Istruzioni per l'uso di 007, di Andrea Carlo Cappi
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La critica ha
ricominciato a interessarsi a 007 con l’arrivo di Daniel Craig come
interprete, nel 2006, scoprendo con un ritardo di una sessantina
d’anni il vero personaggio dei libri di Fleming, ancorché
adattato al XXI secolo. I film con Craig raccontano una storia nuova
ripartendo da zero, anzi, dal ‘doppio zero’ di James Bond, della
cui acquisizione si parla nel primo romanzo. Anche se dopo il recupero di ‘Casinò
Royale’ – rimasto a lungo inaccessibile alla EON perché
Fleming ne aveva ceduto i diritti ad altri già nel 1954 –
non restavano libri dell'autore da adattare, sicché tutte le
sceneggiature successive al 2006 sono originali: il racconto ‘Quantum of
Solace’ di Fleming non offriva materiale cinematografico, solo un
titolo.
Nei nuovi film sono
rimasti gli elementi spettacolari e le incredibili scene di stunt
(realizzate perlopiù dal vero) che il pubblico si aspetta da
007. Di quando in quando, specie nell’ultimo, appaiono aspetti
fantatecnologici, e abbondano le allusioni alla vecchia serie, per il
divertimento degli appassionati. Ma l’approccio è molto più
serio.
Anche se biondo (al
contrario del Bond bruno dei romanzi), Craig ha gli occhi azzurri ma non è
un ‘bello’, proprio come lo voleva Fleming; gli manca giusto la
cicatrice di sette centimetri sul lato sinistro della faccia descritta nei romanzi. È
carico di rabbia perché – come nei libri – è un
orfano di famiglia ex-benestante, che ha cercato una rivalsa nella
vita militare e poi nell’MI6. È un Bond ricreato ex novo, in un reboot che coincide con un altro fattore essenziale per
la EON Production: il recupero nel 2014 dei diritti di Blofeld e della
SPECTRE, trattenuti dal produttore McClory fin dagli anni ‘70,
impedendone l’impiego da parte dei Broccoli. È a questo punto che la saga assume il suo aspetto definitivo.
Ora è possibile
realizzare un arco narrativo con un unico attore che accetta di
girare cinque pellicole. La EON Production intende riunirvi tutto il mondo di James Bond, senza tuttavia girare
remake. E ora, nell'autunno 2021, dopo un ritardo di un anno e mezzo causa Covid-19, è uscito il quinto e conclusivo episodio, che segna
l’annunciato addio di Craig al personaggio.
Di tutto il nuovo ciclo, come cultore soprattutto della versione letteraria, il mio preferito rimane 'Casinò Royale'. La storia originale era stata scritta nei giorni più oscuri della Guerra Fredda e si legava a eventi dell'epoca; la sceneggiatura - nulla a che vedere con la buona riduzione tv del 1954 o la delirante trasposizione comica del 1967 - riusciva perfettamente a trasferire la storia nel mondo dopo l'Undici Settembre, con una vicenda-contenitore destinata a proseguire come un serial.
Ma 'No Time To Die' è un film epocale e irrinunciabile per chi conosce 007.
Porta a compimento la scelta di rinnovare le regole del gioco che pervade tutto il periodo con Daniel Craig, rielaborando i cliché per farne qualcosa di diverso. I punti di riferimento sono stati Ian Fleming e le pagine migliori dei suoi successori: nel nuovo ciclo ho visto un po' di Raymond Benson, che nei libri ha ricondotto Bond verso le sue origini; in 'SPECTRE' un monologo di Blofeld proveniva direttamente dall'antagonista eponimo de 'Il colonnello Sun' di Kingsley Amis (sotto lo pseudonimo Robert Markham) e la fusione tra servizi segreti sembrava ispirata a temi trattati da John Gardner.
Fleming però è sempre presente: in 'Skyfall' si racconta dei genitori dell'agente segreto, lo scozzese Andrew Bond e la svizzera Monique Delacroix, in 'SPECTRE' del suo periodo in Austria. In 'Skyfall' e 'No Time To Die' sono visibili riferimenti a dettagli mai usati al cinema dai romanzi 'Al servizio segreto di Sua Maestà' (richiamato in 'No Time to Die' anche da citazioni della colonna sonora del film corrispondente) e 'Si vive solo due volte', la cui versione su pellicola manteneva solo il titolo e alcuni personaggi. Sotto certi aspetti, oserei dire anche 'Moonraker', altro libro che non ha nulla a che fare con il film dallo stesso titolo.
Tutti i Bond-movies del passato, anche i peggiori, hanno sempre avuto qualcosa di buono, quantomeno dal punto di vista dello spettacolo e dell'intrattenimento. Avendoli seguiti fin dal 1970, recuperando quelli che mi ero perso prima, ce ne sono alcuni cui sono più affezionato che ad altri.
Ma i romanzi originali di 007 sono sempre stati più duri, pessimistici, occasionalmente violenti e per nulla autoparodistici, come si sarebbe potuto pensare dal cinema prima di Craig. Ogni missione era una discesa all'inferno, con solo qualche momento per amori di breve durata e troppi drink (e non solo vodka martini). Da questo punto di vista, il nuovo film sceglie proprio questa via. Più che mai, per usare un vecchio slogan, bisogna aspettarsi l'inaspettato.
Chapeau, hai saputo cogliere spunti, collegamenti, riferimenti, allusioni, nuances mescolandole con abilità e cottura impeccabile, senza mai perdere di vista l'insieme del Bond Universe. Aggungerei che anche il sub-universo Bond letterario, pur in gran parte precedente all'inizio della saga cinematografica as we know it, ha finito per interagire con essa, tanto che Fleming, all'inizio cocciutamente contrario a Sean Connery - da lui considerato un energumeno di classe bassa mentre il suo Bond non poteva non essere uscito come lui da Eton prima e Oxbridge poi - si era poi così entusiasmato dell'attore da riscrivere il passato di James Bond, attribuendogli un padre Scozzese e una madre svizzera, sfumando e sfocando così i confini fra libri e film. Si può affermare che senza Sean Connery, Bond sarebbe rimasto as English as the Yorkshire pudding.
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