lunedì 30 aprile 2018

Avengers: alle porte dell'infinito




Panoramica di Andrea Carlo Cappi

Il momento che i fan del Marvel Cinematic Universe aspettavano è arrivato: l’uscita di Avengers – Infinity War. E le reazioni del pubblico in sala sono... Ve lo dico nel prossimo articolo: questo è uno di quei casi in cui è difficile parlare di un film senza inciampare negli spoiler. Per ora comincio a occuparmi degli episodi dell’MCU che hanno portato al nuovo film... e già ora vi avviso di spoiler per chi ancora non li abbia visti.
Comincio a precisare, per chi negli ultimi anni abbia consumato una manciata di film di supereroi e abbia le idee confuse, che in questo universo non ci sono i personaggi della DC Comics (quella di Superman, Batman e WonderWoman). Ma non ci sono nemmeno altri personaggi della Marvel Comics apparsi al cinema di recente e che sul grande schermo seguono un percorso diverso: dai Fantastici Quattro – stroncati peraltro da un pessimo e inutile reboot dopo due buoni film degli anni Duemila – agli X-Men, inclusi Wolverine/Logan e Deadpool, che invece hanno sempre mantenuto un ottimo livello.


Nel caso dell’MCU non si tratta di semplici origins movie e relativi sequel, bensì di un complicato tessuto narrativo in cui a volte personaggi importanti appaiono e si sviluppano in pellicole che non portano il loro nome. La storia generale va avanti anche se avete un attimo di distrazione e vi perdete qualche supereroe in apparenza secondario.
Per esempio, a molti spettatori non assidui può essere sfuggito Ant-Man, film del 2015 dedicato a un personaggio ideato da Stan Lee nel 1962 e a lungo presente nei fumetti Marvel assieme alla moglie The Wasp: due supereroi in grado di miniaturizzarsi, entrambi poi arruolati nei Vendicatori; Ant-Man in seguito avrebbe invertito il processo di miniaturizzazione diventando Giant Man, per cedere infine il ruolo dell’uomo-formica al successore Scott Lang.
Nella versione cinematografica il primo Ant-Man, Hank Pym (Michael Douglas) e la prima Wasp, Janet Van Dyne (che dovrebbe apparire nell’imminente sequel con il volto di Michelle Pfeiffer), risultano essere stato attivi negli anni Ottanta al servizio dello SHIELD, il servizio segreto che in seguito avrebbe riunito i Vendicatori; fino a quando Janet non è scomparsa in missione. Ora Pym e sua figlia Hope (Evangeline Lilly) istruiscono il criminale informatico dal cuore d’oro Scott Lang perché riporti in azione Ant-Man. Alla fine del film si intuisce che Hope riprenderà il ruolo di Wasp e che Ant-Man sarà arruolato tra i Vendicatori ribelli in Civil War.


Quest’ultimo è uno degli episodi chiave nella serie Avengers, anche se ufficialmente è il terzo film di Capitan America. Civil War è liberamente basato sulla saga omonima a fumetti, che circa una decina di anni fa coinvolse l’intero universo Marvel. Nel film, di fronte alle richieste internazionali di mantenere un controllo sulle azioni dei supereroi dopo quanto avvenuto in Age of Ultron, i Vendicatori si scindono in due gruppi: uno fedele a Tony Stark alias Iron Man (Robert Downey Jr.), fautore della supervisione dell’ONU, l’altro fedele a Steve Rogers alias Capitan America (Chris Evans) che invece sostiene una rapidità di risposta alle minacce straordinarie per affrontare le quali si è costituito il gruppo.
Alla fine Cap abbandona il suo scudo e i colori americani del suo costume, mentre con alcuni dei suoi compagni viene bollato come fuggitivo. Lo rivedremo in Infinity War con la barba lunga e con le stelle e strisce dell’uniforme annerite... un abbigliamento che richiama i fumetti degli anni Settanta in cui Steve Rogers, sentendo traditi i valori che lo avevano generato, adottò per qualche tempo un costume nero e il nome di battaglia Nomad.


In Civil War non ritorna solo, stavolta dalla parte dei buoni, Bucky Barnes alias Winter Soldier (Sebastian Stan), amico fraterno di Cap nel primo film di questi e – vittima di un lavaggio del cervello da parte dei sovetici – mortale avversario nel secondo; così nel Team Cap vediamo Ant-Man, collaudare l’effetto Giant Man.
Ma in Civil War appare per la prima volta, nel Team Iron Man, la nuova versione di Spiderman (Tom Holland), assai diversa tanto da quella della trilogia di Sam Raimi quanto da quella del meno convincente reboot arrestatosi dopo il secondo episodio.
Sempre in Civil War viene introdotto l’eroe africano T’Challa (Chadwick Boseman), che eredita dal defunto padre il costume e i poteri di Black Panther.


Entra in scena nel 2017 un altro personaggio storico della Marvel Comics: Stephen Strange, il signore delle arti mistiche protagonista di Doctor Strange, interpretato alla perfezione da Benedict Cumberbatch. Un film che risalta tanto sul piano tecnico per lo sviluppo di effetti speciali collaudati in Inception di Chris Nolan, quanto sul piano della saga, in quanto mostra il potere della Pietra del Tempo, che si rivelerà determinante in Infinity War.
Nella sequenza dopo i titoli di coda, che i fan dei Marvel Studios hanno imparato ad aspettare pazienti senza precipitarsi fuori dal cinema come se da ciò dipendesse la loro sopravvivenza, c’è l’anteprima di una scena con Strange e Thor che si vedrà in Ragnarok.


Nell’estate 2017, senza ripetere per la terza volta le sue origini, il personaggio di Peter ʻSpidey’ Parker si esibisce in Homecoming, un proprio film collegato alle conseguenze della battaglia di New York nel primo The Avengers. L’adolescente Spiderman ha Tony Stark come mentore e l’Avvoltoio (un notevole Michael Keaton) come avversario. Non mancano apparizioni di Pepper (Gwyneth Paltrow)  e Happy (Jon Favreau) dai film di Iron Man. E non dimentichiamo un’adorabile Marisa Tomei nei panni di zia May, personaggio notevolmente ringiovanito rispetto alla vecchina dei fumetti ma più adeguata ai nostri tempi. Come del resto questo più giovane Spiderman del cinema ben restituisce, seppure in una rilettura contemporanea, lo spirito del ragazzino sfigato dei fumetti di Lee e Ditko del 1962.


Ulteriore apporto fondamentale in questi ultimi anni è stato quello di due film dal successo inaspettatamente clamoroso: Guardians of the Galaxy e Guardians of the Galaxy vol. 2, basati su una serie spaziale a fumetti della Marvel. A prima vista sembrerebbero non aver molto a che fare con il filone degli Avengers, ma in realtà sviluppano gradualmente la figura inquietante di Thanos (Josh Brolin), già intravisto in The Avengers e destinato a essere il più spaventoso cattivo dell’intera saga.
Le due pellicole mettono insieme un improbabile manipolo di personaggi in grado di essere al tempo stesso idioti integrali ed eroi assoluti: il terrestre Peter Quill alias Star Lord (Chris Pratt); una delle due figlie adottive e ribelli di Thanos, Gamora (Zoe Saldana, bellissima anche in versione verde, dopo la pelle blu indossata in Avatar); il rude Drax (Dave Bautista), cui Thanos ha sterminato come d’abitudine la famiglia; e il procione mutato Rocket Raccoon (Bradley Cooper in motion capture) con il suo braccio destro Groot – albero parlante con la voce di Vin Diesel – che dopo essersi sacrificato nel primo film ricresce un po’ alla volta fino a diventare un capriccioso adolescente dedito ai videogiochi, come lo ritroviamo in Infinity War.


È anche l’ingresso ufficiale dello humour nell’MCU: se prima poteva esserci qualche aspetto ironico, qui gli elementi drammatici si mescolano ad aspetti decisamente, sfrenatamente comici. Nella sub-serie, di cui è già stato promesso un Vol. 3, appaiono anche Michael Rooker nel ruolo del pirata spaziale Yondu, Kurt Russel nella parte di Ego, ma anche Sylvester Stallone e Michelle Yeoh. Della squadra entrano a far parte inoltre l’altra figlia adottiva – suo malgrado – di Thanos, Nebula (Karen Gillan) e l’ingenua aliena empatica Mantis (Pom Klementieff), che appariranno a loro volta in Infinity War.
Il vantaggio è che tutte le razze spaziali hanno una padronanza perfetta della lingua inglese e l’adottano come idioma di base, il che facilita in maniera notevole la comunicazione, le minacce e gli insulti tra alieni e terrestri. A parte Groot, che com’è noto è in grado di dire solo ʻIo sono Groot’. La lingua inglese universale è una convenzione consolidata nei fumetti ed ereditata dai film. È noto del resto che gli asgardiani hanno un marcato accento britannico-shakespearaiano, anche se possono perderlo un po’ alla volta a forza di bazzicare gli States.


E, parlando di abitanti di Asgard, in Ragnarok – che ufficialmente era il terzo film di Thor (Chris Hemsworth) ma di fatto era ormai immerso nella continuity generale – abbiamo ritrovato Loki (Tom Hiddleston) sempre più doppiogiochista, che accompagna il fratello alla ricerca del padre Odino (Anthony Hopkins); ritrovato Hulk, sparito alla fine di Age of Ultron, che dopo un clamoroso scontro con Thor si ritrasforma nel proprio alter ego umano Bruce Banner (Mark Ruffalo); conosciuto la Valchiria (Tessa Thompson). Tutti costoro, sopravvissuti alle insidie del pianeta Sakaar, pattumiera cosmica gestita dal debosciato Grandmaster (Jeff Goldblum) e incentrata sulle sfide tra gladiatori, si uniscono a Heimdall (Idris Elba), per fare i conti con la dea della morte Hela (Cate Blanchett) e il suo braccio destro, l’Esecutore (Karl Urban).
Se il film ha un sottofondo umoristico molto vicino a quello di Guardians of the Galaxy, la battaglia finale porta alla fine di Asgard, il Ragnarok della mitologia nordica. E all’evacuazione in massa dei suoi abitanti superstiti su un’astronave che, si intuisce nella sequenza dei titoli di coda, si trova sulla rotta di qualcun altro...


Dopo il primo Avengers l’MCU è tracimato anche in tv, con diverse serie spin-off collegate alle trame dei film, anche se ne subiscono le conseguenze senza influenzarle... e i relativi personaggi non appaiono ancora (o non appaiono più) sul grande schermo.
Unica vera occasione mancata in questo grande progetto Marvel: Black Panther, manifestamente il film realizzato in modo più frettoloso e approssimativo (nella sceneggiatura, non negli effetti speciali), sprecando il materiale epico a disposizione. Un primo, vistoso, errore di montaggio: nella sequenza pre-titoli – anziché l’efficace scena che si vede più avanti, in cui l’eroe eponimo affronta una banda di terroristi stile Boko Haram – viene tolta completamente ogni carica emozionale, collocando in posizione introduttiva un per nulla epico antefatto, che avrebbe potuto essere inserito poi come flashback. Così come viene liquidato in modo troppo sbrigativo il cattivo Clau (Andy Serkis, finalmente di persona, non come personaggio in CGI), già ben prefigurato in Age of Ultron, lasciando spazio invece a Killmonger (Michael B. Jordan), con una pettinatura un po’ troppo alla moda per essere davvero convincente.
Il film si risolve dunque in un’introduzione all’entourage del sovrano del Wakanda, che si vedrà in gioco in Infinity War, con una bella scena di inseguimento nella parte più spionistica della vicenda e un’interessante battaglia finale, ma niente di paragonabile a qualsiasi altro film del ciclo. Avremo modo di rifarci proprio con Infinity War. Ma di questo  parliamo nel prossimo articolo.



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