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Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman
Venerdì, ore 13. A Gianfranco Orsi, allora direttore dei Gialli Mondadori, l'idea di un giallo ambientato nel mondo del fumetto è piaciuta moltissimo. Anche il romanzo finito lo convince, al punto di cercare di promuoverlo con più impegno (e suo gran divertimento): segnalazioni su giornali, la prefazione di Ernesto G. Laura (che ricordo con affetto) e una partecipazione a Lucca Comics.
Allora gli studi fotografici chiamavano gli scrittori emergenti per farne una serie di foto da vendere ai giornali. Uno mi ritrae, dichiarandosi attento ai nuovi avvenimenti letterari. Alla fine ero riuscita a fare un po' di letteratura italiacana cavalcando l'onda dei generi, no?
Ma doveva essere un venerdì tredici il giorno della mia prima uscita pubblica per presentare Superman non muore mai. Ho già descritto altrove l'evento, non ricordo come. Lo rifaccio alla luce di meditazioni recenti. Non avevo nessuna esperienza di presentazioni di libri, nessuna idea di quello che era richiesto a una scrittrice-showgirl.
La serata già comincia male, in un clima di freddezza e ostilità. Dal principio, mi viene fatto osservare che ho chiesto il formaggio sbagliato per la piadina ordinata al bar. Sono un'estranea, attesa al varco per essere rimessa al suo posto: a servire i cocktail in grembiulino.
Nelle due ore che seguono, apprendo che:
-sono un'artigiana e non un'artista;
-è meschino l'espediente, che avevo sempre ritenuto legittimo, di usare i generi per tentare la scalata sociale e socchiudere le porte della grande editoria. Avrei dovuto invece compiere la mia scelta “per amore”;
-i “veri” scrittori che mi hanno preceduta sono stati di gran lunga ben più all'altezza;
-non ho “studiato” abbastanza per scrivere;
-ho dipinto i fumettisti come tristi, miseri, infelici, mentre nella “realtà” sono gioiosi e grati di poter fare il mestiere più spassoso del mondo (ma io avevo conosciuto solo gente che faticava per mettere insieme due lire a fine mese).
In seguito mi avrebbero spiegato che, confessando candidamente di venire dal basso, era come se avessi schiaffeggiato il mio pubblico.
Avevo offeso i ricchi, come in una canzone di Dario Fo.