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Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 12 - I can do that
Venerdì, ore 13.
Per me è il 1978, e la svolta arriva dall’alternatività.
In tutti gli ambienti di alternativi c’è una grande mamma di tutti e, in quello che frequentavamo Max e io, la mamma era una sceneggiatrice di fumetti. Arruolata da uno studio locale con un’altra sede a Milano, che dava accesso a tutta l’editoria italiana a fumetti. Un mondo molto, mooolto diverso da quello attuale. Quasi un'era giurassica, di cui noi eravamo i dinosauri.
Niente scuole di scrittura creativa, sceneggiatura per film e comics. Si lavorava da subito e si era pagati. Si era pagati, in un paese in cui anche i laureati confondevano la sceneggiatura con la scenografia. Si era pagati quando quasi nessuno sapeva cosa fossero un soggetto e una sceneggiatura: questo dovrebbe far meditare.
Naturalmente, occorreva aver appreso quanto serviva da subito: gli sceneggiatori anziani fornivano solo consigli di carattere tecnico (per esempio: prepara il colpo di scena in pagina dispari in modo che il lettore lo trovi in pagina pari). Al resto (cultura generale, capacità di visualizzazione, inventiva, struttura, passaggi da una scena all’altra, ritmo ed equilibrio) doveva provvedere la natura.
Nel film Chorus Line un ballerino racconta di aver scoperto il suo talento guardando danzare altri: I can do that. Per me è stato così.
Sapevo costruire una storia. Come, perché? Forse per l'enorme quantità di libri e film divorati: “Tu fai tuo tutto quello che leggi”, diceva la mia insegnante di italiano alle superiori. Ma ho scoperto solo con i fumetti di avere questa capacità biologica.
Il primo soggetto accettato: la storia di uno sciamano sioux che vede la fine dei popoli americani.
Il mondo non si apriva, ma si socchiudeva abbastanza per farmi sperare. Non era il paradiso americano, ma una goccia di libertà e una fuga all’interno dell'Italia. Settantamila lire per le pubblicazioni Universo, cento per quelle della Lancio.
A questo punto la mia storia comincia a intrecciarsi veramente a quella della Letteratura Italiacana. Nella buona e nella cattiva sorte, come in ogni fottuto matrimonio.