Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi
Audition è uno dei titoli più noti della vasta produzione del regista giapponese Takashi Miike, quello che tra il 2000 e il 2001 lo ha reso noto a livello internazionale. All'epoca si raccontava del pubblico sotto shock durante le proiezioni ai festival, probabilmente perché ignaro di ciò che li aspettava. Se n'è riparlato di recente, quando è stato proposto per alcuni giorni nelle sale italiane come "evento speciale". Mi è venuta voglia di rispolverarne un'edizione spagnola di in dvd, vent'anni fa, con traccia in giapponese e sottotitoli.
Il film, drammatico anche se potrebbe sembrare romantico con qualche punteggiatura umoristica, sfugge alle definizioni: se in Giappone il termine saiko haraa (derivato da psycho horror) indica in realtà storie di oscure presenze sovrannaturali, Audition è un'autentica vicenda di "orrore psicologico", relativamente poco esplicito, ma agghiacciante per tutto ciò che evoca... con l'assoluta mancanza di freni che spesso caratterizza il cinema nipponico di genere.
Tratto da un romanzo del 1997 di Ryu Murakami, racconta di Shigeharu Aoyama (Ryo Ishibashi), solitario vedovo quarantatreenne di Tokyo, che su suggerimento del figlio teenager Shigehiko (Tetsu Sawaki) decide di risposarsi. Senza nemmeno accorgersi dell'interesse pressoché manifesto della sua assistente personale in ufficio, il brav'uomo ambisce a ricreare il rapporto che aveva con la defunta moglie, bella, intelligente e colta. Ma dove trovare una giovane donna che risponda a tali requisiti?
L'amico produttore televisivo Yoshikawa (Jun Kunimura) gli suggerisce un espediente: convocare aspiranti attrici per il casting di un film che non verrà mai realizzato e, fra le trenta candidate preselezionate in base al curriculum, scegliere la moglie ideale.
Quando le potenziali interpreti si presentano per l'audizione, tuttavia, Aoyama è già stato colpito dalle note personali di Asami Yamazaki (Eihi Shiina), che per un incidente ha dovuto rinunciare alla carriera di ballerina. La ventiquattrenne Asami, timida e quasi infantile, gli appare subito come una creatura angelica e seducente nella sua innocenza. In effetti, l'attrice aveva ventitré anni all'epoca delle riprese, ma sembra quasi coetanea del figlio del protagonista.
Aoyama non ascolta, ovviamente, il consiglio di Yoshikawa, che a pelle intuisce che qualcosa non vada nella ragazza. E non coglie i segnali del passato traumatico di Asami, che dovrebbe richiedere l'intervento immediato di una task force di psicologi. Al pubblico, tuttavia, la protagonista femminile viene mostrata anche con il suo lato più oscuro, che richiama giustappunto le figure femminili del saiko haraa, pur essendo in carne e ossa.
La ragazza sparisce nel bel mezzo del loro primo weekend romantico e non risponde più alle telefonate. Lui non ne conosce l'indirizzo, gli unici indizi sono una vecchia scuola di danza e un bar in cui lei lavora come cameriera. Aoyama comincia ad avere qualche sospetto quando, nella sua ricerca disperata, sente parlare di persone scomparse, omicidi e amputazioni assortite. Ma è troppo tardi: Asami vede riflessi in lui i responsabili del suo ampio bagaglio di abusi e si è convinta che le sue promesse d'amore siano false... Ma non rivelo come andrà a finire.
Audition è tutt'altro che banale e manicheista: Asami non è una dark lady vecchio stampo, mentre Aoyama, come certi personaggi di Hitchcock, non è del tutto innocente, anche se non merita certo di pagare per colpe altrui. La parte finale della pellicola gioca tra realtà e allucinazione (barando leggermente per spiazzare il pubblico) e trasmette sensazioni dolorose quasi quanto l'uso perverso dell'agopuntura evocato dalle parole kiri kiri kiri, per non parlare dell'altro strumento impiegato nel film.
Ma il fascino di Audition risiede proprio nella ricerca disperata dei protagonisti di una certezza di essere amati o amate. E in fondo, come disse qualcuno, chi ruba un piede è fortunato in amore... O forse no.