mercoledì 9 dicembre 2020

La legge della notte (2016)


Retrospettiva di Alby Bottecchia

Chicago 1926: Joe Coughlin, interpretato da Ben Affleck (Pearl Harbour, Daredevil, The Accountant, Argo), è un veterano della prima guerra mondiale, ribelle per natura: pur essendo figlio di un commissario di polizia, rapina banche per puro brivido senza mai coinvolgere i civili, non ama prendere ordini ed è estremamente avventato.
Durante un colpo conosce e si innamora di Emma Gould, una ragazza tanto affascinante quanto superficiale legata sentimentalmente ad Albert White, potente boss locale. Scoperto il tradimento, White sta per fare del rapinatore un esempio giustiziandolo sul posto, quando interviene la polizia che arresta Joe per un colpo precedente (nel corso del quale sono rimasti uccisi quattro agenti).
Grazie alla mediazione del padre, Joe evita la sedia elettrica scontando cinque anni di carcere.
Una volta uscito Joe si pone sotto la protezione di Maso Pescatore l'unico capomafia con abbastanza potere da opporsi al dominio di White,
Pescatore riconoscendo il talento organizzativo e intimidatorio di Joe , lo manda in florida a gestire l'arrivo e lo spaccio clandestino di rum.
Dimostrandosi astuto e spietato, Joe si impone come il re dei trafficanti, innamorandosi, ricambiato, di Graciela Corrales, interpretata da Zoe Saldana (Avatar, Star Trek, Guardians of the Galaxy), sorella e socia del suo " fornitore" cubano.
Nonostante l'affetto di Graciela e il successo negli affari, su Joe incomberà sempre minacciosa l'ombra di Albert White; quando gli alleati diverranno nemici il giovane Coughlin dovrà impugnare un'ultima volta la pistola per la sfida decisiva.
Dal romanzo La legge della notte (Live by Night) di Dennis Lehane (già autore di Shutter Island), Ben Affleck trae nel 2016 come sceneggiatore, regista e interprete un film avvincente, adrenalinico e bruciante come un sorso di rum con protagonista taciturno e letale disposto a tutto pur di proteggere coloro che ama. Bang.

venerdì 4 dicembre 2020

Il solito vizio, di Pierluigi Larotonda


Presentazione di Enrico Luceri

Torino, febbraio 1975. Una città grigia, piovosa, dove i viali sfumano nella foschia, le locandine dei quotidiani appese alle edicole sventolano, agitate da un vento freddo e umido, e i passanti che si fermassero a leggere i titoli a caratteri cubitali, troverebbero le notizie su attentati terroristici e casi di cronaca nera.
Benevento è un poliziotto di origini meridionali, che si aggira per i quartieri più degradati di questa città industriale che già risente della crisi dei consumi dell’epoca.  Benevento non è un poliziotto qualsiasi: è stato corrotto da una gang siciliana per chiudere un occhio su un giro di bische clandestine. Come ammette egli stesso, si è corrotti per lucrare un guadagno illecito oppure per codardia e salvarsi la vita. Lui, poi, avrebbe come massima ambizione quella di ficcarsi in un posto di lavoro tranquillo e privo di rischi. Ma il destino decide diversamente.
Benevento non è solo un poliziotto corrotto. È l’io narrante del romanzo Il solito vizio, scritto da Pierluigi Larotonda, una storia che evoca immagini, suoni, voci e un’atmosfera che oggi pare remota e invece è immersa in un tempo relativamente vicino. Eppure reso così diverso e distante da un cambiamento epocale di abitudini e mezzi, favorito dal consumismo esasperato e dall’inarrestabile evoluzione della tecnologia.
Incaricato delle indagini sulla morte per apparente overdose della figlia di un maldestro ricattatore, Benevento scopre di amare il suo lavoro e dimostra capacità insospettabili di sbirro, aggirandosi in un milieu di immigrati senza possibilità di riscatto, emarginato con sospetto e sfiducia da colleghi e superiori. Allo sbaraglio dentro un intrigo che si rivela un vero labirinto di inganni e crimini, questo poliziotto scalcagnato che somiglia un po’ al sergente Sarti Antonio di Loriano Macchiavelli (che però è un questurino onesto fino al midollo) e cita correttamente Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, rovista a mani nude nella melma di usura, rapine, eversione, spaccio, truffa, prostituzione e un campionario vasto di delitti. A tratti confuso da personaggi abili a simulare un’indole diversa da quella reale, trova comunque il bandolo della matassa, consapevole del rischio che corre: essere soffocato dal filo teso attorno a lui da una singolare convergenza di interessi.
Una storia che sembra prendere vita dalle pagine e svolgersi davanti ai nostri occhi, per l’incisiva descrizione di un’umanità dolente, di una realtà di emarginati, piccola e media criminalità, spacciatori e tossici, insospettabili assassini e situazioni dove i profili di vittime e colpevoli si confondono e diluiscono, forse in quella stessa foschia che dilata le ombre e le facciate dei palazzi borghesi e popolari di Torino. Una sequenza ritmata di scene da film poliziottesco degli anni Settanta del secolo scorso, magari trasmesso qualche anno dopo da uno dei primi modelli di televisione a colori, con quell’effetto carico di ricordi addormentati nella memoria, e mai rimossi, che attendono solo una parola, un nome, il titolo di una canzone per svegliarsi. 
Perché i ricordi in fondo sono le nostre radici, e accettata l’indispensabile e minima dose di rimpianto, possono sfumare nella nostalgia solo a condizione di lasciarci guardare il futuro con la consapevolezza di ciò che siamo stati. E in fondo restano la più concreta testimonianza di essere vivi e vitali.
Il noir troverà la sua soluzione in un fatto di cronaca, in un vizio italiano purtroppo ancora ben presente nella società contemporanea.

Pierluigi Larotonda Il solito vizio, Bertoni Editore, euro 16,00

giovedì 22 ottobre 2020

Roubaix, une lumiere (2019)

 


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Roubaix, la città francese al confine con il Belgio che forma un nucleo metropolitano con altre località, come Lille e Tourcoing, ha conosciuto tempi gloriosi. Ma ora è in fase di decadenza e la sua popolazione – comprendente comunità di immigrati da Italia, Portogallo, Polonia, Nordafrica... – è sempre più povera e afflitta da una criminalità crescente. In questo scenario si trova a operare il Commisariat Central, di cui è a capo Yakoub Daoud, nato in Algeria e cresciuto a Roubaix, cui sono legati tutti i suoi ricordi e dove ora è l’unico rimasto della sua famiglia; tranne un nipote carcerato, che rifiuta di vederlo e lo odia a morte senza motivo apparente, forse solo per i loro due ruoli opposti di sbirro e delinquente. 

Daoud (Roschdy Zem, premio Lumières e premio César per questo ruolo) è la figura dominante di Roubaix, una luce di Arnaud Desplechin: un poliziotto solitario dai modi apparentemente gentili, ma impietoso quando si tratta di portare alla luce la verità, che si tratti di una tentata frode assicurativa o di un omicidio. Fa amicizia con l’ultimo arrivato della squadra, Louis Cotterelle (Antoine Reinartz), prete mancato dalla fede in crisi, deluso dalla difficoltà di risolvere i casi in un contesto del genere. 

Per esempio, l’incendio doloso di una casa abbandonata in un cortile di rue des Vignes porta un gruppo di poveracci di etnie assortite ad accusarsi a vicenda senza che la polizia cavi un ragno dal buco. E le uniche testimoni, le conviventi Claude (Léa Seydoux) e Marie (Sara Forestier), hanno troppa paura per parlare. Poi, nello stesso cortile, avviene l’omicidio di un’anziana signora. Poveri che uccidono per derubare altri poveri. Ma stavolta l’intuito di Daoud e le tecniche di interrogatorio della sua squadra portano alla soluzione del caso, una verità triste e una confessione agghiacciante. Ma anche a una luce nell’ombra della città.

Il film si potrebbe definire un police procedural a sfondo sociale, con un’indagine principale in parallelo ad altri casi, in chiave realistica: non a caso è basato su un vero caso di omicidio a Roubaix del 2002, ricostruito nel documentario televisivo Roubaix Commissariat Central (di Mosco Boucault, France 3, 2008). Nessuna concessione viene fatta a buonismi o stereotipi da telefilm. Persino Léa Seydoux, sciupata ad hoc, si presenta qui in un ruolo del tutto non-glamour tra un film di 007 e l’altro. Girato nel 2018 e presentato con buona accoglienza a Cannes nel 2019, questo polar social è arrivato nei cinema italiani nell’autunno 2020. E viene da chiedersi se in luoghi come Roubaix, in questo anno ancora più difficile, la luce si sia spenta di nuovo. 


sabato 17 ottobre 2020

Arsenio Lupin (2004)


Retrospettiva di Alby Bottecchia

Francia 1905: Arsène Lupin (o Arsenio nella versione italiana), interpretato da Romain Duris, è un ladro elegante, raffinato e pieno di risorse; figlio di un istruttore di savate  e di una nobile discendente dai reali di Francia, ha una profonda cultura, un debole per le belle donne ed è orgoglioso di non aver mai fatto del male a nessuno durante i suoi furti.

Durante una visita alla madre malata apprende che l'assassino del padre, mai identificato, le ha fatto visita riaprendo una ferita mai del tutto rimarginata nel cuore del giovane. L'arrivo di un drappello di gendarmi sulle tracce di Arsène e il pur debole tentativo della donna di difenderne l'integrità, le causano un infarto sotto gli occhi impotenti del figlio. Al funerale della madre, il ladro rincontra dopo dieci anni la cugina Clarisse, interpretata da Eva Green (The Dreamers, Casinò Royale 300: the rise of an Empire),  con cui inizia una relazione.

Purtroppo lo spirito irrequieto di Arsène e il desiderio di mettersi alla prova in nuove sfide lo allontaneranno dalla giovane donna (che rimarrà sempre nel suo cuore), mettendolo sulle tracce del tesoro dei re di Francia. Questo colpo porterà lo scaltro Arsenio a confrontarsi con due avversari spietati: la perfida quanto affascinante Josephine de Cagliostro, interpretata da Kristin Scott-Thomas (Il Paziente Inglese, Mission: Impossible) e il subdolo agente governativo Beaumagnan, che sembra conoscerlo meglio di chiunque altro.

Dall'opera di Maurice Leblanc (in particolare il romanzo La contessa di Cagliostro) un film di Jean-Paul Salomé passato un po' troppo inosservato - in Italia è uscito direttamente in dvd - ma avvincente ed entusiasmante, fra travestimenti, fughe, passioni e duelli a mani nude. Fate attenzione: Arsenio Lupin potrebbe essere chiunque...

lunedì 12 ottobre 2020

La Mano Nera: Petrosino e la giustizia all'italiana



Recensione di Alby Bottecchia

New York, 1907: a Manhattan non è facile essere italiani.  Considerati solo una delle tante minoranze che popolano la più cosmopolita delle metropoli statunitensi, gsono guardati con sospetto e diffidenza dall'élite anglofona a causa della loro difficoltà di integrazione. Per loro è difficile rinunciare a lingua e usanze della terra di origine. 

Quando l'organizzazione mafiosa nota come Mano Nera comincia a flagellare il quartiere di Little Italy con ricatti, estorsioni, omicidi e sequestri di minori , l'allora membro del consiglio di polizia di New York, Theodore Roosevelt, sfrutta la sua considerevole influenza per attuare il piano di un vecchio amico.

Joe Petrosino è un tenente della polizia di New York di origine sicula, tanto sagace quanto duro e implacabile nei confronti dei criminali; asso del travestimento, ha una mira micidiale ed è un esperto di combattimento a mani nude. 

L'idea tanto semplice quanto geniale è di costituire una squadra composta per la maggior parte da italo-americani il cui obiettivo principale sarà fermare l'espansione criminale della mano nera, il team è composto da: Maurice Bonoil, Antonio Vachiris, Hugo Cassidy, Peter Dondero, John Lago-Marsino, George Silva e Giuseppe Corrao.

Oltre a contrastare i piani della Mano nera (in particolare un tentativo di estorsione ai danni del tenore Enrico Caruso sventato roccambolescamente), la squadra si dovrà occupare anche del feroce serial killer noto come lo Scotennatore, cosi chiamato per le feroci mutilazioni che infligge alle sue vittime.

Sceneggiatore e disegnatore, Onofrio Catacchio (ColiandroNathan Never) rende omaggio alla figura di Joe Petrosino, autentica leggenda investigativa italo- americana - qualcuno ricorderà i romanzi di Secondo Signoroni e lo sceneggiato tv con Adolfo Celi - con un giallo degno di una sceneggiatura cinematografica. Una graphic novel della collana Le Storie di Sergio Bonelli Editore, di prossima ripubblicazione in volume.


giovedì 8 ottobre 2020

Il suo nome è... Mister Noir



Presentazione di Andrea Carlo Cappi

È curioso come ci siano giovani autori che rimangono giovani autori anche con il passare degli anni. Ho conosciuto Sergio Rilletti a una delle serate di intrattenimento letterario organizzate da Andrea G. Pinketts; eravamo negli anni Novanta e il luogo di incontro era una cantina, praticamente una cripta accessibile solo mediante una stretta scalinata. Il trionfo delle barriere architettoniche, specie per uno scrittore affetto da tetraparesi spastica che si muove su una sedia a rotelle Ma - come avrei scoperto presto - una delle caratteristiche di Sergio è quella di riuscire ad arrivare dappertutto. In seguito ci scambiammo messaggi via email, lessi un breve racconto autobiografico che aveva pubblicato su una rivista e imparai due cose su di lui: che è dotato di un’autoironia stupefacente (se usata da altri sarebbe politicamente scorretta, ma lui ne ha licenza) e che ha una sorprendente capacità di mettersi nei guai... e uscirne. In pratica, avevo conosciuto anche il suo lato Mister Noir

Così anni dopo, quando Sergio era già uno degli autori abituali della testata di cui ero direttore editoriale, M-Rivista del Mistero, e mi propose una serie imperniata su un detective al tempo stesso abilissimo e disabile, sapevo dove sarebbe andato a parare. Non mi avrebbe dato storie strappalacrime da talk show e nemmeno una banale imitazione del Lincoln Rhyme di Jeffery Deaver; bensì racconti - anzi, quasi sempre veri e propri romanzi brevi - pieni di humour, con un gusto che richiama una serie tv degli anni Sessanta cui siamo entrambi affezionati, Agente speciale. C’è naturalmente un po’ di Ironside, il poliziotto in sedia a rotelle di un’altra classica serie tv di quegli anni; e c’è anche un po' del caratteraccio di Nero Wolfe, con la differenza che Mister Noir è un uomo di azione, non un sedentario come il personaggio di Rex Stout. Ma c’è soprattutto la libertà assoluta di passare attraverso ogni genere del thriller, dalla detection classica al racconto hardboiled, compreso un pizzico di X-Files

Perché Sergio Rilletti vuole divertire i suoi lettori con storie che, prima di tutto, lui stesso si diverte a scrivere. Il che è fondamentale, per un autore che si propone di intrattenere i lettori e nel frattempo, con molta leggerezza, li induce a riflettere su questioni che per lui e il suo personaggio sono di vita quotidiana. Nel divertimento c’è, insomma, anche qualcosa da imparare, senza che lo scrittore pretenda di insegnare. Lo dimostra questo nuovo volume edito da Oakmond Publishing, che raccoglie non solo le storie apparse su M-Rivista del Mistero e altrove, non solo quelle pubblicate da Cordero Editore nel 2014 nell'antologia del decennale, ma anche qualche inedito assoluto.

Da dove arrivi Mister Noir e quali siano il suo passato e il suo vero nome, anche se a suo dire quello di battesimo è... Mister, rimane tuttora un segreto: forse il personaggio non lo ha ancora rivelato nemmeno al proprio biografo ufficiale. Ma si tratta di un raro caso in cui lo scrittore condivide il destino dei propri personaggi seriali: non invecchia. Sergio Rilletti continua a essere un giovane autore che scrive oggi con lo stesso entusiasmo di quando ha cominciato.

Mister Noir di Sergio Rilletti (Oakmond Publishing, 430 pagine, in cartaceo 16,50 euro, in ebook 4,99 euro, gratis per Kindle Unlimited) è in vendita su Amazon.

Blog, pulp e storie

C. E. Perugini A Girl Reading, 1878

Backstage di Andrea Carlo Cappi

Novità: scopri anche il blog Kverse - Il mondo thriller di A. C. Cappi

Salve a tutti. Il crescente interesse verso i due blog di cui sono il curatore ha richiamato l'attenzione di Hollywood Party, il programma dedicato al cinema di RAI RadioTre di cui sono stato spesso ospite, che ha dedicato loro parte della puntata del 7 ottobre 2020 (potete ascoltarla a questo link), partendo dalla sezione che li accomuna, i miei articoli di Vita da pulp. Dal momento che chi segue questi blog dal cellulare attraverso i social network forse non sa cosa venga pubblicato sull'uno e cosa sull'altro, ho pensato di fornirvi le istruzioni per l'uso e una mappa per orientarvi.

Borderfiction Zone (a questo link) - Nasce dalla webzine Borderfiction fondata alla fine del 2010 da Giancarlo Narciso e di cui sono diventato subito direttore editoriale, grazie anche alla mia esperienza sulle pubblicazioni cartacee G-La Rivista del Giallo (dal 1998 al 1999) e M-Rivista del Mistero (dal 2000 al 2008). Dal 2017 la webzine è trasmigrata su blogspot, continuando a occuparsi di zone oscure e narrativa della tensione, sotto forma di letteratura (scritta e disegnata) e cinema di genere. Tra le collaborazioni, la firma prestigiosa di Claudia Salvatori e il talento esplorativo di Alby Bottecchia. In queste pagine riassuntive potete trovare i link ai singoli articoli su novità e retrospettive:

La pagina dei libri

La pagina dei fumetti

La pagina del cinema

Borderfiction è in realtà un progetto più ampio, che comprende una serie di eventi svoltisi tra il 2011 e il 2019 (soprattutto nelle sale dell'Admiral Hotel di Milano), la collaborazione a manifestazioni culturali come il Premio Torre Crawford e un marchio editoriale.

Il Rifugio dei Peccatori (a questo link) - Nasce nel 2015 dalla mia collaborazione con il poeta e scrittore Fabio Viganò e, oltre a nostri interventi su cronaca, cultura e società, include sue poesie inedite, miei racconti e la mia serie di articoli che ha attirato l'attenzione di RadioTre, dal titolo Vita da pulp, basato su trent'anni di esperienze come autore, con osservazioni sulla narrativa e consigli agli aspiranti scrittori. Per qualche tempo ha ospitato anche la prima stagione di un serial narrativo di Fabio Viganò, Nome in codice: Fritz, poi pubblicata in volume e non più disponibile online; il mio compagno di blog, che da lungo tempo opera nel campo sanitario, ha anche pubblicato una serie di saggi sui disturbi pischiatrici dal titolo Un pizzico di follia. Apparso su blogspot nell'intervallo di assenza di Borderfiction, ora Il Rifugio dei Peccatori vive in simbiosi con l'altro blog, con frequenti scambi di collegamenti. Qui i link alle sezioni principali:

Vita da pulp, di Andrea Carlo Cappi

Le poesie, di Fabio Viganò

Il racconto del venerdì, di Andrea Carlo Cappi

Un pizzico di follia, di Fabio Viganò

Aggiornamento: è arrivato anche il blog Kverse - Il mondo thriller di A. C. Cappi dedicato alle serie noir e spionistiche firmate Andrea Carlo Cappi e François Torrent.


ll mio consiglio è quello di sfogliarli virtualmente e perdervi tra articoli recenti e passati, scoprendo libri, film, booktrailer, riflessioni, personaggi e storie dietro le storie. Buona lettura.


Iperwriters - Schiavi e padroni

Photo: Ian Simmonds on Unsplash Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori Letteratura italiacana - 46 - Schiavi e padroni Venerdì, ore 1...