venerdì 9 febbraio 2024

Iperwriters - Una scandalosa distopia

Photo: Christian Lue on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 40 - Una scandalosa distopia

Venerdì, ore 13. Nel precedente editoriale ci domandavamo come sarebbe il mondo se le letterature scatenassero nella maggioranza delle persone la stessa passione di una partita di calcio.
Proviamo a immaginare.
Ci sarebbero solo scrittrici e scrittori di quelli su cui oggi si fanno i biopic, film o serie tv. Dei giganti, dei veri mostri. E sarebbero la versione contemporanea degli dei dell'Egitto, degli dei della Grecia, degli dei delle saghe nordiche, di tutti gli dei e gli eroi di tutte le mitologie della storia umana. Verrebbero coperti d'oro. Pagati cifre quasi irreali, e nessuno direbbe una parola contro: nel loro caso non si oserebbe proporre di “ridistribuire la ricchezza”. Godrebbero di un'ammirazione del tutto scevra da invidia, perché non si invidia chi non è di questa terra. Perché una prestazione letteraria da campione è una cazzo di prestazione letteraria da campione, da far dire di che pianeta sei?, e a nessuno che non fosse davvero un campione salterebbe in testa di esserlo. Susciterebbero un timore reverenziale, qualcuno bacerebbe loro la mano, la mano scrivente di Dio. Si pronuncerebbero i loro nomi (perfino quelli ridicoli) con una solennità liturgica e insultarli, coprirli di immondizia e bava e sputi sarebbe come profanare un'ostia consacrata. Alla morte di uno di loro celebrazioni e lutto nazionale, come quando muore un re (unico caso in cui si ripristina la monarchia) e al funerale parteciperebbero in migliaia, milioni, fisicamente o mediaticamente.
E vediamo ora come vivrebbero i lavoratori del calcio in un mondo al contrario.
Grandi o piccoli, campioni o dilettanti, non avrebbero meriti, perché per loro non ci sarebbe merito, ma solo un'avvilente e ringhiosa competizione al di sotto dei pochi a cui il sistema (male e per poco) consente di dare un calcio. Non sarebbero pagati e dovrebbero svolgere un'altra attività per guadagnare. Inesistenti nei form da compilare nelle banche, compatiti dai parenti, costretti a giocare secondo schemi ripetitivi. Chiusi nelle bolle social autoreferenziali a parlare dei loro goal, assist, fuorigioco e rigori. E quando uno di loro morisse, quattro secche righe in cronaca sputate fra i denti, o niente.
Sì, sì, avete ragione, come storia fantasy è sgradevole, odiosa.
Neppure leggibile.

mercoledì 7 febbraio 2024

Alfredo Castelli, lo zio del fumetto

Alfredo Castelli (Foto: A. C. Cappi)

Ricordo di Andrea Carlo Cappi

Il destino non è stato clemente con Alfredo Castelli: malattia e terapie, benché affrontate fin quanto possibile con l'armatura dell'ironia, lo hanno segnato visibilmente negli ultimi tre anni, senza però impedirgli di concedersi ai fan per eventi e mostre organizzate in onore del "più grande fumettista italiano", per usare le parole del suo amico storico e collega Mario Gomboli. Proprio insieme a Gomboli, Alfredo esordì, ancora liceale, nel 1965 con le Sorelle Giussani presso la redazione di Diabolik, testata a cui sarebbe tornato varie volte nella sua carriera.
I fumetti erano l'attività principale, ma per la sua preparazione e i suoi interessi potrebbe essere accostato a figure imponenti della cultura italiana come Umberto Eco e Oreste Del Buono. Sue sintetiche bio-bibliografie - per quanto riduttive rispetto al lavoro sconfinato come creatore di personaggi celebri, sceneggiatore, disegnatore, saggista - stanno comparendo ovunque, insieme ai post sui social network con cui gli viene reso omaggio dal suo vasto pubblico nel giorno della scomparsa.
Quindi preferisco raccogliere giusto qualche manciata di ricordi dal nostro repertorio. E i primi risalgono all'infanzia: come tutti i lettori del Corriere dei Ragazzi dei primi anni '70, conoscevo Alfredo Castelli non solo come sceneggiatore delle storie de Gli Aristocratici e L'Ombra, o delle pagine umoristiche di Otto Kruntz, Zio Boris o L'Omino Bufo (quest'ultimo disegnato da lui stesso) ma anche come... personaggio nella rubrica Tilt!, in cui spesso gli autori ironizzavano sulla loro vita in redazione.

Lo incontrai di persona nell'autunno del 1994, quando era già il BVZA (Buon Vecchio Zio Alfred) in quanto creatore e sceneggiatore principale del BVZM (Buon Vecchio Zio Marty) ovvero Martin Mystère, pubblicato da Sergio Bonelli Editore. L'amico Andrea Pasini, uno degli autori della testata, gli aveva fatto leggere i miei racconti della serie Cacciatore di libri sul Giallo Mondadori. Le prime cose che Alfredo mi disse furono che da uno di questi aveva preso spunto per una storia breve di Martin Mystère e che gli sarebbe piaciuto che scrivessi un racconto con il mio personaggio al fianco del suo.
Oltre a precedere la collaborazione come co-sceneggiatore insieme ad Andrea Pasini per quattro albi della serie, quel racconto fu la mia iniziazione come autore di narrativa tie-in: il mio lavoro su Martin Mystère negli anni successivi sarebbe stato il biglietto da visita per scrivere anche i romanzi di DiabolikNel 2017 Alfredo avrebbe convinto Sergio Bonelli Editore a farmi continuare i romanzi di Martin Mystère come appuntamento annuale e dal 2021 a pubblicare miei serial sul detective dell'impossibile in appendice agli albi a fumetti.
Per scrivere di Martin, spesso mi baso non solo sul personaggio, ma anche su Alfredo, rubandogli alcuni tratti comportamentali. Per le storie mi ha sempre lasciato assoluta libertà di manovra, sicuro del mio rispetto nei confronti della sua creatura. Data la crescente difficoltà negli ultimi tempi a comunicare mentre era in terapia, ho fatto tesoro delle indicazioni che mi ha dato quando siamo riusciti a sentirci al telefono.

Purtroppo, tra il lockdown e la sua salute, ormai da anni abbiamo dovuto rinunciare agli incontri a pranzo in privato, occasioni in cui apprezzare la sua ironia e parlare davvero di tutto, dalla letteratura alla geopolitica, oltre a discutere delle storie a venire di Martin Mystère o di progetti collaterali, come possibili tie-in su altri suoi personaggi per rinverdirne i fasti al di fuori dei fumetti.
Tra le cose che mi mancheranno, oltre ai suoi giochi di prestigio a tavola durante i raduni di appassionati, rientra senz'altro la sua capacità di realizzare con precisione meticolosa perfetti "falsi" giocando tra realtà e fantasia, come le copertine di un inesistente pulp magazine degli anni '30 di cui si parlava in un mio serial e persino la "fotografia" del negozio immaginario a New York in cui Martin ne trovava le copie.
Ma, soprattutto, mi mancherà la sua mente prodigiosa a portata di telefono (quando non perdeva le chiamate, beninteso). Se nel mondo reale esistesse ciò che si vede in Martin Mystère, poter trapiantare almeno i suoi neuroni e le sue esperienze in un corpo robotico dalla durata illimitata sarebbe stato un grande dono per l'umanità.

venerdì 26 gennaio 2024

Iperwriters - Finale di coppa

Photo: William William on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 39 - Finale di coppa

Venerdì, ore 13. Flash back. Lasciatemi ancora un po' in quegli anni, dall'85 in poi, quando ogni estate andavo al Mystfest di Cattolica.
Devo dire che di me, dei miei coevi scrittori, dei libri, dei film, non fregava niente a nessuno. il Mystfest era ben organizzato, piacevole, molto stimolante, ma non aveva pubblico. Andavo in spiaggia, e dalle chiacchiere occasionali con altri bagnanti emergeva che il popolo turistico-vacanziero ne ignorava perfino l'esistenza. Eravamo una bolla di “addetti ai lavori” che si scambiavano informazioni, si intervistavano e si davano rituali celebrativi. Nessun interesse da parte di persone che non fossero giornalisti, scrittori o aspiranti scrittori o lavoratori del settore, neppure se era possibile contattare personalità come Ed Mc Bain o James Ellroy o Claude Chabrol o Lucio Fulci.
Ho visto gente esterna alla nostra bolla affluire e riempire una piazza solo quando è arrivato un attore, e non per la sua attività di attore, ma per una pubblicità diventata un celebre tormentone.
Due popoli diversi, che non avevano nulla da spartire e coesistevano come l'acqua e l'olio, senza fondersi.
Gli scrittori si riunivano ai tavolini all'aperto di un bar accanto al cinema dove avvenivano le proiezioni dei film. Andrea G. Pinketts, lo sceriffo di Cattolica, diceva: "C'è solo questo, vale la pena solo per questo, per la nostra conversazione.”
Se la comunità non partecipa a un evento culturale è inutile organizzare, spostarsi, proporre. I libri e i film possiamo vederli anche restando a casa. E si può converrsare più comodamente senza fare ore di treno.
Ricordo una sera. La nostra postazione al bar era stava invasa da indigeni e turisti, perché uno schermo trasmetteva la finale di coppa di un evento calcistico. Forse la coppa del mondo, ma non ne sono del tutto sicura.
Eravamo accaldati e assordati, e non potevano neppure più parlare.
A un certo punto dico: "Come sarebbe il mondo se facessero quel tifo per le opere letterarie?"
E Patrizia Pesaresi commenta: "Albertine contro Karamazov".
Intendeva dire, ovviamente, finale di coppa fra Proust e Dostoevskij.
Ma questo vorrebbe dire che i due popoli diversi sarebbero un solo popolo. E già, come sarebbe il mondo se una partita Proust-Dostoeskij fosse la passione e religione di un intero popolo?

venerdì 12 gennaio 2024

Iperwriters - I miei coevi scrittori

Photo: Bobby Kalman on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 38 - I miei coevi scrittori

Venerdì, ore 13. I miei coevi scrittori sulla scia dell'evoluzione dei generi, come me. Compagni di strada. Ecco una sintesi dell'introduzione a Sotto mentite spoglie di Patrizia Pesaresi, che ho avuto il piacere e l'onore di pubblicare per Iperwriters.
Ho conosciuto Patrizia Pesaresi nel 1985, al Mystfest di Cattolica. Io avevo vinto il premio Tedeschi per il romanzo inedito e lei il Premio Gran Giallo Città di Cattolica per il racconto. Un esordio stupefacente: Uno per tutti, pubblicato nella collana Giallo Mondadori e, in seguito, giustamente, in altre antologie e riviste, e tradotto in Francia. Hieronymus Bosch nel suo trittico Il carro del fieno denuncia con il suo pennello, seminando indizi cifrati, un crimine commesso nel suo tempo e rimasto impunito. Siamo già molto più avanti, e a un livello internazionale. Il thriller storico con rivisitazioni di filosofi e artisti nel ruolo di indagatori arriverà solo nel decennio successivo. Da quel primo incontro, infatti, le nostre carriere di scrittrici si
inabissano, per tornare in superficie solo verso la metà degli anni Novanta. Ricordo di aver assistito a una presentazione alla Libreria del Giallo di Milano del suo romanzo Dopo la prima morte, edito nel 2005 da Dario Flaccovio. Un libro affascinante e ancora una volta sorprendente, per svariati motivi: perché dimostra di aver assimilato la lezione della grande Patricia Highsmith e fa apparire in controluce uno dei miei personaggi storici preferiti, Lawrence d'Arabia. Qualche tempo dopo, leggendo libri per un'agenzia letteraria, mi capita fra le mani Sotto mentite spoglie. Ecco la mia valutazione di allora: "La storia parte come un giallo storico, poi vi si intrecciano fili di fantapolitica, esoterismo, feuilleton, erotismo e spy-story. Un lavoro sapientemente costruito nella struttura, interessante nella miscelazione di generi, originale nel far entrare in gioco un personaggione come Aleister Crowley."
Patrizia Pesaresi attingeva alla grande tradizione britannica. Forse in un paese di lingua inglese avrebbe avuto più successo e “visibilità”. Il nostro comune amico Gianfranco Orsi, direttore del Giallo Mondadori ai nostri tempi, ha scritto di lei su Thrillermagazine: “una scrittrice tra le più innovative e originali del noir di oggi”. Troppo originale e innovativa, direi, in un paese in cui è proibito essere originali e innovativi.

giovedì 28 dicembre 2023

Iperwriters - Gli (apparenti) opposti si attraggono

Photo: Borderpolar Photographer on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 37 - Gli (apparenti) opposti si attraggono

Venerdì, ore 13. Siamo all'inizio degli anni '90, e quasi al termine di sette anni di macerazione intellettuale e professionale.
L'ascensore sociale, o quello che io avevo preso per tale e in realtà era solo un contenitore senza pulsanti, ha un tetto chiuso sopra la mia testa. Ci sono solo un paio di giallisti italiani in attività, e per i nuovi autori (al momento) lo spazio è limitato all'ambito del Premio Tedeschi, che si vince una volta sola. Quel po' di gloria locale (interviste, un ingaggio per un giallo a puntate, inviti, i miei parenti quasi fieri di me), svanita. La grande editoria “alta” è per me una piovra aliena.
Il mio unico tentativo di letteratura “seria”, La donna senza testa, è fallito. E del resto mi hanno detto che "altro è la letteratura" rispetto a quello che faccio.
Mi muovo ambiguamente in un contesto ambiguo. Ho una formazione umanistica, con passioni prevalenti per la filosofia e la storia, ma scrivo intrattenimento. La mia posizione sociale riflette questo stato: ho troppo talento per lasciarmi scivolare nell'ignoranza generalizzata, ma sono priva del tipo di talento richiesto.
La soluzione?
Bene, dopo molti tormenti decido di ignorare il tormento. Il problema è creato da contingenze storiche inesistenti in passato. Basta scrivere seguendo se stessi e anche fare letteratura. La lezione la conoscevano già gli gnostici duemila anni fa: fare di due mani una sola mano.
Basta ignorare il Novecento, il secolo dell'assassinio dell'arte e del divorzio fra letterature alte e basse, e prendere a modello gli scrittori ottocenteschi, il cui valore non era dato dalla pratica di un genere o da variazioni stilistiche, ma da un risultato estetico intrinseco nell'opera, nel cuore dell'opera, fatto di potenza immaginativa, ricerca della perfezione e intensità al calor bianco. Arte e intrattenimento.
Quel risultato estetico, quello scintillio inventivo, negli anni successivi, lo avrei trovato in alcuni dei miei coevi scrittori italiani di genere, e non nei capolavori moderni (o venduti come tali) che effettivamente si vendevano, diventando paradossalmente il vero intrattenimento del nostro tempo.
I miei coevi che, invece di fare i novecenteschi vendendo minuzie sussiegose, facevano gli ottocenteschi.

mercoledì 20 dicembre 2023

Hyde in Time: il circo della finzione


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Per mancanza di tempo, spesso recensisco opere che conosco per averne preso parte alla pubblicazione come editor o traduttore. Invece, nel caso di Hyde in Time (Edikit) a cura di Mario Gazzole e Roberta Guardascione, vi ho partecipato solo come... "spettatore attivo" di una creazione senza precedenti, in cui realtà e fantasia hanno cominciato a confondersi fin dal principio, molto prima della pubblicazione: da quando due anni prima dell'uscita del libro è pervenuto a  Borderfiction il misterioso comunicato stampa del Circus of Wonders. Poi sono stato al gioco quando è stata annunciata la scoperta alla base di questo libro. E ora finalmente, rubando tempo alle scadenze, sono riuscito anche a leggerlo per intero (dal momento che è composto da ben tre romanzi, abilmente impaginati in modo da occupare solo 250 pagine) e a... guardarlo con la dovuta attenzione, dato che l'apparato di immagini è imponente.
In questo libro, nulla è come sembra, esattamente come l'abominevole signor Hyde non assomiglia per niente al buon dottor Jekyll, pur condividendone lo stesso corpo nel romanzo di R. L. Stevenson; e come - almeno fino a un'indagine condotta anni fa dalla scrittrice Patricia Cornwell - nessuno ha attribuito con certezza al pittore Walter Sickert la responsabilità dei delitti del mai identificato "Jack the Ripper" del 1888; così come a quest'ultimo non si possono collegare, quasi ottant'anni dopo, i consimili delitti commessi sempre a Londra nel 1964-65 dal serial killer parimenti mai scoperto, che i giornali soprannominarono "Jack the Stripper".
Ma tutto è possibile nel circo della finzione allestito dallo scrittore Mario Gazzola e dall'artista visiva Roberta Guardascione, già creatori del sofisticato universo di Buio in scena, che qui utilizzano non solo l'espediente narrativo del "manoscritto ritrovato", ma anche quello inedito dei "dipinti riscoperti", generando un'opera complessa e un volume interamente illustrato a colori per il quale - anche se può sembrare insolito da parte mia - bisogna fare i complimenti all'editore.

Orbene: ripercorriamo i diversi strati tra realtà e finzione di questo libro. La storia della letteratura ricorda che Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson - capolavoro del romanzo gotico, paradigma della fantascienza e punto di riferimento simbolico del dualismo tra bene e male nell'essere umano - ebbe due stesure, la prima delle quali bruciò nel caminetto di casa Stevenson.
Ma se un'altra copia di quella prima versione si fosse salvata e si rivelasse del tutto diversa da quella che il mondo ha conosciuto nel 1886, con Hyde che alla fine sopravvive alla morte di Jekyll? E se questa copia superstite della versione inedita avesse ispirato non solo una serie di illustrazioni di una misconosciuta artista di nome Jane Mason, ma addirittura un seguito, Il lupo di Whitechapel, stilato dal figliastro e collaboratore di Stevenson, Samuel Lloyd Osbourne? E se questo sequel altrettanto introvabile, che rivela una sorprendente conoscenza dei retroscena dei delitti di Jack lo Squartatore, li collegasse non solo alla figura del pittore Sickert, ma anche al personaggio non del tutto immaginario di Hyde? E se Sickert avesse dipinto tele mai mostrate in pubblico, che documentano la mente omicida del serial killer di Whitechapel del 1888?
Sarebbe un'ottima ragione perché uno scrittore e appassionato cultore della narrativa di genere - di nome Mario Gazzola - si mettesse sulle tracce dei manoscritti perduti e, dopo averli ritrovati, si rivolgesse nientemeno che a Patricia Cornwell per approfondire le proprie indagini. Al punto da arrivare a disseppellire non solo i dipinti perduti di Sickert, ma addirittura un terzo manoscritto, Hyde in Time, opera del figlio segreto di Osbourne e corredato degli schizzi di un misterioso artista chiamato "Eddie", a un cui recente vernissage londinese sarebbe stato commesso un delitto orribile. Hyde è dunque trasmigrato non solo da una persona all'altra, ma anche nel tempo, fino ai giorni nostri?

Nel percorso tra fantasia psichedelica, thriller psicologico e giallo psicanalitico, parole e immagini ci portano a continui spostamenti di identità, in un mondo che, sempre per citare Gazzola, comincia a mostrare al tempo stesso crepe nella realtà e bagliori inquietanti nel buio sulla scena.
C'è pure, come già in S.O.S. - Soniche Oblique Strategie, una storia-contenitore che assorbe e integra i tre romanzi, e livelli di "realtà" che si contaminano anche in modo spiazzante. I passaggi più suggestivi sono forse il tentativo di Sickert di portare la sua modella Mary Reilly (sopravvissuta al suo ruolo di camerierina in casa Jekyll) a condividere l'istinto del "lupo di Whitechapel" e le sedute del dottor Sutherland con Alice Jones, potenziale vittima dell'ingombrante artista "Eddie".
Ma soprattutto c'è la mia ammirazione per un'opera che, nell'era delle fake news e della post-verità, conduce a un nuovo grado evolutivo il concetto di "postmoderno", portando la fiction anche all'esterno del libro. E per quelli della mia generazione, ha ancora senso la frase "where no man has gone before".

martedì 19 dicembre 2023

Spy Game incontra Enrico Luceri - 2

E. Luceri al Festival Torre Crawford 2022 (foto: A. Martinelli)


Su Borderfiction Zone proseguiamo l'intervista a Enrico Luceri,  il maestro del giallo da poco entrato nella collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda con il suo romanzo in due parti Caccia alla strega, (la prima parte il 12 dicembre 2023, la seconda parte il 16 gennaio 2024). Ricordiamo intanto alcuni dei suoi titoli più recenti, come Il giorno muore lentamente e Il tempo corre piano, pubblicati ne Il Giallo Mondadori e ora disponibili in ebook, e La stanza del silenzio, edito da Fratelli Frilli. Nel novembre 2023 è uscito inoltre, sempre da Delos, Il primo cerchio della paura, scritto a quattro mani con Emanuela Ionta.

Enrico Luceri, il silenzio delle ombre

SG: Cosa ti ha portato a scrivere gialli?

Si può dire che io abbia scritto sempre. Però non me ne accorgevo. Sono stato un osservatore attento del prossimo fino dalla mia infanzia, e durante la mia adolescenza e giovinezza. Mi sentivo attratto, interessato, dal comportamento degli adulti e dei miei coetanei. Ma non di tutti. Solo di coloro che volevano apparire forti, sicuri di sé, spavaldi, affascinanti.
Il mio carattere invece è stato sempre pieno di dubbi, scettico, diffidente, laconico e riservato. Credo che mi sentissi incuriosito da costoro proprio perché così diversi da me e in fondo, in maniera inconsapevole, registravo ogni loro comportamento perché mi sembrava estraneo, ostile, mi colpiva e feriva. Il comportamento di personalità sbrigative, efficienti, determinate che mi facevano sentire inadeguato, trascurato, ignorato, a volte perfino disprezzato. Che mi facevano soffrire.
Però sono riuscito sempre a nascondere la mia sofferenza, per evitare di dare soddisfazione al prossimo. Ad abbassare le tapparelle, a nascondere l’interno della casa. E, tuttavia, ricordavo. A distanza di decenni, ho capito che i miei occhi sono stati una macchina fotografica, le mie orecchie un registratore, la mia memoria un archivio che ha custodito situazioni dolorose.
Desiderio nascosto: spaventarli! Far crollare le loro certezze, i loro solidi e banali modi di vivere, la spavalderia di facciata. Intuivo in loro delle crepe, sottili e quasi invisibili, e ho trovato l’espediente per allargarle attraverso le mie storie, dove una minaccia ambigua è sufficiente a far vacillare e poi a frantumare personalità forti in apparenza e deboli nella sostanza.
Ancora oggi, quando incontro qualcuno che dimostra verso di me un comportamento sbrigativo, disinteressato, indifferente, provo le stesse sensazioni della mia infanzia e so che presto la mia immaginazione sarà ispirata da una sofferenza antica e nascerà un nuovo romanzo.



SG: Come amico di Stefano Di Marino, l'ideatore della collana Spy Game che ci ha lasciati nel 2021, vuoi darci un tuo ricordo?

Quando Stefano Di Marino scrisse un articolo in occasione della prematura scomparsa di Andrea G. Pinketts, qualche giorno prima di Natale del 2018, lo intitolò non a caso “Senza retorica”. Io vorrei a mia volta ricordare Stefano proprio così, senza quella retorica che lui stesso rifiutava.
Custodisco quindi con discrezione e riservatezza dentro la mia memoria quell’impasto di rimpianto, malinconia, sofferenza e rimorso, che sempre ci tormenta quando un amico si toglie la vita in circostanze tanto drammatiche e dolorose che dimostrano una sofferenza insopportabile.
Invece voglio ricordare Stefano attraverso il suo universo narrativo, quell’avventura allo stato pure che attraversa tanti generi letterari, dalla spy-story al giallo, dal thriller all’horror, al western (e potrei continuare) che lui ha raccontato per anni, con competenza, entusiasmo, impegno e fertilità d’immaginazione. C’era e c’è tuttora un motivo concreto per la costante affezione e fedeltà dei lettori alle sue storie: perché Stefano era uno di quegli autori veri che sapeva scavare un varco fra la realtà quotidiana che viviamo e quella virtuale che leggiamo. E sapeva benissimo come quest’ultima sia assai più gratificante della prima, perché in essa avviene solo quello che decidiamo noi. Nella vita, spesso, troppo spesso a volte, avviene quello che altri decidono per noi. Questo, credo, è il rapporto più bello che si stabilisce fra l’autore e i suoi lettori: lui frantuma la parete fra realtà e fantasia, i lettori attraversano quel varco e vivono ciò che sognano.
Parlo solo di Stefano come narratore, evitando di rammentare i nostri incontri, le chiacchierate, le telefonate, le partecipazioni alle manifestazioni, i messaggi, perché voglio portare la mia testimonianza senza invadenza e con quella discrezione e riservatezza che ci univa.
Solo tre ricordi desidero condividere: il suo incoraggiamento pubblico quando un mio romanzo vinse nel 2008 il Premio Tedeschi; la sua presenza, inaspettata e gradita, quando fui invitato per la prima volta a Milano, a Bordefiction, da Andrea Carlo Cappi nel 2012, e furono loro due a presentare un mio romanzo; la nostra ultima telefonata, una settimana prima di quel brutto giorno di agosto, e il messaggio che mi scrisse subito dopo, e ho conservato.
Una certezza mi consola, solo in parte naturalmente: Stefano è riuscito a rendere lavoro una passione, a vivere come desiderava, certamente confrontandosi con le difficoltà e gli ostacoli del mondo dell’editoria che potevano affliggere anche un autore popolare come lui. Pensare a lui, a Stefano Di Marino e al suo alter ego Stephen Gunn, mi fa tornare in mente una frase che pronunciò il regista John Huston durante la sua orazione funebre per Humphrey Bogart: “La sua esistenza non fu lunga se misurata in anni, ma fu ricca e profonda.”
Credo che il modo migliore per dimostrare quanto ci manca Stefano sia continuare la sua opera e scavare sempre nuovi varchi dove la realtà possa tramutarsi in fantasia.



SG: Ora che sei entrato ufficialmente nel Grande Gioco, pensi di scrivere ancora spy story?

Certamente, sono già la lavoro su un nuovo romanzo per la collana Spy Game di Delos. Vienna, autunno 1948: durante le riprese del film Il terzo uomo, lo scrittore inglese Graham Greene si trova coinvolto in un vero caso di spionaggio. Greene riceve la visita di un sedicente giornalista inglese di Life, Nigel (in realtà è un agente del MI6) che vuole intervistarlo riguardo il film. Greene lo accoglie nella sua stanza all’Hotel Sacher. Qui scopre la reale identità del suo ospite, che gli racconta una storia singolare.
Quando Rudolf Hess volò in Gran Bretagna nel 1941, l’esoterista Alastair Crowley offrì i suoi servigi al governo per aiutarlo a interrogare il gerarca nazista, ma poi non se ne fece nulla. Una storia singolare che accadde davvero. Ho immaginato così un angolo buio e chi o cosa nasconda. Nel novembre del 1948, Churchill e Crowley ebbero un colloquio indiretto su un argomento in apparenza balzano ma che potrebbe rivelarsi sorprendentemente utile. E lo statista inglese ha inoltrato una informazione riservata al MI6, che a sua volta ha inviato Nigel a Vienna.
Da qui inizia una vicenda dove servizi russi e inglesi, borghesi austriaci decaduti, scienziati tedeschi a conoscenza di segreti militari, femmes fatales e avventurieri d’ogni genere celano obiettivi diversi da quelli apparenti e sono pronti ad allearsi e tradirsi con la medesima disinvoltura.

SG: Non vediamo l'ora di leggerlo. Un'ultima curiosità: è vero che sei stato soprannominato Fu Manchu?

Sì, è stata un’intuizione dei miei amici Giulio Leoni e Massimo Pietroselli. Ambedue sostengono di immaginarmi nelle vesti del crudele e astuto genio del male creato da Sax Rohmer. Nelle vesti, nel vero senso del termine! Cioè mi vedono vestito con una tunica, le scarpette con la fibbia, l’indispensabile codino e gli occhi ridotti a due fessure, che stringo fra le dita di una mano il manico di tazza colma di una raffinata miscela di tè mentre con l’altra mano aziono un complicato e doloroso strumento di tortura che tormenta una mia vittima. Una vittima punita per una colpa gravissima. Per esempio, aver criticato un mio romanzo, o averne ignorato un altro.
Fu Manchu/Enrico apprezza con uguale piacere l’aroma del tè e i lamenti del malcapitato. Qui finisce la sarcastica intuizione dei miei amici, che mi conoscono bene e sanno che sopporto in silenzio le critiche ma fatico a dimenticarle. Ovviamente, spero sia inutile precisarlo, io non commetterei azioni criminose di questo genere. In momenti simili, semmai, sorseggerei solo un vino della mia collezione!




Il romanzo di Mister Noir

Presentazione di Andrea Carlo Cappi   "Mister Noir" è un fenomeno letterario di cui si parla da molto tempo sui media nazionali ed...