mercoledì 10 maggio 2023

Spy Game incontra Enzo Verrengia - 1

Enzo Verrengia a Vauxhall Cross, Londra, sede dell'MI6 

Spy Game incontra...

Comincia su Borderfiction Zone una serie di interviste agli autori della collana in ebook Spy Game - Storie della Guerra Fredda edita da Delos Digital, che propone romanzi brevi di spionaggio classico. Il primo ospite è Enzo Verrengia veterano della spy-story e della narrativa di genere italiane, scelto da Sergio "Alan D." Altieri per la cosiddetta "Legione Straniera" di Segretissimo Mondadori (così chiamata perché molti autori vi figurano con pseudonimi stranieri, anche se le loro identità sono ormai ben note) e da Stefano Di Marino per la squadra originaria di Spy Game. In questa prima parte parliamo appunto della spy-story secondo Verrengia, nella seconda delle sue varie esperienze come autore.

Enzo Verrengia, scrittore di spie

SG: Parlaci del tuo nuovo personaggio, l'Anonimo, che ha esordito in Spy Game nella primavera 2023 con La corsa della tartaruga e Caccia a due.

EV: L’Anonimo è un mio alter ego potenziato. Opera nei servizi segreti con una partecipazione emotiva, intellettuale e culturale. Rispetto a me, ha il vantaggio di essere molto più prestante sul piano fisico. La Guerra Fredda gli scorre addosso negli anni di piombo, che ne risentirono moltissimo.
Negli anni delle trame nere e degli opposti estremismi, ero poco più di un ragazzo, ma già interessato alla partita geopolitica. Mio padre lavorava nella Polizia, allora Pubblica Sicurezza, dove c’erano molte ricadute di quanto accadeva dietro le quinte delle manifestazioni di piazza. In più, un prozio aveva fatto parte dell’OVRA, il servizio segreto di Mussolini, rischiando la vita per salvare quelli che avrebbe dovuto catturare. Tanto che ebbe la medaglia della Resistenza. Peraltro di questo c’è traccia nel mio romanzo La spirale dell’estate, uscito nel 2021.


SG: In cosa si differenzia l'Anonimo dal protagonista del tuo precedente ciclo per Spy Game, la trilogia costituita da Morte a Venezia, Il mondo finisce a BerlinoFinale di caccia pubblicata tra il 2019 e il 2021?

EV: Anche lì c’è un mio clone narrativo, Leopardi. Con la differenza che il racconto è in terza persona e il protagonista ha qualche anno in meno dell’Anonimo. Leopardi rappresenta lo sviluppo della mia personalità liceale e universitaria. Ho sentito non solo l’odore dei lacrimogeni ma anche quello virtuale di una cospirazione che ha portato il mondo allo stato attuale di completa incontrollabilità.
E ritengo sia iniziato tutto con l’ascesa di Gorbaciov, che ha destabilizzato l’Unione Sovietica, provocato il crollo del Muro di Berlino e distrutto l’equilibrio planetario basato sulla pace armata e sulla MAD, la distruzione reciproca assicurata nel caso fosse scoppiata la Terza Guerra Mondiale. Quest’ultima, nella sua variante odierna, è ancora più a rischio di apocalisse di quanto non fosse fino al 1989.


SG: Quale fu la tua iniziazione alla spy-story?

EV: Capii subito che James Bond non c’entrava niente con il vero spionaggio. Lo consideravo più che altro un supereroe in smoking o tuta subacquea. Poi, a una stazione di servizio, durante un viaggio con i miei, comprai La spia che venne dal freddo e Lo specchio delle spie di John Le Carré, e da lì cambiò tutto. Avevo quattordici anni e compresi che i segreti, gli intrighi, le trame oscure, si consumavano senza gadget e bionde esplosive.

SG: C'è stata un’evoluzione dei tuoi interessi e nei tuoi gusti come lettore di spionaggio?

EV: Dopo Le Carré, scoprii Len Deighton e l’intera messe dei britannici, fino al loro mentore supremo, Eric Ambler, adorato dallo stesso Fleming. Seguì il mio grande entusiasmo per il nazithriller, con relativa nomenclatura annessa: Ken Follett, Frederick Forsyth e soprattutto Jack Higgins. Finché negli anni ’80 vi fu la svolta del
technothriller, e Tom Clancy divenne un altro mio nume tutelare, insieme a Larry Bond e Joe Weber. Fra l’altro, nel frattempo avevo scoperto un altro sottogenere spionistico, il thriller fantapolitico alla Sette giorni a maggio, e il presidential thriller.


SG: Con lo pseudonimo di Kevin Hocks e la serie L'Operativo, sei uno degli autori della “Italian Foreign Legion”, la Legione Straniera di Segretissimo Mondadori: parlaci di questa esperienza.

EV: Apparire su Segretissimo, che intanto avevo iniziato a comprare, era un sogno che consideravo impossibile da realizzare. Però ritagliai tempo ai testi radiotelevisivi e agli articoli giornalistici, con i quali sbarcavo il lunario, per scrivere un mio romanzo di spionaggio, Sandblast, dove entrava in scena un personaggio che già immaginavo seriale: l’Operativo.
Fu il compianto Vittorio Curtoni a mettermi in contatto con l’altro compianto Sergio Altieri, che ne fu entusiasta e me lo fece pubblicare. In seguito il timone passò al carissimo Franco Forte, che mi incoraggiò a continuare, apprezzando il mio lavoro. E non gliene sarò mai abbastanza grato.

SG: Qual è la tua visione della spy-story come autore?

EV: La spy-story deve poggiare su solide basi di politica internazionale, che anche l’Italia ha. Si pensi al lodo Moro, che ha risparmiato innumerevoli attentati terroristici sul nostro territorio, o ai contatti di Andreotti con tutte le parti in causa del Grande Gioco, alle ex colonie africane, alla morte di Giovannone, al sacrificio di Calipari, ecc. Non è vero che il nostro Paese fa da provincia del mondo. Anche adesso, in Ucraina, gli interessi italiani non sono meno rilevanti di quelli altrui.
Ciò premesso, credo che la spy-story sia l’unica forma letteraria capace di fornire interpretazioni della Storia in diretta. Detesto il minimalismo dei giovani autori venuti fuori negli anni ’80 e oggi in andro e menopausa. Bisogna raccontare grandi progettualità, anche nel male, manovrate da personalità dalle molteplici sfaccettature. Nella spy-story converge tutto, anche i sentimenti, le introspezioni, l’intellettualismo. Non è tutto kiss-kiss bang-bang.

Continua a questo link.



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