Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi
Quando
si nomina Richard Matheson (1926-2013), i primi a mettersi
sull’attenti sono probabilmente i lettori di fantascienza, che
ricordano I vampiri, Tre
millimetri al giorno e numerosi
racconti, come quelli dell’antologia Regola per
sopravvivere pubblicata molti
anni fa da Mondadori nei Capolavori di Urania.
I cinefili forse ricollegano il nome alle versioni cinematografiche
de I vampiri, quali
L’ultimo uomo sulla Terra,
1975: occhi bianchi sul pianeta Terra
e l’ultima, dimenticabile, Io sono leggenda; oltre a Radiazioni BX: distruzione uomo
da Tre millimetri al giorno,
ma soprattutto a Duel,
il mitico tv movie (poi proettato anche al cinema) che il giovane Steven Spielberg trasse proprio da un
racconto di Matheson. I più attenti storici della tv americana
possono aggiungere al catalogo anche gli script per serie tv come Ai
confini della realtà e
Star Trek.
Ma nel repertorio dello scrittore ci sono anche i noir, tra cui un
significativo romanzo noir del 1959, imperniato su una doppia
tematica: le colpe del passato che ritornano e l’uomo che dalla
quotidianità viene sbalzato in una situazione estrema,
ricorrente anche nella produzione fantastica di Matheson.
Si intitola Ride a Nightmare e racconta del signor Chris
Martin, che vive un’esistenza normale in California con la moglie
Helen e la figlia... fino a quando non riceve una telefonata
con una minaccia di morte destinata a tale Chris Phillips. Anni prima
l’uomo prese parte a una rapina, nel ruolo di autista della fuga,
ma se ne andò a tutta velocità quando i complici
uccisero i poliziotti sopraggiunti sul più bello. Ora gli ex-amici, abbandonati e catturati, sono evasi di prigione e tornano
per fargliela pagare – letteralmente – prendendogli in ostaggio
la famiglia.
Nel 1962 lo stesso Matheson adatta il romanzo a un episodio da
quarantacinque minuti della serie Alfred Hitchcock presenta,
diretto da Bernard Girard. Qui la famiglia Martin si riduce a marito
e moglie, rispettivamente interpretati da Hugh O'Brien e Gena
Rowlands.
Il telefilm Ride a Nightmare – intitolato in
italiano Gli amici ritornano – condensa in modo efficace i
concetti principali della vicenda: la paura che irrompe, improvvisa e
immotivata, nella coppia; i conoscenti che si intromettono con le
loro banali questioni mentre i protagonisti devono dissimulare la
situazione... e un cadavere in cucina di cui liberarsi; il senso di
colpa e la paura di rivolgersi alla polizia, con tutte le possibili
conseguenze; soprattutto, una donna che scopre vicende che le sono
state tenute nascoste – persino il vero nome dell'uomo che ama –
e deve decidere se stare al suo fianco malgrado i suoi trascorsi
criminali e le loro inaspettate implicazioni.
Nel 1960 il romanzo è uscito in Francia nella Série
Noire di Gallimard come De la part des copains e in Italia da
I Gialli Ponzoni come Cavalca l’incubo (poi riedito da
Fanucci come Incubo
nella raccolta Noir di Matheson; informazioni, come altre in
questo articolo, ricavata online da Gli Archivi di Uruk del sempre
prezioso Lucius Etruscus).
Forse per questo la storia è
approdata sulle scrivanie giuste per una di quelle co-produzioni
italo-francesi in uso all’epoca, che si realizza nel 1970 per mano
dell’eclettico Terence Young, già regista di tre dei primi
quattro film di James Bond. Mezzo secolo fa (e ricordo di averlo
visto al cinema, ancorché in seconda visione).
La versione francese mantiene il titolo dell’edizione del romanzo
(letteralmente: «Da parte degli amici»), quella italiana
assume quello suggestivo de L’uomo dalle due ombre, quella
in inglese un più banale Cold Sweat («Sudore
freddo»). Tra gli sceneggiatori figura nientemeno che Albert
Simonin, già autore del romanzo Grisbi (da cui il
celebre film con Jean Gabin) e del copione di Colpo grosso al
casinò (in cui Gabin era affiancato dal giovane Alain
Delon), tratto da un libro dello scrittore americano John Trinian.
Qualche suggestione de L’uomo dalle due ombre deriva di
certo dall’episodio televisivo hitchcockiano, di cui ritroviamo
alcuni momenti, ma la storia viene trasferita dalle parti di
Beaulieau-sur-Mer. Il protagonista stavolta è Charles Bronson,
che dopo C’era una volta il West è spesso sulla scena
europea: sono dello stesso anno il francese L’uomo venuto dalla
pioggia e l’italiano Città
violenta.
Con la scelta dell’interprete cambia, in modo radicale,
l’atteggiamento del protagonista. Se in origine Chris era un onesto
commerciante con una macchia criminale nel passato, qui diventa Joe, un
autentico duro, ex-soldato americano, reduce dalla guerra di Corea e
poi GI in Germania, finito in carcere per essersela presa con un
superiore e trovatosi a evadere con i membri di una gang di
ex-militari, con l’incarico di guidare l’auto della fuga; in
questo caso a farne le spese è stato un poliziotto tedesco e
Joe Moran è fuggito in macchina, lasciando i complici nei
guai.
Ora l’uomo si fa chiamare Joe Martin, gestisce una barca a noleggio
per turisti in Costa Azzurra e vive con la moglie Fabienne (Liv
Ullmann) e la figlia undicenne di costei. Ma i suoi ex-amici hanno in
ballo un affare in cui farebbe comodo la sua barca, prima di fargli
pagare lo sgarro. E che ex-amici: James Mason, Michel Constantin,
Luigi Pistilli e Jean Topart (nel ruolo del più pericoloso, imprevedibile e
tenace di tutti), cui si è aggiunta la svaporata Moira (Jill
Ireland, nella vita la moglie di Bronson, qui in una versione
deliziosamente hippie).
Né Joe né Fabienne cedono alla paura e anche la protagonista femminile,
pur non avendo trascorsi delinquenziali, rivela un’opportuna
prontezza di riflessi. Quanto a Joe, dimostra il suo valore al
volante in una sequenza automobilistica allestita dal maestro degli
stunt europei anni Settanta, ovvero Remy Julienne.
L’incubo della
storia originale lascia posto via via a un noir d’azione, in cui i
piani di tutti – buoni e cattivi – falliscono, ma nel finale sono
i buoni a prevalere, concordi nel mantenere il silenzio
sull’accaduto. Ed è qui forse la differenza principale tra
la versione tv americana e quella filmica europea, separate da meno di un
decennio, ma anche simbolicamente dal Sessantotto e dal Vietnam (cui si fa qualche pungente allusione): non si sente alcun
bisogno di espiazione, specie se i peccati sono di altri.