Editoriale di Claudia Salvatori
Venerdì, ore 13. La nave Iperwriters mantiene la promessa e vi spiega perché occorre diventare (se non lo siete già, nel qual caso vi benedico) narratori onniscienti.
Nella nostra epoca esserlo è peccato: infatti quello del suo contrario, che chiameremo "narratore nonsciente", è un vero e proprio culto, con regole e precetti come neppure Mosè ha dato al suo popolo.
I personaggi devono essere tutti uguali, ovvero tutti umani al grado basico, forse qualcosina di meno. E gli autori, scomparendo fra le loro azioni, devono essere tutti uguali, con mentalità, emotività, desideri, paure e convinzioni tutti uguali. Non possono rivelarsi, ma del resto non hanno un sé da rivelare.
Si sono già perdute molte tecniche artigianali e molte arti, ma quella specifica dello scrittore (curiosità, analisi, studio, esperienza, intuizione, scoperte da comunicare al mondo e costruzione della forma per dirle) viene uccisa dalla folla di narratori nonscienti.
E' necessario ritrovare il coraggio di essere un io narrante. Cosa che non significa ego smisurato e arroganza becera: di individualismi è piena la letteratura, ma perlopiù si tratta di individualismi che non dicono, pur pretendendo i guadagni da un milione di copie e il premio Nobel.
In umiltà, e perdonateci, noi abbiamo ancora qualcosa da dire.
A chi dice che il narratore onnisciente è fuori dalla storia e non si torna indietro, rispondiamo che si torna sempre indietro; e i romanzi si fanno con le parole, non con le immagini e con le azioni. Snaturare la funzione della parola distrugge il romanzo.
August Strindberg, che di scrittura ne sapeva qualcosina, in una lettera alla fidanzata aspirante scrittrice, la consigliava più o meno così (non con queste precise parole): “Se davvero vuoi scrivere, pensa a qualcuno a cui avresti voluto dire qualcosa ma non hai potuto dirla al tempo e al momento giusto, e non potrai farlo più. La cosa che ti è rimasta in gola deve essere importante, urgente, dolorosa, sia pure scandalosa. Concentrati. Poi prendi la penna e scrivi quello che dovevi dire a quella persona.”
Ora, proviamo a immaginare come potrebbe cavarsela la povera fidanzata di Strindberg se dopo questi insegnamenti le imponessero il metodo show, don't tell.
Au revoir nei container.
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