i suoi vecchi cartoni animati dell’Uomo Ragno. Non disponevano ancora di tutti gli effetti al computer che si usano oggi, ma avevano molto spirito, molta anima. Erano molto interessanti. Vorrei aggiungere che in questo momento c’è una nuova serie a cartoni animati sull’Uomo Ragno. Non so se sia stata già trasmessa in Italia, ma posso dire che è la migliore mai realizzata. Spero che la vedrete. Sono sicuro che vi piacerà.
Dipende tutto dalla qualità. Nel fumetto, il successo dipende dal fatto che una storia sia scritta bene e sia disegnata bene. Un film funziona se è ben scritto, ben diretto e ben recitato. Siamo stati molto fortunati: abbiamo avuto i migliori registi, i migliori sceneggiatori e i migliori attori. Quello che arriva sullo schermo cinematografico è molto fedele al contenuto dei fumetti. Nessuno ha cercato di alterarne lo spirito o la qualità. Quindi penso che siamo stati fortunati sotto tutti i punti di vista.
Sam Raimi, regista di Spiderman, è un mio vecchio amico, una persona splendida e di grande talento. Andiamo perfettamente d’accordo. Se vi raccontassi qualcosa della trama del nuovo film, mi ammazzerebbero. Ma posso anticiparvi che l’avversario è il Dottor Octopus, che sarà interpretato da un vero attore e non sarà un personaggio generato al computer, anche se verranno usati opportuni effetti speciali. Sono pronto a scommettere che Spiderman 2 sarà all’altezza del primo film, o addirittura migliore. Aspettate e vedrete.
Non seguo direttamente lo sviluppo: produttori e registi scelgono da soli… e ogni tanto mi concedono una partecipazione straordinaria. Nel mio prossimo cameo avrò addirittura una battuta. Posso considerarmi un membro del cast.
Ora è in uscita Ghost Rider e in lavorazione Fantastic Four. Stiamo preparando un film su Silver Surfer, uno sul Dottor Strange, uno su Submariner (Silver Surfer è apparso nel sequel di Fantastic Four, il Dottor Strange è arrivato sullo schermo solo più tardi, all'interno della saga di The Avengers, mentre il film su Submariner non è mai stato realizzato, A.C.C. 2018) A dire il vero praticamente ognuno dei personaggi principali della Marvel è protagonista di una sceneggiatura in preparazione in uno studio di Hollywood piuttosto che un altro. Ci saranno poi i sequel: oltre a Spiderman 3 anche Daredevil 2 e così via (Daredevil 2 non è mai stato realizzato: dopo il primo film e lo spin-off su Elektra, il progetto è rimasto fermo e Daredevil è tornato solo di recente nella serie tv realizzata da Netflix, A.C.C. 2018). È incredibile quanti “Marvel movies” sono in lavorazione in questo momento.
Credo che ai bambini piacciano. Cerchiamo di realizzare i film con gli stessi criteri con cui facciamo fumetti: in modo che possano piacere a ogni tipo di pubblico. Complessi quanto basta per essere apprezzati da un lettore adulto, ma chiari e comprensibili anche per i più piccoli. E cerchiamo di fare lo stesso con il cinema: adeguati a un pubblico adulto, ma divertenti per un pubblico più giovane.

Dopo la Marvel

Sono fuori da un po’ dai fumetti. Ora sto a Los Angeles, mentre la Marvel Comics è a New York. Negli ultimi anni mi sono occupato essenzialmente di cinema e televisione.
Per quanto riguarda la Marvel… è una strana situazione. Non l’ho effettivamente lasciata, sono tuttora il presidente emerito, più che altro un titolo onorario, e ancora faccio quello che posso per sostenere la Marvel, partecipo alle convention… Ma ho formato una mia compagnia, chiamata POW Entertainment, dove POW sta per Purveyors of Wonder (“Fornitori di Meraviglie”, N.d.R.) Ci occupiamo di cinema, televisione e animazione, basati su mie idee originali che non hanno nulla a che vedere con la Marvel. Sentivo che era venuto il momento di fare le mie cose. Mi sto divertendo molto, lavoro con gente come Nick Cage, Pierce Brosnan, Robin Williams. Realizzo una serie a cartoni animati chiamata Striperella, non so se ne avete sentito parlare, con Pamela Anderson nel ruolo di una donna che fa la danzatrice esotica di notte… e la supereroina di notte... più tardi. Stiamo anche lavorando a un cartone animato con protagonista Hugh Hefner, l’editore di Playboy, chiamato X-SuperBunnies: nessuno sa che Hefner è un supereroe che combatte per la libertà, così come nessuno sa le sue ragazze sono scienziate nucleari che lottano per salvare il mondo. Ci stiamo lavorando in questo momento ed è molto divertente (A dire il vero, non mi risulta nulla in merito a questi progetti! A.C.C. 2018)


La musica

Mi piace la musica di ogni genere. Comincia a piacermi anche il rap, l’unico problema è che non capisco che cosa dicono. Il rock mi piace: anni fa ho scritto anche testi per varie rock band. Sono amico di molte rockstar. Ho un aneddoto: una volta, in Inghilterra, ho ricevuto una telefonata in albergo. Una voce disse: “Sono Paul McCartney, ho saputo che è in Inghilterra, deve venirmi a trovare.” Io dissi: “Non conosco nessun Paul McCartney.” Ero sicuro che fosse uno scherzo. Ma lui mi diede un indirizzo e io ci andai, giusto per vedere di che cosa si trattasse. Ed era davvero Paul McCartney! Viveva in una grande casa, con davanti una grossa Rolls Royce e accanto una piccola Mini Morris. Sembrava che la Rolls Royce avesse appena avuto un figlio. La ragione per cui mi voleva vedere era che sua moglie Linda aveva una figlia che stava lanciando una band chiamata “Susie and the Red Stripes” (lei era Susie) e volevano che facessi un fumetto con lo stesso nome per promuovere il gruppo. Dovevamo riparlarne, ma poi non se ne fece nulla: quando lui arrivò in America io ero in Messico e quando io tornai in Inghilterra lui era da un’altra parte. Non ci incontrammo più, ma era stato molto divertente sollevare il telefono e sentirmi dire: “Pronto, sono Paul McCartney, vorrei vederla.” Non si sa mai che cosa aspettarsi, quando suona il telefono.

I cattivi

Ci siamo sempre ispirati al quello che accadeva nel mondo reale. Durante la Seconda guerra mondiale, i cattivi erano spesso nazisti. All’epoca della Guerra Fredda molta gente in America aveva paura della Russia e pensavamo che i comunisti fossero i cattivi. Ma dopo diventammo più attenti e più sofisticati: non potevamo prendere un intero gruppo di persone e dire che erano tutti cattivi. Oggigiorno, quando serve un nuovo cattivo, prendiamo un terrorista. Uno dei maggiori problemi nei fumetti e inventare dei cattivi. Si può usare lo stesso eroe, ma in ogni storia ci vuole un nuovo cattivo. Può diventare faticoso, d'altra parte il buono deve pur combattere contro qualcuno. E bisogna sempre trovare un nuovo cattivo, un mese dopo l’altro.
Me ne piacciono tantissimi. Amo il Dottor Destino, il Dottor Octopus, Goblin, l’Uomo Sabbia… non li ricordo nemmeno tutti. Purtroppo sono smemoratissimo. Per darvi un’idea della mia pessima memoria, vi dirò che quando inventavo un personaggio, gli davo sempre un nome di battesimo che cominciasse con la stessa lettera del cognome, come Peter Parker, Matt Murdock, Reed Richards. Lo facevo già quarant’anni fa. La ragione era che, se riuscivo a ricordare uno dei nomi, avevo un indizio sull’iniziale dell’altro nome. Per cui cominciavo con Bruce… come si chiamava? Bruce Banner, ecco com’era. Credo una volta di avere scritto “Bert Banner” invece di Bruce Banner. E tutti i lettori mi scrissero: “Non si ricorda il nome dei suoi stessi personaggi?” Me la cavai da codardo, dicendo: “Il nome completo è Robert Bruce Banner.” Sono uno smemorato.

Il supereroe preferito

Quello che mi somiglia di più non è un supereroe. Probabilmente è J. Jonah Jameson, il direttore del giornale per cui lavora l’Uomo Ragno. Se dovessi scegliere un supereroe, direi Reed Richards, non perché il mio corpo si allunghi, e non perché io sia uno scienziato intelligentissimo. Reed Richars è un uomo che parla sempre troppo. Annoia sempre la Cosa, che gli dice di stare zitto. Quindi assomiglio a Reed Richards: quando comincio a parlare, non smetto più. Ma sono come un padre a cui si chiede qual è il figlio preferito: li amo tutti quanti.
Excelsior!




lunedì 30 aprile 2018

Avengers: alle porte dell'infinito




Panoramica di Andrea Carlo Cappi

Il momento che i fan del Marvel Cinematic Universe aspettavano è arrivato: l’uscita di Avengers – Infinity War. E le reazioni del pubblico in sala sono... Ve lo dico nel prossimo articolo: questo è uno di quei casi in cui è difficile parlare di un film senza inciampare negli spoiler. Per ora comincio a occuparmi degli episodi dell’MCU che hanno portato al nuovo film... e già ora vi avviso di spoiler per chi ancora non li abbia visti.
Comincio a precisare, per chi negli ultimi anni abbia consumato una manciata di film di supereroi e abbia le idee confuse, che in questo universo non ci sono i personaggi della DC Comics (quella di Superman, Batman e WonderWoman). Ma non ci sono nemmeno altri personaggi della Marvel Comics apparsi al cinema di recente e che sul grande schermo seguono un percorso diverso: dai Fantastici Quattro – stroncati peraltro da un pessimo e inutile reboot dopo due buoni film degli anni Duemila – agli X-Men, inclusi Wolverine/Logan e Deadpool, che invece hanno sempre mantenuto un ottimo livello.


Nel caso dell’MCU non si tratta di semplici origins movie e relativi sequel, bensì di un complicato tessuto narrativo in cui a volte personaggi importanti appaiono e si sviluppano in pellicole che non portano il loro nome. La storia generale va avanti anche se avete un attimo di distrazione e vi perdete qualche supereroe in apparenza secondario.
Per esempio, a molti spettatori non assidui può essere sfuggito Ant-Man, film del 2015 dedicato a un personaggio ideato da Stan Lee nel 1962 e a lungo presente nei fumetti Marvel assieme alla moglie The Wasp: due supereroi in grado di miniaturizzarsi, entrambi poi arruolati nei Vendicatori; Ant-Man in seguito avrebbe invertito il processo di miniaturizzazione diventando Giant Man, per cedere infine il ruolo dell’uomo-formica al successore Scott Lang.
Nella versione cinematografica il primo Ant-Man, Hank Pym (Michael Douglas) e la prima Wasp, Janet Van Dyne (che dovrebbe apparire nell’imminente sequel con il volto di Michelle Pfeiffer), risultano essere stato attivi negli anni Ottanta al servizio dello SHIELD, il servizio segreto che in seguito avrebbe riunito i Vendicatori; fino a quando Janet non è scomparsa in missione. Ora Pym e sua figlia Hope (Evangeline Lilly) istruiscono il criminale informatico dal cuore d’oro Scott Lang perché riporti in azione Ant-Man. Alla fine del film si intuisce che Hope riprenderà il ruolo di Wasp e che Ant-Man sarà arruolato tra i Vendicatori ribelli in Civil War.


Quest’ultimo è uno degli episodi chiave nella serie Avengers, anche se ufficialmente è il terzo film di Capitan America. Civil War è liberamente basato sulla saga omonima a fumetti, che circa una decina di anni fa coinvolse l’intero universo Marvel. Nel film, di fronte alle richieste internazionali di mantenere un controllo sulle azioni dei supereroi dopo quanto avvenuto in Age of Ultron, i Vendicatori si scindono in due gruppi: uno fedele a Tony Stark alias Iron Man (Robert Downey Jr.), fautore della supervisione dell’ONU, l’altro fedele a Steve Rogers alias Capitan America (Chris Evans) che invece sostiene una rapidità di risposta alle minacce straordinarie per affrontare le quali si è costituito il gruppo.
Alla fine Cap abbandona il suo scudo e i colori americani del suo costume, mentre con alcuni dei suoi compagni viene bollato come fuggitivo. Lo rivedremo in Infinity War con la barba lunga e con le stelle e strisce dell’uniforme annerite... un abbigliamento che richiama i fumetti degli anni Settanta in cui Steve Rogers, sentendo traditi i valori che lo avevano generato, adottò per qualche tempo un costume nero e il nome di battaglia Nomad.


In Civil War non ritorna solo, stavolta dalla parte dei buoni, Bucky Barnes alias Winter Soldier (Sebastian Stan), amico fraterno di Cap nel primo film di questi e – vittima di un lavaggio del cervello da parte dei sovetici – mortale avversario nel secondo; così nel Team Cap vediamo Ant-Man, collaudare l’effetto Giant Man.
Ma in Civil War appare per la prima volta, nel Team Iron Man, la nuova versione di Spiderman (Tom Holland), assai diversa tanto da quella della trilogia di Sam Raimi quanto da quella del meno convincente reboot arrestatosi dopo il secondo episodio.
Sempre in Civil War viene introdotto l’eroe africano T’Challa (Chadwick Boseman), che eredita dal defunto padre il costume e i poteri di Black Panther.


Entra in scena nel 2017 un altro personaggio storico della Marvel Comics: Stephen Strange, il signore delle arti mistiche protagonista di Doctor Strange, interpretato alla perfezione da Benedict Cumberbatch. Un film che risalta tanto sul piano tecnico per lo sviluppo di effetti speciali collaudati in Inception di Chris Nolan, quanto sul piano della saga, in quanto mostra il potere della Pietra del Tempo, che si rivelerà determinante in Infinity War.
Nella sequenza dopo i titoli di coda, che i fan dei Marvel Studios hanno imparato ad aspettare pazienti senza precipitarsi fuori dal cinema come se da ciò dipendesse la loro sopravvivenza, c’è l’anteprima di una scena con Strange e Thor che si vedrà in Ragnarok.


Nell’estate 2017, senza ripetere per la terza volta le sue origini, il personaggio di Peter ʻSpidey’ Parker si esibisce in Homecoming, un proprio film collegato alle conseguenze della battaglia di New York nel primo The Avengers. L’adolescente Spiderman ha Tony Stark come mentore e l’Avvoltoio (un notevole Michael Keaton) come avversario. Non mancano apparizioni di Pepper (Gwyneth Paltrow)  e Happy (Jon Favreau) dai film di Iron Man. E non dimentichiamo un’adorabile Marisa Tomei nei panni di zia May, personaggio notevolmente ringiovanito rispetto alla vecchina dei fumetti ma più adeguata ai nostri tempi. Come del resto questo più giovane Spiderman del cinema ben restituisce, seppure in una rilettura contemporanea, lo spirito del ragazzino sfigato dei fumetti di Lee e Ditko del 1962.


Ulteriore apporto fondamentale in questi ultimi anni è stato quello di due film dal successo inaspettatamente clamoroso: Guardians of the Galaxy e Guardians of the Galaxy vol. 2, basati su una serie spaziale a fumetti della Marvel. A prima vista sembrerebbero non aver molto a che fare con il filone degli Avengers, ma in realtà sviluppano gradualmente la figura inquietante di Thanos (Josh Brolin), già intravisto in The Avengers e destinato a essere il più spaventoso cattivo dell’intera saga.
Le due pellicole mettono insieme un improbabile manipolo di personaggi in grado di essere al tempo stesso idioti integrali ed eroi assoluti: il terrestre Peter Quill alias Star Lord (Chris Pratt); una delle due figlie adottive e ribelli di Thanos, Gamora (Zoe Saldana, bellissima anche in versione verde, dopo la pelle blu indossata in Avatar); il rude Drax (Dave Bautista), cui Thanos ha sterminato come d’abitudine la famiglia; e il procione mutato Rocket Raccoon (Bradley Cooper in motion capture) con il suo braccio destro Groot – albero parlante con la voce di Vin Diesel – che dopo essersi sacrificato nel primo film ricresce un po’ alla volta fino a diventare un capriccioso adolescente dedito ai videogiochi, come lo ritroviamo in Infinity War.


È anche l’ingresso ufficiale dello humour nell’MCU: se prima poteva esserci qualche aspetto ironico, qui gli elementi drammatici si mescolano ad aspetti decisamente, sfrenatamente comici. Nella sub-serie, di cui è già stato promesso un Vol. 3, appaiono anche Michael Rooker nel ruolo del pirata spaziale Yondu, Kurt Russel nella parte di Ego, ma anche Sylvester Stallone e Michelle Yeoh. Della squadra entrano a far parte inoltre l’altra figlia adottiva – suo malgrado – di Thanos, Nebula (Karen Gillan) e l’ingenua aliena empatica Mantis (Pom Klementieff), che appariranno a loro volta in Infinity War.
Il vantaggio è che tutte le razze spaziali hanno una padronanza perfetta della lingua inglese e l’adottano come idioma di base, il che facilita in maniera notevole la comunicazione, le minacce e gli insulti tra alieni e terrestri. A parte Groot, che com’è noto è in grado di dire solo ʻIo sono Groot’. La lingua inglese universale è una convenzione consolidata nei fumetti ed ereditata dai film. È noto del resto che gli asgardiani hanno un marcato accento britannico-shakespearaiano, anche se possono perderlo un po’ alla volta a forza di bazzicare gli States.


E, parlando di abitanti di Asgard, in Ragnarok – che ufficialmente era il terzo film di Thor (Chris Hemsworth) ma di fatto era ormai immerso nella continuity generale – abbiamo ritrovato Loki (Tom Hiddleston) sempre più doppiogiochista, che accompagna il fratello alla ricerca del padre Odino (Anthony Hopkins); ritrovato Hulk, sparito alla fine di Age of Ultron, che dopo un clamoroso scontro con Thor si ritrasforma nel proprio alter ego umano Bruce Banner (Mark Ruffalo); conosciuto la Valchiria (Tessa Thompson). Tutti costoro, sopravvissuti alle insidie del pianeta Sakaar, pattumiera cosmica gestita dal debosciato Grandmaster (Jeff Goldblum) e incentrata sulle sfide tra gladiatori, si uniscono a Heimdall (Idris Elba), per fare i conti con la dea della morte Hela (Cate Blanchett) e il suo braccio destro, l’Esecutore (Karl Urban).
Se il film ha un sottofondo umoristico molto vicino a quello di Guardians of the Galaxy, la battaglia finale porta alla fine di Asgard, il Ragnarok della mitologia nordica. E all’evacuazione in massa dei suoi abitanti superstiti su un’astronave che, si intuisce nella sequenza dei titoli di coda, si trova sulla rotta di qualcun altro...


Dopo il primo Avengers l’MCU è tracimato anche in tv, con diverse serie spin-off collegate alle trame dei film, anche se ne subiscono le conseguenze senza influenzarle... e i relativi personaggi non appaiono ancora (o non appaiono più) sul grande schermo.
Unica vera occasione mancata in questo grande progetto Marvel: Black Panther, manifestamente il film realizzato in modo più frettoloso e approssimativo (nella sceneggiatura, non negli effetti speciali), sprecando il materiale epico a disposizione. Un primo, vistoso, errore di montaggio: nella sequenza pre-titoli – anziché l’efficace scena che si vede più avanti, in cui l’eroe eponimo affronta una banda di terroristi stile Boko Haram – viene tolta completamente ogni carica emozionale, collocando in posizione introduttiva un per nulla epico antefatto, che avrebbe potuto essere inserito poi come flashback. Così come viene liquidato in modo troppo sbrigativo il cattivo Clau (Andy Serkis, finalmente di persona, non come personaggio in CGI), già ben prefigurato in Age of Ultron, lasciando spazio invece a Killmonger (Michael B. Jordan), con una pettinatura un po’ troppo alla moda per essere davvero convincente.
Il film si risolve dunque in un’introduzione all’entourage del sovrano del Wakanda, che si vedrà in gioco in Infinity War, con una bella scena di inseguimento nella parte più spionistica della vicenda e un’interessante battaglia finale, ma niente di paragonabile a qualsiasi altro film del ciclo. Avremo modo di rifarci proprio con Infinity War. Ma di questo  parliamo nel prossimo articolo.



Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...