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Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 22 - Sola, ma non al comando
Venerdì, ore 13.
Per sfortuna ho incontrato colleghi e intellettuali borghesi che, non avendo le mie capacità, mi hanno rimproverato di “non aver scelto” i fumetti e i gialli. Solo perché avevo avuto il candore di confessare che mi erano capitati.
Se fossi stata una tranquilla femminista della loro casta, avrei avuto le migliori scuole, i corsi di formazione all'estero, tutte le opzioni e gli strumenti per scegliere. Ma ero una cagna randagia, e per giunta parecchio bastonata.
Tra i venti e i trent'anni ero una pietra rotolante e non controllavo la mia vita. Avevo una vaga idea di diventare giornalista per vivere scrivendo. I fumetti erano meglio: preferivo l'invenzione alla cronaca.
Ho colto al volo un'opportunità, lanciandomi dove per altri fare un passo sarebbe stata follia. Nessuno lo avrebbe fatto. Tutti, tutti miravano alla stabilità: sia in alto che in basso. Ma era proprio questo a spingermi avanti.
Ero l'unica a sceneggiare fumetti. Nel mio quartiere, nella mia città e regione. In Italia esistevano pochissimi sceneggiatori donne (a parte le mitiche sorelle Giussani, che avevano una casa editrice ed erano padrone del loro lavoro).
Ero sola. La sola.
Inoltre, tutto quello che sapevo fare al mondo era decodificare e ricodificare strutture narrative. Ed ecco che un lavoro unico veniva creato per me, rendendomi unica. Per salvarmi, per permettermi di sopravvivere. Perché potessi scrivere in una stanza, senza perdere la salute mentale a contatto con gli umani.
Non sono furba, non sono una cialtrona, e neppure una puttana (per quanto mi abbiano spesso trattata come tale). Per risparmiarmi molte sofferenze dovevo restare sola, e allo stesso tempo rendermi indipendente. Non c'era da esaltarsi, da credere perfino in un intervento divino?
Neppure all'Università sapevano cosa fosse una sceneggiatura. Non capivano che cosa facessi. Non lo capivano neppure dopo che lo avevo spiegato, come se non avessi neppure parlato. Non sapevo se arrabbiarmi o ridere.
Comunque in quel primo anno, sfornando soggetti e sceneggiature per le testate della Lancio e della Universo, non me ne importava. Ero in uno stato di felice e avventurosa ubriacatura.
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