Stan Lee in un albo Marvel degli anni Sessanta |
Confessioni di Stan Lee raccolte da Andrea Carlo Cappi
Il 12 novembre 2018, a quasi novantasei anni - che avrebbe compiuto il 28 dicembre - muore Stanley Lieber in arte Stan Lee, forse la figura più nota nella storia del fumetto mondiale: già dagli anni Sessanta la sua immagine appariva di frequente sugli albi della Marvel Comics, creando un rapporto diretto con i lettori. Ma molti hanno conosciuto "Stan the Man" in tempi più recenti, quando già ultraottantenne prese l'abitudine di apparire in un cameo umoristico alla Alfred Hitchcock nei film basati sui personaggi della sua casa editrice. La primissima apparizione risale in realtà al 1989, come membro della giuria in Processo all'incredibile Hulk, tv movie derivato dalla storica serie di telefilm con Bill Bixby e Lou Ferrigno, in cui per la prima volta si vedeva sullo schermo anche un altro personaggio Marvel, Daredevil.
Stan Lee non ha creato tutti i personaggi che popolano l'Universo Marvel: ne ha ripresi alcuni come Capitan America, Submariner o la prima Torcia Umana dalla Timely Comics, la compagnia in cui aveva cominciato a lavorare nel 1939, prima di andare in guerra: il suo esordio era stato proprio su un numero di Captain America Comics nel 1941. Altri ancora sarebbero nati nei decenni successivi per mano di autori della Marvel.
Tuttavia furono molti i nuovi eroi che Stan Lee creò di persona, in collaborazione con il fratello Larry Lieber, con celebri autori-disegnatori quali Jack Kirby e Steve Ditko, e con colleghi come Bill Everett. I loro personaggi, che avrebbero costituito l'Universo Marvel, erano contraddistinti dalla formula "supereroi con superproblemi", che li rendeva più umani agli occhi dei lettori rispetto a superuomini e superdonne dei fumetti precedenti.
Dagli anni Duemila i personaggi della Marvel hanno conosciuto nuova popolarità grazie ai cosiddetti "cinecomics". Stan Lee occupava ormai solo una carica onorifica, ma era sempre presente, oltre che nelle partecipazioni straordinarie dei film, anche nei contenuti speciali dei dvd, restando una figura familiare al pubblico. Nel 2018 ha fatto in tempo a vedere il decennale dei Marvel Studios (peraltro acquisiti nel frattempo dalla Walt Disney) e il lancio del più ambizioso progetto cinematografico della sua compagnia, Infinity War.
Il 5 dicembre 2003 il Noir in Festival si videocollegò da Courmayeur con Los Angeles, da dove Stan Lee rispose alle domande di Giorgio Gosetti, alle mie e a quelle del pubblico in sala. La conversazione fu pubblicata l'anno dopo su M-Rivista del Mistero e nel 2012 all'interno del volume Spiderman - 50 anni di un mito. Oggi è il giorno più adatto a riproporla.
I
fumetti
Cominciai
quando avevo circa diciassette anni. C’era un posto libero in una
casa editrice, pensavo di voler fare lo scrittore e accettai il
lavoro. Non sapevo che si trattasse di fumetti, credevo fossero libri
o riviste. Quando seppi che il lavoro era nella sezione fumetti,
pensai che sarebbe stato divertente, che me ne sarei occupato per un
po’, per fare esperienza, e che poi mi sarei avventurato nel mondo
reale. Per qualche ragione, dopo più di mezzo secolo, me ne
sto ancora occupando.
Quando
ho cominciato, volevo fare qualcosa di diverso. Come scrittore non
volevo fare un’imitazione di qualcos’altro. C’era una certa
formula che dovevo seguire. Sapevo che i lettori volevano supereroi
con superpoteri e che volevano che gli eroi indossassero dei costumi.
Ma, a parte quello, cercai fare tutto in modo differente. Tentai di
renderli molto umani. Qualsiasi essere umano ha un difetto di qualche
genere. C’è chi è timido, c’è chi è
debole, c’è chi non vede o non sente bene. Pensai che, dando
loro certe fragilità umane, li avrei resi più
credibili, malgrado fossero dotati di superpoteri.
Se
leggi una storia il cui protagonista riflette i tuoi stessi desideri,
le tue stesse ambizioni, ma anche le tue paure e le tue inquietudini,
puoi legarti maggiormente a quel personaggio, puoi credere in
quel personaggio.
Ritengo
che i supereroi possano essere simili alle persone normali. Se l’eroe
è solitario, ha problemi sentimentali, è tormentato,
questo lo rende simpatico al lettore. Una cosa che ho sempre cercato
di fare come scrittore è stato usare molto i thought
balloons, i fumetti con i pensieri, riconoscibili dalle bollicine
sopra la testa dei personaggi. Mostrare ciò che un personaggio
sta pensando è un altro modo per permettere al lettore di
comprendere il personaggio.
In
verità sono molto pigro. Quando ho creato l’Uomo Ragno,
dovevo motivare i suoi superpoteri, quindi mi sono dovuto inventare
che fosse stato morso da un ragno radioattivo. Lo stesso valeva per
Daredevil: mi inventai che un liquido radioattivo gli fosse finito negli
occhi. Hulk era stato investito dai raggi gamma, i Fantastici 4 dai
raggi cosmici… Ero a corto di ragioni per cui i supereroi potessero
diventare tali, così mi venne in mente che se erano dei
mutanti, potevano nascere coi loro superpoteri. Succede. Dopotutto,
un serpente con due teste è un mutante. Se erano dei mutanti,
non c’era più bisogno di ragni radioattivi o raggi gamma,
non c’era niente da spiegare e potevo andare avanti con la storia.
Quando
cominciai, scrivevo sceneggiature per i fumetti con le stesse
tecniche usate per lo schermo: descrizione della scena e dialoghi. In
seguito lasciai la mano più libera agli artisti per quanto
riguardava il layout. I disegnatori erano liberi di scegliere come
comporre la scena. Poi mi passavano le tavole e io aggiungevo
dialoghi e didascalie. In questo modo potevo lavorare più
rapidamente, con più disegnatori nello stesso momento.
Capitan
America
Capitan
America non era una mia creatura: era stato inventato anni prima da
Jack Kirby e Joe Simon. Era ancora un personaggio monodimensionale:
un “buono” con superpoteri che combatteva contro i cattivi,
affiancato da una spalla teen-ager, Bucky Barnes. Ma non si poteva
dire molto altro di lui. Quando cominciai a scriverne come
personaggio Marvel negli anni Sessanta, Capitan America non
usciva da molti anni. Decisi di riportarlo in vita. Ma volevo dargli
un po’ di personalità, qualche problema. Volli renderlo
incapace di adattarsi al mondo degli anni Sessanta. Capitan America
si sentiva, in qualche modo, un anacronismo, un uomo di altri tempi
che non capiva gli eventi, la musica, l’ambiente degli anni
Sessanta. E fu così che lo ripresentai al pubblico.
Alcuni
anni dopo smisi di scriverne le sceneggiature, ma ci furono altri
scrittori che proseguirono il lavoro, cercando di portarlo ancora più
avanti, di renderlo più realistico. Avevamo fatto morire Bucky, lo avevamo sottoposto a molte prove (avevo appena menzionato il periodo dopo il Watergate, in cui Capitan America non si riconosceva più nel suo paese e aveva adottato un costume nero e il nome di battaglia Nomad, A.C.C.) Tutto questo con
l’obiettivo di rendere il personaggio una persona reale in un mondo
reale. Perché alla gente vera succedono molte cose, a volte
muoiono degli amici. Ed è interessante vedere come un eroe
reagisce alle sventure che capitano nella sua vita. Questa era
l’intenzione.
Televisione
e cinema
Ralph
Bakshi è un genio, un grande animatore. Amavo i suoi vecchi
cartoni animati dell’Uomo Ragno. Non disponevano ancora di tutti
gli effetti al computer che si usano oggi, ma avevano molto spirito,
molta anima. Erano molto interessanti. Vorrei aggiungere che in
questo momento c’è una nuova serie a cartoni animati
sull’Uomo Ragno. Non so se sia stata già trasmessa in
Italia, ma posso dire che è la migliore mai realizzata. Spero
che la vedrete. Sono sicuro che vi piacerà.
Dipende
tutto dalla qualità. Nel fumetto, il successo dipende dal
fatto che una storia sia scritta bene e sia disegnata bene. Un film
funziona se è ben scritto, ben diretto e ben recitato. Siamo
stati molto fortunati: abbiamo avuto i migliori registi, i migliori
sceneggiatori e i migliori attori. Quello che arriva sullo schermo
cinematografico è molto fedele al contenuto dei fumetti.
Nessuno ha cercato di alterarne lo spirito o la qualità.
Quindi penso che siamo stati fortunati sotto tutti i punti di vista.
Sam
Raimi, regista di Spiderman, è un
mio vecchio amico, una persona splendida e di grande talento. Andiamo
perfettamente d’accordo. Se vi raccontassi qualcosa della trama del
nuovo film, mi ammazzerebbero. Ma posso anticiparvi che l’avversario
è il Dottor Octopus, che sarà interpretato da un vero
attore e non sarà un personaggio generato al computer, anche
se verranno usati opportuni effetti speciali. Sono pronto a
scommettere che Spiderman 2 sarà all’altezza del
primo film, o addirittura migliore. Aspettate e vedrete.
Non
seguo direttamente lo sviluppo: produttori e registi scelgono da
soli… e ogni tanto mi concedono una partecipazione straordinaria.
Nel mio prossimo cameo avrò addirittura una battuta.
Posso considerarmi un membro del cast.
Ora
è in uscita Ghost Rider e in lavorazione Fantastic Four. Stiamo preparando un film su Silver Surfer, uno sul Dottor
Strange, uno su Submariner (Silver Surfer è apparso nel sequel di Fantastic Four, il Dottor Strange è arrivato sullo schermo solo più tardi, all'interno della saga di The Avengers, mentre il film su Submariner non è mai stato realizzato, A.C.C. 2018) A dire il vero praticamente ognuno dei
personaggi principali della Marvel è protagonista di una
sceneggiatura in preparazione in uno studio di Hollywood piuttosto
che un altro. Ci saranno poi i sequel: oltre a Spiderman 3 anche
Daredevil 2 e così via (Daredevil 2 non è mai stato realizzato: dopo il primo film e lo spin-off su Elektra, il progetto è rimasto fermo e Daredevil è tornato solo di recente nella serie tv realizzata da Netflix, A.C.C. 2018). È incredibile quanti
“Marvel movies” sono in lavorazione in questo momento.
Credo
che ai bambini piacciano. Cerchiamo di realizzare i film con gli
stessi criteri con cui facciamo fumetti: in modo che possano piacere
a ogni tipo di pubblico. Complessi quanto basta per essere apprezzati
da un lettore adulto, ma chiari e comprensibili anche per i più
piccoli. E cerchiamo di fare lo stesso con il cinema: adeguati a un
pubblico adulto, ma divertenti per un pubblico più giovane.
Dopo
la Marvel
Sono
fuori da un po’ dai fumetti. Ora sto a Los Angeles, mentre la
Marvel Comics è a New York. Negli ultimi anni mi sono occupato
essenzialmente di cinema e televisione.
Per
quanto riguarda la Marvel… è una strana situazione. Non l’ho
effettivamente lasciata, sono tuttora il presidente emerito, più
che altro un titolo onorario, e ancora faccio quello che posso per
sostenere la Marvel, partecipo alle convention… Ma ho formato una
mia compagnia, chiamata POW Entertainment, dove POW sta per Purveyors
of Wonder (“Fornitori di Meraviglie”, N.d.R.) Ci occupiamo di
cinema, televisione e animazione, basati su mie idee originali che
non hanno nulla a che vedere con la Marvel. Sentivo che era venuto il
momento di fare le mie cose. Mi sto divertendo molto, lavoro con
gente come Nick Cage, Pierce Brosnan, Robin Williams. Realizzo una
serie a cartoni animati chiamata Striperella, non so se ne
avete sentito parlare, con Pamela Anderson nel ruolo di una donna che
fa la danzatrice esotica di notte… e la supereroina di notte... più tardi. Stiamo anche lavorando a un cartone animato con
protagonista Hugh Hefner, l’editore di Playboy, chiamato
X-SuperBunnies: nessuno sa che Hefner è un supereroe
che combatte per la libertà, così come nessuno sa le
sue ragazze sono scienziate nucleari che lottano per salvare il
mondo. Ci stiamo lavorando in questo momento ed è molto
divertente (A dire il vero, non mi risulta nulla in merito a questi progetti! A.C.C. 2018)
La
musica
Mi
piace la musica di ogni genere. Comincia a piacermi anche il rap,
l’unico problema è che non capisco che cosa dicono. Il rock
mi piace: anni fa ho scritto anche testi per varie rock band. Sono
amico di molte rockstar. Ho un aneddoto: una volta, in Inghilterra,
ho ricevuto una telefonata in albergo. Una voce disse: “Sono Paul
McCartney, ho saputo che è in Inghilterra, deve venirmi a
trovare.” Io dissi: “Non conosco nessun Paul McCartney.” Ero
sicuro che fosse uno scherzo. Ma lui mi diede un indirizzo e io ci
andai, giusto per vedere di che cosa si trattasse. Ed era davvero
Paul McCartney! Viveva in una grande casa, con davanti una grossa
Rolls Royce e accanto una piccola Mini Morris. Sembrava che la Rolls
Royce avesse appena avuto un figlio. La ragione per cui mi voleva
vedere era che sua moglie Linda aveva una figlia che stava lanciando
una band chiamata “Susie and the Red Stripes” (lei era Susie) e
volevano che facessi un fumetto con lo stesso nome per promuovere il
gruppo. Dovevamo riparlarne, ma poi non se ne fece nulla: quando lui
arrivò in America io ero in Messico e quando io tornai in
Inghilterra lui era da un’altra parte. Non ci incontrammo più,
ma era stato molto divertente sollevare il telefono e sentirmi dire:
“Pronto, sono Paul McCartney, vorrei vederla.” Non si sa mai che
cosa aspettarsi, quando suona il telefono.
I
cattivi
Ci
siamo sempre ispirati al quello che accadeva nel mondo reale. Durante
la Seconda guerra mondiale, i cattivi erano spesso nazisti. All’epoca
della Guerra Fredda molta gente in America aveva paura della Russia e
pensavamo che i comunisti fossero i cattivi. Ma dopo diventammo più
attenti e più sofisticati: non potevamo prendere un intero
gruppo di persone e dire che erano tutti cattivi. Oggigiorno, quando
serve un nuovo cattivo, prendiamo un terrorista. Uno dei maggiori
problemi nei fumetti e inventare dei cattivi. Si può usare lo
stesso eroe, ma in ogni storia ci vuole un nuovo cattivo. Può
diventare faticoso, d'altra parte il buono deve pur combattere contro
qualcuno. E bisogna sempre trovare un nuovo cattivo, un mese dopo
l’altro.
Me
ne piacciono tantissimi. Amo il Dottor Destino, il Dottor Octopus,
Goblin, l’Uomo Sabbia… non li ricordo nemmeno tutti. Purtroppo
sono smemoratissimo. Per darvi un’idea della mia pessima memoria,
vi dirò che quando inventavo un personaggio, gli davo sempre
un nome di battesimo che cominciasse con la stessa lettera del
cognome, come Peter Parker, Matt Murdock, Reed Richards. Lo facevo
già quarant’anni fa. La ragione era che, se riuscivo a
ricordare uno dei nomi, avevo un indizio sull’iniziale dell’altro
nome. Per cui cominciavo con Bruce… come si chiamava? Bruce Banner,
ecco com’era. Credo una volta di avere scritto “Bert Banner”
invece di Bruce Banner. E tutti i lettori mi scrissero: “Non si
ricorda il nome dei suoi stessi personaggi?” Me la cavai da
codardo, dicendo: “Il nome completo è Robert Bruce Banner.”
Sono uno smemorato.
Il
supereroe preferito
Quello
che mi somiglia di più non è un supereroe.
Probabilmente è J. Jonah Jameson, il direttore del giornale
per cui lavora l’Uomo Ragno. Se dovessi scegliere un supereroe, direi
Reed Richards, non perché il mio corpo si allunghi, e non
perché io sia uno scienziato intelligentissimo. Reed Richars è
un uomo che parla sempre troppo. Annoia sempre la Cosa, che gli dice
di stare zitto. Quindi assomiglio a Reed Richards: quando comincio a
parlare, non smetto più. Ma sono come un padre a cui si chiede
qual è il figlio preferito: li amo tutti quanti.
Excelsior!