mercoledì 24 ottobre 2018

Tie-in: l'altra faccia della scrittura





Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Fino a poco tempo fa, sapevo dell'esistenza della International Association of Media Tie-in Writers per aver letto che ne faceva parte Raymond Benson, scrittore del quale ho tradotto diversi noir e buona parte della sua produzione su James Bond 007. È stato lui a presentarmi all'associazione, di cui sono entrato a far parte la scorsa estate, come – almeno credo – primo autore in lingua italiana. E ho scoperto che ci sono autori che discutono di questioni che sinora avevo affrontato da solo.
La IAMTW raccoglie scrittori che si dedicano (anche) a personaggi e universi narrativi non creati da loro: dalle novelizations basate su sceneggiature per cinema e tv, ai racconti e romanzi sequel di saghe celebri (come, appunto, James Bond), alle storie inedite costruite intorno a serie di film, telefilm, fumetti e videogiochi. Nel mio caso si tratta di fumetti, avendo pubblicato romanzi con protagonisti Diabolik & Eva Kant, gli "eroi neri" creati da Angela e Luciana Giussani, e su Martin Mystère, il detective dell'impossibile di Alfredo Castelli.


Il tie-in trae origine da due tipi diversi di narrativa. Una è quella seriale, d'appendice o pulp, in cui poteva capitare che una saga fosse scritta da autori diversi. Basta pensare a Nick Carter, il celebre detective poi ripreso in chiave umoristica a fumetti da Bonvi negli anni Settanta: le sue avventure furono scritte tra il 1886 e gli anni Cinquanta da un'infinità di autori che si firmavano tutti "Nicholas Carter". L'usanza fu ripresa con la rinascita di Nick Carter negli anni Sessanta in versione agente segreto: sotto lo stesso pseudonimo si sono alternati numerosi scrittori, da Michael Avallone a Martin Cruz Smith.



Le novelizations, come ha sottolineato un recente articolo di Deborah Allison sui due diversi adattamenti della sceneggiatura del film del 1978 Capricorn One (uno per il mercato americano, di Ron Goulart, e uno per il mercato britannico, di Ken Follett sotto lo pseudonimo Bernard L. Ross), sono nate addirittura negli anni Venti; dal momento che, molto prima della tv e dell'home video, per rivivere l'emozione di un film era necessario trovare una sala che lo proiettasse, l'editoria creò un'alternativa efficace e accessibile: trasformare in libro un film che non fosse tratto da un testo precedente. Il fenomeno oggi forse è meno diffuso, ma nel frattempo scrivere un romanzo da una sceneggiatura è divenuto un'arte a sé stante.
In una scena di Manhattan, Woody Allen deprecava la moda dei romanzi basati su sceneggiature di film. In realtà, come in qualsiasi settore della narrativa, ci sono solo libri belli e libri brutti. Le novelizations migliori sono quelle che, partendo dalla trama e dai dialoghi scritti dagli sceneggiatori, approfondiscono la psicologia dei personaggi, sviluppano i retroscena, colmano a volte anche qualche lacuna della storia, che può sfuggire sullo schermo ma non nella parola scritta. Un bravo scrittore di tie-in può anche produrre un romanzo di qualità superiore al film su cui si basa. Mi è capitato di constatarlo proprio con Raymond Benson, che oltre ad avventure originali di 007 adattò a romanzo tre film dell'era di Pierce Brosnan: il risultato era addirittura superiore all'originale.
Per darvi un'idea delle diverse esperienze di un autore di tie-in, Benson è un maestro degli ibridi tra vari media: ha collaborato sotto pseudonimo a romanzi del ciclo Splinter Cell di Tom Clancy, adattato come giochi per computer avventure di 007 e The Mist di Stephen King, scritto romanzi basati sull'universo dei videogiochi Metal Gear Solid, Hitman e, con John Milius, Homefront. Nel frattempo continua a firmare i suoi mystery.


Se dubitate del fatto che da un film si possa trarre un buon romanzo, pensate che non è un lavoro molto diverso da ricavare una sceneggiatura da un libro: si tratta di passare da un medium a un altro adattando la storia a un contesto diverso. Ma, se ancora non siete convinti, pensate a tutte le volte che William Shakespeare ha preso la trama di un racconto altrui e ne ha fatto un capolavoro del teatro. Oppure a quale lavoro di riscrittura e rielaborazione di storie e personaggi preesistenti abbiano fatto tutti gli autori che si sono dedicati al "ciclo bretone", ossia le storie della Tavola Rotonda, da Geoffrey di Monmouth a Chretien de Troyes, da Thomas Malory a John Steinbeck, passando per T. H. White, l'autore de La spada nella roccia.


Talvolta i miei libri su Diabolik o Martin Mystère sono stati definiti novelizations di fumetti*, forse anche con una sfumatura di disprezzo. Non ci sarebbe niente di male se lo fossero: molto prima che me ne occupassi io, entrambi i personaggi erano stati protagonisti di interessanti romanzi basati su sceneggiature di storie già pubblicate a fumetti. Ma in realtà non si tratta di questo. I miei sono romanzi originali, quindi un lavoro di tipo diverso: storie mie, che tuttavia hanno protagonisti ideati da altri autori.
Non va mai dimenticato che il pubblico si attende di trovare lo stesso tipo di emozioni che conosce dalle storie a fumetti. E qui, da una parte, ci si trova nella stessa posizione di uno sceneggiatore che scrive un nuovo episodio di una serie a fumetti o televisiva o cinematografica di cui non è il creatore: devi conoscere a fondo i personaggi, per sapere cosa possano o non possano fare, altrimenti il pubblico si accorgerà che i conti non tornano. Dall'altra parte, occorre passare dal linguaggio visivo per cui i personaggi sono nati in origine a quello assai diverso della narrativa: si fa a meno delle immagini – anche se i lettori avranno bene in mente le fattezze dei protagonisti – ma si guadagna in introspezione psicologica.


Dal momento che ho una produzione piuttosto vasta, posso dire che quando scrivo un tie-in non mi sento meno autore di quando lavoro a un romanzo appartenente a una delle mie numerose serie. Anche perché in entrambi i casi i miei riferimenti – la redazione di Diabolik e il creatore di Martin Mystère coadiuvato dagli esperti dell'Amys – non solo collaborano attivamente con me, ma mi lasciano molta libertà creativa, pur nel rispetto delle caratteristiche dei personaggi e dell'universo in cui si muovono. Al tempo stesso, come lettore, so che non mi piacerebbe leggere una storia in cui l'autore tradisse gli uni e l'altro.
Per questo è stato doppiamente gratificante vincere con il mio romanzo originale con Martin Mystère uscito nel 2017, La Donna Leopardo, il Premio Italia 2018 per il miglior fantasy: come i lettori del fumetto hanno ritrovato i loro personaggi rappresentati in modo fedele, così la giuria dell'Italcon ha valutato il mio libro come un'opera originale, indipendentemente dalla sua appartenenza a una serie non creata da me. Naturalmente, se mi venisse chiesto di lavorare su personaggi che non conosco altrettanto bene... dovrei mettermi a studiare, fino a essere in grado di pensare come loro.


Sono esistiti tie-in italiani? Certo. Per esempio, alla fine degli anni Sessanta, come accennavo, nacquero ben due serie di romanzi basati su sceneggiature per fumetti di Diabolik, una in Italia e una in Francia, sull'onda del lancio internazionale del film distribuito dalla Paramount Pictures, Danger: Diabolik di Mario Bava.
In tempi più recenti, Antonio Bellomi pubblicò novelizations di avventure storiche di Martin Mystère e in seguito fece comparire il detective dell'impossibile in team-up con suoi personaggi in alcuni racconti della sua serie sul Club Pi Greco. Ora, nella sua nuova versione alternativa, il giovane Martin è uno dei personaggi della Bonelli approdati in libreria, con un romanzo di Pierdomenico Baccalario. (Le mie storie, come quelle di Bellomi, si attengono invece alla continuity della serie storica).
Ma ci sono altri esempi illustri, come gli adattamenti delle sue sceneggiature di celebri serie tv di Biagio Proietti, da solo (Coralba, in ebook da Delos) o a quattro mani con Diana Crispo (Chiunque io sia, basato su La mia vita con Daniela, e il mitico Dov'è Anna?, nel quale i due sceneggiatori inserirono anche un episodio mai realizzato per la televisione, perché ritenuto troppo scabroso all'epoca.)



Da tutto questo si deduce però che non ci si possa improvvisare tie-in writer. Negli Stati Uniti si è creata una schiera di professionisti della narrativa che non esitano ad affrontare saghe amatissime come Star Trek o Star Wars, X-Files o Supernatural, eroi dei fumetti come Batman (ricordo che ne scrissero maestri quali Stuart M. Kaminsky o Joe R. Lansdale), oppure personaggi che hanno fatto la storia della narrativa d'avventure come Tarzan o Doc Savage, o ancora mostri sacri del giallo come Mike Hammer, il detective di Mickey Spillane riportato in vita da Max Allan Collins. Ma questo in fondo vale per tutta la narrativa di genere: occorre conoscerne a fondo le regole, se si vuole scrivere qualcosa che non sia solo un banale déjà vu.

*Nota posteriore: questo articolo fu scritto molto prima che scrivessi novelizations non dei fumetti ma dei film di Diabolik.



sabato 20 ottobre 2018

Danse Macabre spot 23


Stefano Di Marino: avventure nell'ignoto



Recensione di Andrea Carlo Cappi

Da oltre vent'anni i lettori della storica collana Segretissimo di Mondadori seguono con entusiasmo le avventure de Il Professionista, firmate da Stefano Di Marino con lo pseudonimo ormai da tempo svelato di “Stephen Gunn”. Un successo ineguagliato, di cui i media si guardano bene dal parlare. Eppure, se esistessero classifiche dei bestseller per i libri venduti in edicola, ogni titolo della serie sarebbe in testa per settimane, proprio come risulta esserlo in versione ebook nella categoria “guerra e spionaggio” di Amazon.
Nondimeno Di Marino, oltre a essere lo scrittore di genere più attivo e più venduto in Italia, è anche uno dei pochi in grado di affrontare con noncuranza e talento qualsiasi filone, dall'avventura al western, dal giallo al fantastico. Almeno una volta all'anno Dbooks.it, attento editore indipendente, pubblica un suo corposo romanzo che esce dagli schemi abituali. Quest'anno a Strani Mondi, l'appuntamento milanese d'autunno con la letteratura fantastica, è stato presentato in anteprima Kalimantan – Il fiume dei diamanti, in cui l'autore ha riunito con abile contaminazione molte sue passioni nel campo della narrativa popolare.
La vicenda si apre ai giorni nostri in chiave noir, con la spettacolare evasione di Dino Rital – ovvero, in gergo marsigliese, “Dino l'Italiano” – arrestato a Copenhagen per un clamoroso furto d'arte. A liberarlo è Margot van Horn, giovane donna d'affari (sporchi), interessata a scoprire dove il ladro abbia nascosto il suo bottino, una reliquia indonesiana che, sostiene lei, sarebbe di proprietà della sua famiglia.
Dopo questo prologo, la storia si dipana su due piani temporali. Parte della vicenda si svolge nel 1857, quando l'avventuriero olandese Thomas van Horn, giocando tra diplomazia e pirateria, con l'aiuto dell'amante e complice Purina, si impadronisce del tesoro del sultano di Tarakan, nel Kalimantan occidentale. Tra una battaglia navale e una tempesta, la loro nave finisce alla foce di un fiume in cui la corrente sembra procedere a rovescio, trascinandola in secca nei pressi di un luogo singolare nella giungla inesplorata. È qui che, all'ombra di un antichissimo tempio appartenuto a una civiltà scomparsa, si trova il villaggio governato dal misterioso professor Wells e custodito da una legione di tagliatori di teste. Potrebbe essere un rifugio sicuro per van Horn e il suo equipaggio, ma ben presto vengono alla luce segreti inconfessabili e orrori indicibili.
L'altra parte della vicenda si svolge al giorno d'oggi. Margot van Horn, discendente di Thomas, è intenzionata a trovare quel luogo misterioso e appropriarsi delle ricchezze che nasconde. Rital potrebbe essere l'alleato ideale nell'impresa. Così, trascinato in un labirinto di ambigue alleanze e costretto a scontri violenti tra fazioni rivali, l'italiano si lascia coinvolgere nell'avventura che li porterà sulle tracce del pirata.
Il lettore non può fare a meno di notare gli intenzionali parallelismi tra personaggi e situazioni delle varie epoche, a testimonianza che i tempi cambiano, ma la natura umana rimane sempre la stessa. Tuttavia, se si pensa di sapere già tutto ciò che aspetta i protagonisti, si resterà sorpresi: in agguato ci sono orrori ancora più indicibili di quelli con cui fece i conti l'antenato di Margot.

Di Marino e Cappi al Ribs and Beer, Milano, 18 ottobre 2018 (foto Dbooks.it)

Ne abbiamo parlato alla successiva presentazione del romanzo, nel corso del primo aperitivo letterario del ciclo Ribs & Books presso il ristorante-pub Ribs and Beer a Milano Lambrate, in gemellaggio con il mio Martin Mystère - Le guerre nel buio. Sono emersi i nomi di Emilio Salgari, H. G. Wells e di Edgar Rice Burroughs, ma anche di Joseph Conrad e Richard Connell (l'autore de La pericolosa partita), e potremmo includere nel gruppo anche Jules Verne. Tra i numerosi riferimenti letterari, spicca il nome di Alfredo Castelli, i cui fumetti anticiparono clamorosamente fin dal 1975 – con Allan Quatermain, ispirato all'omonimo personaggio di H. Rider Haggard, cui fece seguito Martin Mystère nel 1982 – molta della fiction degli anni a venire, da Indiana Jones alla Lega dei Gentiluomini Straordinari, da X-Files a Men in Black. Non a caso, entrambi i romanzi – Kalimantan e Le guerre nel buio – contengono riferimenti al mitico conflitto tra le civiltà ancestrali e altamente tecnologiche di Atlantide e Mu, che avrebbe portato alla reciproca distruzione e a un cataclisma di proporzioni planetarie, antefatto di molti episodi della saga di Martin Mystère.
Ciò che rende unico Di Marino è la naturalezza con cui riesce a descrivere duelli, arrembaggi, orrori e sentimenti, passioni e ossessioni... tutto con la giusta misura. Smentendo i pregiudizi su questo tipo di narrativa, i suoi personaggi, donne e uomini che siano, non sono figure anonime: gli basta una frase o una battuta di dialogo per farci comprendere cosa provino, persino dubbi e incertezze dietro una facciata fintamente imperturbabile. Show, don't tell, come si suol dire.
Il risultato è un romanzo incalzante di 435 pagine, che un editore più blasonato avrebbe riempito di spazi bianchi fino ad arrivare a 600 pagine e a un prezzo ben superiore ai 17,50€. Ma un editore più blasonato non si avventurerebbe a pubblicare un libro del genere, perché – per nostra fortuna – non assomiglia a nessun bestseller presente sul mercato.

Aperitivo "Ribs&Books", 18 ottobre 2018 (foto: Marco Donna)


Danse Macabre spot 22


giovedì 18 ottobre 2018

Ribs & Books: Kalimantan & Martin Mystère


Borderfiction Eventi, in collaborazione con il Ribs and Beer di via Pitteri 110, Milano Lambrate, e Parole di Milo, presenta il primo degli aperitivi letterari Ribs & Books. Giovedì 18 ottobre 2018, dalle 18 alle 20, doppio appuntamento con l'avvventura e il fantastico: saranno presenti Stefano Di Marino con il suo nuovo romanzo Kalimantan-Il fiume dei diamanti (Dbooks.it) lanciato in occasione della recente manifestazione Strani Mondi; e Andrea Carlo Cappi, fresco vincitore del Premio Italia 2018 per il miglior romanzo fantasy con Martin Mystère-La Donna Leopardo, che presenta invece il successivo romanzo della serie dedicata al "detective dell'impossibile" creato da Alfredo Castelli, Martin Mystère-Le guerre nel buio (Sergio Bonelli Editore). Tutti i titoli saranno in vendita nel corso dell'incontro, con un omaggio a sorpresa per i primi dodici acquirenti. Ingresso libero e, per chi lo volesse, aperitivo con buffet a 9,90€.

KALIMANTAN-Il fiume dei diamanti: nel XIX secolo il capitano olandese van Horn approda su un'isola maledetta; oltre un secolo e mezzo dopo il ladro internazionale che si fa chiamare Dino Rital, l'avventuriera Margot van Horn e un manipolo di uomini pronti a tutto ne seguono le tracce in cerca di un tesoro inimmaginabile, in un pericoloso viaggio verso l'ignoto.

Martin Mystère-LE GUERRE NEL BUIO: in un lontano passato gli esseri umani affrontarono una razza sconosciuta proveniente dalle viscere della Terra; nel 1988 il Detective dell'Impossibile deve scoprirne il mistero, per sventare una spaventosa minaccia che incombe sull'umanità. Il seguito del romanzo La Donna Leopardo. 


mercoledì 29 agosto 2018

Danse Macabre spot 21


Mission: Impossible - Dalle origini a Fallout - 2



Percorso di Andrea Carlo Cappi

Leggi la prima parte

Da una dozzina di anni c'è qualcosa di nuovo nel mondo di Mission: Impossible, qualcosa che ha permesso che il fenomeno non si limitasse a un successo isolato del film del 1996 e al sequel del 2000. È nato un rapporto di consequenzialità tra una storia e l'altra, di cui ora vengono raccolti i frutti. Fallout (2018), ancora di più di quanto avvenuto nei due film precedenti, riavvicina il concetto della serie a quella vista in televisione, equilibrano meglio l'elemento spionistico con la componente di azione, peraltro sempre notevolmente spettacolare.




I telefilm originali erano nati sull'onda del successo cinematografico di James Bond e si erano conclusi nel periodo in cui, con lo scandalo Watergate, cominciarono a venire alla luce i giochi sporchi reali dei servizi segreti americani. La ripresa anni Ottanta, in minima parte influenzata dalla moda dei film d'azione dell'era reaganiana, fu dovuta a circostanze particolari: uno sciopero degli sceneggiatori americani, che indusse i produttori al recupero di materiale preesistente, usato o non usato che fosse, per girarlo a basso costo in Australia.
In realtà la Paramount Pictures aveva in programma di realizzarne una versione cinematografica, vista anche la ripresa di 007 con GoldenEye (1995) dopo sei anni di interruzione e un rinato interesse verso lo spy movie. Il rilancio di M.I. si rese possibile tuttavia solo dopo l'entrata in gioco Tom Cruise, con la compagnia di produzione da questi condivisa con Paula Wagner. Il che, naturalmente, avrebbe comportato il suo controllo assoluto su collaboratori e prodotto finito, a costo di discutere sullo script, sulla colonna sonora e sulla regia, affidata a Brian De Palma. In cambio, l'attore consegnò alla Paramount un film costato meno del budget previsto, in cui aveva realizzato personalmente la maggior parte degli stunt.
I puristi della serie non apprezzarono né la gestione del personaggio classico di Jim Phelps, né il fatto che l'azione spettacolare, come si è detto, prevalesse sulle trame di gioco mentale (come acutamente le definì Martin Landau) che avevano caratterizzato la serie tv. Ma, dopo M:I-2 – che ho già citato come un film quasi interamente affidato al talento registico di John Woo oltre che alle acrobazie di Tom Cruise, più che a una vera costruzione narrativa – e sei anni di intervallo, ha inizio la gestione di J. J. Abrams, già creatore di Alias e Lost, l'uomo che in breve tempo si trova in mano anche i destini di Star Trek e Star Wars, quindi tre gloriosi franchising degli anni Sessanta-Settanta.
Nel 2006 esce M.I.-III, diretto dallo stesso Abrams, che introduce per la prima volta nella serie il concetto di continuity anziché episodi isolati. Il film non è ancora perfetto come costruzione e anche come dettagli: dubito, per esempio, che Maggie Q potrebbe mai entrare in Vaticano con un vestito con tutti quegli spacchi, ma è noto che gli sceneggiatori americani a certe cose non fanno troppo caso. Tuttavia la storia si fa più personale, dal momento che l'indistruttibile Ethan Hunt si sposa con Julia (Michelle Monaghan) e acquisisce una grave vulnerabilità nell'affrontare il perfido Owen Davian (Philip Seymour Hoffman). La moglie diventa la sua kryptonite e, come vedremo negli episodi successivi, il matrimonio andrà a rotoli.
Nel successivo Protocollo Fantasma (2011) si configura una nuova squadra: oltre al fidato tech-guy Luther Stickell (Ving Rhames, unica spalla presente in tutti i film), appaiono Benji Dunn (Simon Pegg, tech-guy più imbranato) e William Brandt (Jeremy Renner), oltre a Jane Carter (una splendida Paula Patton, l'unica che purtroppo non si sia più rivista). L'agente Hunt si trova di nuovo esautorato, ma stavolta insieme a lui lo è l'intera IMF, accusata di un atto di terrorismo a Mosca; laddove il vero responsabile è un fisico nucleare deciso a scatenare una guerra nucleare “controllata”, per riequilibrare il mondo. Scopriamo anche come sia finito il matrimonio tra Ethan e Julia e abbiamo l'annuncio di chi sarà il nemico successivo, un'organizzazione sovrannazionale chiamata il Sindacato.
È quella che troviamo in Rogue Nation, in cui apprendiamo che l'agente MI6 britannico Solomon Lane (Sean Harris) ha preso un po' troppo sul serio i suoi giochi di guerra – come a suo tempo i cattivi de I tre giorni del Condor – e si dedica alla destabilizzazione mondiale. Facciamo anche la conoscenza di Ilsa Faust – un nome, un programma – anche lei agente dell'MI6 (interpretata dall'affascinante Rebecca Ferguson) nel pieno di doppi e tripli giochi. Lavora per Lane? Lavora per l'MI6? Oppure ha altri obiettivi? Alla fine Lane viene catturato, ma, come suggerisce l'inconscio di Ethan all'inizio di Fallout, forse è stato un errore lasciarlo in vita.


Il nuovo film infatti ci rivela che il Sindacato non è morto, ma si è evoluto in una nuova organizzazione chiamata gli Apostoli, gestita da un fantomatico John Lark, che ha tra i propri obiettivi quello di liberare Solomon Lane. Ed è di certo l'obiettivo meno disastroso, dal momento che quando Ethan, insieme ai compagni Luther e Benji, cerca di intercettare tre nuclei di plutonio nel corso di una compravendita; ma li perde per proteggere i suoi compagni Luther e Benji. Così il Sindacato potrà fabbricare altrettante bombe nucleari da far detonare a piacimento (sì, come McGuffin non è una novità). Oltretutto anche stavolta Ethan viene sospettato di essere un traditore (pure questa non è cosa nuova), per la precisione John Lark in persona.
A funzionare nel film sono lo svolgimento della trama e il fatto che tutto ciò che avviene è motivato da una logica basata sui cinque film precedenti e dai nodi al pettine della continuity. L'agente Hunt è sospettato proprio perché in passato questo è già avvenuto più volte e la direttrice della CIA (Angela Bassett) inserisce nella squadra IMF il proprio agente August Walker (Henry Cavill, molto più duro rispetto al suo Superman e al Napoleon Solo di Operazione UNCLE). La missione è delicata: fallito il tentativo di catturare il vero John Lark, Hunt si vede costretto a fare il doppio gioco, infiltrandosi nel gruppo di mercenari che a Parigi si appresta a liberare Solomon Lane. Ma non ci si può fidare di nessuno, nemmeno dei presunti alleati: ognuno sembra avere una propria agenda, che non coincide necessariamente con quella dell'IMF.
Come dicevo, nodi al pettine. Dal secondo film, tra le caratteristiche ricorrenti del protagonista viene inserita la sua passione per scalate e acrobazie aeree, che non mancano in questo episodio. In Protocollo Fantasma si era colta una strizzatina d'occhio al primo film quando è riapparso il Contatto (Andrea Wisniewski) che, come nel 1996 porgeva a Ethan un cappuccio prima di condurlo a un incontro segreto; qui c'è un nuovo personaggio, la Vedova Bianca (Vanessa Kirby), che scopriamo essere figlia dell'intermediaria Max (Vanessa Redgrave) vista nel primo film e fare più o meno lo stesso tipo di mestiere. In Rogue Nation l'analista Brandt (assente in Fallout) è tornato a lavorare a Washington DC fianco a fianco con il Segretario Alan Hunley (Alec Baldwin) che ritroviamo in questo film. Così come ritroviamo Ilsa Faust, sulla quale ancora gravano sospetti di doppio gioco dall'episodio precedente; e Julia, l'ex-moglie di Hunt, che sta cercando di rifarsi una vita e si ritrova invece coinvolta in prima persona nell'operazione.
Dopo un bell'intrigo gestito bene, si può accettare che la parte finale del film consista nella classica corsa contro il tempo per fermare l'apocalisse atomica nel Kashmir. Anche perché condita da un efficace colpo di scena e incentrata su uno spettacolare duello tra elicotteri, cui segue una scena d'azione in un crepaccio, del tipo «tutto va storto nel modo peggiore peggior momento possibile». Basti dire che, per una volta, persino l'inossidabile agente Hunt avrà bisogno di cure ospedaliere.
Un altro buon lavoro di Christopher McQuarrie, sceneggiatore e regista che, oltre a dirigere il precedente episodio, ha collaborato più volte e in varie vesti con Tom Cruise negli ultimi anni.


Iperwriters - Schiavi e padroni

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