domenica 29 maggio 2022

Dracula: i film maledetti


La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Come abbiamo detto in una puntata precedente, il 2022 non è stato solo il centoventicinquesimo anniversario del romanzo Dracula dello scrittore irlandese Bram Stoker, celebrato lo scorso 26 maggio, ma anche il centenario del primo film che ne sia stato tratto: Nosferatu, diretto nel 1922 dal regista F. W. Murnau.
A dire il vero quello di Murnau non è il primo film a utilizzare il vampiro che Stoker aveva reso celebre nel 1897: già nel 1921 era apparso in una pellicola proiettata a Vienna e Budapest, con una trama diversa, concepita da una futura leggenda di Hollywood.
Quanto a Nosferatu, di cui per questioni legali non sarebbe dovuta sopravvivere nemmeno una copia e invece si è conservato fino ai giorni nostri, ha una vicenda misteriosa tutta sua anche fuori dal film: per esempio, si dice che l’attore protagonista fosse davvero un vampiro...


Andiamo con ordine: il primo film a citare Dracula è appunto del 1921, anche se da Stoker riprende solo il personaggio del vampiro. È una coproduzione austro-ungarica intitolata Drakula Halala ("La morte di Dracula"), ambientata in un manicomio: un paziente si crede Dracula, oppure è davvero Dracula che si finge pazzo? Rischia di farne le spese la figlia di un altro paziente, che pare destinata a diventare vittima e sposa del presunto vampiro,
Il regista è un oggi pressoché ignoto Karoly Lajthay, che in quegli anni lavorò anche con Bela Lugosi, attore che in seguito avrebbe avuto parecchio a che fare con Dracula: nel parleremo prossimamente. Anche il soggettista e co-sceneggiatore, un certo Mihaly Kertész, sarebbe rimasto sconosciuto, se poco dopo non fosse diventato famosissimo a Hollywood con lo pseudonimo di Michael Curtiz, regista tra l’altro di un grande cult-movie: Casablanca.
Drakula Halala è scomparso. Nessuno lo ha più visto dal 1926, non ne rimane più neanche una copia e le uniche informazioni che si posseggono derivano da un romanzo - una novelizarion ante litteram - che fu ricavato dalla sceneggiatura di Michael Curtiz. Sono stati fatti persino tentativi di remake, ricostruendo un'ipotetica sceneggiatura proprio a partire dal romanzo. La storia della sparizione di questo film ha ispirato Tutto quel buio, un thriller di Cristiana Astori che fa parte giustappunto della serie di romanzi che la scrittrice dedica ai film perduti dellla storia del cinema.

Ma anche il secondo film su Dracula, il primo tratto effettivamente dal romanzo di Stoker e presentato al pubblico un secolo fa, ha il suo bagaglio di maledizioni. Per cominciare, non potendo pagare i diritti cinematografici del libro, il regista Murnau lo adatta cambiando i nomi di tutti i personaggi e intitolando il film Nosferatu, "non-morto" in rumeno. La trama però è chiaramente basata sul romanzo e ciò non passa inosservato a Florence Stoker, la vedova dello scrittore, che fa causa al produttore e la vince. Pertanto viene decretato che tutte le copie del film dovranno essere distrutte. Per fortuna qualcuna si salva e sarà un bene per la storia del cinema. Forse sono state dstrutte al suo posto tutte le copie del film ungherese.
Ma il grande mistero è l’attore protagonista di Nosferatu, Max Shreck, il cui nome in tedesco significa "Massimo Spavento" e che nel film appare difatti con un aspetto terrificante. Si dice che fosse lo stesso regista, truccato in modo irriconoscibile. Si dice pure che Murnau abbia scritturato un vero nosferatu perché recitasse nel film, ipotesi che ha ispirato il film L’ombra del vampiro con John Malkovich.
In realtà all’epoca esisteva davvero un attore teatrale di nome Max Shreck e in una sua fotografia ufficiale lo si vede senza trucco e con un aspetto più umano... anche se non si sa molto di più sul suo conto né sulle sue abitudini alimentari. Tim Burton gli ha reso omaggio battezzando "Max Shreck" il cattivo interpretato da Christopher Walken nel film Batman-Il ritorno. Ma quella dell’attore-vampiro non è l’unica leggenda oscura a circolare intorno ai film di Dracula. Ce ne sono altre che racconteremo tra qualche settimana...


(Questa puntata de La Boutique del Mistero è andata in onda su radio Number One il 29 maggio 2022)

domenica 22 maggio 2022

Mata Hari, la spia innocente


La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Torniamo a parlare di agenti segreti, con la vicenda di Mata Hari, un personaggio storico del primo Novecento, considerato il prototipo della spia al femminile e ripreso più volte da cinema e televisione. Io stesso ho collaborato come sceneggiatore a un serial radiofonico RAI con Veronica Pivetti come protagonista.
Nella maggior parte delle interpretazioni, Mata Hari è una femme fatale, una pericolosa seduttrice e una spia nemica senza cuore. In realtà è una donna molto più avanti rispetto ai suoi tempi, che costruisce su di sé il personaggio di una misteriosa danzatrice indonesiana, trasformandosi nella prima grande diva della propria epoca, ma alla fine viene ingiustamente sfruttata come capro espiatorio a scopo politico.
Ciò che non tutti sanno è che Mata Hari, che in malese significa "Occhio dell'Aurora", è un nome d'arte. In realtà si chiama Margaretha Zelle ed è nata in Olanda nel 1876. Quando compie diciott'anni la famiglia non può più mantenerla e Margaretha accetta la proposta di matrimonio di un capitano dell’esercito coloniale olandese in Indonesia, Rudoph MacLeod, di origine scozzese. Quindi parte per l'Oriente, si sposa e ha due bambini. In realtà la vita matrimoniale è un inferno. Il marito insidia una cameriera, che si vendica avvelenando i figli della coppia, uno dei quali muore. Alla fine i Macleod divorziano, il marito si tiene la figlia superstite e Margaretha torna in Europa. E da qui comincia la metamorfosi in Mata Hari.

Mata Hari fotografata da Paul Boyer

Margaretha Zelle si ritrova a Parigi nel 1903. Senza un soldo, vive di espedienti. Si fa chiamare Lady MacLeod, fingendosi la vedova di un lord britannico, finché non si inventa una nuova identità: Mata Hari, principessa indonesiana esperta di danze orientali... che si inventa lei, come tutto il resto. Ma è così brava che diventa subito una diva internazionale, conosce i grandi artisti della Belle Epoque, frequenta principi e generali e si esibisce nei grandi teatri d'Europa. Tutto grazie a una magnifica finzione che affascina il pubblico.
Purtroppo, mentre si trova in Germania nel 1914, scoppia la Prima guerra mondiale e a Mata Hari vengono sequestrati bagagli e denaro. A questo punto accetta di lavorare per i servizi segreti tedeschi, riferendo dietro compenso le informazioni che scopre da nobili e militari che passano per il suo letto. In realtà non si impegna troppo: vuole solo farsi risarcire le perdite che ha subito per colpa della Germania.
Ma anche ai servizi segreti francesi non passa inosservato che Mata Hari potrebbe essere un'ottima spia. Così nel 1916 si fa reclutare dal capitano Ladoux di Parigi e viene mandata a Madrid, con l'incarico di sedurre un ufficiale prussiano per scoprirne i segreti. Ormai è diventata a tutti gli effetti un'agente segreta francese.

Mata Hari fotografata da Paul Boyer

Ma in quel periodo la guerra sta andando molto male per la Francia. Quando viene alla luce la passata e presuna collaborazione di Mata Hari con i servizi segreti tedeschi, il capitano Ladoux decide di servirsene in tutt'altro modo: nel 1917 la fa tornare a Parigi e la arresta, accusandola di essere una spia nemica e attribuendole la reponsabilità delle sconfitte francesi. La povera Mata Hari viene processata, condannata e mandata davanti al plotone di esecuzione. Per questo passa alla storia come la grande traditrice della Francia. Dai documenti emersi dagli archivi in oltre un secolo, sembra invece che sia stata solo la vittima innocente di un'operazione di propaganda.
Chi volesse approfondire la vicenda trova su YouTube  un mio documentario autoprodotto su Mata Hari. Chi invece vuole saperne di più sulla letteratura di spionaggio, in queste settimane tengo un videocorso di spy story sul sito e sulla pagina Facebook del Premio Torre Crawford.
E, a proposito, per chi si trova a Roma domenica 29 maggio tra le 12.00 e le 14.00, il Premio Torre Crawford organizza un brunch letterario, durante il quale lo scrittore Alfredo Martinelli e io ci sfideremo improvvisando racconti in diretta con la partecipazione del pubblico. L'appuntamento è domenica 29 maggio a mezzogiorno in punto al Foodoo, viale Medaglie d'Oro 342, Roma. Per La Boutique del Mistero ci ritroviamo invece in diretta sempre il 29 maggio alle 16.20 (in collegamento da Roma dopo lo spettacolo) su Radio Number One, con il relativo dossier il giorno dopo su Borderfiction Zone.







venerdì 20 maggio 2022

François Torrent e l'agente Nightshade: il ventennale

Selene Feltrin è Nightshade in una foto di A. C. Cappi

Confessioni di Andrea Carlo Cappi

Ci sono "eccellenze italiane" che a volte vengono trascurate. Tra queste la collana "Segretissimo" di Arnoldo Mondadori Editore, dedicata al thriller spionistico e pubblicata nelle edicole senza interruzione dal 1960. Se ne parla poco o nulla nei media, un po' perché i romanzi in edicola, a differenza di quelli che escono in libreria, non sono conteggiati come bestseller anche quando hanno grande successo; un po' perché negli anni sono stati editi sempre più romanzi italiani, spesso però firmati con pseudonimi stranieri per aggirare l'ostacolo dell'esterofilia del pubblico. Oggi la maggior parte della collana è opera proprio dalla scuola italiana di Segretissimo, la cosiddetta "Legione", ma i media non se ne sono ancora accorti.
Della Legione hanno fatto parte autori e autrici di diversa provenienza ed esperienza. I nomi ormai entrati nella leggenda sono Sergio "Alan" D. Altieri, scrittore di culto, e l'ineguagliabile Stefano Di Marino alias Stephen Gunn, la cui serie "Il Professionista" ha superato i venticinque anni di pubblicazioni e il centinaio di episodi.
Quest'anno uno dei nomi "stranieri" della Legione compie vent'anni e diciotto romanzi, che sarebbero un buon traguardo per chiunque. Sedici appartengono a una serie cominciata nel 2002 e due a una recente serie spin-off (oltre a vari racconti e novelettes, e altri tre romanzi pubblicati dall'autore nella stessa collana con la propria vera identità). Il nome è François Torrent e le caratteristiche dominanti del suo ciclo sono una visione della spy-story molto europea e un'aderenza continua ai fatti della cronaca internazionale. François Torrent, in realtà, sono io. Ecco com'è andata.

Nel marzo 2002 fa la sua prima apparizione in edicola da Segretissimo Mondadori il personaggio di Mercy "Nightshade" Contreras, protagonista di "Nightshade-Missione Cuba", L'autore sono io, Andrea Carlo Cappi, già attivo da una decina di anni con il mio nome, ma qui pubblicato - secondo l'usanza degli pseudonimi stranieri - sotto il nome François Torrent.
Mercedes "Mercy" Contreras, nome in codice "Nightshade", è una contractor spagnola che collabora con i servizi segreti di diversi paesi, spesso con un certo grado di insubordinazione. La serie, accolta subito da grande successo, fa parte di un ciclo detto "Kverse", che ne comprende anche altre: la preesistente "Medina" nata nel 1994 sulle pagine de Il Giallo Mondadori, dove firmavo senza pseudonimo, e le successive "Sickrose" (in Segretissimo), "Black" (da altri editori) e "Dark Duet" (in ebook da Delos).
Nel 2009 - con lo speciale "Legion" - i veri nomi degli autori italiani di Segretissimo vengono rivelati ufficialmente: a partire da quel momento, anche se per tradizione lo pseudonimo rimane in copertina, nella biografia in appendice si comunicano le identità reali di chi scrive.
Dal 2012 le uscite di Segretissimo sono disponibili in edicola e contemporaneamente in ebook, per un periodo più prolungato, sulle principali librerie online e in tutti i formati.
Dal 2015, con il romanzo "Bersaglio Isis", uno di quelli in assoluto di maggior successo, la serie assume la denominazione "Agente Nightshade".
Dal 2019 i primi titoli di "Nightshade" e quelli di "Medina" sono ripubblicati in una versione estesa in una collezione di Oakmond Publishing in volume e in ebook su Amazon, tutti sotto il mio vero nome. La collezione include il volume supplementare "Nightshade-Dossier Contreras", che raccoglie, attraverso i ricordi di Mercy Contreras, racconti e romanzi brevi che costituiscono il prequel del Kverse, tra cui molti inediti.
Nel 2021 nasce per Segretissimo - sempre con lo pseudonimo François Torrent - la serie spin-off "Sickrose", le cui storie si inseriscono nella continuity del ciclo: "Sickrose-Sicaria" prelude ad "Agente Nightshade-Nucleo Leningrad", del quale "Sickrose-Matadora" del marzo 2022 è l'ideale proseguimento.
Nel giugno 2022 Nightshade e François Torrent festeggiano insieme 20 anni di pubblicazioni in Segretissimo con l'uscita in edicola e ebook della novità "Agente Nightshade - Complotto Zerkalo", che racconta i retroscena dell'attuale guerra in Ucraina, pur essendo stato scritto nei due mesi precedenti l'invasione.
Inoltre a inizio luglio 2022 sarà disponibile in volume e ebook da Oakmond la riedizione estesa di "Nightshade - Operazione Nightfall", pubblicato originariamente da Segretissimo nel 2011; nella nuova versione del romanzo è stato inserito un episodio pubblicato in passato come racconto a parte, che costituisce il primo incontro tra Mercy e "Il Professionista" Chance Renard, protagonista dei romanzi di Stefano Di Marino.
Di seguito trovate tutti i titoli di Nightshade e Sickrose disponibili nell'estate 2022 in volume/ebook da Oakmond e quelli in ebook da Segretissimo. Per accedere all'acquisto è sufficiente fare click sulla copertina. "Complotto Zerkalo" è in edicola nei mesi di giugno e luglio 2022, mentre "Operazione Nightfall" sarà in vendita su Amazon a partire dal 4 luglio 2022. I due vecchi titoli mancanti di Nightshade, "Protocollo Hunt" e "Programma Firebird", usciranno in riedizione da Oakmond nel 2023.



















In edicola e book, giugno 2022: Agente Nightshade-Complotto Zerkalo.
Su Amazon, luglio 2022: Nightshade-Operazione Nightfall (riedizione estesa)

Il giallo secondo Sciascia


Recensione di Andrea Carlo Cappi

L'editore Graphe.it ripropone in volume un saggio di Leonardo Sciascia sul romanzo poliziesco, accompagnato dal debito apparato bio-bibliografico e da una prefazione dell'esperta Eleonora Carta. Apparse sotto forma di due brevi articoli nel 1975 e poi riunite in un unico testo - il che spiega forse l'assenza di riferimenti a un nome significativo come Dürrenmatt e il fatto che Borges sia citato solo in una delle varie edizioni - le osservazioni dello scrittore sono ovviamente significative, per chi conosce le sue incursioni in una narrativa che del genere riprendeva e smontava alcuni meccanismi.
Si sa che Sciascia era un lettore di gialli e non solo di quelli "trasversali" di Gadda o Greene. La sua competenza in materia è ben visibile, soprattutto quando esamina la detective story imperniata sulla figura dell'investigatore pressoché onnisciente, con funzione di deus ex machina o quantomeno di portatore di una sorta di giustizia divina. Non a caso ne ritrova un modello nella Bibbia, nella figura del profeta Daniele e delle sue "indagini".
Osserva come l'investigatore "classico" sia più spesso un "tipo" che un personaggio: vale a dire una figura con caratteristiche immutabili, che in pratica non ha un passato, non invecchia, non ha quasi una vita privata al di fuori del romanzo e dell'indagine contingente, vista esclusivamente come un problema intellettuale. Acute le osservazioni su Edgar Allan Poe e le storie del suo cavalier Dupin, in cui appare la prima figura di "spalla del detective", ossia lo stesso (anonimo) narratore. Applicando il dubbio metodico, Sciascia arriva persino a chiedersi se il delitto di Mary Rogers - che ispirò il racconto Il delitto di Marie Roget, in cui si diede, attraverso la finzione, una soluzione molto vicina a quella successivamente scoperta per il caso originale - sia avvenuto realmente oppure non sia a sua volta una finzione nella finzione ideata da Poe in una nota alla ripubblicazione del suo racconto.

La teoria che Sciascia riprende e discute è che il pubblico non voglia fare troppa fatica mettendosi in competizione con il detective, ma semplicemente godersi la lettura come passatempo passivo, al pari della visione di un film. Per questa ragione uno stimolo intellettivo come quello dei romanzi di R. Austin Freeman avrebbe riscosso minor successo rispetto, per esempio, ai libri di Arthur Conan Doyle con Sherlock Holmes, in cui è il dottor Watson a svolgere il compito che dovrebbe spettare a chi legge, ossia porsi domande.
Di fronte a investigatori sempre uguali a loro stessi (inclusi Philo Vance di S.S. Van Dine, Ellery Queen di "Ellery Queen" e l'avvocato Perry Mason di Erle Stanley Gardner) o che rasentano la macchietta - in particolare Hercule Poirot di Agatha Christie - Sciascia conferisce lo status di vero "personaggio" dai risvolti umani - non "tipo" - solo al Jules Maigret di Simenon. Minore tolleranza è rivolta a Edgar Wallace - che, pur essendo stato l'autore di punta delle prime annate de Il Giallo Mondadori, usciva spesso dai rigori del filone classico - così come ai "gialli d'azione" americani, anche se vengono citati i capisaldi Dashiell Hammett e Raymond Chandler. Di Sanantonio, il personaggio di Frédéric Dard, Sciascia apprezza soprattutto il linguaggio irriverente nei confronti del pubblico.
Tuto questo però è un indizio sul tipo di gialli che Sciascia aveva letto e leggeva. Be', teniamo presente anche che lo spazio che aveva a disposizione in due articoli era senz'altro ridotto e non era possibile citare tutti gli aventi diritto. Per esempio, benché pubblicato su Il Giallo Mondadori fin dagli anni Sessanta e quindi già notissimo all'epoca, non viene menzionato Ed McBain, artefice di una tipologia di poliziesco diverso dai modelli precedenti. Né si tiene conto di Giorgio Scerbanenco, cui Garzanti aveva dato ampio risalto nelle sue collane. Nel 1975 inoltre era uscito da troppo poco il primo romanzo di Loriano Macchiavelli per prevedere gli sviluppi tanto dell'autore quanto di un giallo italiano che non sarebbe stato riconosciuto ancora per quindici anni. Ed era ben lontano dall'arrivare in Italia Manuel Vázquez Montalbán, che all'epoca in Spagna muoveva i primi passi su un sentiero non dissimile da quello dello stesso Sciascia.

Tuttavia il grande autore siciliano cade in alcuni pregiudizi. Definisce "sadici" gli agenti segreti di Peter Cheyney e - forse per fortuna - non fa alcun riferimento a Ian Fleming, pubblicato in quegli anni ne I Gialli Garzanti, dove dagli anni Cinquanta aveva grande successo Mickey Spillane. E su quest'ultimo, da intellettuale di sinistra, Sciascia lancia gli strali tipici della categoria: lo scrittore americano non esitava a far scaricare le pistole di Mike Hammer su agenti sovietici infiltrati negli USA e il suo anticomunismo (di maniera) era una colpa addirittura più grave del suo tasso di "sesso e violenza", relativamente elevato per quei tempi, specie in confronto agli investigatori asessuati del giallo classico.
D'altro canto Spillane scriveva per un pubblico americano nell'epoca della caccia alle streghe maccarthista, che era però anche l'epoca degli spietati servizi segreti stalinisti. Ne parlava del resto anche Fleming, seppur da un punto di vista più europeo e quindi più problematico: il creatore di 007 era contrario alla malefica commissione del senatore McCarthy e, almeno fino a un certo punto, un simpatizzante della rivoluzione cubana. Ma ciò non implica che nella realtà tutti i comunisti fossero automaticamente buoni in quanto comunisti, e chi raccontava nefandezze sovietiche fosse per forza cattivo come persona e come scrittore. Già prima di Sciascia, Umberto Eco aveva esaminato Fleming e Spillane con una maggiore apertura mentale.  
Tale punto di vista "ideologico" non toglie però importanza alla visione critica che Sciascia dà del giallo e che è alla base di una parte importante delle sue opere. Stiamo pur sempre parlando di un intellettuale di sinistra che affronta un argomento che certi suoi colleghi, ancora a metà degli anni Settanta, nemmeno consideravano "letteratura" e disprezzavano apertamente come un prodotto destinato alle menti semplici e incolte. Proprio questo atteggiamento snob degli altri intellettuali del settore ha contribuito, perfettamente sincronizzato con altri fattori, al disinteresse di massa verso i libri che oggi possiamo constatare in Italia. Pertanto con questo saggio Sciascia non soltanto ha il merito di avere difeso il romanzo poliziesco, ma anche quello di avere incentivato il pubblico alla lettura.


domenica 15 maggio 2022

Iperwriters - Biodiversità invisibili: talento - 3

Photo: Athanasion Papazacharias on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13. La nave Iperwriter passa, lasciandosi alle spalle i numerosi successi planetari che hanno solcato i mari di quest'epoca.
Il talento ha successo, dite? Se ci crediamo sempre e non rinunciamo al sogno mai? E per qualcuno, come si suol dire, il sogno continua?
Vero Ma, se lo analizzate a fondo, il talento che ha successo è utile, manovrabile e soprattutto inoffensivo. Per quante siano le sue varianti non è una voce unica (una voce d'autore), ma parla con la Voce Unica Omologata. E comunque ha sempre una data di scadenza: altri talenti sono in coda e hanno diritto alla scena.
Così, chi sopravvive a uno degli innumerevoli talent show viene inghiottito da altri format televisivi in cui deve fare cose (spesso imbarazzanti) che non hanno nulla a che fare con il suo specifico talento, o interpretare/clonare grandi talenti a cui la cultura del passato ha permesso di diventare iconici. Mentre questi ultimi dovranno a loro volta esibirsi e promuovere nuovi aspiranti talenti. Triplo scopo: destrutturare e riportare a terra chi è mitico, creare in tutti l'illusione di poterlo diventare, e amalgamare tutti in una marmellata di Voce Unica fruibile da tutti.
Ma infine, obietterete, fra quanti passano e vanno in televisione qualcuno resta per anni, per decenni.
Ma chi resta? Chi ha abbandonato ogni ambizione di singolarità, o non ne ha mai posseduta, e passa dall'avere talento a gestire i talenti: farli esibire nel circo mediatico e gareggiare; giudicarli, criticarli, formattarli in Voce Unica e consegnarli al pubblico. E comunque, chi lavora con il talento degli altri può restare, ma deve dichiarare di tanto in tanto: "Io non so fare nulla".
Quando ero molto giovane ho creduto alle filosofie “progressiste”: ecco sorgere una società ludica in cui ciascuno dovrà svolgere per tre giorni alla settimana un lavoro bruto, noioso e ripetitivo al servizio della comunità, e gratificarsi per il resto del tempo in qualche attività artistica. Così il bene della creatività non sarà privilegio di pochi, ma tutti potranno goderne.
Nell'ingenuità dei miei diciotto anni mi pareva talmente bello che non pensavo potesse avverarsi. Si è avverato, e non è per niente bello.
Oggi so che non serviva a creare un mondo di creativi gioiosi. Serviva a creare un mondo di lavoratori schiavi.
E relitti di vero talento.

Il caso Lindbergh

Charles Lindbergh e lo Spirit of St. Louis

La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

La vicenda di cui ci occupiamo stavolta è il caso che nel maggio del 1932 la stampa degli Stati Uniti definì "il crimine del secolo", sia per l'efferatezza delle circostanze, sia per la notorietà indiretta della vittima.
La storia tuttavia comincia cinque anni prima, nel maggio del 1927, con un'impresa avventurosa entrata nella storia dell'aviazione. Charles Lindbergh, sconosciuto pilota di origine svedese che lavora per il servizio di posta aerea degli Stati Uniti, ha trovato alcuni sponsor privati, tra cui una piccola fabbrica che ha realizzato per lui un apparecchio monoposto battezzato "Spirit of St. Louis". Con questo aereo decolla il 20 maggio 1927 da Long Island, New York, e atterra trionfale il 21 maggio a Le Bourget, Parigi, dopo 33 ore e mezza di volo ininterrotto tra nubi, ghiaccio e nebbia.
Da quel momento non è più uno sconosciuto: è il primo aviatore al mondo ad avere compiuto da solo la traversata dell'Atlantico. Riceve la Legion d'Onore francese, la Medaglia d'Onore del Congresso americano e il grado di colonnello dell'aviazione. E apre la strada ai viaggi aerei come li intendiamo oggi. Due anni dopo, il 27 maggio, sposa Anne Morrow, figlia dell'ambasciatore statunitense in Messico, da cui ha un figlio nel 1930, Charles Lindbergh Jr. Potrebbe essere l'uomo più felice del mondo. Ma nel 1932 torna sulle prima pagine per una tragedia che ispirerà anche un celebre romanzo di Agatha Christie.

La richiesta di riscatto dei rapitori

Il 1° marzo 1932, alle dieci di sera, nella casa dei Lindbergh nel New Jersey la bambinaia entra nella stanza del piccolo Charles, che ha poco più di un anno e mezzo. Il bambino non è nella culla. Sul davanzale della finestra c'è un biglietto sgrammaticato che chiede un riscatto di 50.000 dollari: dall'esame del testo, l'autore dovrebbe essere di lingua madre tedesca. In luogo della firma c'è un simbolo che risale agli antichi cristiani chiamato "vesica piscis" (due cerchi identici sovrapposti) e tre buchi nel foglio. Il marchio misterioso serve forse a distinguere i messaggi dei veri rapitori da quelli di mitomani e approfittatori che si faranno avanti, data la notorietà del padre del rapito.
La notizia fa, inevitabilmente, il giro del mondo. Delle indagini si occupano il sovrintendente Schwarzkopf della polizia del New Jersey (padre del generale che guiderà la Prima Guerra del Golfo), il capo dell'FBI J. Edgar Hoover, ma anche lo stesso Lindbergh, coadiuvato dall'avvocato William J. Donovan, che un decennio dopo diventerà capo dell'OSS, il servizio segreto americano. Persino il gangster Al Capone offre il suo aiuto, a patto che lo si faccia uscire subito di prigione, ma nessuno si fida.
il 1° aprile, seguendo le istruzioni dei rapitori, un intermediario consegna il riscatto, che comprende un particolare tipo di banconote, i "certificati oro", che andranno fuori corso entro un paio di anni: l'idea è che i rapitori saranno costretti a cambiarle in fretta, facendosi scoprire. Il piccolo Charles però non viene restituito alla famiglia. Il 12 maggio un camionista nota qualcosa di strano sul ciglio di una strada a soli sette chilometri da casa Lindbergh: è il cadavere di un bambino colpito alla testa e sepolto frettolosamente. Il bambino viene identificato come Charles Lindbergh Jr. Forse è stato ucciso la stessa notte del rapimento.

Chi l'ha visto?

Si sospetta un complice dall'interno, in particolare una domestica inglese, Violet Sharpe, che risulterà del tutto innocente... ma solo dopo che si è suicidata per la disperazione, ingerendo un detergente per argento contenente cianuro. Il colpevole non si trova, anche se alla Polizia continuano ad arrivare lettere poco attendibili. Il caso è così misterioso che nel 1933 Agatha Christie ne trae ispirazione per il suo romanzo "Assassinio sull'Orient Express", pubblicato l'anno dopo: nel libro al posto di Charles Lindbergh Jr. c'è la piccola Daisy Armstrong e si immagina che il rapimento fosse opera di una gang del crimine organizzato, all'epoca in ascesa negli USA.
Nel settembre 1934 a New York il trucco dei "certificati oro" funziona. Un benzinaio riceve una banconota da un cliente che si comporta in modo sospetto, annota il numero di targa e la porta in banca, temendo che sia falsa. Risulta essere una delle banconote del caso Lindbergh. La polizia risale così a Bruno Richard Hauptmann, immigrato tedesco nel Bronx, nel cui garage si trovano 14.000 dollari del riscatto. Il sospetto dice che a lasciarli è stato il suo ex socio tedesco Isidor Fisch, tornato in Germania e morto sei mesi prima di tubercolosi. Ma la grafia sui messaggi corrisponde a quella di Hauptmann, che viene processato, condannato alla sedia elettrica e giustiziato nel 1936. Secondo qualcuno era innocente, ma è più probabile che avesse complici non identificati.
Infatti nel 2003, in un archivio della Polizia, si ritrova uno dei tanti messaggi anonimi giunti all'epoca: è scritto in tedesco e alla lettera è allegata una tavoletta di legno forata, in cui i buchi corrispondono al millimetro con quelli sui messaggi originali dei rapitori. Il testo dice "Sono uno dei rapitori del bambino Lindbergh e non Bruno Richard Hauptmann" e la firma è l'antico simbolo della "vesica piscis", (v. foto sotto) accompagnata dalla sigla del partito nazista tedesco. E qui il mistero si infittisce: dopo il 1939 Lindbergh era stato sospettato di simpatie naziste, per aver preso pubblicamente posizione contro l'intervento americano in guerra. Temeva forse che qualcuno colpisse di nuovo la sua famiglia? Forse nel caso Lindbergh c'è un mistero che ancora non è stato esplorato.

(Questa puntata de La Boutique del Mistero è andata in onda domenica 15 maggio 2022 su Radio Number One).




domenica 8 maggio 2022

Dracula: l'immortale

Immagine da wallpapercave.com

La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Tra i vari compleanni illustri del 2022 ricorre il centoventicinquesimo di un personaggio leggendario: il conte Dracula, apparso per la prima volta nel romanzo omonimo dello scrittore irlandese Bram Stoker pubblicato il 26 maggio 1897. Il primo film che ne fu tratto, Nosferatu, risale a venticinque anni dopo, il 1922, quindi esattamente un secolo fa (anche se Dracula era già apparso un anno prima in un altro film... ne parleremo prossimamente).
Il conte vampiro è uno dei personaggi più riutilizzati tra libri, cinema, fumetti e tv. Ma è anche un punto di partenza e di riferimento - a volte persino un cliché - per chiunque abbia voluto scrivere storie di vampiri nel secolo e un quarto successivi.
In realtà il Dracula del romanzo riassume in sé da una parte il mito ancestrale del non-morto che esce dalla bara per succhiare il sangue dei vivi, dall’altra il ricordo della dinastia dei principi di Valacchia nel XV secolo. Il principe Vlad II divenne cavaliere dell’Ordine del Drago con il soprannome Dracul, che vuol dire al tempo stesso "Il Drago" e "Il Diavolo"; il suo figlio e successore Vlad III fu chiamato "Draculea", ovvero "Vlad figlio di Dracul". Come si è arrivati a Dracula il vampiro?


Il Dracula inteso come personaggio storico - che vedete ritratto qui sopra - non ha niente a che vedere con le leggende sui vampiri. Tuttavia, nella guerra contro i turchi in Romania, il principe di Valacchia Vlad Draculea si guadagnò un nuovo soprannome: Vlad l’Impalatore, per il supplizio cui condannava i suoi avversari.
È considerato un condottiero eroico ma al tempo stesso sanguinario. Quando venne dato per morto, nel 1476, qualcuno sospettò che in realtà fosse ancora vivo, da qualche parte. Qualcuno temeva addirittura che potesse tornare dal regno dei morti...
Tali suggestioni riemergono alla fine dell’Ottocento, quando il vampiro diventa una moda letteraria nella narrativa in lingua inglese. Bram Stoker studia la storia e i miti dell'Europa orientale e si imbatte nel personaggio di Vlad Draculea, trasformandolo in Dracula, il vampiro.


Nella versione di Stoker, il nobluomo è un non-morto – che in rumeno si dice nosferatu – il quale dopo quattro secoli decide di lasciare il suo castello in Transilvania e trasferirsi a Londra, in cerca di nuovo sangue. Ma si trova di fronte un manipolo di coraggiosi guidato dal professor Van Helsing, che applica in modo scientifico i metodi anti-vampiro tradizionali. Nel romanzo e nella versione teatrale dello stesso Stoker, alla fine Dracula viene ucciso.
Tuttavia, come molti personaggi di successo, conoscerà nuove vite per mani di altri autori e numerosi registi. Io stesso non ho resistito: ho fatto rivivere Vlad in Danse Macabre, in cui immagino che Bram Stoker si sia ispirato a fatti realmente avvenuti e che Dracula e alcune sue vittime-vampire siano ancora oggi in circolazione. Ma la storia mediatica del vampiro più famoso di tutti i tempi riserva ancora molte sorprese e torneremo a parlare di lui prossimamente.
Scopri inoltre con Andrea Carlo Cappi i vampiri in letteratura, fumetti e cinema in queste settimane nella videorubrica Sui Generis del Premio Torre Crawford:
-puntata 2.4: Vampiri tra noi
-puntata 2.5: Mi gioco il vampiro
-puntata 2.6... Oh, quanti bei vampiri!

(Questa puntata de La Boutique del Mistero è stata trasmessa su Radio Number One l'8 maggio 2022.)




Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

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