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martedì 11 giugno 2019

Lo sguardo abissale di Enrico Luceri


Recensione di Andrea Carlo Cappi

La celebre frase di Nietzsche sullo sguardo – ricambiato – sull'abisso è sempre attuale nella mente di chi scrive horror. Specie quando non lavora sui mostri per così dire tradizionali (dai lupi mannari ai morti viventi nelle loro varie forme) ma si occupa del lato più spaventoso dell'essere umano, di cui i predatori della letteratura gotica sono solo una metafora.
In principio, il fenomeno del serial killer nei libri e sullo schermo non fece che ricondurre alla vita quotidiana la paura atavica dell'Uomo Nero; dopo trent'anni di inflazione di serial killer nella fiction, anche loro sono diventati, al pari dei vecchi mostri della Universal, una variante dei supereroi e dei supercriminali; il che va benissimo, fintanto che le storie sono efficaci. Ma "Lo sguardo dell'abisso" di Enrico Luceri (Edizioni DrawUp, 202 pagine, 14,00 euro) ci riporta alle radici della paura e del terrore. Le radici del male, per citare un titolo di una maestra del genere, Alda Teodorani. 
I due personaggi principali sono una scrittrice horror di successo – solitaria, timida, ma a suo modo affascinante – e una sua giovane lettrice che tira a campare come apprendista reporter di provincia ma sogna di diventarne un giorno l'erede. Come possono donne dall'aspetto così gentile risvegliare nei lettori angosce sopite, nascoste, eppure sconfinate? È una domanda che ricorre anche nella realtà, ogni volta che ci si trova di fronte a una scrittrice di storie del terrore: ricordo che fu questo il commento del romanziere spagnolo Pedro Casals, dopo che ebbe incontrato Cristiana Astori. 
Tuttavia bisogna stare attenti a ciò che si sogna: ispirazione e immaginazione, terrore fittizio o presente, sono così vicini da confondersi. Basta poco perché la cronaca sconfini nell'incubo, qualche indizio porti a orrori occulti, un ambiente idilliaco all'improvviso si presenti atroce. In questo romanzo – sulla cui trama vi sto tenendo volutamente all'oscuro – Luceri ci porta a spasso proprio sull'orlo del precipizio, permettendoci di osservare il mondo attraverso gli occhi di chi riesce a vedere quanto di più terribile si possa annidare nella normalità. E, in tutto questo, scoprire anche i segreti più oscuri e inconfessabili del meccanismo creativo.
Così le vicende narrate nell'ultimo successo della grande scrittrice e quelle che potrebbero diventare il prossimo libro dell'esordiente si scontrano con vari livelli di realtà, con il presente, il passato e l'altra faccia del sogno, fino a farci domandare chi davvero stia guardando chi e cosa riconosca in ciò che vede.

"Lo sguardo dell'abisso" di Enrico Luceri sarà presentato a EDU Milano 2019, venerdì 14 giugno dalle 18.30, presso Garage Moulinski, via Pacinotti 4, Milano.

martedì 15 settembre 2020

A proposito di Max



Ricordo a più voci per Massimo Caviglione

Ci sono persone che nella vita hanno fatto poco o nulla, ma a lungo e rumorosamente, tant'è che è difficile scordarsi di loro. Viceversa, ci sono persone che hanno fatto moltissimo, ma con eleganza e silenzio. Giustamente (?) la gente non si è mai accorta di loro, troppo impegnata a seguire gli inutili e chiassosi. Giustamente (?) certuni non si ricordano di loro, a meno che non ci sia qualche pretesto per usarli a proprio vantaggio, mettendosi in mostra come "miglior amico" del defunto del momento. Per questo oggi, nel giorno del suo primo compleanno negato, Borderfiction Zone ospita i ricordi di coloro che hanno conosciuto Massimo Caviglione. (Noi ci rivediamo in fondo, per tirare le somme. A.C.C.).


Max era un uomo raro. Di pochissime parole, non faceva nulla per apparire simpatico al mondo. Eppure lo era, privilegio degli autentici amabili che non cercano il consenso come strategia sociale.
Sarà che ho vissuto a lungo in Liguria, per tutto il tempo dei miei studi universitari, e di liguri veraci tra Balbi e De Ferrari ne ho conosciuti a bizzeffe, e francamente di primo acchito si mostravano tutti burberi, un po' scostanti, avari di sorrisi. In verità non era mai così: quella sorta di maschera bisognava gestirla e scalfirla col tempo e, dopo l'inevitabile e necessario periodo di rodaggio (che pareva quasi un corteggiamento), arrivavano amicizie indimenticabili, autentiche. Che poi non siano durate nel tempo, ci metto la mia parte di responsabilità – purtroppo la distanza geografica ha un suo notevole peso specifico.
Sono convinto che Max facesse parte di questa categoria. Purtroppo la crudeltà fulminea del tempo incombente e gli eventi della vita hanno avuto un pessimo sopravvento. Sono riuscito soltanto a “intravedere” un uomo divertente, colto e un grande professionista. Ci siamo, per così dire, sfiorati. Di sicuro poteva andare meglio. Ma io credo nell'eterno ritorno degli spiriti e da qualche parte, in un'altra epoca, ci “ribeccheremo” (passatemela...), inanellando interminabili discussioni sul Male, sul capitalismo e sulle donne creative. 
Max era Massimo Caviglione. 
Danilo Arona 



Di Max ricordo innanzitutto la capacità di ascoltare, di mettersi in sintonia. I silenzi riempiti dalla sua voce, e lui, attento che valuta, ti consiglia, ti solleva. 
Max, un fratello maggiore, comprensivo, dolce e ironico. Poi penso alla casa con il bovindo ombreggiato di piante, e al giardino profumato dov’era bello chiacchierare con lui e Claudia, in un angolo il gatto Abel. I libri dappertutto, a creare un nido accogliente e rassicurante. Max si ritagliava da quel giardino segreto come un intellettuale fervido e appassionato. Mi ricordo il suo gusto della ricerca che lo portava a scoprire misteriosi testi gotici e non solo. Ti faceva appassionare con entusiasmo e competenza. Era un amante della parola, un traduttore raffinato che non si accontentava ma sapeva rendere un testo qualcosa di unico.

Cristiana Astori



Ho avuto troppo poco tempo per conoscerlo, Max, e anche questo significa la sua morte per me: la perdita di una persona che avrei voluto continuasse a essere qui, presente in questo presente, a farsi conoscere. Da me, e da altre persone. Da più persone possibili. Perché avrei voluto che diffondesse il più possibile quello che, con il suo semplice esistere, ha donato a me in pochissimo tempo. Lo ricordo e ricorderò passeggiare lungo un viale alberato. Forse aveva un braccio dietro la schiena, o forse è stato il suo incedere tranquillo, pacato eppure pensieroso, leggero e grave al contempo, a farmelo dipingere così.
Parlavamo di non so bene che cosa. Di libri, forse, o della lingua francese da cui lui traduceva, o di ricordi vecchi di decenni riportati al presente con una freschezza lucida, distaccata ma piena di compassione - quell´affetto verso ciò che si è stati che è prerogativa di chi ha la pazienza, il coraggio, l´umiltà di mettersi a tavolino davanti a se stesso per comprendersi senza giudizio. 
Max parlava, mi parlava, della sua conoscenza con Claudia, del suo percorso e di quello di lei, di idee e progetti e forse speranze e ideologie, visioni che tutt´oggi sarebbero viste come radicali, folli, utopie che vanno bene giusto nei libri, eppure erano state lì - con lui, con Claudia, decenni prima, e io cercavo di capire grazie a lui come possa accadere questa strana cosa, dove finiscano la eclatanti rivoluzioni di ieri, dove vadano a nascondersi idee che, ai tempi, promettevano di non poter essere dimenticate.
E lui me ne parlava, passeggiando quieto come un reduce di una guerra ideologica conclusa prima di poter essere vinta o persa - o così la vedevo io allora, non concependo una terza via, non avendo ancora intuito che alcune strade non smettono mai di essere percorse, di decennio in decennio e di generazione in generazione, e anche per questo la sua morte ha scavato un buco dentro di me: per quello che Max, con il suo modo di essere, rappresentava. 
Leggo e rileggo l´ultima lunga e goffa frase e mi domando come epurarla da ogni tono eclatante preservandone l´intensità. 
Quel che di Max ho conosciuto è il contrario dell´eclatanza: non urla né slogan, non il tono carico di promesse delle grandi affabulazioni storiche, non l´impianto spettacolare dei sogni narcisisti. Neanche la non meno solipsistica autocommiserazione di chi è invecchiato vedendo il proprio credo venire maliziosamente relegato tra i trafiletti meno rilevanti. 
(Non so se fosse ottimista o pessimista, Max, ma vorrei dirglielo, oggi, che le cose per molti versi stanno migliorando. Che cammino in una società che penso potrebbe piacergli, e di cui vorrei mostrargli i germi - Guardali, Max, sono lì, non sono più soltanto nei discorsi e nei libri.) 
Quel che di Max ho conosciuto era l´esatto opposto: rivelare i grandi eventi con i piccoli gesti - e me lo immagino, ora, come un amanuense che, con movimenti sciolti e precisi, compila preziosi scrigni di testimonianze. 
Lo ricordo e ricorderò mentre, passeggiando lungo quel viale alberato tra un accenno di discorso e l´altro, ha fatto un passo più breve e si è fermato. Non si parlava più, a quel punto, di libri o lingua francese o lotte o visioni o quel che rimane, ma di lui. Lui solo, lui nudo, spogliato da ogni interpretazione e significato e in ciò disarmato - non so se ci sia qualcosa che trovo più coraggioso, quando si tratta di rappresentarsi - solo per condividere con me un frammento microscopico e pesantissimo di sé, evocandolo con un gesto che, in qualsiasi altro frangente, non avrebbe lasciato in me nessuna impressione - ma Max era Max, e quel suo disarmarsi ha disarmato anche me, facendomi finire sul palco in cui stava rimettendo in scena quel frammento del proprio vissuto, imprimendomelo dentro. 
E così, ogni volta che mi capita d´inciamparvi - in quell'apparentemente innocuo, per niente eclatante, gesto - penso a Max. Al coraggio necessario non tanto a esporsi così a una semisconosciuta con cui stai passeggiando in paese, ma a realizzarsi con tale dolorosa precisione - a quanta brutale lucidità serva per mostrarsi così a se stessi. 
Non avrei scritto queste parole se Claudia non mi avesse chiesto di commemorare Max. Non sono capace di fare delle condoglianze senza che un acuto senso di vanità, horror vacui, distorca le mie parole, tantomeno di trasformare una morte nell'occasione di un discorso celebrativo, d´ispirazione, motivazionale - ma è quello che in questo caso vorrei. 
Vorrei che Max continuasse a riverberare - quella sua capacità di darsi, dicendosi, così intensamente, e per quel che mi ha detto e dato. 

Serena Bertogliatti 




Ricordo Massimo Caviglione come una persona autenticamente libera, prima di tutto. Aveva un’indipendenza di giudizio, uno spirito critico, una capacità di attingere a un patrimonio cospicuo di letture, esperienze, approfondimenti nei vari campi della cultura che ne facevano un interlocutore sempre stimolante e originale. Un uomo così chiaramente disdegnava le maschere, le ipocrisie, i compromessi del vivere sociale, a costo anche di muovere contro i propri interessi. Integro, dunque, e tenace nella difesa dei propri principi. 
Non si può parlare di Massimo senza ricordare il suo lungo sodalizio di vita e artistico con Claudia Salvatori, scrittrice eclettica e fuori dagli schemi, che nel corso della sua carriera ha contaminato e attraversato i generi, in alcuni casi arrivando a riformularne i paradigmi. Il mio ricordo più vivido è legato a lunghe chiacchierate con loro, durante le quali avevo l’impressione di entrare in una sorta di cenacolo, di laboratorio culturale in servizio permanente effettivo. Le parole e i momenti vissuti con loro mi hanno fatto crescere come persona, come lettore, come autore. 
Vorrei, però, che non venissero trascurate le traduzioni dalla lingua francese curate da Massimo, quelle che me lo hanno fatto enormemente apprezzare come intellettuale; in particolare, ricordo come particolarmente curate e raffinate quelle legate ai romanzi di Eliette Abécassis, penso ad esempio a Qumran o a L’oro e la cenere, di cui conservo gelosamente una copia autografata proprio da lui. Lo considero il ricordo prezioso di un’amicizia che ha conosciuto alti e bassi, come spesso accade alle vicende umane, ma che ha lasciato il segno di un incontro importante, ricco, capace di imprimere un segno importante.

Daniele Cambiaso 



Sono diventata amica di Massimo e Claudia durante la decade dei miei venti anni, che è coincisa con l`inizio del Millennio. 
Come molti giovani della mia generazione, non sapevo da che parte iniziare a scegliere, a farmi strada. A me piacevano le Lettere, le Lingue, la psicologia, l`introspezione, l`arte. Mia mamma, che non sapeva come consigliarmi, mi disse che Claudia e Massimo magari avrebbero potuto. Un giorno li vidi camminare per il paese e decisi di fermarli, chiacchierammo, mi diedero il loro numero di telefono fisso e poi venni invitata a un dopo-cena nella loro casa isolese con vista fiume Scrivia. 
Volevo sapere come si fa a diventare uno scrittore: se ci fosse una ricetta da seguire. 
Ma, a parte l`inclinazione, è una questione di determinazione nel continuare a seguire la propria vocazione. E allora ricordo molti discorsi fatti su questo punto. Mi spiego meglio: quando in età post-adolescente si insinua in noi il tarlo di volere fare ciò che ci piace, ma che non è in campo medico, né edile, né commerciale, ecco innescare un circolo mortale nel parentado e nelle conoscenze che iniziano a tempestarci di domande e cercano di farci cambiare idea. Allora ineffabilmente ci attacchiamo al gruppo giovanile filo-artistico di turno, che nel mio caso di allora era quello genovese. Claudia e Massimo mi raccontarono dei loro ricordi giovanili e dei tempi universitari. 
Per me Massimo e` stato un grande amico, paziente, buon ascoltatore, colto e fidato.  Credo abbia notato come io a quei tempi fossi in difficoltà nella ricerca di un equilibrio di vita e forse alle volte incerta sul da farsi.  E mi ha sempre spinto a continuare la ricerca di un mio mondo, una mia dimensione. 
Per cui ricordo che letteralmente mi diceva di “non mollare mai !” Poi a volte mi diceva che io gli nascondevo qualcosa; intendeva che potevo anche incazzarmi con lui, come dire che ero troppo educata. Pero` dico io: incazzarmi di cosa? Di sicuro non con Massimo, ma con la gente magari, boh? 
Andammo a Milano con Claudia e Massimo e anche a Genova a delle presentazioni letterarie. Diciamo che sono stata un pochino come una “nipote” virtuale. 
Io ora abito da dieci anni all`estero e in tutto questo termpo ho rivisto Claudia e Massimo una sola volta, cinque o sei anni fa, nella loro nuova casa ad Arquata. In quell`occasione Massimo si lamento di come la crescita esponenziale di internet con tutte le sue app e derivati abbia svalorizzato le traduzioni fatte dai professionisti. Credo che Massimo avrebbe voluto e meritato di piu` dalla sua professione. 
Durante il lockdown Claudia mi ha contattato per rendermi noto della scomparsa di Massimo avvenuta qualche mese prima: sono rimasta di stucco alla notizia. 
Mi rattrista ampiamente la perdita di un caro amico, che di sicuro sara` sempre ricordato. 
Mia figlia e` nata il 16 Settembre e quando avevo comunicato la notizia a Claudia e Massimo, con molto entusiasmo Massimo disse che lo stesso giorno era nato lui. 
Mi dispiace molto sapere che non ci rincontreremo più e che non potrò farti conoscere la mia bambina. Riposa in pace. 

Emanuela Casella



Massimo Caviglione. Una voce artistica e letteraria

Il bello delle serigrafie è che i colori sono assolutamente veri e che tutto in esse sembra permanere. 
La sentinella dell’arte: quale consolazione poter pensare spesse volte a quell’opera che lui amava e che anche a distanza era capace di farti vedere e contemplare. Opera che rappresenta l’uccello-garante dell’arte vera. Così come erano pure e incommensurabilmente uniche la sua umanità e la sua sensibilità, garanti del vero artistico e letterario, ma non solo.
Erano generosità intellettuale e dialogica a caratterizzarlo anche mentre contemplava l’opera di Concetto Pozzati; contemplazione che secondo lui serviva anche da difesa in caso di eccessivo risucchio concettuale; (mentre manteneva sempre dubbi sull’eventuale non riproducibilità delle opere, soprattutto nell’epoca attuale, ma viveva la cromia sempre come assolutamente vera).
Per lui il titolo del quadro concettuale, che mostra qualcosa per dire qualcos’altro, poteva essere importante ma era già successivo alla contemplazione, chiedendosi se, non a conoscenza della concezione, il primo piano enorme di un uccello gli avrebbe comunicato parimenti il concetto. Il fenomeno contemplativo nel suo primo livello di trance per lui non c’entrava infatti con quello che il quadro voleva e vuole rappresentare, ma era il fascino figurativo in quanto tale ad esercitarsi. Nel momento in cui il suo occhio si fissava sul dettaglio, ogni dettaglio era un reticolo di altro. Mentre come ben sapeva, l’opera sfugge per definizione a tutti i significati.
Quest’oggi, rivolgendo ancora una volta l’attenzione alla Sentinella dell’Arte, non possono non affiorare alla memoria le sue parole sulla medesima opera, consegnate con generosa fraternità un grigio pomeriggio di pioggia, trascritte allora su un non grande foglio di carta riciclata.
“Voglio descrivertela brevemente affinché anche tu possa averne visione come in presenza. È un primo piano enorme, sarà novanta per novanta, un quadrato, quasi tutto occupato da questo primissimo piano d’uccello. Lo sfondo è blu poroso, quasi a indicare una sorta di cielo notturno, in alto a destra la luna quasi dorata. Poi tutto risulta occupato dall’uccello bianco con la cresta nera, e sotto il collo c’è una striscia dorata che fa da pendant alla luna. A prima vista dà l’impressione di una specie di collage. Evoca una sorta di sovrapposizione tra i quattro piani: cielo, luna, uccello, striscia. In realtà è tutto stampato perché è una serigrafia. All’interno di questo primo piano, ci sono però alcune parti dipinte a mano, è questa la cosa rilevante. È simbolo della verifica, notturna, legata all’elemento oscuro primordiale, fondo; fa da richiamo questo uccello al vero valore artistico, schernendo o ridicolizzando tutto ciò che artistico non è? È davvero la simbolizzazione del vero artistico? Sentinella appunto. L’elemento notturno rappresenta sia l’elemento ctonio, sia il fatto che si tratta di un animale mitologico: non è un uccello di specie riconoscibile. Cresta e becco neri, le altre parti della testa bianche; e dal collo dipinte a mano: righe del pennello sovrapposte a mano. Nel momento in cui la contempli è come se ti addormentassi e ti risvegliassi in un mondo perfettamente sconosciuto, ti addormenti e ti svegli in un’altra dimensione, come in certe favole ti trovi in un altro mondo quasi di colpo.” 

Erika Dagnino


Ricordo di Max

Poche parole, scarne, dure, in un tiepido pomeriggio di gennaio. 
Freddo e sgomento, le gambe che cedono, il vuoto che si apre gelido dentro la pancia, mentre il volto avvampa e la gola si fa arida. 
A quasi otto mesi di distanza da quel giorno, le sensazioni riescono a tornare prepotentemente, come fossero ancora attuali. 
Il dolore lo è e continuerà a esserlo sempre. 
Avverto un senso di colpa profondo. 
L’ultimo appuntamento mancato a dicembre, la tua influenza – apparentemente un normale male di stagione – poi il ricovero per accertamenti, il pensiero che tutto dovesse risolversi in pochi giorni, senza problemi, il pensiero di venirti a trovare appena rientrato a casa, per non darti ulteriore incomodo in quel momento e in quella circostanza fastidiosa. 
Poi quella notizia. 
Inattesa e devastante. 
E il senso di colpa. 
Avrei sicuramente potuto fare di più. 
È sempre così. È la storia che si ripete. 
Rimane di te il ricordo di un amico delicato, attento, che non dimentica i dettagli, che dà importanza ai dettagli, che racconta e insegna con la leggerezza di un professore antico, che nasconde un sorriso sincero dietro quella barba ispida e quel volto apparentemente burbero. 
Ora posso dirtelo: mi hai sempre indotto un po’ di soggezione. O forse sarebbe meglio dire timore reverenziale. Sì, lo ammetto, la tua cultura, la tua memoria e il tuo piglio mi hanno sempre fatto sentire al cospetto di una commissione d’esame, alla fine sempre benevola e conciliante, ma che al principio di ogni nostro incontro pareva una parete impossibile da scalare. 
Complicato e pragmatico al tempo stesso, come un ossimoro, custodivi in te qualcosa di insondabile, qualcosa di arcano e arcaico a cui forse solo una persona poteva avere accesso. L’unica persona che ha condiviso con te l’essenza stessa della vita e che ti ha accompagnato lungo tutto il cammino, dai giorni spensierati dell’adolescenza fino all’ultimo sofferto passaggio. Sono certo che dobbiate essere entrambi grati del vostro incontro e di tutto ciò che ne è seguito. 
Mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di lavorare con te, confrontarci sui temi a noi cari, mettere alla prova la mia narrativa con le tue competenze. Purtroppo il tempo non è mai stato dalla nostra parte. E poi non c’è stato più. 
Mi manca, colpevolmente mi manca, il saluto che non ci siamo dati. 
Sono certo che avresti trovato le parole per rendere tutto più lieve e sdrammatizzare il momento. 
Resta il dolore della terra, quella nuda terra che ti ha accolto e quella fredda che mani aliene hanno posto sul tuo ultimo giaciglio. 
Restano i discorsi interrotti, quelli che, presi e ripresi, avremmo potuto continuare a fare… 
Manchi e mancherai. 
Spero di essere stato all’altezza della tua amicizia. 
Un grande e affettuoso abbraccio, Max, ovunque tu sia… 

Gianluca D'Aquino



Il mio ricordo più antico di Massimo risale a quindici anni fa, quando l'ho conosciuto a Genova, la nostra città natale. A quel tempo collaboravo con un'associazione culturale e dovevo curare la presentazione di un libro di cui proprio Massimo era il relatore. Quella conversazione ha dato tanto ad entrambi perché fin da subito è nata un'intesa, un'affinità di anime che abbiamo percepito subito; è stato uno di quei momenti in cui il tempo si ferma e ci si trova catapultati in una dimensione speciale fatta di letteratura, scrittura e amicizia, le nostre opinioni si fondevano magicamente e alla fine abbiamo deciso come fanno i bambini, perché Massimo aveva una parte infantile da fanciullino pascoliano che non si vergognava di mostrare alle persone di cui si fidava; abbiamo deciso di diventare migliori amici. Purtroppo ci vedevamo poco, abitando lontani, ma tutte le volte che lui e Claudia venivano a Genova io ero alla stazione sull'attenti ad aspettarli. 
Le telefonate con Massimo erano infinite anche se rare e negli ultimi anni sempre più rare, perché io ho avuto la bambina e il tempo era sempre meno, purtroppo. 
Quelle telefonate svisceravano tutti gli argomenti che ci stavano a cuore al momento e poi c'era sempre quel terreno comune fatto di belle lettere che ci rendeva felici, a volte ci divertivamo a non andare d'accordo su alcuni autori classici ma sempre nel rispetto reciproco perché Massimo nell'amicizia metteva sempre al centro la persona con una delicatezza commuovente. 
Massimo correggeva i miei racconti e mi pungolava a scrivere, non sempre gli piaceva quello che leggeva ed io apprezzavo la sua sincerità. Aveva una visione particolare molto angolata nel raccontarmi alcuni suoi aneddoti di vita come uno scrittore surrealista, ma lui era un traduttore puro e mi parlava di questa sua affascinante attività nei particolari. 
Ricordo anche i pranzi tutti insieme e l'emozione quando presentavamo un nuovo libro della nostra adorata Claudia, che tanto assomiglia a Massimo in alcune espressioni e movenze, perché le anime gemelle spesso si assomigliano dopo una vita passata insieme. 
Addio Amico, ci hai lasciati in un silenzio invernale che ci ha lasciati attoniti, inaspettatamente presto, ti ricordo col sorriso dei tuoi occhi azzurri. 

Francesca Galleano 



La nostra amicizia è cresciuta nel tempo ... iniziata in un incontro a piazza della Annunziata quando avevo circa diciotto anni e si è trasformata in un amore fraterno. Max era mio fratello davvero e la sua sensibilità ha colmato buchi affettivi di tante persone. La dolcezza e la comprensione misurata in ore di attenzioni e parole e carezze verbali non hanno avuto eguali nella mia vita ed è per questo che Max ha lasciato un vuoto, un profondo e doloroso buco che solo i ricordi, e solo in parte, riescono a colmare.
L'attenzione che metteva a disposizione per chi ne aveva bisogno andava oltre il semplice ascolto. Siamo tutti capaci di ascoltare, ma è nel passaggio successivo, nella capacità empatica di capire l'altro che si trova la differenza tra le due modalità. Max era questo: non l'orecchio che ti ascoltava, ma il cuore che sentiva e capiva e sapeva riconoscere dal tono di voce il tuo stato d'animo. 
La presenza costante di un affetto grande e la conoscenza profonda del sentire femminile erano la sua forza e mostravano un livello di apertura mentale e di rispetto che rasentano l'unicità di un uomo che conosceva il sapore del sale e cercava in ogni modo di adattare il suo essere ad un mondo che non era e non è abituato a tale forma di profondità e di emotività verso gli altri. 
La sua sofferenza nel non essere talvolta capito nell'espressione della sua amicizia ed essere altrettanto misconosciuto nell'ambito lavorativo lo mortificano ma non lo hanno mai reso diffidente.... nella sua fragilità era nascosta una forza incredibile che lo ha migliorato anno dopo anno e di tutto questo amore ne era consapevole, grato alla vita di aver avuto al suo fianco Claudia, moglie, ma soprattutto compagna in un percorso angusto, ma agevole se teneva stretta la sua mano.
Ti vorrò sempre bene Max e sono sicura che troverai il modo di farci sentire ancora il tuo bene e la tua vicinanza, come sono certa che il mondo che ti ha accolto dopo il tuo ultimo respiro sia migliore di questo e ti riconosca il merito e il privilegio del tuo valore. 

Maura Grosso 


Si dice che le persone dall’animo sensibile abbiano voce bassa, sguardi tenui, forse tratti gentili. Sono idiozie, credo, perché ho conosciuto nerboruti maschiacci straordinariamente delicati, o donne dall’aspetto di vecchie iene con cuori di zucchero. 
Max era una persona dall’animo sensibile, certamente una persona gentile. Io l’ho visto solo una volta di persona, ma non certo dal suo aspetto ho potuto dedurre che fosse deluso, che fosse una persona piena di voglia di dare amore incappata nei meandri pericolosi della vita. Era un’anima candida e ferita. 
Mi è stato vicino, con amicizia fraterna, in un momento difficile per me. Mi scriveva, con Claudia, degli sms (che non cancellerò mai) così intrisi di affetto e bontà da lasciarmi sgomenta. 
Ovunque sia, io lo ringrazio di aver sfiorato la mia vita con il suo affetto e la sua vicinanza. In quei giorni bui i suoi messaggi erano per me un grande conforto, la forza con cui mi esortava a non abbattermi era commovente e nello stesso tempo contagiosa. 
Grazie Max. Amico. 

Michela Martignoni 


Ciao Massimo, Buon Compleanno! Che poi oggi è anche il mio di compleanno e quindi auguri ad entrambi. 
Sei stato proprio dispettoso ad andartene così. 
Quanti ricordi! Eravamo compagni di classe e tu eri un buon compagno. 
Comunque la nostra lunga amicizia è iniziata il quinto anno di scuola superiore, quando con noi è arrivata Claudia.
Abbiamo iniziato ad uscire insieme. Insieme abbiamo pranzato, passeggiato nella pineta di Pegli,insieme siamo andati in discoteca. 
Poi il lavoro, la vita di tutti i giorni, l'amicizia e...il tuo amore per Claudia eterno, inalterato fino alla fine.
Ecco cosa mi manca: le nostre conversazioni di persone ormai anziane.
Parlavamo di tutto senza falsi pudori o retorica: religione, politica, letteratura, i tempi della scuola, i miei nipoti e , come ho detto, prima del tuo bene grande, grandissimo per la tua Claudia con la quale sei stato ancora più dispettoso perché l'hai lasciata sola. 
Addio Massimo o meglio arrivederci. 

Erminia Pastorino 



Le stampe di Max 

L’ultima traduzione di Massimo Caviglione apparsa in stampa è quella, curatissima come sempre e giustamente divertita, offerta a un gioiellino nero/ironico dell’Ottocento, La città vampira di Paul Féval, nel volume da edicola Cerimonie nere (luglio 2017): il canto del cigno della collana Urania Horror finiva col prefigurare due congedi ben più seri e tristi, il primo di Giuseppe Lippi (dicembre 2018) – che lì regalava una delle sue ultime curatele gotiche – e il secondo appunto di Max, pochi mesi fa.
In realtà per me il primo incontro con le sue raffinate capacità di traduttore era stato su Qumran di Eliette Abécassis, un romanzo affascinante con connotazioni insieme di genere e letterarie, dove davvero la squisita eleganza nel confronto col francese aveva avuto modo di brillare. In questo ricordo parto volutamente dal fronte del lavoro di Max, delle sue tante traduzioni, perché mi pare un sacrosanto ancorché minimo tributo a un grande professionista: un uomo che del mondo editoriale ha potuto conoscere aspetti interessanti, coinvolgenti, diciamo pure appassionanti, come pure altri molto più amari. Un professionista e insieme un gentiluomo incapace di sgomitare come altri farebbero, incapace di fare il cortigiano, e che – diciamo – non ha avuto sempre fortuna con gli interlocutori. Et de hoc satis.
Solo in seguito avrei conosciuto – in realtà pochi incontri, ma affettuosi – anche l’uomo Max: un signore barbuto, garbato e coltissimo, incontrato assieme a Claudia, sua compagna di una vita, una volta ad Arquata Scrivia e tre a Torino. Quasi sempre per parecchie ore di chiacchiere vivaci: piacevolissimo conversatore, Max mostrava panorami di letture da cui emergevano gusto, intelligenza e genuino piacere intellettuale. Un curiosus – non soltanto di libri, ma di film e arti varie – di animo limpido, con una vena di malinconia profonda da sapiente antico. Nell’imbattermi in certi busti classici mi sarà caro pensare al suo profilo. 
Max era affascinato da stampe e acqueforti: ne aveva in casa, ne parlava con entusiasmo. Da uomo di cultura con esperienze editoriali, il tema della riproducibilità dell’arte poteva affascinarlo intellettualmente: ma era puro piacere quello che si avvertiva in lui davanti alle tavole. Profili di città, mappe, architetture fantastiche… Girando con mia moglie per il centro di Torino, davanti a qualche negozio o bancarella con stampe esposte, è immediato pensare a lui. Ecco, mi piace ricordare quest’uomo buono alla luce delle sue gioie. E tra le pieghe delle sue traduzioni, in certi guizzi, in alcune soluzioni del passaggio tra una lingua e l’altra che denotano non solo professionalità e soddisfazione artigianale ma un piacere più intimo, non sarà una forzatura anche per noi individuarne qualche traccia. 

Franco Pezzini


Dietro ogni grande donna c'è un grande uomo. Di solito si dice viceversa, ma per la par condicio dovrebbe essere vero anche il contrario. Specie se la coppia è composta da due persone inimitabili che sono una persona senza confronti. Ho conosciuto per prima il volto più pubblico di quest'entità, ancorché schivo e più dedito a questioni serie - per esempio scrivere e pubblicare splendidi romanzi e racconti - che all'apparenza, da qualche decennio molto di più importante della sostanza. Quando in un incontro pubblico le ho chiesto come facesse a scrivere tanto bene sia la soggettiva femminile, sia quella maschile, Claudia Salvatori rispose: Perché io sono un uomo.
Del resto ogni scrittrice/scrittore (quant'è scomodo essere politicamente corretti in una lingua in cui in realtà scrittore è anche neutro ma se lo usi ti dicono che è maschile e discriminatorio) ha il diritto di essere nel contempo di ogni sesso, razza, età, religione e universo, a seconda di quale voce decida di assumere, a patto che abbia la capacità di interpretarla. Ma nel caso di Claudia, l'interconnessione artistica con Massimo Caviglione le ha sempre consentito di essere anche uomo. Ergo, lui era anche moglie: tant'è che rilevava con la sua consueta ruvida ironia di essere chiamato il signor Salvatori. Noncurante della stupidità delle convenzioni.
Vedere questa coppia, in realtà un unico essere con due teste (bizzarro, per l'autrice che ha esordito con La donna senza testa), due corpi e una doppia possibilità di percezione, per me rappresentava la realtà di una perfetta macchina bio-intellettuale, impossibile da progettare ma realizzata dal destino. Metà scrittrice, metà traduttore, entrambi con la capacità di accedere al doppio di stimoli e al doppio di letture e interpretazioni. Ora, in apparenza, Max ci ha lasciati. Ma io non credo. Max vive non solo nel ricordo di chi, come avete visto, lo ha amato, apprezzato, stimato e ascoltato. Max vive in una coppia indissolubile, in ciò che insieme hanno dato alla cultura italiana finora e in quello che entrambi potranno continuare a dare in futuro. Superman non muore mai, il titolo di un romanzo di Claudia, vale anche per i superpoteri della cui esistenza il fumetto ancora non ha preso atto.

Andrea Carlo Cappi

domenica 29 maggio 2022

Dracula: i film maledetti


La Boutique del Mistero, di Andrea Carlo Cappi

Come abbiamo detto in una puntata precedente, il 2022 non è stato solo il centoventicinquesimo anniversario del romanzo Dracula dello scrittore irlandese Bram Stoker, celebrato lo scorso 26 maggio, ma anche il centenario del primo film che ne sia stato tratto: Nosferatu, diretto nel 1922 dal regista F. W. Murnau.
A dire il vero quello di Murnau non è il primo film a utilizzare il vampiro che Stoker aveva reso celebre nel 1897: già nel 1921 era apparso in una pellicola proiettata a Vienna e Budapest, con una trama diversa, concepita da una futura leggenda di Hollywood.
Quanto a Nosferatu, di cui per questioni legali non sarebbe dovuta sopravvivere nemmeno una copia e invece si è conservato fino ai giorni nostri, ha una vicenda misteriosa tutta sua anche fuori dal film: per esempio, si dice che l’attore protagonista fosse davvero un vampiro...


Andiamo con ordine: il primo film a citare Dracula è appunto del 1921, anche se da Stoker riprende solo il personaggio del vampiro. È una coproduzione austro-ungarica intitolata Drakula Halala ("La morte di Dracula"), ambientata in un manicomio: un paziente si crede Dracula, oppure è davvero Dracula che si finge pazzo? Rischia di farne le spese la figlia di un altro paziente, che pare destinata a diventare vittima e sposa del presunto vampiro,
Il regista è un oggi pressoché ignoto Karoly Lajthay, che in quegli anni lavorò anche con Bela Lugosi, attore che in seguito avrebbe avuto parecchio a che fare con Dracula: nel parleremo prossimamente. Anche il soggettista e co-sceneggiatore, un certo Mihaly Kertész, sarebbe rimasto sconosciuto, se poco dopo non fosse diventato famosissimo a Hollywood con lo pseudonimo di Michael Curtiz, regista tra l’altro di un grande cult-movie: Casablanca.
Drakula Halala è scomparso. Nessuno lo ha più visto dal 1926, non ne rimane più neanche una copia e le uniche informazioni che si posseggono derivano da un romanzo - una novelizarion ante litteram - che fu ricavato dalla sceneggiatura di Michael Curtiz. Sono stati fatti persino tentativi di remake, ricostruendo un'ipotetica sceneggiatura proprio a partire dal romanzo. La storia della sparizione di questo film ha ispirato Tutto quel buio, un thriller di Cristiana Astori che fa parte giustappunto della serie di romanzi che la scrittrice dedica ai film perduti dellla storia del cinema.

Ma anche il secondo film su Dracula, il primo tratto effettivamente dal romanzo di Stoker e presentato al pubblico un secolo fa, ha il suo bagaglio di maledizioni. Per cominciare, non potendo pagare i diritti cinematografici del libro, il regista Murnau lo adatta cambiando i nomi di tutti i personaggi e intitolando il film Nosferatu, "non-morto" in rumeno. La trama però è chiaramente basata sul romanzo e ciò non passa inosservato a Florence Stoker, la vedova dello scrittore, che fa causa al produttore e la vince. Pertanto viene decretato che tutte le copie del film dovranno essere distrutte. Per fortuna qualcuna si salva e sarà un bene per la storia del cinema. Forse sono state dstrutte al suo posto tutte le copie del film ungherese.
Ma il grande mistero è l’attore protagonista di Nosferatu, Max Shreck, il cui nome in tedesco significa "Massimo Spavento" e che nel film appare difatti con un aspetto terrificante. Si dice che fosse lo stesso regista, truccato in modo irriconoscibile. Si dice pure che Murnau abbia scritturato un vero nosferatu perché recitasse nel film, ipotesi che ha ispirato il film L’ombra del vampiro con John Malkovich.
In realtà all’epoca esisteva davvero un attore teatrale di nome Max Shreck e in una sua fotografia ufficiale lo si vede senza trucco e con un aspetto più umano... anche se non si sa molto di più sul suo conto né sulle sue abitudini alimentari. Tim Burton gli ha reso omaggio battezzando "Max Shreck" il cattivo interpretato da Christopher Walken nel film Batman-Il ritorno. Ma quella dell’attore-vampiro non è l’unica leggenda oscura a circolare intorno ai film di Dracula. Ce ne sono altre che racconteremo tra qualche settimana...


(Questa puntata de La Boutique del Mistero è andata in onda su radio Number One il 29 maggio 2022)

giovedì 7 ottobre 2021

Borderfiction 2021!

Giada Trebeschi in una puntata delle "Parole Desuete"

James Bond di nuovo sugli schermi, il festival ispirato all'autore americano di maggior successo un secolo fa, l'odierna influencer culturale da mezzo milione di followers: tornano nell'ottobre 2021 gli eventi di Borderfiction all'Admiral Hotel di Milano, ideati e realizzati da Giancarlo Narciso e Andrea Carlo Cappi grazie all'ospitalità di Edward Coffrini Dell'Orto, festeggiando dieci anni di attività online e dal vivo tra zone di frontiera e letteratura della tensione.
Martedì 12, giovedì 22 e sabato 23 ottobre 2021 vi aspettano tre appuntamenti nel famoso albergo di via Domodossola 16. L'hotel, prediletto da scrittori e star dello spettacolo e dello sport, ospita anche una ricca collezione di memorabilia di 007 e due mitiche autopiste elettriche da competizione, in onore degli storici carburatori Dell'Orto prodotti dalla famiglia del proprietario (di cui erano fornite anche le Lotus di James Bond apparse nei film degli anni '70-'80). Agli incontri di Borderfiction hanno partecipato in questo decennio anche quattro grandi scrittori milanesi scomparsi di recente: Alan D. Altieri, Paolo Brera, Stefano Di Marino e Andrea G. Pinketts. 


E con il celebre agente segreto si comincia martedì 12 ottobre alle 21.00: la serata dedicata a JAMES BOND MISSIONE ITALIA è stata attesa quanto l'uscita del nuovo film. Il punto di partenza è il sorprendente libro con questo titolo (Edizioni Il Foglio - Cinema) scritto dall'esperto Marco Donna, che ha seguito passo passo le riprese italiane di "SPECTRE" e "No Time To Die", realizzando una guida completa delle location nostrane impiegate nelle ultime avventure interpretate da Daniel Craig. 
Sarà anche l'occasione per scoprire retroscena e segreti del nuovo film, raccontati dallo stesso Marco Donna con la complicità di Andrea Carlo Cappi & Edward Coffrini Dell'Orto (già autori di numerosi saggi sul Mondo Bond) e del romanziere Giancarlo Narciso, ideatore di Borderfiction.
Fu proprio con una serata dedicata a 007 e al lancio delle riedizioni di Ian Fleming dal gruppo GEMS che nel 1997 l'Admiral Hotel si impose come sede ricorrente di eventi letterari, per diventare poi nel marzo 2011 la sede principale degli appuntamenti di Borderfiction.



Venerdì 22 ottobre, sempre alle 21.00 all'Admiral di via Domodossola 16, si riprende con la serata TORRE CRAWFORD MILANO 2021, dopo il successo della II edizione del Festival Torre Crawford a San Nicola Arcella (Cosenza), luogo di elezione dello scrittore bestseller americano (italiano di nascita) Francis Marion Crawford. L'autore, vissuto tra il 1854 e il 1909, ha ispirato dal 2020 un concorso letterario annuale e una serie di eventi che ora si estende a tutta Italia.
Nel corso della serata saranno presentate le prime due antologie dei vincitori del Premio Torre Crawford (che contengono anche racconti dello scrittore americano e delle scrittrici Cristiana Astori e Alda Teodorani), 'Perché il sangue è la vita' e 'Innamorarsi di un fantasma'; sarà presente inoltre Claudio Bovino, III classificato nell'edizione 2020 e I nell'edizione 2021, vincitore contestualmente del primo Premio Speciale "E io lo dico a Pinketts!" assegnato in collaborazione con l'associazione intitolata ad Andrea G. Pinketts.
Verrà lanciato il bando del Premio Torre Crawford 2022, che anche l'anno prossimo porterà alla realizzazione di un'antologia edita, come la precedenti, da Oakmond Publishing. Il concorso include due sezioni: una riservata agli adulti (quota di iscrizione 5,00€) e una ad allieve e allievi delle scuole superiori (gratuita). Viene anche istituito un ulteriore Premio Speciale, che sarà annunciato nel corso della serata.
All'appuntamento, condotto dal direttore artistico del festival Andrea Carlo Cappi, presenzierà anche Giada Trebeschi, già ospite delle prime due edizioni del Torre Crawford. Saranno presentati il suo romanzo storico "Gli Ezzelino - Signori della guerra" (finalista al Premio Campiello) e il thriller di Stefano Di Marino (il grande scrittore milanese scomparso lo scorso agosto) "Il bacio della mantide", entrambi ora pubblicati da Oakmond Publishing e presentati in settembre al Festival Torre Crawford di San Nicola Arcella.


Giada Trebeschi, presentata da Andrea Carlo Cappi, sarà anche l'ospite di un ulteriore evento a lei interamente dedicato: 'L'Aperitivo delle Desuete', sabato 23 ottobre alle 17.30 al bar dell'Admiral Hotel (v. Domodossola 16). Premiata scrittrice di romanzi storici - spesso dalle venature mystery - e autrice-attrice teatrale, le cui opere di narrativa e saggistica sono ora edite da Oakmond Publishing, Giada Trebeschi rappresenta attualmente un caso più unico che raro di "influencer culturale" grazie a "La Rubrica delle Parole Desuete", una striscia quotidiana da un minuto su Facebook e Instagram che, con un  divertente sketch alla "Carosello", riscopre giorno dopo giorno parole dimenticate o trascurate della lingua italiana, raggiungendo mezzo milione di followers. Sarà l'occasione per incontrare e chiacchierare liberamente di libri e cultura con la scrittrice più sorprendente della rete.

I successivi appuntamenti all'Admiral includeranno inoltre la presentazione della casa editrice Borderfiction Edizioni, fondata da Giancarlo Narciso (già vincitore di un Premio Alberto Tedeschi de "Il Giallo Mondadori" e di un Premio Scerbanenco) per recuperare classici moderni della letteratura di genere nazionale o internazionale, da Claudia Salvatori a Christopher Moore, e il lancio sotto questo marchio di una nuova antologia di noir milanese a cura di Andrea Carlo Cappi. 



mercoledì 16 settembre 2020

Premio Torre Crawford - Giada Trebeschi


Sabato 19 settembre 2020 dalle 19.00 al Belvedere (via Villa) di San Nicola Arcella (Cosenza) si celebra la serata del Premio Torre Crawford, in onore dello scrittore americano Francis Marion Crawford, che proprio nella località del cosentino e ai piedi della torre che ora porta il suo nome (nella foto) ambientò il suo racconto più celebre, Perché il sangue è la vita del 1905, pietra miliare nella letteratura sui vampiri. Al titolo di questo racconto si ispira l'antologia ufficiale del Premio - intitolata appunto Perché il sangue è la vita - che non tratta solo di vampiri, ma declina il tema del sangue in varie forme di horror e thriller. Alla premiazione dei vincitori farà seguito lo spettacolo Sulla pelle del diavolo, di cui è protagonista Giada Trebeschi, una delle ospiti d'onore dell'evento.

Scrittrice e saggista, traduttrice, autrice e attrice teatrale, Giada Trebeschi è ora anche una videomaker, seguitissima online con la sua Rubrica delle parole desuete. Già al suo esordio, con Gli Ezzelino, è stata finalista al Premio Campiello. Ha pubblicato poi in Spagna e in Italia (da Mondadori) il romanzo La Dama Rossa. Presso Oakmond Publishing sono usciti i saggi In principio era Kaos ed Essere o non essere Shakespeare, e i romanzi storici, vincitori di numerosi premi, Il vampiro di Venezia, L’autista di Dio, L’amante del diavolo, Undici passi e La bestia a due schiene. Dal 2019 porta in tour con il musicista (e artista molteplice) Giorgio Rizzo lo spettacolo teatrale-musicale Sulla pelle del diavolo, di cui alla serata del Premio Torre Crawford, sabato 19 settembre, verrà proposta un'edizione speciale. Le abbiamo rivolto qualche domanda.


Nei suoi romanzi storici evoca spesso figure spaventose. a volte reali, a volte frutto di superstizioni, dal vampiro alla strega fino a Jack lo Squartatore. Come definisce la paura?

La paura è quel sentire che non solo ci accomuna agli altri animali, ma che ci ha permesso di sopravvivere fino ad ora. La più profonda e atavica è, com'è noto, quella della morte o di un evento che possa provocarla. Della morte conosciamo l'esistenza, ma non sappiamo niente se non che il corpo marcisce fino a scomparire. Dunque, per evitarla il più a lungo possibile, la parte più preistorica e istintiva del nostro cervello ci spinge ad aver paura. Accade esattamente lo stesso per gli animali: immaginate se la gazzella non avesse paura del leone o se la lepre non cercasse rifugio dall'aquila. È la paura che li spinge a scappare per cercare di restare in vita e a continuare la specie; ed è la nostra medesima reazione quando assumiamo ci sia un pericolo, immaginario o reale, che possa mettere a rischio la nostra esistenza.

Quindi la paura è utile?

La paura crea un'allerta maggiore, stimola i nostri sensi o li impietrisce e solo chi saprà utilizzare a proprio vantaggio l'adrenalina che ne deriva potrà riuscire a sopravvivere. Per questo motivo da secoli la letteratura e l'arte in generale raccontano proprio la paura, cercano di insinuarla in chi legge o ascolta per stimolare quelle corde che creano uno stato alterato, adrenalinico che piace soprattutto se non siamo noi a dover affrontare in prima persona i pericoli raccontati e pur abbiamo la possibilità di viverli in una sorta di transfert che ci vede però partecipi dal divano di casa.

Allora l'horror, anziché essere 'diseducativo' come è stato spesso definito, ha una sua funzione importante.

La letteratura thriller e horror non smetterà mai di esistere e di essere ricercata, poiché vi è congiunta la speranza di poter vivere emozioni che, nella realtà dei fatti, non vorremmo mai dover provare sulla nostra pelle ma che pur aneliamo, forse per sfida o forse per mettere alla prova noi stessi, seppur solo in potenza.

Da "Sulla pelle del diavolo"

Leggi anche:

giovedì 14 ottobre 2021

Torre Crawford a Borderfiction, Milano, 22-23 ottobre


 
Milano, Admiral Hotel, v. Domodossola 16, ingresso libero.

Venerdì 22 ottobre ore 21.00
"Torre Crawford Milano 2021"
Dopo il successo della II edizione del Premio Torre Crawford e del Festival di settembre a San Nicola Arcella (Cosenza), si estendono le attività della manifestazione ispirata allo scrittore americano d'Italia, Francis Marion Crawford. All'Admiral di Milano, in collaborazione con Borderfiction Eventi, si celebra un evento che comprende:
-l'annuncio in anteprima assoluta del nuovo bando di concorso per la III edizione del Premio Torre Crawford, con il tema per il 2022
-la presentazione delle antologie Torre Crawford del 2020 e 2021: "Perché il sangue è la vita" (con il racconto omonimo di F. M. Crawford, il romanzo breve "Ti piace il sangue?" di Cristiana Astori e i vincitori dell'edizione 2020) e "Innamorarsi di un fantasma" (con il racconto "La Donna dell'Acqua" di F. M. Crawford, l'inedito di Alda Teodorani "Il fantasma della Rocca di Cagnano" e i vincitori dell'edizione 2021), entrambe edite da Oakmond Publishing; con la partecipazione di Claudio Bovino, terzo classificato alla I edizione e nella II primo classificato e vincitore del Premio Speciale "E io lo dico a Pinketts!"
-la presentazione di due libri già proposti al pubblico del Festival Torre Crawford: il romanzo storico "Gli Ezzelino-Signori della guerra" di Giada Trebeschi (Oakmond Publishing), finalista al Premio Campiello, presente l'autrice; e il thriller di Stefano Di Marino "Il bacio della Mantide" (Oakmond Publishing), con un ricordo dell'autore scomparso lo scorso agosto.
Conduce la serata il direttore artistico del Festival, Andrea Carlo Cappi

Sabato 23 ottobre, ore 17.30
"L'Aperitivo delle Desuete"
Sempre all'Admiral, nel pomeriggio successivo, Borderfiction presenta in collaborazione con il Premio Torre Crawford la scrittrice Giada Trebeschi in un incontro ispirato a La Rubrica delle Parole Desuete, il suo appuntamento quotidiano su Facebook e Instagram seguito da mezzo milione di persone: è l'occasione per scambiare due chiacchiere con l'autrice-attrice che ha portato in modo divertente la cultura nella rete, rivoluzionando la figura dell'influencer. L'accompagna nella conversazione Andrea Carlo Cappi.


giovedì 17 settembre 2020

Premio Torre Crawford - Crawford, l'uomo sulla Torre


Sabato 19 settembre 2020 dalle 19.00 al Belvedere (via Villa) di San Nicola Arcella (Cosenza) si celebra la serata del Premio Torre Crawford, in onore dello scrittore americano Francis Marion Crawford, che proprio nella località del cosentino e ai piedi della torre che ora porta il suo nome ambientò il suo racconto più celebre, Perché il sangue è la vita del 1905, pietra miliare nella letteratura sui vampiri. Al titolo di questo racconto si ispira l'antologia ufficiale del Premio - intitolata appunto Perché il sangue è la vita - che non tratta solo di vampiri, ma declina il tema del sangue in varie forme di horror e thriller. Di seguito lo scrittore Andrea Carlo Cappi, curatore del volume, racconta la vita e la visione letteraria di F. M. Crawford.


Crawford, l'uomo sulla Torre
di Andrea Carlo Cappi

Era il suo destino diventare uno scrittore di genere e sui generis. Suo padre era lo scultore americano Thomas Crawford, una cui statua adorna il Campidoglio a Washington DC. Trasferitosi a Roma nel 1835, nel 1844 l'artista sposò la connazionale Louisa Ward, sorella della poetessa antischiavista Julia Ward, autrice del testo di Battle Hymn of the Republic, canto patriottico su musica tradizionale (qualcuno ne ricorderà il celebre ritornello Glory, glory, hallelujah). Dai Crawford nacquero quattro figli, tre dei quali si sarebbero dedicati alla letteratura: Anne Crawford von Rabe, del 1846; Mary Crawford Fraser, del 1851; e Francis Marion Crawford, che vide la luce a Bagni di Lucca nel 1854.

Quest’ultimo ebbe un’educazione internazionale: studiò negli Stati Uniti, poi a Cambridge, a Heidelberg e a Roma, presso La Sapienza. Benché di famiglia protestante, nel 1880 si convertì al cattolicesimo e nel 1884 sposò Elizabeth Berdan in una chiesa francese a Istanbul. Nel frattempo aveva vissuto per due anni in India e al suo ritorno, nel 1882, sulla base di questa esperienza aveva pubblicato il suo primo romanzo, Mr. Isaacs. Il successo lo indusse a perseverare nella narrativa, anche dopo che nel 1883 si stabilì in Italia: prima a Sorrento, quindi a Sant’Agnello (Napoli), presso Villa Crawford. In seguito acquisì la torre spagnola di San Nicola Arcella, che in suo onore sarebbe stata ribattezzata Torre Crawford. Di tanto in tanto tornava in America per tenere conferenze. Fu durante una di queste trasferte che contrasse una malattia polmonare che avrebbe minato la sua salute per sempre.

All’apice della sua carriera si calcola che avesse venduto oltre seicentomila copie dei suoi libri, il che faceva di lui un autore bestseller della sua epoca. La sua visione della narrativa era quella dell’intrattenimento intelligente e persino istruttivo. Non si vergognava di raccontare storie di avventura, amore e mistero. Considerava le opere di narrativa come teatri tascabili, per usare una sua definizione. La sua produzione nel campo del sovrannaturale avrebbe influenzato anche H. P. Lovecraft, che era suo lettore. Nella bibliografia di Crawford figurano romanzi storici e molti libri ambientati in Italia, al punto da essere considerato affine al verismo e persino un precursore di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Morì nel 1909, lasciando un’eredità di oltre cinquanta libri e quattro testi teatrali.

Uno dei suoi racconti più noti è quello che scrisse e ambientò a San Nicola Arcella nel 1905: Perché il sangue è la vita, titolo ricavato dalla Bibbia. È una delle storie di vampiri più famose al mondo, più esattamente una storia di vampire. È interessante notare che un altro dei più celebri racconti del filone è opera di sua sorella Anne Crawford, che nel 1891 aveva pubblicato A Mystery of the campagna (tradotto come Un mistero della campagna romana).

Se nella vicenda narrata da Anne, come già in Carmilla di Le Fanu (1872) la vampira ha origini antiche, in quella di Francis Marion si assiste alla nascita della creatura, che prima di diventare predatrice è lei stessa vittima, di un delitto perpetrato per nascondere un furto: un aspetto che si fonde con altri elementi di critica sociale presenti nel racconto. Non è da escludere che, mentre descriveva le regole dell’Italia rurale – tra matrimoni combinati ed emarginazione economica – Crawford avesse in mente qualche analogia con quelle della borghesia americana che avrebbe letto la sua storia.

Come accade di frequente nei racconti gotici, Perché il sangue è la vita si svolge su due piani narrativi, quello del narratore e quello del narrato: il presente, in cui lo stesso Crawford spiega con nonchalance a un ospite il misterioso fenomeno cui assistono dalla sommità della Torre; e il passato, fino alla storia d’amore innaturale tra Angelo, ormai estraneo nel suo stesso paese, e Cristina, una ragazza indipendente, fuori dalle convenzioni, che diviene dannata suo malgrado ma rimane in qualche modo innocente. Il sottofondo sessuale è evidente, ma sottinteso, con un pudore tra il cattolico e il vittoriano, il che non toglie alla storia una valenza estremamente moderna. Come del resto accade per tutti i classici.

Leggi anche gli altri post del Premio Torre Crawford:

-Il programma

-l'intervista a Giada Trebeschi

-l'intervista a Cristiana Astori

-l'intervista ad Andrea Carlo Cappi

-il mito del vampiro raccontato da Andrea Carlo Cappi

-i vincitori dell'edizione 2020


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