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giovedì 7 marzo 2019

"Diabolik sono io": tra documentario e thriller


Annotazioni di Andrea Carlo Cappi


A quasi cinquantasette anni dalla nascita editoriale e a oltre mezzo secolo dalla pellicola che gli dedicò Mario Bava, Diabolik torna finalmente al cinema, ora e nel 2020. In attesa del film in lavorazione dei Manetti Bros, previsto per il prossimo anno, dall'undici al tredici marzo 2019 in duecentonovanta sale italiane si proietta Diabolik sono io. Scritto da Mario Gomboli (direttore dell'Astorina, la casa editrice di Diabolik) e da Giancarlo Soldi che ne è il regista, con le musiche di Teho Teardo, viene definito "docufilm", perché è qualcosa di diverso da un documentario convenzionale. E il titolo non è, s'intende, scelto a caso.
Ci sono due frasi essenziali nella vita di Diabolik, il personaggio dei fumetti di Angela e Luciana Giussani. La prima è "Diabolik, chi sei?", pronunciata dall'ispettore Ginko nell'albo che la porta come titolo e in cui il criminale rievoca ciò che sa delle proprie origini. L'altra è "Io sono Diabolik", che oltre a essere il titolo di una "autobiografia" del personaggio edita da Mondadori qualche anno fa, rappresenta un aspetto molto significativo: Diabolik, a differenza degli altri personaggi mascherati del fumetto (eroi e criminali che siano) non ha una vera identità da celare sotto la maschera. Non conosce il proprio nome, non sa chi siano i suoi genitori, né da dove venga. Diabolik ergo sum: la sua unica identità è quella che si è costruito da solo, con il nome che si è scelto; e la sua unica famiglia è costituita da Eva Kant.
Io invece so che, se cito i nomi di Diabolik, Eva Kant e Ginko, moltissimi in Italia - e anche altri in giro il mondo - sanno chi siano anche senza aver letto le loro avventure. Per riciclare una mia vecchia battuta, è il fenomeno del "fumetto passivo": Diabolik e i suoi comprimari sono parte della cultura popolare italiana, al punto da essere noti pure a chi non ha mai preso in mano un albo della serie.


Di documentari ben fatti su Diabolik ce ne sono già stati, ma ci sono ancora molte cose da scoprire. Una di queste l'ha ritrovata Giancarlo Soldi nelle teche RAI: una divertente intervista inedita alle sorelle Giussani che parlano del loro personaggio mentre bevono il tè, brani della quale punteggiano la parte non-fiction del film. Ci sono poi contributi realizzati appositamente, con Mario Gomboli e altri sceneggiatori storici di Diabolik quali Alfredo Castelli (creatore a sua volta di serie famose come Gli Aristocratici, L'Ombra e Martin Mystère) e Tito Faraci; e ancora si vedono il disegnatore Giuseppe Palumbo, il leggendario Milo Manara, due collaboratrici della redazione, esperti come il grande fumettologo Gianni Bono, il costumista Massimo Cantini Parrini, un paio di scrittori che hanno avuto a che fare con Diabolik (Carlo Lucarelli, che anni fa lavorò a un progetto di sceneggiatura cinematografica, e me, autore dei romanzi di Diabolik & Eva Kant). Ma la finzione si fa strada anche nella parte documentaristica, quando nei panni di un avvocato appare l'attrice Stefania Casini.
Perché questo film è anche una sorta di thriller basato su un vero mistero: che fine ha fatto Angelo Zarcone, il primo disegnatore di Diabolik, l'uomo che diede un volto al personaggio? Dopo avere consegnato le tavole del numero uno, scomparve per sempre senza lasciare traccia. E se riapparisse dopo tutto questo tempo, ipotizza Gomboli all'inizio del film, chi troverebbe? Se stesso o Diabolik?
Così la vicenda si dipana intorno al ritorno nella società di un uomo che soffre di amnesia e il cui volto assomiglia molto a quello di Diabolik (Luciano Scarpa). In mente lo smemorato ha proprio quel nome, Diabolik, e quegli occhi che spuntano da una maschera, immagine che si trova a disegnare ossessivamente. Seguendo gli indizi ricavati da Internet con l'aiuto di una ragazza che somiglia a Eva Kant (Claudia Stecher) il protagonista arriverà a una conclusione sorprendente.
Diabolik sono io si sviluppa su tre piani narrativi: quello delle interviste, quello della ricerca da parte dello smemorato e quello di un misterioso interrogatorio a cui il protagonista viene sottoposto. Ne risulta una storia dai contorni onirici in cui realtà e fantasia si confondono e persino i personaggi reali parlano di Diabolik come se esistesse veramente. Una formula molto originale per raccontare un mito che nei primi anni Sessanta, per citare la canzone Esci, Diabolik di Canciani & Covri, "cambia il fumetto e cambia l'Italia". 

Lunedì 11 marzo all'Arcadia di Melzo (Milano) Andrea Carlo Cappi alle 19.30 firmerà le copie dei suoi romanzi di Diabolik presso il Mondadori Bookstore e alle 20.30 sarà in sala a introdurre la proiezione.


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