Una probabile prostituta, un
tossico, un paio di ladruncoli... In un'imprecisata città
dell'Italia settentrionale si susseguono omicidi brutali che non
possono essere liquidati come regolamenti di conti, come vorrebbe un
pm incompetente, e che appaiono collegati l'uno all'altro persino
agli occhi del nevrotico commissario di turno. Ma le indagini toccano
a due ispettori di buona volontà: Ezio Marvelli, appena
rientrato in servizio dopo un'esperienza che gli ha lasciato
cicatrici sul volto e nell'animo, e Roberto Grossi, che comincia a
sentire il peso del lavoro sulla sua vita famigliare.
L'arma è la stessa in tutti
gli omicidi, un machete identico a quello del ricercato numero uno di
sei mesi prima: Giano Gozzi detto “Buio”,
definito “un'espressione letale della natura”, un uomo
trasformatosi in belva, che Marvelli è riuscito a stanare a
prezzo dell'equilibrio psichico e coniugale. Proprio all'ispettore
qualcuno ora recapita ogni giorno musicassette registrate solo da un
lato, con un'unica canzone che, scopre il collega Grossi, corrisponde
ogni volta all'ultima vittima della serie. Buio è tornato? O
si tratta di un astuto imitatore che vuole sfidare uno sbirro
divenuto famoso suo malgrado?
Eppure Buio dovrebbe essere morto,
in comune ci sono solo arma e modus operandi, e i delitti
sembrano l'opera di un “giustiziere della notte” deciso a
ripulire la città in base a criteri molto personali. Senza
contare che la busta con una delle audiocassette è stata
lasciata direttamente sulla scrivania di Marvelli, sotto il naso di
tutti. Fin qui non ho rivelato nulla che non si possa desumere dal
risvolto di copertina. Ma Di morte, d'insonnia e d'altre canzoni di Riccardo Landini, già ottima
voce dell'hardboiled di provincia, afferra senza pietà
gli stereotipi del thriller e ne fa scempio a colpi di machete, prima
di ricomporli in una trama spietata dalla soluzione inattesa.
Il romanzo "Di morte, d'insonnia e d'altre canzoni" di Riccardo Landini (Edizioni Clown Bianco) viene presentato a "Ribs & Books" giovedì 21 febbraio 2019 dalle 18 alle 20, presso Ribs & Beer, via Pitteri 110, Milano; ingresso libero. Conduce Andrea Carlo Cappi
Quarantatré anni fa in questi giorni - per la precisione il 13 gennaio 1976 - l'Italia comincia a chiedersi "Dov'è Anna?" È il titolo del giallo televisivo imperniato sulla misteriosa sparizione di Anna Ortese, impiegata in un'agenzia immobiliare di Roma. Quando il commissario Bramante è costretto ad abbandonare le indagini, è il marito della donna, Carlo, a dare inizio alla propria inchiesta privata che trascina con sé gli spettatori italiani (una media di ventiquattro milioni) fino alla rivelazione finale del settimo episodio, in onda il 24 febbraio con un'audience senza precedenti e tuttora ineguagliata: ventotto milioni di persone.
Questo perché Dov'è Anna?, diretto da Piero Schivazappa, non è solo un ottimo sceneggiato (non si usava ancora la parola fiction) in un'epoca in cui i gialli a puntate realizzati dalla RAI sono abitualmente molto seguiti. È anche l'arrivo sul piccolo schermo del "giallo italiano" a tutti gli effetti: personaggi italiani, ambientazione italiana (eccetto una breve parte ambientata in Spagna) e soprattutto storie italiane, al punto che una delle questioni sollevate in un episodio porterà addirittura alla modifica di una legge dello Stato.
Fino a quel momento i gialli della RAI si sono svolti perlopiù all'estero, assecondando la persistente convinzione che l'Italia non fosse un luogo credibile per storie del genere. La scommessa di Dov'è Anna? - sceneggiatura originale di Biagio Proietti e Diana Crispo, che ne trarranno anche un bestseller ripubblicato di recente - è realizzare una storia in cui il pubblico si possa riconoscere. Tant'è che - come racconta il numero della Domenica del Corriere nella foto sopra - vengono presto notate le somiglianze tra la vicenda televisiva e una reale indagine in corso.
RayPlay e una nuova collezione di dvd in edicola dal 2 gennaio 2019 ripropongono questo e molti altri titoli di quella fortunata stagione creativa della televisione italiana. In perfetto tempismo con l'uscita alla fine dello scorso anno da Edizioni il Foglio del libro di Mario Gerosa Biagio Proietti - Un visionario felice, contenente anche contributi di Stefano Di Marino, Enrico Luceri e miei, ma soprattutto i ricordi personali dello stesso Biagio Proietti. Il libro fa seguito al volume Daniele D'Anza - Un rivoluzionario della tv, che Gerosa e Proietti hanno pubblicato presso lo stesso editore nel 2017 e tratta di uno dei registi più importanti dell'epoca degli sceneggiati RAI.
Tuttavia, se Biagio Proietti è noto soprattutto per i suoi sceneggiati gialli (a partire da Coralba, diretto proprio da D'Anza), Un visionario felice percorre tutta la sua carriera tra televisione, cinema, radio, teatro, narrativa e saggistica. Un corpus di opere in cui il giallo-noir ha una forte presenza (va ricordato il film La morte risale a ieri sera di Duccio Tessari, tratto da I milanesi ammazzano al sabato di Scerbanenco) così come l'horror (per esempio Black Cat di Lucio Fulci), ma non solo: basta citare una straordinaria versione televisiva di Madame Bovary diretta da D'Anza o la commedia Chewing-gum di cui Proietti è anche regista.
Potrei citare moltissimi altri titoli famosi, ma per sapere tutto c'è, appunto, un libro, con parecchio da leggere e molto da scoprire o riscoprire: buona parte del materiale è disponibile in video e, nell'ultimo decennio, ha conquistato anche un pubblico giovane che non lo aveva "vissuto" all'epoca. Un'esperienza che vi posso consigliare, dal momento che partecipare a questo volume è stato anche per me l'occasione per vedere o rivedere molta dell'estesa produzione di Biagio Proietti.
In libreria, suIBS, suAmazone i principali bookshop online.
Aquaman
segna un punto a favore della DC. Non perché sia un prodotto particolarmente originale, ma – al contrario – perché
riunisce in un unico film una quantità così esagerata di
elementi da diventare una Las Vegas di avventure sopra e sotto i
mari: fantasy e technothriller, mitologia da peplum e fumetto, Jules
Verne e Carlo Collodi (entrambi citati esplicitamente), Pierre Benoit e
(almeno per me) Totò sceicco, fantascienza e avventura
classica... senza contare alcuni elementi ormai irrinunciabili nella
grammatica del film di supereroi, dagli elaborati scenari fantastici
al ritrovamento di genitori perduti (con tanto di star ringiovanita
al computer per le sequenze in flashback). E, per gli estimatori del
genere, persino un kaiju che non sfigurerebbe in Pacific
Rim (doppiato nella versione originale nientemeno che da Julie
Andrews, altro che ritorno di Mary Poppins).
Una nota
storica: il personaggio di Aquaman è stato creato nel 1941 da
Paul Norris e Mort Wesinger, ma non è il primo eroe atlantideo della cultura di massa, in quanto segue di due anni Namor alias Sub-Mariner,
ideato nel 1939 da Bill Everett per la Timely Comics, antesignana
della Marvel. Dopo di loro sarebbero venute altre serie su eroi-mutanti degli
oceani, compresi Mar e il suo delfino dell'italiana Edifumetto nel 1974 e il televisivo L'uomo
di Atlantide con Patrick Duffy del 1977-78.
È
più che evidente che la storica competizione tra le due grandi
case editrici fumettistiche statunitensi – la Marvel e la DC Comics
– sia oggi passata dalla carta stampata allo schermo. Forse in tv
ad avere più successo sono le serie derivate dalla DC, quelle
del cosiddetto Arrowverse, mentre al cinema domina inequivocabilmente
la Marvel, che nel 2018 ha raggiunto l'apice con Infinity War (benché il capolavoro assoluto sia arrivato nel 2017 con
Logan, appartenente al franchise Marvel della 20th
Century Fox).
I film del DC Extended Universe basati sui grandi
team-up (Batman vs Superman, Justice League) hanno
avuto genesi contrastate e risultati inferiori al previsto al botteghino; la
pellicola più riuscita, Suicide Squad, è quella
che al grande pubblico è piaciuta di meno, forse perché
più disobbediente ai canoni abituali; il successo ha arriso
invece a Wonder Woman e, stando ai primi risultati, a questo
nuovo Aquaman.
Come al
solito, la riuscita di un supereroe dipende dall'interprete: anche se
per nulla somigliante all'iconografia tradizionale dei fumetti in cui Aquaman ha i capelli biondissimi,
l'hawaiiano Jason Momoa – già buon erede di Schwarzenegger
nel Conan del 2011 – fa del personaggio un simpatico
cialtrone che incanta il pubblico femminile, come già si
poteva intuire dalle sue apparizioni precedenti nella serie.
Per una
volta, tuttavia, avranno ragione i critici che tireranno fuori
l'ormai usurata frase: «La trama è solo un pretesto per
gli effetti speciali». In questo caso è verissimo: gli
effetti speciali sono di una complessità grandiosa, che rende
credibili creature improbabili, combattimenti acrobatici e battaglie
titaniche. In fondo è ciò che ci si aspetta da un film
di questo genere in uscita natalizia: che riproduca sullo schermo una
grandiosità relativamente facile da realizzare su una splash
page, ma possibile sullo schermo solo ora che il CGI è
arrivato a livelli inimmaginabili fino a una decina di anni fa.
Vari
flashback ricostruiscono le origini del personaggio (quantomeno una
delle numerosi varianti proposte in oltre settant'anni di storie a
fumetti), dalla storia d'amore clandestina tra il guardiano del faro Thomas Curry
(Temuera Morrison, che qualcuno ricorderà come Jango Fett in
Star Wars) e la principessa atlantidea Atlanna (Nicole
Kidman) in fuga da un matrimonio combinato, alla nascita del
meticcio Arthur Curry, fino alla sua educazione marziale da parte del
mentore Vulko (Willem Dafoe).
La vicenda principale si svolge però dopo
gli eventi di Justice League, quando l'avvenente Mera (Amber
Heard) mette in guardia Arthur sui piani del fratellastro Orm
(Patrick Wilson), figlio legittimo di Atlanna. Con il titolo di Ocean
Master, questi intende riunire i vari popoli, mutanti e altamente
tecnologici, che abitano sotto i mari in una guerra contro la
superficie; e un po' di ragione ce l'ha, vista la quantità di
plastica che l'umanità ha scaricato sopra le loro teste. Ma,
per guadagnarsi l'appoggio del padre di Mera, re Nereus (Dolph Lundgren), Orm non
esita a organizzare la propria strategia della tensione, con la
complicità del pirata subacqueo Black Manta (Yahya Abdul
Mateen II).
L'esito
del primo confronto tra Ocean Master e Aquaman è disastroso.
L'unica possibilità per battere l'aspirante dittatore dei sette mari è
localizzare il mitico tridente di un antico sovrano, in una quest
che porta Arthur e Mera nel Sahara, in Sicilia e nel misterioso Mare
Occulto, per potersi presentare in tempo alla battaglia finale e
sventare il conflitto. Rassicura il fatto che, per arrivare al
tridente, Arthur faccia ricorso anche alle sue conoscenze della
storia di Roma, lasciando intendere che, per essere un supereroe, oltre ai muscoli, occorra a volte un minimo di cultura.
Giovedì 13 dicembre 2018, dalle 18 alle 20 al Cafè Clubino, v. Cosseria 1 (ang. v. Gian Galeazzo) a Milano, Borderfiction presenta Delitti alla milanese, a cura di G. L. Margheriti (Excalibur-RaccontaMi), in vendita presso le librerie Mondadori e Libraccio a Milano e in tutta Italia su Amazon e i migliori bookshop online. 20 gialli d'autore, 20 ricette tradizionali scelta da Giovanna Mazzoni. Il ricavato viene devoluto in beneficenza a Opera San Francesco per i Poveri. Conducono l'incontro A. C. Cappi e G. L. Margheriti. Scopri l'evento su Facebook.
Appuntamento con il regista e scrittore Aldo Lado per il ciclo Monsieur Le Pop - Wine & Words, Marina di Andora (Savona), sabato primo dicembre 2018 dalle 18.30 alle 20.30 al Momart, via Trieste 14. Ingresso gratuito. Degustazione guidata di vini a cura della FISAR Savona. Mostra di Andy Warhol in collaborazione con Galleria Spirale, Milano. Un evento in collaborazione con Hotel Galleano e Momart Guest House. Conduce l'incontro Andrea Carlo Cappi.
Prima de La Donna Leopardo, vincitore del Premio Italia 2018 come miglior romanzo fantasy e de Le guerre nel buio, bestseller nell'estate 2018 (entrambi pubblicati in edicola da Sergio Bonelli Editore e ora disponibili nel suo bookshop online), venne L'ultima legione di Atlantide, tuttora disponibile da Edizioni Cento Autori.Il detective dell'impossibile sulla lista nera di una squadra di assassini venita dal passato. Le origini mai svelate di Martin Mystère e Sergej Orloff. La prima apparizione della Donna Leopardo. Ordinabile in libreria, in vendita su IBS, suAmazon e i principali bookshop online.
Non
esiste una definizione canonica per il filone del thriller dedicato
agli stalker, rientra in genere
nella grande categoria dello psychothriller.
Ma di fatto lo stalking thriller – chiamiamolo così –
esiste e ha sue caratteristiche specifiche, anche se nella maggior
parte dei casi le abbiamo viste declinate in modo banale in
sottoprodotti di narrativa e tv movies.
Ma
ci sono stati esempi illustri, a partire dal romanzo di John D.
McDonald The Executioners,
pubblicato in Italia sull'onda (e con i titoli) di due celebri
film: Il promontorio della paura
di J. Lee Thompson e il remake Cape Fear di Martin Scorsese.
In quel caso uno psicopatico (Robert Mitchum e Robert de Niro nelle
due versioni cinematografiche) perseguitava l'uomo la cui
testimonianza lo aveva mandato in galera (Gregory Peck e Nick Nolte,
rispettivamente), minacciandone la famiglia.
Se vogliamo, anche il mitico Duel di Steven
Spielberg – in origine un tv movie tratto da Richard Matheson –
ne è una variazione sul tema, in cui un ignoto camionista
insegue il viaggiatore di commercio interpretato da Dennis Weaver.
Non meno inquietante e altrettanto memorabile è Quando
chiama uno sconosciuto di Fred Walton, in cui il bersaglio della
persecuzione è una baby-sitter, poi madre di famiglia,
interpretata da Carol Kane; il film è stato in parte
ispiratore di Scream di Wes Craven.
Curioso a dirsi, alcune delle pellicole più
significative del filone raccontano di stalker al femminile, come
Brivido nella notte – primo film da regista di Clint
Eastwood – in cui questi interpretava un dj radiofonico
perseguitato da un'ammiratrice (Jessica Walter); o come Attrazione
fatale di Adrian Lyne in cui Glenn Close se la prendeva con
Michael Douglas; il quale se le va proprio a cercare, visto che si
trova in una situazione analoga con Demi Moore in Rivelazioni
di Barry Levinson, tratto dal romanzo di Michael Crichton.
Stalking in inglese significa «braccare»
ed è oggi un termine associato, finalmente anche in Italia, a
predatori e persecutori sessuali. E in Unsane di Steven
Soderbergh ne è vittima Sawyer Valentini (Clare Foy), che dopo
due anni di persecuzione, costretta a trasferirsi da Boston alla
Pennsylvania, non riesce a liberarsi dal disturbo da stress
post-traumatico che la porta a rivedere ovunque David Strine (Joshua
Leonard), l'uomo che dice di amarla. Per questo chiede un colloquio
con una terapeuta specializzata in una clinica privata.
E qui comincia un incubo con echi di Kafka e Buzzati che
rende il film particolarmente originale: nel colloquio sono emersi
occasionali pensieri suicidi e, firmando una serie di moduli
apparentemente innocui sulla privacy, l'ignara Sawyer ha dichiarato
di volersi sottoporre a ricovero per ventiquattr'ore. A nulla vale
chiamare la polizia, che alla reception trova i documenti firmati
dall'involontaria paziente. Quando Sawyer comincia ad avere reazioni
violente al sequestro di persona legittimato, viene trattenuta per
un'ulteriore settimana.
Si tratta in realtà di una truffa alle
assicurazioni che sfrutta la legislazione sanitaria americana e non
c'è modo di ribellarsi, come le spiega Nate Hoffman (Jay
Pharoah), un degente che sembra sapere molto di più di un
paziente normale.
Ma la situazione per lei peggiora quando riconosce il
suo stalker in tale George Shaw, addetto alla distribuzione dei
farmaci. Nessuno le crede, com'è ovvio: è un parto
della sua fantasia malata, che ancora una volta le fa vedere Strine
nel volto di un estraneo. Come avrebbe potuto lui sapere dove lei si
trovava e farsi assumere dalla clinica? O invece è tutto vero
e il maniaco innamorato è riuscito a insinuarsi nell'ambiente
ideale per portare a termine il suo piano, un luogo dal quale Sawyer
non può allontanarsi? A nulla vale chiamare in soccorso la
madre Angela (Amy Irving) grazie al cellulare, proibito, che Nate è
riuscito a contrabbandare nella camerata, perché il sistema
perverso sa come difendersi con apparente legalità.
Due temi importanti si sovrappongono nel film. Uno
riguarda la difficoltà e il prezzo da pagare in termini di
libertà personale per difendersi dallo stalking, evidenziati
dal breve flashback in cui Matt Damon veste i panni del detective
Ferguson; sappiamo dalla cronaca come troppo spesso la persecuzione
sfoci nella violenza o lasci quantomeno traumi indelebili nella
vittime. L'altro tema è quello dei rischi della sanità
americana, interamente privata e basata sulle assicurazioni,
pericolosamente soggetta a uno sfruttamento di tipo economico a danno
del paziente; ricordiamo il tentativo del presidente Obama di
istituire un servizio sanitario nazionale, poi demolito dal suo
successore Trump.
Proprio
questa dimensione dai risvolti socio-politici fa sì che Unsane
si distingua dai consueti cliché del filone, pur sfruttandoli
in modo creativo, anche grazie alle modalità singolari con cui
è stato realizzato, solo in una settimana, utilizzando un
iPhone in luogo della macchina da presa, ottenendo effetti singolari a livello cinematografico tanto nei primi piani quanto nei campi
lunghi. Un film che merita di essere visto, proprio per tali ragioni,
sul grande schermo. Nella fattispecie a me è capitato in
un'interessante serata nell'ambito del cineforum del Cinema Splendor
di Bollate (Milano), per poi commentarlo con il pubblico al fianco
dell'esperto Joe Denti.