Recensione di Andrea Carlo Cappi
Potrebbe
essere il titolo di una favola di Esopo in chiave entomologica, ma mi
riferisco invece a Ant-Man and the Wasp, serie a fumetti anni Sessanta della Marvel Comics dedicata alle imprese
dei due supereroi eponimi – le cui vere identità erano
all’epoca Hank Pym e Janet van Dyne – quando non apparivano insieme ad altri supereroi in The Avengers. E
mi riferisco soprattutto al film che nell’estate 2018 vede invece
come protagonisti i personaggi che, fumettisticamente, ne hanno
assunto i ruoli nella generazione successiva, Scott Lang e Hope van
Dyne, figlia dei primi due.
Innanzitutto
vi rassicuro: non ho intenzione di abbandonarmi qui ad alcuno spoiler
sulla produzione più recente e attuale dei Marvel Studios,
anche se ne troverete qualcuno riguardante i film degli anni passati.
Ma penso di poter affermare ciò che tutti gli appassionati già
sanno: dopo Infinity War,
il cosiddetto MCU – l’universo cinematografico che riunisce buona parte, ma non tutti, dei personaggi dei fumetti Marvel visti nell’ultimo decennio su grande e piccolo schermo – è in sospeso fino alla tarda primavera
del 2019, nell’attesa della seconda parte del film dedicato ai
Vendicatori e alle Guerre dell’Infinito. Il che non impedisce a
sceneggiatori e registi di fare cronologicamente qualche passo
indietro nel tempo.
Nel
caso di Ant-Man and the Wasp,
si parla solo di un balzo a qualche settimana prima di
Infinity War,
spiegando in che cosa fossero impegnati i personaggi di questa
sotto-serie e perché nessuno di loro abbia più a che
fare con l’una o l’altra fazione in cui i Vendicatori si erano
divisi nel corso di Captain America – Civil War.
Va ricordato che, grazie al sistema tecnologicamente avanzato
contenuto nella sua tuta, Ant-Man è in grado di cambiare
dimensioni, raggiungendo quelle di una formica (come lascia intendere
il nome) per tornare poi a quelle normali; un intenso addestramento
impartitogli dal suo mentore Hank Pym e dalla figlia di questi,
Hope, ha fatto di lui un combattente formidabile nell’una e
nell’altra taglia. Ma in Civil War
lo abbiamo visto applicare la stessa tecnologia in senso inverso,
trasformandosi – come già a suo tempo si era visto nei
fumetti – in Giant Man durante lo scontro tra supereroi in
Germania, dal lato dei ribelli.
Catturato
dopo quell’episodio, in base ad accordi tra i governi tedesco e
americano, e nel rispetto del Protocollo di Sokovia sulla limitazione
delle attività superumane, Scott Lang (Paul Rudd) ha
patteggiato due anni di arresti domiciliari, nel corso dei quali non
può allontanarsi di un millimetro dai confini domestici
prestabiliti, tantomeno impegnarsi in attività da supereroe.
Né gli è consentito avere contatti con Hank Pym
(Michael Douglas), inventore del processo di miniaturizzazione
molecolare oltre che già supereroe nei panni di Ant-Man negli
anni Ottanta, prima da solo, poi insieme a Janet/Wasp; o con la
figlia di questi, Hope (Evangeline Lilly), che abbiamo lasciato alla
fine di Ant-man mentre
era sul punto di collaudare una versione modernizzata della tuta di
Wasp.
La
scena di apertura del film ci riporta indietro di trent’anni,
quando Hank e Janet (Michelle Pfeiffer, ringiovanita in questa
sequenza grazie a sofisticati effetti speciali) si congedarono dalla
figlia prima di partire per una missione che si sarebbe rivelata
fatale e di cui abbiamo già visto una sequenza nel precedente
Ant-Man: per
disinnescare un missile nucleare prima che raggiungesse il bersaglio,
Janet dovette miniaturizzarsi a oltranza, riuscendo nell’intento ma
perdendosi poi in un universo quantico da cui non avrebbe mai fatto
ritorno. Tuttavia, nel corso della sua prima avventura, Scott non ha
avuto scelta che usare a sua volta lo stesso espediente, riducendosi
a misure subatomiche ma riemergendo grazie alle nuove tecnologie
sviluppate nel frattempo da Hank. E se Janet fosse ancora viva,
laggiù, da qualche parte, e le scoperte scientifiche del
marito potessero ora permetterle di tornare?
Va
precisato che, mescolando elementi presenti da mezzo secolo nei
fumetti Marvel (a volte raffigurati con memorabili scenari
psichedelici) e teorie scientifiche contemporanee, il Regno Quantico
è un universo vero e proprio, uno dei tanti scoperti da
Stephen Strange nella sua prima lezione di arti mistiche nel film
Doctor Strange, in cui
le leggi convenzionali dello spazio-tempo perdono di validità.
Ma, stando a quanto si apprende in questa nuova pellicola, certi
esperimenti nel campo della fisica quantistica possono avere
conseguenze imprevedibili. Del resto Scott ancora non lo sa, ma la
sua esperienza sub-atomica ha lasciato in lui più tracce di
quanto possa immaginare.
Così,
mentre lui passava due anni senza uscire di casa, giocando con la
figlia e facendo da consulente all’agenzia di sicurezza privata in
cui lavorano Luis (Michael Peña) e i suoi ex-compagni di
galera – opportunamente denominata X-Con, che suona come ex-con,
ovvero ex-detenuti – Hank e Hope si sono dati da fare, nonostante
siano tuttora ricercati dall’FBI in quanto complici indiretti e
involontari delle attività di Ant-Man come supereroe ribelle.
Hanno perfezionato la tecnica di
miniaturizzazione-sminiaturizzazione, applicandola ad autoveicoli e
persino a un intero edificio, e progettato un portale per viaggiare
nell’universo quantico. Hope (che nel frattempo si è fatta
crescere i capelli, abbandonando il rigido caschetto del primo film,
meno pratico per indossare l’elmetto) ha ormai ereditato il ruolo
di Wasp, cosa che le torna utile quando deve trattare con loschi
figuri per procurarsi i componenti che occorrono per completare il
progetto.
Per consentire a Hank di giungere
all’obiettivo finale – la ricerca di Janet – Scott e Hope
devono ora riunire le forze per fronteggiare il subdolo mercante
tecnologico Sonny Burch (Walton Goggins); scontrarsi con un
misterioso rivale denominato Ghost (Hannah John-Kamen) che si
interessa alla stessa tecnologia; discutere con un astioso collega
del dottor Pym, Bill Foster (Laurence Fishburne); e sfuggire
all’agente FBI Jimmy Woo (Randall Park). Mentre il film si addentra
sempre di più nella sua dimensione fantastica, non mancano il
cameo del creatore della Marvel, Stan Lee, e, dato che siamo a San
Francisco, una variante inedita del classico inseguimento tra auto
sulle strade collinari.
Il
film, che rappresenta il ventesimo episodio della saga cominciata nel
2008 con Iron Man, è
una piacevole mescolanza di poliziesco, azione, commedia (con le
consuete gag del gruppo di ex-galeotti) e teorie (fanta)scientifiche
portate a un’efficace rappresentazione visiva. È
consigliabile avere visto ameno il precedente Ant-Man
per apprezzare molti degli aspetti che qui vengono ormai dati per
acquisiti. I doverosi collegamenti con la continuity dell’intera
saga sono riservati invece alle sequenze inserite nei titoli di coda,
che ancora molti spettatori si perdono nella frenesia di correre
all’uscita come se la sala andasse a fuoco; e sì che sono
una consuetudine da almeno quindici anni, in questo genere di film!
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