Recensione
di Andrea Carlo Cappi
Mentre
esco dal cinema soddisfatto, non mi è difficile immaginare
qualche critico che, senza nemmeno esserlo andato a vedere, per puro
esercizio di stile stronchi il nono film (e ottavo episodio) di Star
Wars a colpi di frasi fatte,
deplorando che ormai il cinema hollywoodiano – anche quando viene
realizzato altrove – funzioni quasi solo a supereroi, sequel e
remake. Vero, ma l’importante è che almeno siano fatti bene.
Laddove il critico che va a vedere il film senza pregiudizi –
Valerio Caprara, naturalmente – lo valuta per la sua efficacia come
intrattenimento, pur cogliendone ingenuità e scelte di
correttezza politica a fini di mercato. Che è ciò che
conta per lo spettatore medio o mediamente appassionato della saga in
questione.
Tra
breve parlo anche del film, evitando gli spoiler. Ma prima, nel caso
qualche critico pigro leggesse questo pezzo in cerca di spunti per
una stroncatura, colgo l’occasione per spiegargli che con Star
Wars non è sempre
corretto parlare di sequel o di prequel: quando nel 1977 uscì
il primo film, faceva già parte di un progetto costituito da
tre trilogie e pronto ad arricchirsi di storie supplementari tra
romanzi, fumetti e cartoni animati. Anche se nell’edizione italiana
quel film si apriva con la semplice scritta Una nuova
speranza, il pannello obliquo
che spiegava il contesto della storia nella versione originale
indicava Episode IV-A New Hope,
mostrando l’intento evidente di collocare l’episodio all’interno
di una serie più complessa, di cui quello era in realtà
il principio della seconda trilogia (peraltro nella traduzione
italiana molti nomi cambiavano proditoriamente, creando confusione:
chi pensava all’epoca che i personaggi sarebbero diventati
famosissimi con i nomi giusti e che la saga sarebbe continuata a distanza
di quarant’anni?)
Sicché,
quando tra il 1999 e il 2005 uscirono i film della prima trilogia,
non si trattava di una bieca operazione commerciale, bensì di
un progetto che riprendeva dopo una lunga interruzione. Discorso che
vale anche per la terza trilogia ora in corso, anche se ignoro quanto
sia rimasto delle idee originali di George Lucas. Ciò che
permane è la colonna sonora, anche stavolta opera di John
Williams, che qui cita non solo temi precedenti (Here They
Come del 1977),
ma anche la sua musica per Il lungo addio
di Robert Altman.
I
segnali incoraggianti c’erano in ogni caso già dal Natale
2016, quando uscì Star Wars-Rogue One,
film fuori dalla numerazione degli episodi, che si collocava
cronologicamente appena prima del Guerre stellari del
1977. Poteva essere un prodotto minore e invece risultò uno
dei migliori mai usciti con il marchio Star Wars,
sviluppando un accenno narrativo e un dettaglio in sospeso
dell’Episodio IV (ovvero: come i piani della Death Star fossero arrivati nelle mani della principessa Leia e perché l’arma assoluta
dell’Impero avesse un grave difetto di progettazione).
L’Episodio
VII, ovvero Il risveglio della Forza del
2015, non era invece del tutto convincente: la trama sembrava in parte
riciclata da quella dell’Episodio IV, mentre tra i cattivi il
Leader Supremo Snoke (personaggio fabbricato su Andy Serkis) appariva
solo in ologramma e l’ambiguo Kylo Ren (Adam Driver) non poteva
competere con la perfidia assoluta di Darth Vader, lasciando il
compito di far paura, ma solo per le sue attitudini naziste, al generale Hux
(Domhnall Gleeson). Sappiamo tutti quanto contino gli antagonisti in
questo genere di film.
Nell’Episodio
VIII, tuttavia, proprio la debolezza di Ren risulta uno degli spunti
narrativi più utili. Temi principali, come già
altrove nella saga, sono la seduzione del Lato Oscuro della Forza e
l’addestramento di un allievo da
parte di un jedi veterano. Ma non aspettatevi scene, che sarebbero
ormai consunte e prevedibili, in cui il maestro Luke Skywalker (Mark
Hamill) insegni la via della spada alla neofita Rey: ci saranno in
tal senso interessanti sorprese.
Riappaiono
figure classiche: oltre allo stagionato Luke, ben lontano dal
ragazzino bondo di un tempo, troviamo il superstite Chewbacca (Jonáas
Suotamo, che sostituisce Peter Mayhew), la principessa-generale Leia Organa
(Carrie Fisher, alla cui memoria è dedicato il film) e lo
spirito del maestro Yoda (animato come sempre da Frank Oz).
Cominciano a ingranare i nuovi personaggi: l’impulsivo pilota Poe
Dameron (Oscar Isaac), che sembra un po’ meno la brutta copia di
Han Solo; lo stormtrooper disertore
Finn (John Boyega) che deve di nuovo vedersela con la sua nemesi Phasma (Gwendoline Christie); e, soprattutto l’autentica eroina della nuova
trilogia, Rey, cui Daisy
Ridley presta il marcato accento british
cui ha dato libero sfogo anche in Assassinio sull’Orient Express. E ne appaiono anche di
nuovi, quali la viceammiraglio Holdo (Laura Dern), la tecnica Rose
(Kelly Marie Tran) e la figura da spaghetti western di DJ, in cui
gigioneggia Benicio Del Toro. Fanno da contorno i soliti droidi
ciarlieri e le bizzarre creature, comprese quelle fatte apposta per
il merchandising infantile, che per fortuna non occupano troppo
spazio nel film.
La
Resistenza della Repubblica se la sta vedendo brutta, dopo i colpi
subiti per mano del Primo Ordine ne Il risveglio della
Forza. Nella vicenda si
intrecciano la necessità di reperire un hacker e portarlo a
bordo di un incrociatore nemico per disattivare l’apparecchio che
consente di localizzare navi nelll’iperspazio, impresa cui si
dedicano Finn e Rose; l’urgenza di portare in salvo i sopravvissuti
della Repubblica, decimati dai nuovi assalti della flotta avversaria,
situazione che mette l’uno contro l’altra Poe e Holdo; e gli
incontri di Rey con Luke e i rappresentanti del Lato Oscuro, Snoke e
Kylo. Non rivelo nulla, se non che quando il film potrebbe essere
finito, rimandando il resto al prossimo episodio, riserva invece
ancora sequenze memorabili. D’altra parte, nelle trilogie di Star
Wars, i secondi episodi sono
sempre i più interessanti.
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