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martedì 24 aprile 2018

Stagione di mostri



Cronache di Andrea Carlo Cappi

Una bella stagione di monster movies è in corso: mentre è in preparazione per il 2019 un nuovo capitolo del cosiddetto Monsterverse dopo il recente Godzilla e il successivo Kong-Skull Island, in poche settimane nella primavera 2018 escono Pacific Rim-La rivolta (Pacific Rim Uprising) e Rampage-Furia animale (Rampage).
Ma da cosa dipende la riuscita di un kaiju eiga, per dirla alla giapponese, ovvero un film di mostri giganti? Si potrebbe rispondere: dagli effetti speciali. Tuttavia oggi il livello delle animazioni al computer del cinema statunitense è tale da rendere credibili sullo schermo le creature più disparate e fantasiose, di ogni taglia. Sono lontane le epoche di Willis O’Brien (creatore del primo King Kong) e Ray Harryhausen con le loro meravigliose animazioni stop motion, o di Carlo Rambaldi con le sue sofisticate costruzioni artificiali, così come quelli di attori costretti a indossare imbarazzanti costumi da mostro e aggirarsi su set in miniatura, o delle lucertole truccate da dinosauri. Non che si debbano mettere in soffitta tutti quei film, che anzi conservano il loro fascino e servono tuttora da modello.
Oggi viene piuttosto da rispondere: la riuscita dipende dalla sceneggiatura. La quale, per non tradire il filone, deve spesso soggiacere a un certo numero di stereotipi: umani malvagi che in preda all’hybris della scienza e del marketing manipolano la natura e scatenano forze incontrollabili; creature immani – non tutte sempre davvero cattive... dipende da chi le controlla – che per una ragione o per l’altra si danno battaglia, devastando possibilmente la città che diviene teatro del conflitto.



In Rampage di Brad Peyton (regista che ha già guidato Dwayne Johnson negli scenari di distruzione di San Andreas) si rispetta la tradizione dei monster movies, anche se non la trama dei videogiochi su cui è basata la vicenda. Nei videogame i protagonisti erano George, Ralph e Lizzie, esseri umani mutati da esperimenti in mostri giganti, rispettivamente un gorilla alla Kong, un mega-licantropo e un super-rettile stile Godzilla. Nel film uscito negli USA il 13 aprile 2018 le cose vanno diversamente: un disastro in un laboratorio spaziale – dove la bieca multinazionale Energyne ha elaborato un virus sperimentale a trasmissione aerea – fa sì che piovano sulla Terra (e sugli Stati Uniti) i contenitori del pericoloso gas. Uno finisce nella riserva zoologica di San Diego, dove risiede il gorilla albino George; un altro tra un branco di lupi grigi del Wyoming; un altro tra i coccodrilli delle Everglades. Il virus produce, a seconda della quantità inalata, un incremento dell’aggressività nei soggetti, una crescita smisurata e svariate mutazioni del DNA, che adotta caratteristiche di specie diverse. Per recuperare campioni del prezioso virus, i titolari della multinazionale hanno la brillante idea di chiamare i bestioni infuriati attraverso un segnale radio che li guida fino alla sede centrale di Chicago. Con tutte le conseguenze del caso.


Ciò che rende Rampage un film piacevole sono gli interpreti. Dwayne Johnson - già gigantesco di suo e a suo tempo metamorfizzato in mostro in un film de La mummia - è Davis Okoye, l’esperto di primati che ha insegnato a George (realizzato con la motion capture sull’attore Jason Liles) il linguaggio dei segni e se n’è guadagnato l’amicizia; in passato Okoye è stato cacciatore di bracconieri in Africa e prima ancora ha combattuto nelle forze speciali USA, il che gli permette di maneggiare armi di grosso calibro, pilotare elicotteri e fare tutto ciò che occorre in un film d’azione.
Al suo fianco, la sempre gradita Naomie Harris è la dottoressa Kate Caldwell, i cui studi sul DNA puntavano alla ricerca di una cura per il fratello malato; ma sono stati rielaborati a scopo bellico dalla subdola titolare della Energyne, Claire Wyden (Malin Akerman), che ha mandato in galera per un po’ la scienziata, impedendole di salvare il fratello. Un ironico Jeffrey Dean Morgan (John Winchester nella serie Supernatural, per citare una delle sue numerose apparizioni) è l’agente governativo Russell, che spalleggia gli eroi nella loro missione: ricondurre George a più miti consigli perché combatta gli altri due mostri, peraltro molto più grossi e mutati di lui.



Sul versante del Pacifico la sfida è difficile ma i risultati sono nettamente più originali. Il confronto con il precedente Pacific Rim diretto da Guillermo Del Toro (qui solo supervisore, mentre la regia è di Steven S. DeKnight) poteva essere schiacciante, ma diviene uno stimolo efficace per il sequel della pellicola che univa in stile americano due classici filoni giapponesi: il kaiju e il mecha.
Nel nuovo film, uscito il 23 marzo 2018, sono passati dieci anni da quando è stato chiuso il varco interdimensionale in fondo all’oceano da cui una razza misteriosa – i Precursori – inviava per ignote ragioni i mostri giganteschi detti kaiju a devastare le città costiere del Pacifico. Forse è tempo che gli Jaeger – i colossali robot che costituivano l’ultima linea di difesa dell’umanità – vadano in pensione con i loro piloti, ma molti temono una nuova invasione e la multinazionale controllata dall’apparentemente gelida Liwen Shao (Jing Tian nel suo sommo splendore) cerca con ogni mezzo di far approvare un nuovo programma di Jaeger telecomandati. E in questo scenario appare un robot ribelle dei cui piloti non si conosce l’identità, che attacca Sidney con una mossa che, più che di rivolta, sa di strategia della tensione.
Tornano in scena alcuni personaggi del film precedente, tuttavia al centro della vicenda è Jake Pentecost (John Boyega), figlio del personaggio interpretato da Idris Elba nel primo film, che all’accademia dei piloti preferirebbe il rischioso mercato nero dei pezzi di robot, ma dopo l’ennesimo arresto viene costretto a tornare in servizio; lo affiancano l’amico-rivale Nate Lambert (Scott Eastwood) e l’orfana quindicenne Amara Namani (Cailee Spaeny, in realtà ventenne), arruolata come cadetto dopo che ha affrontato uno Jaeger pilotando il proprio robot fatto in casa. La sceneggiatura riserva una serie di colpi di scena ben assestati, che non è affatto il caso di rivelare, ma chi attende le grandi battaglie con i kaiju non resterà affatto deluso. E, prima di ventilare un possibile sequel, viene data risposta a un antico mistero: perché da sempre i mostri attaccano Tokyo? Be’, avranno le loro buone ragioni... In poche parole, imperdibile, quantomeno per chi ama mecha e kaiju sul grande schermo.




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