sabato 26 maggio 2018

Le voci del thriller di Luceri e Tentori



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Uno scrittore identificato con il giallo e un altro associato al cinema dell'orrore sembrano a prima vista incompatibili, a chi non li conosce. Ma, a ben vedere Enrico Luceri e Antonio Tentori, autori de La voce del buio (Mondoscrittura, 164 pagine, 13 euro) hanno molto in comune.
Luceri è un apprezzato autore de Il Giallo Mondadori e ultimamente anche Damster Edizioni, di cui si è già parlato in queste pagine; chi ha letto con attenzione i suoi romanzi sa che, nel panorama del mystery italiano, si distingue per le sue atmosfere che richiamano la stagione degli sceneggiati tv anni Settanta, con enigmi che sfiorano l'impossibile ma hanno sempre una spiegazione razionale; e chi conosce la sua produzione sa chi si è occupato della storia del giallo italiano in tutte le sue tonalità.
Tentori è stato sceneggiatore per Lucio Fulci, Dario Argento e Sergio Stivaletti, tra gli altri, e basterebbe questo a qualificarlo; ma, oltre ai suoi numerosi racconti e al romanzo basato sulla sceneggiatura dell'argentiano Inferno, ha anche un notevole curriculum di saggista su molti generi del cinema italiano, senza disdegnare ruoli di attore come quello nel recente e sorprendente Catacomba, film a episodi diretto da Lorenzo Lepori e Roberto Albanese.



La loro collaborazione non poteva che dare ottimi frutti, specie per chi ha nostalgia di un filone soprattutto cinematografico ed essenzialmente italiano che ha tuttora molti appassionati, ma ormai nessun produttore nel nostro paese: quello che da noi si chiamò thrilling e che nel resto del mondo è noto invece come giallo, con un'accezione diversa da quella corrente in Italia di "detective story classica" e, per i suoi detrattori, di "letteratura di serie B". Non a caso chiunque scriva di un commissario che sia più o meno fotocopia di altri, se appena è possibile si autodefinisce "autore noir".
Ma ecco qui un giallo nel senso più tipicamente italiano nel termine, in cui anche un lettore comune può riconoscere i rimandi al cinema di Dario Argento (cui il romanzo è dedicato): la soggettiva dell'assassino che osserva le sue vittime dal buio, gli ambigui flashback che ricostruiscono l'evento scatenante della follia omicida... Non sono gli unici riferimenti a quella fortunata stagione del nostro cinema, ce ne sono anche di più sottili, piccoli indizi che strizzano l'occhio ai cultori del genere. Ma soprattutto si tratta di un romanzo scritto con ritmo incalzante, con una protagonista che sfugge agli stereotipi della profiler visti e rivisti in troppi prodotti americani della narrativa, del cinema e della televisione.
Perché, a ben vedere, molto prima che gli Stati Uniti scoprissero e spremessero all'infinito il filone dei thriller sulla figura del serial killer (o, come li chiamava erroneamente anni fa una nota casa editrice, i "serial thriller"), era stato il thrilling made in Italy a codificare - partendo da Robert Bloch e da Alfred Hitchcock per creare regole proprie - certe strutture narrative che poi sono state riprese negli USA per i filoni slasherpsychothriller (il termine corretto sarebbe quest'ultimo, lo sappiano gli editori italiani).

E allora il lettore si immerge negli incubi notturni dell'ispettore Anna Ranieri della Squadra Mobile di Roma, sintomo forse di elementi che le sfuggono a livello razionale ma che la mente ha registrato, e in un'indagine che la tocca da vicino. La sorella minore Giulia è in un sottile equilibrio tra la vita e la morte dopo un tentato suicidio, ma la poliziotta non è troppo convinta da quella che d'istinto ritiene sia la scena di un crimine. Forse è per sfuggire ai propri sensi di colpa che ritiene si tratti, invece, di un omicidio mancato.
Un sospetto che diviene certezza quando un maniaco omicida comincia a mietere vittime con sempre maggiore frequenza tra donne attraenti di varie età ed estrazione sociale. Sul luogo di ogni delitto - appartamenti privati, un giardino pubblico, una galleria d'arte, un teatro deserto - ricorre in modo fisico o simbolico il tema della rosa, come firma dell'assassino.

"Un indizio, un dettaglio, una crepa in un muro apparentemente solido e compatto, da allargare con le mani, ferendosi dita e polpastrelli fino a farli sanguinare. Finché quella fessura diventi un foro, sempre più largo, una crepa che provochi il crollo di un pezzo di intonaco e permetta di gettare uno sguardo oltre quel muro, che si rivela un sipario. Il palcoscenico montato dall'assassino per mettere in scena i propri delitti."
Anna Ranieri deve imparare ad ascoltare la voce del buio per riconoscere l'Ombra fra le tenebre e fermare una catena di morte che vede anche lei come prossimo, scomodo bersaglio da eliminare.

La voce del buio non è l'ennesimo romanzo clonato sulle storie di assassini seriali d'oltreoceano, bensì un thriller italiano che inchioda il lettore fino all'ultima pagina, cosa che non mi pare capiti più così spesso. E, d'accordo, due veterani del mestiere come Stefano Di Marino e il sottoscritto, chiamati a presentare il libro al mitico Bloodbuster di Milano, intuiscono in corso di lettura la rete di inganni e false piste tessuta dagli autori. Ma la scrittura per nulla banale, la suspense incessante e la logica ferrea della soluzione finale ci procurano di nuovo quel piacere che temevamo irripetibile del thrilling... altro vocabolo usato in modo approssimativo, dato che in inglese era solo un participio presente usato come aggettivo, non un sostantivo, anche se lo è divenuto honoris causa. Perché per qualcosa di così innovativo allora e vitale ancora oggi nelle pagine di Luceri e Tentori, mancava un nome e si doveva inventarlo.


martedì 1 maggio 2018

Danse Macabre spot 13


Avengers: la Guerra dell'Infinito




Delucidazioni di Andrea Carlo Cappi

Dopo il riassunto della fase più recente del Marvel Cinematic Universe e prima di toccare argomenti potenzialmente spoiler, posso dire ciò che già si conosce dalla conferenza stampa dell’ottobre 2014 in cui i Marvel Studios presentarono i progetti a venire sull’universo basato sui fumetti di Stan Lee e soci. La vicenda delle Pietre dell’Infinito, con tutto ciò che esse comportano, non si conclude con questo film. La storia è stata preparata meticolosamente, aggiungendo un tassello dopo l’altro, episodio dopo episodio, a partire dal 2011 con Captain America – The First Avenger. La seconda parte, annunciata per il maggio 2019, si sarebbe dovuta intitolare Avengers- Infinity War II, mentre ora è etichettata semplicemente come Avengers 4. Circola la voce, attribuita all’attrice Zoe Saldana, che possa chiamarsi Infinity Gauntlet (ovvero Il guanto dell’Infinito, titolo della saga originale a fumetti del 1991). I film del ciclo in uscita prima del maggio 2019 – i prossimi annunciati sono Ant-Man and The Wasp e Captain Marvel – sono ambientati prima degli eventi di Infinity War. Altri tasselli che andranno a comporre lo scenario completo.


Sul piano pratico, più di ogni altro episodio dell’MCU, Infinity War richiede la visione preventiva di una buona parte dei capitoli precedenti con i vari personaggi. I film sono quasi tutti disponibili in vari supporti video e alcuni sono già passati sulle reti televisive. Non entrate quindi al cinema aspettandovi che venga ripresentato singolarmente ogni personaggio, tra protagonisti e comprimari di ogni serie: Infinity War dura due ore e trentasei minuti e sono in scena almeno una settantina tra supereroi, loro parenti, amici, alleati e nemici, quindi non c’è spazio per i riassunti; fate riferimento al mio articolo precedente e alla prima parte di questo, in cui vi ricordo alcuni punti da tenere presente a proposito delle Pietre dell’Infinito. Sarete avvisati quando cominciano gli spoiler.



Cosa sono, per cominciare, le Pietre dell’Infinito? Sono sei gemme forgiate al tempo del Big Bang, ognuna delle quali ha un potere immenso, pericoloso se dovesse cadere in mani sbagliate. Sono state custodite per millenni in luoghi sacri, ma da qualche tempo a questa parte sono riemerse, con conseguenze spesso devastanti. Perché le Pietre interessano a Thanos, re di Titano? Ovvio: sia per l’immenso potere che ha ciascuna di esse, sia per il potere moltiplicato che acquisiscono una volta riunite. Per questo Thanos dispone del Guanto dell’Infinito, che dovrebbe raccoglierle tutte e sei.
La Pietra dello Spazio, contenuta nel Tesseract (o Cubo Cosmico, per chi ricorda i fumetti di Capitan America degli anni Settanta) è stata recuperata in Norvegia durante la Seconda guerra mondiale da Johann Schmidt alias Teschio Rosso (Hugo Weaving); maneggiata da questi con troppo noncuranza nello scontro finale di Captain America – The First Avenger, la Pietra lo ha scagliato chissà dove nello spazio-tempo, prima di sprofondare nell’Atlantico. È stata recuperata dallo SHIELD (il servizio segreto dell’universo Marvel) e il suo capo Nick Fury (Samuel L. Jackson), alla fine di Thor l’ha affidata al professor Selvig (Stellan Skarsgård) perché la studiasse. Innescando così la catena di eventi imprevedibili pilotata da Loki (Tom Hiddleston) in accordo con Thanos (Damion Poitier), per favorire l’invasione aliena della Terra fermata nella Battaglia di New York in The Avengers. La Pietra è stata portata quindi ad Asgard e qui custodita fino al Ragnarok, quando è stata ritrovata da Loki poco prima della distruzione totale. Difficile che questi abbia resistito alla tentazione di appropriarsene di nuovo, portandola con sé nell’esodo degli asgardiani...
La Pietra della Mente si trovava nello scettro di Loki, che se n’è servito in The Avengers per controllare il professor Selvig e Clint ʻOcchio di Falco’ Barton. Caduta in mano all’Hydra (organizzazione creata a suo tempo dal Teschio Rosso), è stata usata per conferire poteri ai gemelli Pietro e Wanda Maximoff, che tuttavia sono passati dalla parte dei buoni. Studiata da Tony ʻIron Man’ Stark e Bruce ʻHulk’ Banner (Mark Ruffalo), ha accidentalmente dato vita al malefico Ultron (James Spader), per poi animare l’androide benevolo chiamato Visione (Paul Bettany). La Pietra si trova ora sulla fronte di Visione. Questi, entrato a far parte dei Vendicatori, ha una storia d’amore nascente con la collega Wanda ʻScarlet Witch’ Maximoff (Elizabeth Olsen), anche se in Civil War i due si sono trovati da parti opposte della barricata.


La Pietra della Realtà, che si manifesta anche sotto forma di Etere, è stata recuperata dopo che in Thor – The Dark World è stata usata nel tentativo di distruggere la Terra da parte di una delle razze ribelli tenute sotto controllo per millenni dagli asgardiani. Costoro, non fidandosi a conservare ad Asgard ben due Pietre dell’Infinito – Spazio e Realtà – hanno affidato quest’ultima al Collezionista (Benicio Del Toro), che la custodisce fra i suoi trofei nella propria dimora sul planetoide Knowhere. È lui a spiegare le origini delle Pietre e il loro potere ai Guardiani della Galassia.
La Pietra del Potere è rimasta a lungo indisturbata nel suo contentore, l'Orb, sul pianeta Morag. Fino a quando Thanos (ora interpretato da Josh Brolin) ha deciso di impadronirsi dell’intera collezione. Ha incaricato quindi di sottrarla il suo affiliato Ronan (Lee Pace), mettendogli a disposizione le proprie figlie adottive, le guerriere Nebula (Karen Gillan) e Gamora (Zoe Saldana). Ma Ronan intendeva appropriarsene per distruggere il pianeta Xandar, con cui aveva vari conti in sospeso; Gamora voleva invece venderla al Collezionista; mentre il primo a rubarla è stato Star Lord (Chris Pratt), anche se alla fine la Pietra finiva nelle mani di Ronan. È così che nacquero i Guardiani della Galassia, che riuscirono a evitare la distruzione di Xandar e affidarono la Pietra alle autorità locali perché la custodissero.
La Pietra del Tempo è stata ereditata e impiegata in modo brillante dal dottor Stephen Strange (Benedict Cumberbatch) nel film a lui dedicato e si trova nel medaglione che questi porta al collo, denominato Occhio di Agamotto. Strange ha imparato a usarla con la consulenza più o meno volontaria del bibliotecario Wong (Benedict Wong), assistente dell’Antica (Tilda Swinton) di cui è divenuto l’erede come Signore delle Arti Mistiche.
Quanto alla Pietra dell’Anima, ancora non si sa dove si trovi, ma qualcuno potrebbe avere un indizio... E da qui in poi, vi avviso, cominciano gli spoiler!



Libero spoiler, da qui in avanti, anche se cercherò di moderarmi. Torniamo a quanto stavo per dire, ma mi sono trattenuto, all’inizio del mio articolo precedente. Le reazioni a Infinity War da parte del pubblico in sala sono di shock. L’ho visto alla prima proiezione pomeridiana in una città spagnola, tra ragazzi che indossavano magliette di Spiderman e Capitan America (io, per non essere da meno, portavo quella con il logo dello SHIELD). Ammutoliti e immobili, hanno seguito tutti i titoli di coda in attesa di un barlume di speranza. Che in effetti arriva nella sequenza dopo i titoli di coda, tenue e ancora non del tutto chiaro: il suo autentico significato verrà precisato dall’imminente Captain Marvel. Una ragazza, alzandosi infine per uscire, ha mormorato: «Sto ancora tremando».
Non siamo infatti di fronte a una situazione tipo L’impero colpisce ancora, in cui alla fine, sì, Han Solo era stato catturato, ma gli eroi si accingevano ad accorrere in suo aiuto, rassicurando gli spettatori per il seguito. Qui siamo di fronte a una situazione come quella in cui James Bond stringeva imbambolato il cadavere della moglie, mentre Blofeld se ne andava libero di conquistare il mondo. In questo caso, anche peggio, dal momento che l’obiettivo di Thanos è purificare l’universo eliminandone metà degli abitanti. Ciliegina sulla torta: il messaggio che alla fine di ogni film promette il ritorno imminente di uno degli eroi visti in scena si riduce stavolta a un lapidario Thanos will return. Perché alla fine la sconfitta è totale e rimane in piedi quasi solo lui.
Il conteggio delle vittime comincia fin da subito, quando a conferma dei nostri timori l’astronave che intercetta i profughi asgardiani risulta proprio essere quella di Thanos. Mentre Heimdall spedisce al volo Bruce Banner sulla Terra, Thor viene catapultato nello spazio e recuperato dai Guardiani della Galassia, che danno il loro tocco di umorismo in una situazione drammatica.
Ha inizio così una singolare combinazione di squadre di eroi che combattono sulla Terra, su Titano e su Knowhere per impedire a Thanos di completare la collezione. Ma non è facile, perché una pista conduce il malefico alla finora introvabile Pietra dell’Anima, custodita da una figura già nota (riconoscibile anche se ne è cambiato l’interprete). Si arriva così alla grande battaglia finale nel Wakanda, in cui il premio è la Pietra della Mente, che non può essere rimossa dalla fronte di Visione senza ucciderlo... a meno di realizzare per tempo una complessa operazione e distruggere la gemma prima che sia troppo tardi.
In fondo è vero: pur circondato da tutti gli eroi Marvel, è Thanos il vero protagonista del film, il personaggio che ha maggiore spazio per l’introspezione psicologica. Il suo obiettivo è così importante da convincerlo a fare qualsiasi sacrificio personale, che ovviamente costa la vita a qualcun altro.
Ed è una scelta coraggiosa quella della Marvel di realizzare un film monumentale che interrompe la storia nel momento della più completa e disperante débacle. Ma siamo solo a metà di Infinity War e non va dimenticato che le Pietre possono modificare Tempo, Spazio e Realtà tanto per il peggio quanto per il meglio.



lunedì 30 aprile 2018

Danse Macabre spot 12


Avengers: alle porte dell'infinito




Panoramica di Andrea Carlo Cappi

Il momento che i fan del Marvel Cinematic Universe aspettavano è arrivato: l’uscita di Avengers – Infinity War. E le reazioni del pubblico in sala sono... Ve lo dico nel prossimo articolo: questo è uno di quei casi in cui è difficile parlare di un film senza inciampare negli spoiler. Per ora comincio a occuparmi degli episodi dell’MCU che hanno portato al nuovo film... e già ora vi avviso di spoiler per chi ancora non li abbia visti.
Comincio a precisare, per chi negli ultimi anni abbia consumato una manciata di film di supereroi e abbia le idee confuse, che in questo universo non ci sono i personaggi della DC Comics (quella di Superman, Batman e WonderWoman). Ma non ci sono nemmeno altri personaggi della Marvel Comics apparsi al cinema di recente e che sul grande schermo seguono un percorso diverso: dai Fantastici Quattro – stroncati peraltro da un pessimo e inutile reboot dopo due buoni film degli anni Duemila – agli X-Men, inclusi Wolverine/Logan e Deadpool, che invece hanno sempre mantenuto un ottimo livello.


Nel caso dell’MCU non si tratta di semplici origins movie e relativi sequel, bensì di un complicato tessuto narrativo in cui a volte personaggi importanti appaiono e si sviluppano in pellicole che non portano il loro nome. La storia generale va avanti anche se avete un attimo di distrazione e vi perdete qualche supereroe in apparenza secondario.
Per esempio, a molti spettatori non assidui può essere sfuggito Ant-Man, film del 2015 dedicato a un personaggio ideato da Stan Lee nel 1962 e a lungo presente nei fumetti Marvel assieme alla moglie The Wasp: due supereroi in grado di miniaturizzarsi, entrambi poi arruolati nei Vendicatori; Ant-Man in seguito avrebbe invertito il processo di miniaturizzazione diventando Giant Man, per cedere infine il ruolo dell’uomo-formica al successore Scott Lang.
Nella versione cinematografica il primo Ant-Man, Hank Pym (Michael Douglas) e la prima Wasp, Janet Van Dyne (che dovrebbe apparire nell’imminente sequel con il volto di Michelle Pfeiffer), risultano essere stato attivi negli anni Ottanta al servizio dello SHIELD, il servizio segreto che in seguito avrebbe riunito i Vendicatori; fino a quando Janet non è scomparsa in missione. Ora Pym e sua figlia Hope (Evangeline Lilly) istruiscono il criminale informatico dal cuore d’oro Scott Lang perché riporti in azione Ant-Man. Alla fine del film si intuisce che Hope riprenderà il ruolo di Wasp e che Ant-Man sarà arruolato tra i Vendicatori ribelli in Civil War.


Quest’ultimo è uno degli episodi chiave nella serie Avengers, anche se ufficialmente è il terzo film di Capitan America. Civil War è liberamente basato sulla saga omonima a fumetti, che circa una decina di anni fa coinvolse l’intero universo Marvel. Nel film, di fronte alle richieste internazionali di mantenere un controllo sulle azioni dei supereroi dopo quanto avvenuto in Age of Ultron, i Vendicatori si scindono in due gruppi: uno fedele a Tony Stark alias Iron Man (Robert Downey Jr.), fautore della supervisione dell’ONU, l’altro fedele a Steve Rogers alias Capitan America (Chris Evans) che invece sostiene una rapidità di risposta alle minacce straordinarie per affrontare le quali si è costituito il gruppo.
Alla fine Cap abbandona il suo scudo e i colori americani del suo costume, mentre con alcuni dei suoi compagni viene bollato come fuggitivo. Lo rivedremo in Infinity War con la barba lunga e con le stelle e strisce dell’uniforme annerite... un abbigliamento che richiama i fumetti degli anni Settanta in cui Steve Rogers, sentendo traditi i valori che lo avevano generato, adottò per qualche tempo un costume nero e il nome di battaglia Nomad.


In Civil War non ritorna solo, stavolta dalla parte dei buoni, Bucky Barnes alias Winter Soldier (Sebastian Stan), amico fraterno di Cap nel primo film di questi e – vittima di un lavaggio del cervello da parte dei sovetici – mortale avversario nel secondo; così nel Team Cap vediamo Ant-Man, collaudare l’effetto Giant Man.
Ma in Civil War appare per la prima volta, nel Team Iron Man, la nuova versione di Spiderman (Tom Holland), assai diversa tanto da quella della trilogia di Sam Raimi quanto da quella del meno convincente reboot arrestatosi dopo il secondo episodio.
Sempre in Civil War viene introdotto l’eroe africano T’Challa (Chadwick Boseman), che eredita dal defunto padre il costume e i poteri di Black Panther.


Entra in scena nel 2017 un altro personaggio storico della Marvel Comics: Stephen Strange, il signore delle arti mistiche protagonista di Doctor Strange, interpretato alla perfezione da Benedict Cumberbatch. Un film che risalta tanto sul piano tecnico per lo sviluppo di effetti speciali collaudati in Inception di Chris Nolan, quanto sul piano della saga, in quanto mostra il potere della Pietra del Tempo, che si rivelerà determinante in Infinity War.
Nella sequenza dopo i titoli di coda, che i fan dei Marvel Studios hanno imparato ad aspettare pazienti senza precipitarsi fuori dal cinema come se da ciò dipendesse la loro sopravvivenza, c’è l’anteprima di una scena con Strange e Thor che si vedrà in Ragnarok.


Nell’estate 2017, senza ripetere per la terza volta le sue origini, il personaggio di Peter ʻSpidey’ Parker si esibisce in Homecoming, un proprio film collegato alle conseguenze della battaglia di New York nel primo The Avengers. L’adolescente Spiderman ha Tony Stark come mentore e l’Avvoltoio (un notevole Michael Keaton) come avversario. Non mancano apparizioni di Pepper (Gwyneth Paltrow)  e Happy (Jon Favreau) dai film di Iron Man. E non dimentichiamo un’adorabile Marisa Tomei nei panni di zia May, personaggio notevolmente ringiovanito rispetto alla vecchina dei fumetti ma più adeguata ai nostri tempi. Come del resto questo più giovane Spiderman del cinema ben restituisce, seppure in una rilettura contemporanea, lo spirito del ragazzino sfigato dei fumetti di Lee e Ditko del 1962.


Ulteriore apporto fondamentale in questi ultimi anni è stato quello di due film dal successo inaspettatamente clamoroso: Guardians of the Galaxy e Guardians of the Galaxy vol. 2, basati su una serie spaziale a fumetti della Marvel. A prima vista sembrerebbero non aver molto a che fare con il filone degli Avengers, ma in realtà sviluppano gradualmente la figura inquietante di Thanos (Josh Brolin), già intravisto in The Avengers e destinato a essere il più spaventoso cattivo dell’intera saga.
Le due pellicole mettono insieme un improbabile manipolo di personaggi in grado di essere al tempo stesso idioti integrali ed eroi assoluti: il terrestre Peter Quill alias Star Lord (Chris Pratt); una delle due figlie adottive e ribelli di Thanos, Gamora (Zoe Saldana, bellissima anche in versione verde, dopo la pelle blu indossata in Avatar); il rude Drax (Dave Bautista), cui Thanos ha sterminato come d’abitudine la famiglia; e il procione mutato Rocket Raccoon (Bradley Cooper in motion capture) con il suo braccio destro Groot – albero parlante con la voce di Vin Diesel – che dopo essersi sacrificato nel primo film ricresce un po’ alla volta fino a diventare un capriccioso adolescente dedito ai videogiochi, come lo ritroviamo in Infinity War.


È anche l’ingresso ufficiale dello humour nell’MCU: se prima poteva esserci qualche aspetto ironico, qui gli elementi drammatici si mescolano ad aspetti decisamente, sfrenatamente comici. Nella sub-serie, di cui è già stato promesso un Vol. 3, appaiono anche Michael Rooker nel ruolo del pirata spaziale Yondu, Kurt Russel nella parte di Ego, ma anche Sylvester Stallone e Michelle Yeoh. Della squadra entrano a far parte inoltre l’altra figlia adottiva – suo malgrado – di Thanos, Nebula (Karen Gillan) e l’ingenua aliena empatica Mantis (Pom Klementieff), che appariranno a loro volta in Infinity War.
Il vantaggio è che tutte le razze spaziali hanno una padronanza perfetta della lingua inglese e l’adottano come idioma di base, il che facilita in maniera notevole la comunicazione, le minacce e gli insulti tra alieni e terrestri. A parte Groot, che com’è noto è in grado di dire solo ʻIo sono Groot’. La lingua inglese universale è una convenzione consolidata nei fumetti ed ereditata dai film. È noto del resto che gli asgardiani hanno un marcato accento britannico-shakespearaiano, anche se possono perderlo un po’ alla volta a forza di bazzicare gli States.


E, parlando di abitanti di Asgard, in Ragnarok – che ufficialmente era il terzo film di Thor (Chris Hemsworth) ma di fatto era ormai immerso nella continuity generale – abbiamo ritrovato Loki (Tom Hiddleston) sempre più doppiogiochista, che accompagna il fratello alla ricerca del padre Odino (Anthony Hopkins); ritrovato Hulk, sparito alla fine di Age of Ultron, che dopo un clamoroso scontro con Thor si ritrasforma nel proprio alter ego umano Bruce Banner (Mark Ruffalo); conosciuto la Valchiria (Tessa Thompson). Tutti costoro, sopravvissuti alle insidie del pianeta Sakaar, pattumiera cosmica gestita dal debosciato Grandmaster (Jeff Goldblum) e incentrata sulle sfide tra gladiatori, si uniscono a Heimdall (Idris Elba), per fare i conti con la dea della morte Hela (Cate Blanchett) e il suo braccio destro, l’Esecutore (Karl Urban).
Se il film ha un sottofondo umoristico molto vicino a quello di Guardians of the Galaxy, la battaglia finale porta alla fine di Asgard, il Ragnarok della mitologia nordica. E all’evacuazione in massa dei suoi abitanti superstiti su un’astronave che, si intuisce nella sequenza dei titoli di coda, si trova sulla rotta di qualcun altro...


Dopo il primo Avengers l’MCU è tracimato anche in tv, con diverse serie spin-off collegate alle trame dei film, anche se ne subiscono le conseguenze senza influenzarle... e i relativi personaggi non appaiono ancora (o non appaiono più) sul grande schermo.
Unica vera occasione mancata in questo grande progetto Marvel: Black Panther, manifestamente il film realizzato in modo più frettoloso e approssimativo (nella sceneggiatura, non negli effetti speciali), sprecando il materiale epico a disposizione. Un primo, vistoso, errore di montaggio: nella sequenza pre-titoli – anziché l’efficace scena che si vede più avanti, in cui l’eroe eponimo affronta una banda di terroristi stile Boko Haram – viene tolta completamente ogni carica emozionale, collocando in posizione introduttiva un per nulla epico antefatto, che avrebbe potuto essere inserito poi come flashback. Così come viene liquidato in modo troppo sbrigativo il cattivo Clau (Andy Serkis, finalmente di persona, non come personaggio in CGI), già ben prefigurato in Age of Ultron, lasciando spazio invece a Killmonger (Michael B. Jordan), con una pettinatura un po’ troppo alla moda per essere davvero convincente.
Il film si risolve dunque in un’introduzione all’entourage del sovrano del Wakanda, che si vedrà in gioco in Infinity War, con una bella scena di inseguimento nella parte più spionistica della vicenda e un’interessante battaglia finale, ma niente di paragonabile a qualsiasi altro film del ciclo. Avremo modo di rifarci proprio con Infinity War. Ma di questo  parliamo nel prossimo articolo.



Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...