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martedì 6 ottobre 2020

Segretissimo: 60 anni di eroi nell'ombra


Percorso di Andrea Carlo Cappi

Sessant’anni fa lo staff de Il Giallo Mondadori si accorse che tanto in Francia quanto nel mondo anglosassone si stava sviluppando sempre di più la variante del thriller chiamata spy-story, che per raccontare le sue vicende si agganciava alla realtà politica internazionale del momento: la Guerra Fredda, nella fattispecie. Così, sul modello di analoghe edizioni francesi, nell'ottobre del 1960 Mondadori diede vita a una nuova testata con lo stesso formato del Giallo, destinata anch’essa alle edicole – canale vitalissimo ai tempi e ancora fondamentale oggigiorno – che in qualche caso avrebbe superato nelle vendite la sorella maggiore. Era nato Segretissimo, che dopo sei decenni di vita è forse l'unica collana al mondo interamente dedicata alla narrativa di spionaggio. E da oltre vent'anni è anche la nuova frontiera del thriller italiano.

Prima dell'ottobre 1960, le occasionali storie di spionaggio rientravano nella tradizionale collana mondadoriana del Giallo settimanale, rinata nel dopoguerra. Per esempio quelle firmate da Peter Cheyney, già padre dell’agente federale Lemmy Caution portato in quegli anni sullo schermo da Eddie Constantine. Da una delle spy-story del romanziere britannico (pubblicata in italiano come A colpi di mitra) fu tratto il film Corriere diplomatico con Tyrone Power. Cheyney era uno degli autori hardboiled di punta de Il Giallo Mondadori degli anni Cinquanta, tanto che alla sua morte la vedova concesse al direttore Alberto Tedeschi l’autorizzazione a farne completare un romanzo incompiuto, lavoro che (se la memoria non mi inganna) venne affidato allo scrittore Franco Enna.

Ma con gli anni Sessanta la proposta di narrativa spionistica era tale da indurre Mondadori alla creazione di una nuova collana dedicata al sottogenere e accompagnata da notizie di cronaca internazionale sull'argomento. Segretissimo fu inaugurato con una grafica innovativa e le sofisticate illustrazioni di Ferenc Pinter su fondo nero; poi venne ripreso – sempre su fondo nero – lo stile de Il Giallo Mondadori: il cerchio rosso contenente un’illustrazione di Carlo Jacono, che già realizzava le copertine per l'altra collana. La nuova pubblicazione, inizialmente mensile poi settimanale, raggiunse presto le centinaia di migliaia di copie vendute per ogni numero: di fatto si trattava ogni volta di un colossale bestseller, malgrado la permanenza in edicola fosse di una sola settimana. E non c'è da stupirsi.

Anche se si trattava quasi sempre di narrativa pulp nel senso pressoché etimologico del termine (azione e avventura a basso prezzo in formato rivista), anche se non sempre gli autori e i traduttori avrebbero potuto essere in lizza per il Nobel, e anche se l'orientamento degli scrittori era spesso fin troppo occidentale e atlantico a ogni costo (esiste persino la leggenda che fosse la CIA a finanziare le avventure di Nick Carter, erede spionistico del classico detective americano nato a fine Ottocento) i personaggi di Segretissimo avevano in ogni caso il pregio di raccontare sotto forma di romanzo la realtà di quegli anni. In presa diretta.

Certo, era facile criticare il contenuto ideologico di molti romanzi o disprezzare la forte componente erotica che entrò in alcuni romanzi (soprattutto quelli di De Villiers) a partire dagli anni Settanta-Ottanta. D’altra parte il sesso è sempre stato una delle armi principali nel mondo dei servizi segreti (ne ho parlato ampiamente nel mio libro di non-fiction Le grandi spie: basta pensare a Mata Hari, Marthe Richard, Christine Keeler...) quindi è inutile fingere che non esista. Tant'è che negli anni Sessanta le meravigliose copertine dipinte de Carlo Jacono, per quanto assai poco esplicite, furono oggetto di sequestro da parte di solerti pretori, che misero anche i sigilli allo studio dell'artista. Qualche anno dopo, vedendo censurata preventivamente in redazione una delle sue immagini più scottanti, Jacono nascose il corpo nudo di una ragazza dipingendovi sopra il vetro opaco di una cabina-doccia e annotò a margine della tavola l’invito, nel caso la correzione non fosse bastata, a chiamare un esorcista.

I primissimi romanzi pubblicati furono tutti opera del francese Jean Bruce, dalla fortunata serie OSS 117, che in italiano diventava misteriosamente OS 117: forse, più che con l’OSS, il servizio segreto USA degli anni Quaranta da cui proveniva il protagonista, si temeva un’associazione di idee dei lettori italiani con le SS, che avevano lasciato una scia di morti e un pessimo ricordo soltanto di quindici anni prima. Il personaggio del principe pirata Hubert Bonisseur de la Bath era nato nel 1949, opera dell’ex-agente segreto antinazista Jean Brochet, che aveva adottato come nom de plume il cognome di un collega americano. Il suo personaggio precedeva di quattro anni l’agente 007 James Bond di Ian Fleming e le storie cambiavano formula di volta in volta: in prima persona, in terza, in prima persona alternata di vari personaggi, più scherzose o più serie a seconda dell’umore di Bruce. Il cinema cominciò ad appropriarsene negli anni Cinquanta, ma fu soprattutto dopo il successo dei film di 007 che OSS117 ebbe spazio sul grande schermo. Di recente è stato ripreso in chiave umoristica in due brillanti pellicole con Jean Dujardin (e se ne aspetta da tempo una terza). Alla morte prematura di Bruce la saga fu proseguita prima dalla moglie Josette e poi dai figli.

Su Segretissimo apparvero poi avventure spionistiche firmate da alcuni degli autori più famosi de Il Giallo Mondadori (James Hadley Chase, Rex Stout, Ellery Queen, Brett Halliday, per dirne alcuni), ma la parte del leone continuarono a farla le serie. Da quella di Francis Coplan, agente FX18, di Paul Kenny (pseudonimo degli autori belgi Van den Pahuyse & Libert), che iniziò nel 1953 ed ebbe alcune versioni cinematografiche, a quella tuttora di enorme successo di Sua Altezza Serenissima (SAS) Malko Linge di Gérard De Villiers, inaugurata dopo la morte di Fleming nel 1964, perché il suo editore francese non voleva restare a corto di bestseller spionistici.

Oltre a quelle francofone, c’erano naturalmente le serie in lingua inglese: dagli USA Nick Carter, firmata da un pool di autori sotto lo pseudonimo collettivo di... Nick Carter; Matt Helm di Donald Hamilton, che ebbe versioni cinematografiche umoristiche con Dean Martin e una serie in tv (ma nei panni di investigatore privato), con Anthony Franciosa; Sam Durrell di Edward S. Aarons; Phil Sherman di Don Smith; Domino di John Tiger, ispirata alla memorabile serie tv Partita a due; Gli acquanauti di Ken Stanton, che faceva concorrenza a Clive Cussler per le ambientazioni subacquee.

E dalla Gran Bretagna Jonas Wilde, l’eliminatore di Andrew York; poi Boysie Oakes, il Liquidatore di John Gardner e il dottor Jason Love di James Leasor, che ebbero entrambi divertenti trasposizioni sullo schermo. Il capostipite James Bond – che secondo un testimone sarebbe stato rifiutato intorno al 1960 dallo storico direttore de Il Giallo Mondadori, Alberto Tedeschi, poi redarguito per il tragico errore dal signor Mondadori stesso – approdò nella collana molto più tardi, con i sequel scritti da John Gardner e dall’ottimo Raymond Benson. Ma non mancavano numerosi romanzi singoli, tra cui alcuni veri gioielli del sudafricano Desmond Bagley, e persino spy-story di altre nazionalità. Infine, negli anni Ottanta, arrivarono anche i primi autori italiani senza pseudonimo, Remo Guerrini e Andrea Santini.

La fine della Guerra Fredda nel 1989 ha fatto pensare ad alcuni che la testata fosse destinata all’estinzione, come ormai avrebbe dovuto essere tutta la narrativa di spionaggio. Ma il mercato e la Storia hanno smentito tutte le previsioni in tal senso. Segretissimo si è trasformato ed è rimasto per una ventina d’anni più un libro da edicola che una rivista, pur riprendendo presto l’abitudine dei contenuti speciali, in particolare il racconto in appendice. Per qualche tempo è stato anche meno riconoscibile, senza la sua grafica tradizionale. Ma poi il classico cerchio rosso ha ripreso a campeggiare in copertina e infine dalla primavera del 2012 la collana ha di nuovo cambiato formato, portandosi a una versione più moderna e compatta di quello originario.

Così, nonostante tutti i prodotti da edicola abbiano diminuito le vendite, la testata si è rilanciata e oggi continua a vendere migliaia e migliaia di copie, sia della collana mensile di inediti, sia degli speciali, sia della collana mensile parallela che alterna riedizioni (a volte anche ritradotte) della serie che per oltre mezzo secolo si è dimostrata di maggiore successo, SAS di Gérard De Villiers.

Oggi proprio gli italiani – alcuni dei quali, me compreso, sono celati sotto pseudonimi stranieri, anche se lo speciale Legion del 2008 ne ha rivelati parecchi – sono tra le presenze più importanti: la serie Il Professionista di Stephen Gunn, pseudonimo ormai noto di Stefano Di Marino, è anzi quella di maggior successo dopo SAS, tanto da allietare i suoi seguaci anche con la collana di speciali Il Professionista Story, contenente due romanzi a numero, che propone non solo riedizioni ma anche storie inedite che si inseriscono tra un’avventura e l’altra, raccontando la saga in ordine cronologico. Ai sessant’anni di Segretissimo corrispondono anche i venticinque anni de Il Professionista, festeggiati con uno speciale giunto in edicola proprio nell'ottobre 2020.

Un libro che resta in vendita un mese in edicola (un paio di mesi gli speciali) e vende così tanto, per il mercato italiano ha oggettivamente più successo della maggior parte dei volumi pubblicati in libreria, la cui vita media non è poi molto più lunga e la visibilità dura ancora meno. Solo che è un successo non misurato dal mondo editoriale e dalla critica. Bestseller non riconosciuti, di cui metodicamente non si parla. Per fortuna i lettori rimangono fedeli e altri se ne aggiungono, grazie alle forme di comunicazione sorte in questi anni: dal blog di Segretissimo all’ingresso della collana nel mondo degli e-book.

Per quale motivo il successo di Segretissimo perdura, nonostante i suoi detrattori? Intanto, come ha insegnato la severa lezione dell’11 settembre 2001, «lo spionaggio non è morto, ha ancora molto da raccontare» (parole di John Le Carré). E poi perché di fronte a una letteratura thriller, gialla o noir da libreria spesso ripetitiva, Segretissimo continua a proporre un genere che è invece in incessante evoluzione e ha da tempo abbandonato i piacevoli ma datati cliché di un tempo. Chi non legge questi libri può anche divertirsi a bollarli come seriali e di nicchia (queste invece sono parole dell’ufficio marketing di una casa editrice fallita poco dopo averle pronunciate, segno che di editoria ne capivano, vero?) E la critica può anche cercare di ignorare il fenomeno, considerandoli libretti facili e di scarso valore... non certo opere di veri autori noir. Giusto?

Sbagliato. Perché il noir, per usare una parola oggi abusata, nasce dal giallo, che a sua volta è letteratura di intreccio. Quindi deve avere sia l’atmosfera, sia una trama solida e coerente che spinga il lettore a vedere come va a finire (Dashiell Hammett insegna, si pensi a un capolavoro di denuncia socio-politica come Piombo e sangue!)

Perché un romanzo che appartiene di diritto a un genere popolare deve avere anche una forte componente di intrattenimento, deve dare emozioni; e solo in questo modo, se l’autore desidera anche trasmettere un messaggio o semplicemente dipingere determinate situazioni internazionali, il lettore è in grado di coglierle appieno. Stephen Gunn predisse la svolta di al-Qaeda poi realizzatasi nel 2001 e François Torrent (il mio alias) annunciò con oltre un anno d’anticipo l’arrivo dell’ISIS. Dunque certi libri andrebbero letti con particolare attenzione.

Perché scrittori di questo genere non ci si improvvisa: si può credere di poter scrivere un giallo (per poi nobilitarlo con la parola noir) dopo aver visto un paio di fiction tv, o un thriller dopo aver letto un paio di storie di serial killer, anche se le differenze tra prodotti originali e prodotti imitativi si vedono. Ma non basta aver visto un paio di film di 007 per poter produrre una vera storia di spionaggio.

Perché, infine, in Italia c’è una tradizione epica cominciata da Emilio Salgari, il quale, romanzando vicende reali che andavano dalla Malesia al Sudan, di fatto era l’autore di Segretissimo di quegli anni; e non va dimenticato anche il nostro cinema di genere, ora tanto amato da Tarantino e dai suoi colleghi. Una tradizione di cui non si parla, per ignoranza e disattenzione, ma che si è rivitalizzata proprio con gli autori italiani di Segretissimo. E tutto questo, anche rispetto agli amati e documentatissimi romanzi pulp-spionistici degli anni Sessanta-Settanta, rappresenta un notevole passo avanti tanto per Segretissimo quanto per tutta la letteratura di genere.





mercoledì 24 ottobre 2018

Tie-in: l'altra faccia della scrittura





Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Fino a poco tempo fa, sapevo dell'esistenza della International Association of Media Tie-in Writers per aver letto che ne faceva parte Raymond Benson, scrittore del quale ho tradotto diversi noir e buona parte della sua produzione su James Bond 007. È stato lui a presentarmi all'associazione, di cui sono entrato a far parte la scorsa estate, come – almeno credo – primo autore in lingua italiana. E ho scoperto che ci sono autori che discutono di questioni che sinora avevo affrontato da solo.
La IAMTW raccoglie scrittori che si dedicano (anche) a personaggi e universi narrativi non creati da loro: dalle novelizations basate su sceneggiature per cinema e tv, ai racconti e romanzi sequel di saghe celebri (come, appunto, James Bond), alle storie inedite costruite intorno a serie di film, telefilm, fumetti e videogiochi. Nel mio caso si tratta di fumetti, avendo pubblicato romanzi con protagonisti Diabolik & Eva Kant, gli "eroi neri" creati da Angela e Luciana Giussani, e su Martin Mystère, il detective dell'impossibile di Alfredo Castelli.


Il tie-in trae origine da due tipi diversi di narrativa. Una è quella seriale, d'appendice o pulp, in cui poteva capitare che una saga fosse scritta da autori diversi. Basta pensare a Nick Carter, il celebre detective poi ripreso in chiave umoristica a fumetti da Bonvi negli anni Settanta: le sue avventure furono scritte tra il 1886 e gli anni Cinquanta da un'infinità di autori che si firmavano tutti "Nicholas Carter". L'usanza fu ripresa con la rinascita di Nick Carter negli anni Sessanta in versione agente segreto: sotto lo stesso pseudonimo si sono alternati numerosi scrittori, da Michael Avallone a Martin Cruz Smith.



Le novelizations, come ha sottolineato un recente articolo di Deborah Allison sui due diversi adattamenti della sceneggiatura del film del 1978 Capricorn One (uno per il mercato americano, di Ron Goulart, e uno per il mercato britannico, di Ken Follett sotto lo pseudonimo Bernard L. Ross), sono nate addirittura negli anni Venti; dal momento che, molto prima della tv e dell'home video, per rivivere l'emozione di un film era necessario trovare una sala che lo proiettasse, l'editoria creò un'alternativa efficace e accessibile: trasformare in libro un film che non fosse tratto da un testo precedente. Il fenomeno oggi forse è meno diffuso, ma nel frattempo scrivere un romanzo da una sceneggiatura è divenuto un'arte a sé stante.
In una scena di Manhattan, Woody Allen deprecava la moda dei romanzi basati su sceneggiature di film. In realtà, come in qualsiasi settore della narrativa, ci sono solo libri belli e libri brutti. Le novelizations migliori sono quelle che, partendo dalla trama e dai dialoghi scritti dagli sceneggiatori, approfondiscono la psicologia dei personaggi, sviluppano i retroscena, colmano a volte anche qualche lacuna della storia, che può sfuggire sullo schermo ma non nella parola scritta. Un bravo scrittore di tie-in può anche produrre un romanzo di qualità superiore al film su cui si basa. Mi è capitato di constatarlo proprio con Raymond Benson, che oltre ad avventure originali di 007 adattò a romanzo tre film dell'era di Pierce Brosnan: il risultato era addirittura superiore all'originale.
Per darvi un'idea delle diverse esperienze di un autore di tie-in, Benson è un maestro degli ibridi tra vari media: ha collaborato sotto pseudonimo a romanzi del ciclo Splinter Cell di Tom Clancy, adattato come giochi per computer avventure di 007 e The Mist di Stephen King, scritto romanzi basati sull'universo dei videogiochi Metal Gear Solid, Hitman e, con John Milius, Homefront. Nel frattempo continua a firmare i suoi mystery.


Se dubitate del fatto che da un film si possa trarre un buon romanzo, pensate che non è un lavoro molto diverso da ricavare una sceneggiatura da un libro: si tratta di passare da un medium a un altro adattando la storia a un contesto diverso. Ma, se ancora non siete convinti, pensate a tutte le volte che William Shakespeare ha preso la trama di un racconto altrui e ne ha fatto un capolavoro del teatro. Oppure a quale lavoro di riscrittura e rielaborazione di storie e personaggi preesistenti abbiano fatto tutti gli autori che si sono dedicati al "ciclo bretone", ossia le storie della Tavola Rotonda, da Geoffrey di Monmouth a Chretien de Troyes, da Thomas Malory a John Steinbeck, passando per T. H. White, l'autore de La spada nella roccia.


Talvolta i miei libri su Diabolik o Martin Mystère sono stati definiti novelizations di fumetti*, forse anche con una sfumatura di disprezzo. Non ci sarebbe niente di male se lo fossero: molto prima che me ne occupassi io, entrambi i personaggi erano stati protagonisti di interessanti romanzi basati su sceneggiature di storie già pubblicate a fumetti. Ma in realtà non si tratta di questo. I miei sono romanzi originali, quindi un lavoro di tipo diverso: storie mie, che tuttavia hanno protagonisti ideati da altri autori.
Non va mai dimenticato che il pubblico si attende di trovare lo stesso tipo di emozioni che conosce dalle storie a fumetti. E qui, da una parte, ci si trova nella stessa posizione di uno sceneggiatore che scrive un nuovo episodio di una serie a fumetti o televisiva o cinematografica di cui non è il creatore: devi conoscere a fondo i personaggi, per sapere cosa possano o non possano fare, altrimenti il pubblico si accorgerà che i conti non tornano. Dall'altra parte, occorre passare dal linguaggio visivo per cui i personaggi sono nati in origine a quello assai diverso della narrativa: si fa a meno delle immagini – anche se i lettori avranno bene in mente le fattezze dei protagonisti – ma si guadagna in introspezione psicologica.


Dal momento che ho una produzione piuttosto vasta, posso dire che quando scrivo un tie-in non mi sento meno autore di quando lavoro a un romanzo appartenente a una delle mie numerose serie. Anche perché in entrambi i casi i miei riferimenti – la redazione di Diabolik e il creatore di Martin Mystère coadiuvato dagli esperti dell'Amys – non solo collaborano attivamente con me, ma mi lasciano molta libertà creativa, pur nel rispetto delle caratteristiche dei personaggi e dell'universo in cui si muovono. Al tempo stesso, come lettore, so che non mi piacerebbe leggere una storia in cui l'autore tradisse gli uni e l'altro.
Per questo è stato doppiamente gratificante vincere con il mio romanzo originale con Martin Mystère uscito nel 2017, La Donna Leopardo, il Premio Italia 2018 per il miglior fantasy: come i lettori del fumetto hanno ritrovato i loro personaggi rappresentati in modo fedele, così la giuria dell'Italcon ha valutato il mio libro come un'opera originale, indipendentemente dalla sua appartenenza a una serie non creata da me. Naturalmente, se mi venisse chiesto di lavorare su personaggi che non conosco altrettanto bene... dovrei mettermi a studiare, fino a essere in grado di pensare come loro.


Sono esistiti tie-in italiani? Certo. Per esempio, alla fine degli anni Sessanta, come accennavo, nacquero ben due serie di romanzi basati su sceneggiature per fumetti di Diabolik, una in Italia e una in Francia, sull'onda del lancio internazionale del film distribuito dalla Paramount Pictures, Danger: Diabolik di Mario Bava.
In tempi più recenti, Antonio Bellomi pubblicò novelizations di avventure storiche di Martin Mystère e in seguito fece comparire il detective dell'impossibile in team-up con suoi personaggi in alcuni racconti della sua serie sul Club Pi Greco. Ora, nella sua nuova versione alternativa, il giovane Martin è uno dei personaggi della Bonelli approdati in libreria, con un romanzo di Pierdomenico Baccalario. (Le mie storie, come quelle di Bellomi, si attengono invece alla continuity della serie storica).
Ma ci sono altri esempi illustri, come gli adattamenti delle sue sceneggiature di celebri serie tv di Biagio Proietti, da solo (Coralba, in ebook da Delos) o a quattro mani con Diana Crispo (Chiunque io sia, basato su La mia vita con Daniela, e il mitico Dov'è Anna?, nel quale i due sceneggiatori inserirono anche un episodio mai realizzato per la televisione, perché ritenuto troppo scabroso all'epoca.)



Da tutto questo si deduce però che non ci si possa improvvisare tie-in writer. Negli Stati Uniti si è creata una schiera di professionisti della narrativa che non esitano ad affrontare saghe amatissime come Star Trek o Star Wars, X-Files o Supernatural, eroi dei fumetti come Batman (ricordo che ne scrissero maestri quali Stuart M. Kaminsky o Joe R. Lansdale), oppure personaggi che hanno fatto la storia della narrativa d'avventure come Tarzan o Doc Savage, o ancora mostri sacri del giallo come Mike Hammer, il detective di Mickey Spillane riportato in vita da Max Allan Collins. Ma questo in fondo vale per tutta la narrativa di genere: occorre conoscerne a fondo le regole, se si vuole scrivere qualcosa che non sia solo un banale déjà vu.

*Nota posteriore: questo articolo fu scritto molto prima che scrivessi novelizations non dei fumetti ma dei film di Diabolik.



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