Dossier di Andrea Carlo Cappi
Borderfiction presenta in collaborazione con Bloodbuster un nuovo aperitivo "Ribs & Books", stavolta dedicato al western, giovedì 14 marzo 2019 dalle 18 alle 20 a Milano, presso l'adattissimo Ribs and Beer (via Riccardo Pitteri 110, ingresso libero). L'appuntamento è condotto da Andrea Carlo Cappi. Motore dell'incontro sono il nuovissimo romanzo western "Gunfighter" di Stefano Di Marino (Dbooks), il dizionario dello spaghetti western "Matalo!" di Silvio Giobbio (Bloodbuster) e la "Guida al cinema western" di Michele Tetro con Stefano Di Marino (Odoya). Con l'occasione riproponiamo in versione leggermente aggiornata questo dossier pubblicato sullo storico numero intitolato "Nero West" di "M-Rivista del Mistero" del 2008.
Cos'è il western?
Che
cosa si intende per “western”? Come aggettivo, in inglese,
significa innanzitutto “occidentale”, ma come genere narrativo
definisce le vicende ambientate nel Wild West, l'Ovest Selvaggio, la
frontiera non ancora regolamentata dalle leggi del governo, la terra
degli indiani e dei bisonti, dei cowboy e delle mandrie. Per il
cinema americano, che ne ha diffuso il mito nel mondo, i temi
dominanti sono la conquista e la colonizzazione delle regioni
centrale e occidentale degli Stati Uniti d'America, le guerre contro
gli indiani (che solo oggi, dopo essere stati in buona parte
sterminati, sono stati in modo politicamente corretto ribattezzati
Native Americans) e il
mantenimento della legge nelle zone conquistate.
Le storie
western sono ambientate essenzialmente nell'Ottocento, quando il
dominio dei tredici stati fondatori, allineati sulla Costa Est,
comincia a estendersi verso ovest, confinando gli inglesi in Canada,
acquistando territori dalla Francia napoleonica e dalla Spagna e
occupando con la forza le terre delle tribù indiane. I
territori spagnoli del Southwest e della California sono lungamente
contesi all'imperatore del Messico, a partire dal Texas, teatro
nel 1836 dell'assedio di Fort Alamo in cui perde la vita Davy
Crockett. Tra il 1861 e il 1865 il paese è sconvolto dalla
Guerra di Secessione: gli stati confederati del sud, la cui economia
è legata alla raccolta del cotone e conseguentemente allo
schiavismo, si staccano dagli stati industrializzati del nord,
l'Unione, fino alla vittoria di quest'ultima, a prezzo di
seicentomila vite umane.
E qui ha
inizio la fase finale, ma anche la più leggendaria, della
storia del West, con l'ultima fase delle “guerre indiane”
culminate con la battaglia di Little Big Horn (1876), in cui muore il
generale George Armstrong Custer. Uno degli artefici di questa
temporanea vittoria dell'alleanza lakota-cheyenne è il
sioux-lakota Toro Seduto, che verrà ucciso dalla polizia
durante in tentativo di arresto nel 1890, lo stesso anno del massacro
dei lakota da parte dell'esercito a Wounded Knee, ultimo atto di
quello che è stato definito “olocausto americano”.
Toro
Seduto resta nella memoria come uno dei più leggendari capi
indiani – al pari dell'apache Geronimo e del lakota Cavallo Pazzo –
ma questo non gli ha impedito di guadagnare qualche dollaro
esibendosi negli spettacoli dell'ex militare ed ex cacciatore di
bisonti Buffalo Bill, così come altre celebrità del
West quali l'ex sceriffo Wild Bill Hickok, che sarà ucciso a
tradimento a Deadwood (Black Hills, territorio del Dakota) nel 1876,
e la pistolera Calamity Jane, che verrà sepolta accanto a lui
nel 1903. Nel 1890 il Wild West Show di Buffalo Bill arriva anche in
Italia, dove tuttavia i cowboy americani perdono una clamorosa sfida
nella doma dei cavalli contro i butteri dell'Agro Pontino.
Questo è
appunto il periodo mitico dei più famosi uomini di legge: dal
già citato Wild Bill a Tom Horn, affiliato all'agenzia
investigativa Pinkerton, a Wyatt Earp e Doc Holliday, protagonisti
della sfida all'OK Corral a Tombstone, Arizona (1881). Ed è
anche quello dei più famosi fuorilegge, come Billy the Kid,
ucciso dallo sceriffo Pat Garrett a Fort Sumner, New Mexico, nel
1881; Jesse James, ucciso a tradimento a St. Joseph, Missouri, nel
1882; e Butch Cassidy, fondatore del Mucchio Selvaggio, attivo in
tutto il West fino al 1900, quando, braccato dalla Pinkerton, fugge
in Sud America dove morirà otto anni dopo. La
storia finirebbe dunque con l'arrivo del XX secolo.
Ancor più
della letteratura, a partire dal 1903 con The Great Train
Robbery di Siegmund Lubin, è
Hollywood a trasfigurare il West trasformandolo in una terra mitica,
consolidando la convenzione degli “indiani cattivi” che sarà
smentita solo dal western revisionista degli anni Settanta, e rendendo
familiari al pubblico di tutto il mondo i territori, gli eroi (veri o
presunti) e i fuorilegge.
In sostanza, grazie a Hollywood, che
trasforma il cinema in un'industria e in un mezzo di comunicazione di
massa a livello globale, esiste un mito letterario-cinematografico
del West, mentre non c'è un'epopea equivalente per il periodo
delle guerre napoleoniche o per il Risorgimento italiano.
Tuttavia
la visione USA-centrica del western è smentita dalla stessa
Hollywood, che si ricorda della colonizzazione spagnola della
California portando sullo schermo già dal 1920 le avventure di
Zorro, il giustiziere mascherato creato nel 1918 dallo scrittore pulp
Johnston McCulley, ambientate nel tardo Settecento.
Ma a rigor
di logica, se il punto di riferimento è la colonizzazione dei
territori a ovest della East Coast, dovremmo risalire ancora
addirittura al Seicento, il secolo della principessa indiana
Pocahontas e de La lettera scarlatta di
Nathaniel Hawthorne. Nel frattempo, il western ha esteso i suoi
confini al Canada e al Messico, spostando il suo limite cronologico
alla rivoluzione di Villa e Zapata, ossia agli anni Venti del
Novecento.
Il
western non esiste?
Ho
dedicato spazio a una sommaria definizione storico-geografica del
western per poter formulare la mia teoria: il western, come genere, è
solo una convenzione. Potremmo dire che il western non esiste: in
realtà non è che un contenitore di altri generi cui
viene attribuita solo una precisa ambientazione.
Se
ci facciamo caso, tutte le storie che rientrano nel genere western
possono essere ricondotte ad altri generi. Diventano “western”
perché collocate in quei precisi limiti cronologici e
geografici. Libri e film sulle guerre indiane non sono altro che
vicende storico-belliche. I racconti di viaggio delle carovane in
territori ostili non sono altro che storie di avventura che
potrebbero essere ambientate tra gli antichi romani o su un altro
pianeta. I fortini circondati dagli indiani si rifanno a un modello
decisamente arcaico: l'assedio di Troia nell'Iliade.
Le vicende di banditi e tutori della legge sono analoghe al noir e
alla gangster story.
Pensiamo
a quanto noir si avverte in film come Un dollaro d'onore di
Howard Hawks, Il cavaliere della valle solitaria di
George Stevens (a cui si è rifatto Jeffery Deaver nella sua
trilogia dedicata al location scout hollywoodiano John Pellam) e
Mezzogiorno di fuoco di
Fred Zinneman – quest'ultimo ha avuto anche una sorta di remake
fantascientifico in Atmosfera zero di
Peter Hyams. Pensiamo a Sentieri selvaggi di
John Ford, che riprende il tema della ricerca dalla tradizione
medioevale. Pensiamo a La maschera di fango di
André de Toth, una vera e propria spy-story ambientata durante
la Guerra civile. C'è persino una versione western della parte
conclusiva dell'Odissea, Il ritorno di Ringo di
Duccio Tessari.
Uno dei più grandi registi western è
Akira Kurosawa, che non ha mai ambientato una storia nel West. Eppure
tre suoi film hanno avuto remake western più o meno ufficiali:
I sette samurai è
diventato I magnifici sette
di John Sturges, Rashomon (di
cui “M-Rivista del Mistero” ha proposto recentemente i racconti
originali) è diventato L'oltraggio di
Martin Ritt, Yojimbo - La sfida del samurai ha
dato origine a Per un pugno di dollari di
Sergio Leone e a un successivo remake spostato all'epoca del Proibizionismo,
Ancora vivo di Walter
Hill... e va osservato che, secondo Sergio Leone (e non a torto), Kurosawa aveva
tratto ispirazione dal romanzo noir Piombo e sangue di
Dashiell Hammett, scritto e ambientato negli anni Venti.
Verrebbe
allora da dire che il western non esista come genere: è solo
uno scenario storico-geografico in cui possono essere impiantate
storie di qualsiasi provenienza.
Eppure
il western non dipende solo da questo: Via col vento e
Il buono, il brutto, il cattivo sono
ambientati nello stesso paese e nella stessa epoca, ma il primo non è
un western mentre il secondo sì.
Allora potremmo dire che il
western esiste e che si perpetua anche al di fuori dei suoi confini:
tanto La notte dei morti viventi di
George A. Romero quanto La casa del diavolo di
Rob Zombie sono western. Questo perché le convenzioni, lo
stile, le situazioni maturate nell'ambito della letteratura e del
cinema western sono diventate così peculiari da essere
associate a un genere, caratterizzandolo a posteriori.
Il
western esiste!
A
pensarci bene, ci sono parecchi elementi che rendono il western un
genere propriamente detto. Per cominciare gli spazi e le distanze,
caratteristiche proprio del continente americano. È vero che
ad Almeria, in Spagna, si trovano panorami molto simili a quelli del
West, che hanno consentito la nascita di un cinema western europeo,
ma solo grazie all'illusione dello schermo: la loro estensione non è
paragonabile a quella degli scenari originali. L'Europa può
soltanto simularli.
Quando lo spazio è così grande, si
pensa anche più in grande: in uno dei racconti che presentiamo
in questo numero si parla del trasferimento delle mandrie di quattro
ranch, per un totale di dodicimila capi
di bestiame che devono attraversare le praterie in direzione nord.
Difficile immaginare uno spostamento di tali proporzioni in un'altra
parte del mondo.
Ma non c'è
solo questo: l'occupazione delle terre dell'ovest genera un nuovo
ordine sociale. La land of opportunity garantisce le
migliori occasioni a coloro che hanno pochi scrupoli e lauti guadagni
a chi non ha nulla da perdere. Perciò la frontiera diviene una
terra senza legge in cui chiunque può portare una pistola,
consuetudine tuttora in vigore in molte aree, negli Stati Uniti con tutti i problemi
che ne derivano. Anche la gestione della legge è spesso
sommaria e risolta con frettolose impiccagioni che possono costare
ore di sofferenza al condannato prima che la morte sopraggiunga (si pensi al film Impiccalo più in alto di Ted Post, il primo prodotto e interpretato da Clint Eastwood dopo il periodo degli spaghetti western).
È
il territorio ideale per la genesi di cavalieri solitari e disillusi,
che dal western americano poi trasmigrano nell'hardboiled, e di
antieroi cinici, infami e violenti, che contraddistinguono lo
spaghetti-western per poi ripresentarsi non solo nel
criminal-poliziottesco italiano, ma anche nel noir americano anni
Settanta: non è un caso che due icone come l'ispettore
Callaghan e il giustiziere della notte siano interpretate
rispettivamente da Clint Eastwood e Charles Bronson, passati
attraverso l'esperienza “spaghetti” prima di rientrare nel
western americano e da qui passare al noir.
Lo
stesso linguaggio visivo del western fa scuola: per cominciare gli
spazi aperti di John Ford, che evocano grandi silenzi e viaggi per
deserti e praterie, fondamento del cinema on the road;
i duelli alla pistola che, a differenza di quelli alla spada, sono
costituiti da minuti di tensione che sfociano in un istante di
violenza, seguito dall'attesa di capire chi dei due contendenti abbia
avuto la peggio; e i grandi showdown a colpi di arma da fuoco, in cui
spesso c'è un eroe solitario che fronteggia più
avversari.
Il western europeo, che nasce come imitazione a basso
costo di quello americano, ne prende a prestito gli aspetti più
noir, esasperandone la violenza, ma trova presto una propria identità
che, paradossalmente, sarà poi imitata dagli americani. La
musica (come non citare Ennio Morricone?), i personaggi picareschi,
persino in qualche caso i contenuti politici si sposano ai primissimi
piani, all'ironia, alla dilatazione della tensione attraverso lunghe
sequenze in cui non accade nulla ma sta per accadere di tutto.
Compiuto questo percorso, il western è diventato
definitivamente un modo di raccontare più
che un genere.
Che
fine ha fatto il western?
Il
western è stato dato molte volte per morto. Dopo la seconda
guerra mondiale le piccole case cinematografiche della “Poverty
Row” di Hollywood, quellle che producevano western a basso costom dovettero
chiudere i battenti. Ma il western passò alle majors
e, ben presto, alla televisione.
Ne fecero le spese il western letterario e i pulp magazines
a esso dedicati.
Negli anni
Sessanta gli spaghetti-western gli diedero nuova vita, preludendo al
western americano post-'68. Poi il western è tramontato: Balla
coi lupi è stata forse l'ultima
pellicola del genere ad avere un grande successo di pubblico e una
messe di Oscar. Oggi i nuovi western al cinema e in televisione sono
fenomeni occasionali, anche se non passano inosservati, come il remake di Quel treno per Yuma (da
un racconto di Elmore Leonard), L'assassinio di Jesse James, o la serie televisiva Deadwood.
Eppure
il linguaggio western
è rimasto. Ci sono echi western nell'horror, a partire da
George A. Romero, con il “fortino” degli umani attorniati da
zombi. John Carpenter ha trasferito il western di assedio, riletto
alla “luce” degli zombi di Romero, nella metropoli di Distretto
13 - Le brigate della morte e
nella fantascienza con Fantasmi da Marte
– per non parlare delle atmosfere western di Vampires.
C'è sapore di spaghetti western in certe sparatorie di John
Woo come in molte scene di Kill Bill di
Quentin Tarantino (che poi girerà due "veri" western: Django Unchained e The Hateful Eight). Lo si ritrova dichiaratamente nelle trilogie del
Mariachi (di fatto uno straniero senza nome alla Clint Eastwood) e di
Dal tramonto all'alba
(ancora assedio e sparatorie, stavolta con i vampiri) di Robert
Rodriguez. E riappare quasi spudoratamente in salsa di soia nel
western nipponico Sukiyaki Western Django
(con l'inevitabile Tarantino come guest star tra gli interpreti) di
Takashi Miike. Senza contare le ormai frequenti commistioni tra western e horror.
Come dire
che il western benché sbattuto a calci fuori dal saloon, è
rientrato dalla finestra fracassando il vetro. E le schegge si sono
conficcate un po' dappertutto... tranne che da noi.
Eppure
in Italia abbiamo un esempio dell'inossidabilità del western:
i fumetti di Tex sono
nati dai testi di Gianluigi Bonelli e dai disegni di Aurelio
Galleppini come primo grande esempio di western made in Italy,
diventando un primo laboratorio sperimentale sulla contaminazione tra
generi, con occasionali inserimenti persino di fantastico-esoterico.
Ancora oggi, dopo settant'anni, Tex è
uno dei fumetti più letti nel nostro paese.
Eppure in campo
cinematografico-televisivo, salvo eccezioni illustri, il paese che ha
rinnovato completamente il genere nel breve periodo tra il 1964 e il
1968 per molti anni ha espresso quasi soltanto fiction buoniste in cui
mancavano il sano cinismo e la cruda espressività del caro
vecchio spaghetti western. Salvo poi saltare senza mezzi termini a violente storie gangsteristiche. Forse un po' di ripasso ci farebbe bene.
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