giovedì 22 ottobre 2020

Roubaix, une lumiere (2019)

 


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Roubaix, la città francese al confine con il Belgio che forma un nucleo metropolitano con altre località, come Lille e Tourcoing, ha conosciuto tempi gloriosi. Ma ora è in fase di decadenza e la sua popolazione – comprendente comunità di immigrati da Italia, Portogallo, Polonia, Nordafrica... – è sempre più povera e afflitta da una criminalità crescente. In questo scenario si trova a operare il Commisariat Central, di cui è a capo Yakoub Daoud, nato in Algeria e cresciuto a Roubaix, cui sono legati tutti i suoi ricordi e dove ora è l’unico rimasto della sua famiglia; tranne un nipote carcerato, che rifiuta di vederlo e lo odia a morte senza motivo apparente, forse solo per i loro due ruoli opposti di sbirro e delinquente. 

Daoud (Roschdy Zem, premio Lumières e premio César per questo ruolo) è la figura dominante di Roubaix, una luce di Arnaud Desplechin: un poliziotto solitario dai modi apparentemente gentili, ma impietoso quando si tratta di portare alla luce la verità, che si tratti di una tentata frode assicurativa o di un omicidio. Fa amicizia con l’ultimo arrivato della squadra, Louis Cotterelle (Antoine Reinartz), prete mancato dalla fede in crisi, deluso dalla difficoltà di risolvere i casi in un contesto del genere. 

Per esempio, l’incendio doloso di una casa abbandonata in un cortile di rue des Vignes porta un gruppo di poveracci di etnie assortite ad accusarsi a vicenda senza che la polizia cavi un ragno dal buco. E le uniche testimoni, le conviventi Claude (Léa Seydoux) e Marie (Sara Forestier), hanno troppa paura per parlare. Poi, nello stesso cortile, avviene l’omicidio di un’anziana signora. Poveri che uccidono per derubare altri poveri. Ma stavolta l’intuito di Daoud e le tecniche di interrogatorio della sua squadra portano alla soluzione del caso, una verità triste e una confessione agghiacciante. Ma anche a una luce nell’ombra della città.

Il film si potrebbe definire un police procedural a sfondo sociale, con un’indagine principale in parallelo ad altri casi, in chiave realistica: non a caso è basato su un vero caso di omicidio a Roubaix del 2002, ricostruito nel documentario televisivo Roubaix Commissariat Central (di Mosco Boucault, France 3, 2008). Nessuna concessione viene fatta a buonismi o stereotipi da telefilm. Persino Léa Seydoux, sciupata ad hoc, si presenta qui in un ruolo del tutto non-glamour tra un film di 007 e l’altro. Girato nel 2018 e presentato con buona accoglienza a Cannes nel 2019, questo polar social è arrivato nei cinema italiani nell’autunno 2020. E viene da chiedersi se in luoghi come Roubaix, in questo anno ancora più difficile, la luce si sia spenta di nuovo. 


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