sabato 6 aprile 2024

Dawn of War


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Un film di spionaggio di altissimo livello datato 2020, che credo inedito in Italia, ma ritengo imperdibile per gli appassionati della spy story realistica, alla John Le Carré per intenderci. Uscito sui circuiti internazionali nel 2021, visto e apprezzato in Spagna (dove l'ho trovato in blu-ray), nel Regno Unito e negli USA. è una co-produzione estone-lettone-lituano-finlandese diretta da Margus Paju. Il titolo originale è O2, che sta per Osakond 2, ovvero "Dipartimento 2", la sezione dei servizi segreti dell'Estonia che negli anni Trenta indagava sugli affari sovietici.
La storia si svolge prevalentemente a Tallin, Estonia, nell'estate del 1939, con alcuni flashback nel 1937. Il protagonista è Feliks Kangur, agente segreto che ha abbandonato una brillante carriera per diventare residente dello spionaggio estone a Helsinki. La vera causa è un drammatico episodio, chiarito gradualmente nel film, che lo ha colpito a livello personale. Ma, quando un suo amico e collega viene assassinato a Tallin, Feliks viene richiamato in patria per scoprire i retroscena dell'omicidio.
Siamo alle soglie della Seconda Guerra Mondiale e, mentre l'Europa occidentale comincia vagamente a preoccuparsi dell'Asse di Hitler e Mussolini, il piccolo paese baltico che ha come scomodo vicino l'Unione Sovietica deve fare i conti con le mire espansionistiche di Stalin, specie dopo la firma del patto Molotov-Ribbentropp per la spartizione dell'Europa dell'Est fra Terzo Reich e URSS.

L'O2 dispone di un informatore, un irrequieto agente sovietico di stanza a Tallin che ha parecchi pensieri per la testa, a partire dalla moglie troppo amante della bella vita. Dietro l'assassinio c'è la caccia a un infiltrato russo in Estonia, nome in codice "Souffleur". Con l'aiuto di un ex ladro di appartamenti reclutato dal suo servizio segreto, Feliks è costretto a indagare su tutti i membri del Dipartimento. Ma intanto trova una pista che potrebbe condurlo al Santo Graal di tutte le spie del suo Paese: i codici segreti dell'Armata Rossa.
Non tutti sono ciò che sembrano e il cammino è sempre più rischioso ogni minuto che passa. Anche perché il Patto Molotov-Ribbentropp ha già stabilito che l'Estonia venga occupata dai sovietici alla faccia del diritto internazionale, quindi la scelta per il governo di Tallin è lasciar entrare passivamente l'Armata Rossa aprendo le frontiere, oppure subire un'invasione sanguinosa. Feliks però è deciso a rischiare tutto, perché anche se il suo Paese è condannato, anche se non tutto andrà secondo i piani, potrebbe riuscire ugualmente a salvare vite umane.
Chi conosce la Storia, sa com'è andata dopo la fine del film: Stalin occupò l'Estonia, costretta a cedere all'ultimatum, rifiutato invece dalla Finlandia che riuscì a resistere all'invasione sovietica; Hitler tradì il Patto Molotov-Ribbentropp e, oltre ad attaccare l'URSS, occupò i Paesi Baltici; i quali, dopo la caduta del nazismo, finirono di nuovo nelle mani di Stalin, con il pretesto che già prima "volessero" far parte dell'Unione Sovietica. Avrebbero ritrovato la libertà solo nel 1991, con la caduta dell'URSS (fino a un'eventuale prossima invasione russa, beninteso).

Un film coinvolgente ben scritto, ben diretto e ben recitato, che - se si ha la fortuna di trovare sottotitoli in una lingua comprensibile - andrebbe visto con il sonoro originale, in cui i personaggi dialogano tra loro di volta in volta in estone, russo, francese e tedesco.
Notevole la ricostruzione degli ambienti e delle atmosfere, che portano il pubblico nella realtà della fine degli anni Trenta, tra serate eleganti e dittature incombenti, tra le pieghe di una vicenda che non andrebbe dimenticata ma che alle nostre latitudini è pressoché ignota.
Può sembrare curioso che questo film sia uscito in Estonia proprio nell'ottobre del 2020, ma forse non troppo, pensando all'occupazione russa della Crimea nel 2014. La Storia si ripete e non conoscerla può essere pericoloso.

giovedì 28 marzo 2024

Stefano Di Marino, il Prof della narrativa

Stefano Di Marino in una foto di A. C. Cappi

Ricordo di Andrea Carlo Cappi

"Scrivere tutti i giorni", rispondeva, quando gli si chiedeva il segreto della sua prolificità: un consiglio che regalava - come tanti altri - a chiunque volesse avventurarsi nella narrativa di genere. Quindi oggi - 28 febbraio 2024, il giorno in cui Stefano "Il Prof" Di Marino avrebbe compiuto sessantatré anni - ho fatto anch'io il mio dovere. Ho scritto un bel po' di capitoli del romanzo che pubblicherò quest'estate in Segretissimo di Mondadori, dove spesso uscivamo contemporaneamente: io con un romanzo di "Agente Nightshade", lui con lo speciale "Il Professionista Story" con protagonista Chance Renard, il personaggio made in Italy di maggior successo della collana e della spy story.
Ma, anche se su Segretissimo si firmava Stephen Gunn, uno dei tanti pseudonimi che, volente o nolente, ha usato nella sua carriera, con il suo nome e cognome ha pubblicato un grande numero di opere, non ultimi i romanzi della trilogia di "Montecristo", nella stessa collana, e quelli del ciclo di Bas Salieri pubblicati da Il Giallo Mondadori, così come molti altri libri di fiction e non fiction presso vari editori. Tanto da poter essere considerato da chiunque un autentico gigante della narrativa popolare italiana, senza nemmeno bisogno di andare a controllare la sua pagina su Wikipedia. Non ricordo quante volte l'ho presentato pubblicamente sottolineando anche che era l'autore "di genere" più venduto in Italia.
Malgrado sappia bene come vanno certe cose, ancora trovo curioso che sia stato pressoché ignorato dai media in vita e non abbia nemmeno avuto una rivalutazione post mortem, al di fuori del pubblico che lo ha sempre seguito fedelmente sotto le sue varie identità. Si vede che il suo successo fa paura oggi come allora, quindi occorre reprimerlo per evitare che dilaghi.

Sicché si è parlato poco del suo romanzo postumo La casa delle salamandre, quarto del suo ciclo di Bas Salieri, uscito nell'estate 2023 nella versione da libreria de Il Giallo Mondadori, una collana in cui appaiono autori riconosciuti come tali. Quasi nessuno si era accorto del thriller Il bacio della mantide, edito da Oakmond poco prima della sua scomparsa, all'inizio dell'estate 2021. E si è sempre parlato poco anche dei suoi numerosi saggi, alcuni dei quali tuttora in commercio, che hanno coperto gli argomenti più svariati: dalla storia del West a quella della Legione Straniera, dai fumetti al cinema, senza dimenticare le arti marziali di cui è stato esperto e praticante.
Di fronte al disinteresse mediatico generale, rimane il ricordo ininterrotto da parte del suo pubblico, che ne sente la perenne mancanza in edicola, in libreria e sui social network, dove Stefano era una continua fonte di informazioni su quanto di interessante veniva pubblicato o filmato nel mondo, oltre che di materiale del passato, in tutti i campi dell'intrattenimento popolare di qualità. Uno di quegli elementi che rendono un autore indispensabile anche per gli "addetti ai lavori". I libri di Stefano Di Marino sono del resto una lezione di cui dovrebbero far tesoro proprio coloro che si occupano di fiction in tutte le sue forme.
Molti dei suoi fedeli lettori e lettrici - colleghi e colleghe inclusi - divenuti suoi amici nel corso degli anni, hanno fatto anche di più che ricordarlo. Nell'estate 2023, sfidando temperature tropicali e impegni di lavoro, hanno unito le forze dandosi da fare giorno e notte per settimane, in modo da mettere in salvo il suo prezioso patrimonio culturale - sotto forma di libri, film, fotografie, ricordi dei suoi viaggi - prima che il suo appartamento milanese fosse messo in vendita.

Dico spesso, a proposito del mio "fratello" Andrea G. Pinketts, che uno scrittore è vivo finché si possono leggere i suoi libri. In un certo senso, anche Stefano era un "fratello", non foss'altro perché, lavorando negli stessi territori, spesso è capitato che ci confondessero l'uno con l'altro. Quindi io spero sempre che, come il Conte di Montecristo, Stefano possa tornare per compiere la sua vendetta, in modo pacifico ma clamoroso, prendendosi il successo che avrebbe meritato in oltre trent'anni di assoluta superiorità nel panorama della narrativa popolare italiana: una posizione per cui lo paragono non soltanto a Emilio Salgari, cui è stato spesso accostato, ma anche a Scerbanenco. E i giornali hanno perso pure l'occasione di associarlo non solo, nuovamente, a Salgari, ma anche a Hemingway, dal momento che - oltre a condividerne la passione per l'avventura - ha scelto di suicidarsi centodieci anni dopo il primo e sessanta dopo il secondo.
Stiamo cercando di non farlo dimenticare. Segretissimo lancia ogni anno il Premio Stefano Di Marino per un racconto spionistico inedito. Il Premio Torre Crawford ha inserito, nel suo concorso annuale, il Premio Il Prof, che seleziona tra i racconti partecipanti quello che più si avvicina al suo modo di affrontare qualsiasi tipo di genere letterario.
Due giorni fa è uscito un nuovo numero della collana in ebook Spy Game-Storie della Guerra Fredda pubblicata da Delos Digital. La creò lui nel 2019 e la curò fino al n. 22. Su incarico di Delos, l'ho ripresa dal 2023, mantenendo in vita almeno una delle sue creature. Segretissimo intende riprendere la collana "Il Professionista Story", quantomeno con le riedizioni di titoli già apparsi in passato; cercherò di dare il mio contributo. Ma, se mai sarà possibile, vorrei far ripubblicare anche i suoi libri che non rientrano direttamente nei generi giallo e spionistico, ma praticamente in tutti i campi del romanzo d'avventura e del fantastico. E, come molti suoi amici, sono sicuro che ci sono ancora suoi tesori inediti: se i suoi eredi mi permetteranno di avere accesso al suo computer, sarà un'avventura gloriosa quella di andare alla ricerca delle avventure perdute di Stefano Di Marino. 

venerdì 22 marzo 2024

Iperwriters - Ancora libero porno

Photo: Kurt Cotoaga on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 43 - Ancora libero porno

Venerdì, ore 13. Saremmo stati felicissimi senza il bovarismo degli scrittori, e con una rendita garantita. Purtroppo, all'inizio degli anni '90 non c'era il reddito di cittadinanza, Per i primi due anni ci avrebbe veramente fatto vivere con più comodità e meno ansia. Invece, sopportavamo il freddo per risparmiare sul gas e guardavamo all'avvenire come a un probabile abisso senza fondo.
Max non aveva più i suoi lavori precari e la compagnia teatrale che portava in giro spettacoli per bambini nelle scuole. E io, non avendo più i fumetti, ne avevo approfittato per laurearmi e chiudere con l'Università.
È già una sciagura dover lavorare per vivere. Bisogna rientrare in qualche modo nell'editoria, per non finire in una scuola a insegnare a delinquenti minorili, o in un ufficio ad archiviare documenti di cui non ci frega nulla o, peggio, a pulire camere d'albergo.
Poi un contatto casuale. Non ricordo neppure chi mi segnala questo studio di Milano. E non ricordo neppure il primo incontro con il titolare. Scopro che da lì passa la maggior parte degli autori che scrivono per la Ediperiodici.
Questa casa editrice, che avrebbe avuto ancora pochi anni di vita prima di essere uccisa dalla pornografia VHS, era il principale punto di riferimento di consumatori de fumetto erotico soft (e in seguito hard). Le storie spaziavano in ogni genere, e l'horror anticipava l'attuale slasher movie. Per saperne di più sulla storia della casa editrice e le sue testate storiche: https://it.wikipedia.org/wiki/Ediperiodici
Avevo già collaborato alle collane Oltretomba e Terror, curioso melange di horror ed erotico. Le sceneggiature mi avevano messa a dura prova. Cento tavole da due, un racconto articolato in duecento quadri. Quasi una sceneggiatura cinematografica, ulteriormente complicata dall'alto standard tecnico richiesto dalla redazione e dalla coesistenza di due generi che solitamente venivano incrociati solo nei film.
Molto più semplici da scrivere le collane come Corna vissute e I casi della vita, la prima vicina alla commedia italiana, la seconda alla cronaca nera, che sopravvive tuttora in stampa, televisione e fiction.
In breve, mi ritrovo a scrivere quattro storie mensili, due da cento tavole e due più brevi da sessanta.
Per un compenso più o meno pari a un reddito di cittadinanza.

venerdì 8 marzo 2024

Iperwriters - Felicità malgrado

Photo: Venti Views on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 42 - Felicità malgrado

Venerdì, ore 13. Cominciano i favolosi anni '90, quando qualche straccio di autore arrivava ancora nelle librerie (sotto forma di libro, non di presentazione del) e si facevano ancora i film.
Max e io leggevamo e prendevano ancora il treno per andare al cinema. Saremmo stati felici.
Se.
Se non avessimo dovuto lavorare per vivere.
Se non fossimo stati tanto maltrattati dal mondo negli anni più teneri.
Se non fossimo stati malati. La nostra malattia si potrebbe definire bovarismo degli scrittori. Avevamo letto troppe storie su scrittori che da ultimi (Vangelo docet) erano diventati i primi. Che avevano avuto la loro rivincita su povertà, privazioni, sofferenze, delusioni, amarezze, bullismi di scuola e quartiere, attraverso la letteratura. Che avevano infettato una platea di lettori (sufficientemente grande da poter rappresentare una società malvagia e nemica) del male ricevuto da quella stessa società, trasformato alchemicamente in parole magiche. Che poi forse si erano suicidati ugualmente, ma riscattati e dopo aver regolato i conti. Un po' di sogno americano, un po' di leggende francesi, un po' di santa voglia di rivincita.
Non ci sarebbe stato nessun riscatto. Ma negli anni 90 era ancora possibile sognarlo, e quando brindavano al nostro ultimo anno da pezzenti, un anno dopo l'altro, eravamo felici perché ci credevamo.
Max, nella sua modestia, non pensava di avere talento per scrivere e puntava su di me. Nella sua purezza, era convinto che sarebbe stato stimato e premiato per questo. Ora, se un maschio si pone verso una femmina come normalmente e comunemente si pone una donna verso un uomo, è un paria agli occhi dei popoli. Più disprezzato di una donna o di un gay in quanto non "un vero uomo", e senza la scusante di avere la vagina o un diverso orientamento sessuale. Max non era neppure più apprezzato dalle donne per il rispetto che aveva per me. Né, anche e soprattutto, dagli intellettuali di sinistra.
Più avanti nel tempo, perdute tutte le illusioni, gli avrei detto: "Tesoro, potessimo tornare indietro, farei firmare tutti i miei libri a te. Ti presenteresti agli eventi sociali come genio e io farei la parte della moglie. L'ordine del cosmo ristabilito, li faremmo fessi e ci divertiremmo come matti".
Ah, sì, eravamo felici.

martedì 5 marzo 2024

Bond Anno Zero

 

Riflessioni di Andrea Carlo Cappi

Se nel 2023 sono passati settant'anni dalla pubblicazione del romanzo Casinò Royale, nel 2024 ricorre per James Bond un altro importante anniversario: il 12 agosto 1964 moriva a cinquantasei anni il suo creatore Ian Fleming e solo qualche mese dopo nel mondo intero scoppiava la cosiddetta Bondmania, con l'uscita natalizia del film Agente 007 - Missione Goldfinger (terzo della serie, che però in Italia sarebbe stato proiettato dal febbraio 1965).
In occasione di questo doppio sessantennale, dal 5 marzo 2024 a Milano la Fondazione Culturale San Fedele (piazza San Fedele 4) organizza Bond Anno Zero, una rassegna cinematografica con l'intervento di esperti e l'amichevole partecipazione di Edward Coffrini Dell'Orto, co-autore con me di vari saggi sul "Mondo Bond". La domanda è: cos'è stato e cosa diventerà James Bond? Vengono proposti, in lingua originale e sottotitolati, cinque ottimi film dell'agente 007, tra cui a mio avviso i due migliori in assoluto, vale a dire Dalla Russia con amore (1963, ma in Italia la prima ebbe luogo il 31 gennaio 1964) e Casinò Royale (2006, che da noi arrivò il 5 gennaio 2007).
Nella rassegna il protagonista appare con i volti di cinque interpreti diversi: nell'ordine, Sean Connery, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e Daniel Craig (manca all'appello solo George Lazenby, che sostituì Sean Connery per un unico episodio, Al servizio segreto di Sua Maestà del 1969). Ma c'è un ulteriore criterio per la selezione delle pellicole: ognuna è molto indicativa dell'epoca in cui è state realizzata. I cinque appuntamenti, di cui qui sotto trovate il programma, mi portano quindi a riflettere sui rapporti tra lo 007 cinematografico e i tempi in cui è stato proposto sul grande schermo.


Dalla Russia con amore
, tratto dal quinto romanzo di Fleming (datato 1957), è il secondo film della serie realizzata dalla EON Productions dopo l'esordio di Sean Connery nel ruolo di James Bond in Licenza di uccidere (1962) che invece si basava sul sesto libro della saga; ma, per varie ragioni, la continuity cinematografica è diversa da quella letteraria. Sotto molti aspetti tuttavia Dalla Russia con amore rappresenta una "prima volta": è il primo Bond movie ad aprirsi con una sequenza prima dei titoli di testa, i quali dal canto loro assumono qui lo stile che diverrà caratteristico dell'intera serie; è il primo in cui appaia l'attore Desmond Llewelyn nel ruolo di "Q", ideatore delle attrezzature che il protagonista userà in missione; inoltre è il primo in cui l'intera colonna sonora sia opera di John Barry, il musicista che, dopo avere orchestrato il celebre James Bond Theme di Monty Norman nel film precedente, delinea ora lo stile classico dello score di 007.
Sean Connery interpreta un Bond più "anni Sessanta" rispetto ai libri, un agente segreto playboy più che un tormentato operativo del servizio segreto britannico. Pur con qualche ritocco della trama in chiave spettacolare, il film Dalla Russia con amore rimane pressoché fedele alla vicenda di spionaggio del libro. Ma, anche se vengono rispettati il contesto della Guerra Fredda e la contesa tra agenti segreti britannici e sovetici, nel passaggio da libro a film cambiano i "veri" avversari di Bond: è in azione la SPECTRE. Questa organizzazione internazionale era stata concepita proprio pensando al cinema e, apparsa nei romanzi di Fleming dal 1961, è stata immediatamente inserita nelle sceneggiature di 007 tratte anche da libri precedenti. Alla SPECTRE fanno infatti capo quasi tutti i nemici di James Bond nel suo primo decennio sullo schermo.
Nondimeno, Dalla Russia con amore è il film più vicino a Ian Fleming come epoca e atmosfere. Nella realizzazione del regista Terence Young si avverte persino un certo sapore hitchcockiano, con la bionda attrice italiana Daniela Bianchi nel ruolo di Tatiana Romanova, coinvolta in un gioco che la vede pedina involontaria.

Il secondo film della rassegna è Vivi e lascia morire, ottavo della serie e primo in cui Roger Moore indossa i panni di James Bond nella versione più ironica già adottata da Sean Connery negli ultimi anni. Nel primo decennio sul grande schermo, la serie 007 si è arricchita non solo di humour e azione, ma anche di elementi fantascientifici e di parecchie infedeltà (quando non veri e propri tradimenti) rispetto ai romanzi originali.
Il libro Vivi e lascia morire del 1954 (il secondo scritto da Fleming) era a metà tra noir spionistico negli USA e avventura esotica nella Giamaica tanto amata dallo scrittore; e l'avversario di Bond era "Mister Big", primo grande boss della malavita afroamericana, legato a un culto voodoo e in loschi affari con i servizi segreti sovietici. Il film stavolta rinuncia alla fantascienza e recupera dal libro i temi del gangsterismo e del voodoo, cui viene dato ampio spazio, addirittura con qualche sottile suggestione esoterica che ispirerà anche Indiana Jones: una celebre gag de I predatori dell'arca perduta proviene proprio da questo film...
Ma soprattutto Vivi e lascia morire viene girato vent'anni dopo che Fleming ha scritto il romanzo. E nel 1973 negli USA è appena esplosa la moda della blaxploitation, il cinema con protagonisti afroamericani, che vede nella serie Shaft (dai romanzi di Ernest Tidyman) la risposta "nera" a 007. Sicché il film Vivi e lascia morire non solo è per stile e costumi vicino alla blaxploitation, ma è anche popolato da varie star afroamericane di quella stagione: mi permetto di citare Gloria Hendry nel ruolo di Rosie Carter, le cui scene d'amore interrazziale con 007 furono censurate nel Sudafrica dell'apartheidE persino la colonna sonora, per la quale John Barry si prende una pausa, si divide tra la title song di Paul McCartney e lo score di George Martin (il "quinto Beatle") dalle sonorità molto 70's.

Il terzo film della rassegna è Vendetta privata, del 1989, sedicesimo della serie ufficiale della EON (in mezzo si era introdotta nel 1983 una pellicola di produzione "rivale", Mai dire mai, in cui Sean Connery riprendeva la parte di 007) oltre che secondo e ultimo con Timothy Dalton nel ruolo di James Bond.
Con lui si cerca di tornare a un approccio più serio e noir al personaggio, riavvicinando la serie cinematografica ai romanzi da cui spesso si è distaccata. La sceneggiatura non si basa però su alcun libro, eccetto alcuni capitoli di Vivi e lascia morire - tra cui uno molto drammatico - che non erano stati usati per il film del 1973. L'intreccio fa pensare ai romanzi dedicati a 007 da John Gardner, all'epoca continuatore ufficiale della saga letteraria, che di questo film firma infatti la novelization. Curiosamente, il titolo in inglese della pellicola è Licence to Kill ("Licenza di uccidere") ma per l'edizione italiana dev'essere cambiato, dal momento che da noi era stato impiegato per la prima pellicola della serie, nell'edizione originale Doctor No.
Ma a rendere questo film forse il più rappresentativo del Bond anni Ottanta è la vicinanza per stile e argomento alla serie tv di maggior successo di quel decennio, Miami Vice. Qui infatti Bond affronta tra Florida e America Centrale uno spietato narcotrafficante con cui ha un conto aperto a livello personale; per compiere la sua private vendetta arriva al punto di farsi sospendere dal servizio segreto britannico e fingersi un mercenario, in modo da infltrarsi nell'organizzazione del suo avversario e distruggerla dall'interno. Lo score di Michael Kamen si alterna a numerosi brani cantati, secondo la tradizione degli album delle colonne sonore del decennio.

La proposta successiva della rassegna, GoldenEye, è la pellicola seguente nella saga, uscita dopo un lungo intervallo nel 1995, e la prima con Pierce Brosnan, da anni in lista d'attesa per il ruolo di 007. Nel frattempo ha avuto luogo il crollo dell'URSS, la Guerra Fredda è finita (o almeno così si crede a quel tempo) e si può persino girare parte delle scene in Russia. Di certo questo film rappresenta un'epoca di transizione particolarmente rilevante nel campo della spy story, in cui le ombre del passato sovietico e del KGB rischiano di soffocare lo spirito della perestrojka.
Perciò James Bond, in una storia scritta appositamente per lo schermo (con puntuale novelization di John Gardner) deve debellare un ex collega che si rivela in realtà un pericoloso avversario equipaggiato con la più avanzata tecnologia che si possa rubare. Be', d'accordo, il nemico è interpretato da Sean Bean, quindi oggi sappiamo tutti che il suo personaggio avrà scarse probabilità di sopravvivere.
Le musiche, atipiche, sono del lucbessoniano Eric Serra, mentre la canzone dei titoli vede la collaborazione fra Tina Turner e parte degli U2. In realtà GoldenEye fu il nome in codice di un'operazione segreta concepita da Ian Fleming durante la Seconda guerra mondiale, quando lavorava presso il servizo segreto della Royal Navy: con esso lo scrittore battezzò poi la propria casa in Giamaica, in cui dal 1952 ogni anno si ritirava a scrivere un romanzo di James Bond. Per questo Goldeneye era stato anche il titolo di un interessante tv movie sulla vita di Fleming, ben interpretato da Charles Dance.

Ultimo appuntamento della rassegna: Casinò Royale, primo film della pentalogia con Daniel Craig giunta sugli schermi tra il 2006 e il 2021, tratto però dal primissimo romanzo di Ian Fleming, pubblicato nel 1953. Lo scrittore ne aveva venduto l'anno dopo i diritti televisivi (grazie ai quali ne era stato subito realizzato un adattamento per la tv nel 1954) e cinematografici, questi ultimi però a una compagnia che non ne aveva fatto nulla. Quando la EON cominciò a girare la serie nel 1962, non potê acquisire i diritti, che seguirono invece un bizzarro percorso e generarono nel 1967 un film "concorrente", parodistico e psichedelico, intitolato James Bond 007 - Casinò Royale.
Ma, dopo mezzo secolo, finalmente la EON ha la possibilità di portare il libro sullo schermo e decide di fare un vero e proprio reboot con un "nuovo" James Bond che acquisisce la licenza di uccidere negli anni Duemila (anche se il ruolo del suo capo, M, tocca a Judi Dench, apparsa nella stessa parte nei film con Pierce Brosnan). Da anni si percepisce il desiderio di tornare allo spirito più serio di Ian Fleming, sia al cinema con occasionali tentativi, sia (con successo) nei romanzi, grazie al nuovo ciclo scritto da Raymond Benson tra il 1997 e il 2002. Il problema è che il pubblico cinematografico da 007 si aspetta più un action movie sfrenato che un cupo noir spionistico anni Cinquanta, come appunto il romanzo Casinò Royale.
Una brillante sceneggiatura che recupera l'intera trama del libro, riadattandola ai tempi e inserendola in una cornice credibile con la giusta dose di azione, permette di realizzare una perfetta simbiosi tra tutti gli elementi. Così nel 2006 arriva sullo schermo un James Bond più fedele al personaggio letterario rispetto a tutte le sue incarnazioni precedenti. E finalmente si vedono in scena due personaggi fondamentali di Fleming: Vesper Lynd (Eva Green) e René Mathis (Giancarlo Giannini), accompagnati da una canzone di Chris Cornell e da uno score di David Arnold, degno erede di John Barry. Alla regia è stato chiamato Martin Campbell, che già aveva rivitalizzato la serie 007 dirigendo GoldenEye.

Così arriviamo ai nostri tempi. Ora che Daniel Craig ha concluso il suo percorso come James Bond, con il finale di No Time To Die che richiama quello (mai usato precedentemente al cinema) del romanzo Si vive solo due volte, ci si aspetta quanto promesso dalla consueta frase nei titoli di coda: James Bond will return.
Ma come tornerà? Con un nuovo reboot o con un autentico sequel che vedrà in scena il nuovo interprete, chiunque sia? E riuscirà a mantenere lo spirito di Ian Fleming, in tempi come questi in cui persino i suoi romanzi scritti negli anni Cinquanta e Sessanta rischiano di essere ritoccati, nella presunzione di adattarli a un nuovo linguaggio politicamente corretto?
Se si dovesse ripartire sul serio da zero, in realtà varrebbe la pena di recuperare uno 007 filologico, che dovrebbe essere ambientato proprio negli anni Cinquanta e girato in bianco e nero, con lo stesso sapore hardboiled dei libri... Lo vedo improbabile. In ogni caso, James Bond non è certo un personaggio che si possa esaurire in un fugace e dimenticabile reel su un social network.

giovedì 29 febbraio 2024

Spy Game incontra Franco Luparia


Continua su Borderfiction Zone la serie di incontri con gli autori della collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda. Dopo Enzo Verrengia, Giovanni Ingrosso, Andrea Carlo Cappi, Valentina Di Rienzo ed Enrico Luceri. è il turno di Franco Luparia, tra i primi a essere chiamato da Stefano Di Marino a far parte della collana e ora presente con la sua nuova serie de "Il gentiluomo". Del resto, stiamo parlando di una figura molto attiva nel campo della spy-story italiana: con il suo alias Jason Hunter, Franco Luparia pubblica per Edizioni della Goccia la serie Wildguy e per Segretissimo Mondadori la serie Agente Roachford, inaugurata dal romanzo Caccia all'incubo, vincitore del Premio Alan D. Altieri 2020.


SG: Parlaci innanzitutto della tua nuova serie, cominciata con «Un gentiluomo alla deriva», con protagonisti Sir Rowan Greville e il suo maggiordono Irving Murdoch.

Sir Rowan Greville, il gentiluomo che è il fulcro della saga, è un giovane che rifugge il pesante retaggio familiare e le etichette tipiche dell’alta società inglese, ancora ben radicate sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso, epoca in cui la vicenda è ambientata. È uno scavezzacollo giramondo che attira guai ovunque vada; l’esatto opposto del suo maggiordomo Irving Murdoch, uomo riflessivo, prudente e pacato, obbligato da un antico patto a servire e proteggere i membri della dinastia Greville. Allo stesso tempo i due sono complementari: nel corso del primo episodio, Un gentiluomo alla deriva, si scopre come entrambi abbiano spesso calcato in perfetta sintonia campi di fuoco intrisi di sangue, violenza e pericolo.
Insomma, sono uomini d’azione pronti a tutto e Sir Greville può ringraziare l’addestramento ricevuto dal mentore/servitore per essere diventato tale. Dopo avere accompagnato sull’orlo del baratro economico le attività familiari, Rowan decide di mettere le mani su buona parte del denaro rimasto per fuggire altrove sotto una nuova identità, coinvolgendo il fido Irving, legato a lui da secolare giuramento. Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco e gli imprevisti che si succedono costringono i nostri eroi a impiegare le proprie abilità in maniera completamente differente, inventandosi spie per conto del proprio governo.
Questo è l’inizio, il resto scopritelo leggendo la prima stagione della “saga del Gentiluomo”. Per completezza di informazione le fonti di ispirazione sono essenzialmente due: Bruce Wayne e Alfred, anche se va detto che l’alter ego di Batman sa come badare all’immenso patrimonio consegnatogli dai genitori. Nelle più recenti evoluzioni in realtà ne ha perso una grossa fetta ma per responsabilità, manco a dirlo, di Joker e non sua. Inoltre mi rifaccio anche a SAS Malko Linge di Gerard De Villiers, che esercita il nobile mestiere al fine di permettersi l’infinita opera di ristrutturazione del castello di famiglia.



SG: Questa non è la tua prima partecipazione a Spy Game: nella collana dedicata allo spionaggio nella Guerra Fredda hai già pubblicato Operazione Saba e i due episodi dedicati alla Rondine, Una rondine rosso sangue e A volo di rondine.

Vero e… a proposito di fonti di ispirazione: avevo visto da poco Red Sea Diving, film con Chris Evans che ripercorreva la vera storia di un'operazione avviata dal Mossad in Sudan, organizzata con il fine di permettere ai Falasci etiopi di raggiungere la Terra Promessa, ovvero Israele. Tele etnia, di origine ebraica, fu a lungo oggetto in patria di crudeli persecuzioni in odore di pulizia etnica. La vicenda mi aveva coinvolto e appassionato al punto tale che, una volta ricevuto da Stefano Di Marino l’invito a collaborare con la collana, ho deciso di dire la mia tramite le gesta di un personaggio di pura fantasia che ho fatto agire accanto ad altri realmente esistiti.
Colton Bryce, protagonista di Operazione Saba, è il classico belloccio dal fisico scolpito, amante della scoppiettante vita notturna nella New York di fine anni Settanta, agente di una CIA che lo ha relegato in un angolo a causa di intemperanze passate. Il suo riscatto potrà realizzarsi solamente catturando una talpa russa, fuggita da Washington portando con sé un microfilm contenente segreti di vitale importanza per l’intelligence statunitense. E, guarda caso, la pista dell’infiltrato lo conduce in Sudan, tra i falasci in fuga. Attualmente le sue gesta costituiscono un one-shot a cui non ho mai pensato di dare seguito. Ma chi è che diceva “mai dire mai”?
Destino leggermente diverso per Fedora Kuznetzova, protagonista di Una rondine rosso sangue e A volo di rondine. "Rondini" erano definite le poveracce che il Cremlino reclutava, quasi sempre in maniera poco ortodossa e contro la loro volontà, per venire impiegate nella riuscita delle tristemente note “trappole al miele”, nel corso delle quali erano obbligate a ricorrere ai più umilianti espedienti, in primis utilizzando e mercificando il proprio corpo, al fine di adescare, sorvegliare e gettare i semi per la definitiva rovina di soggetti sospettati di condurre attività potenzialmente dannose per l’Unione Sovietica.
Ho inventato di sana pianta lo status di “Rondine rosso sangue”, evoluzione dell’incarico riservata a poche elette che dimostravano innate crudeltà e totale dedizione alla causa, oltre a competenze sessuali superiori alla media delle colleghe. A definitiva sublimazione il Cremlino riservava per tali soggetti il libero arbitrio necessario a intraprendere iniziative personali, se giudicate utili a portare a temine l’incarico; le concessioni comprendevano anche una aberrante "licenza di uccidere”.
Fedora è la massima espressione di tale corso: ai requisiti esposti aggiunge la peculiarità di trarre profondo piacere dai rapporti fisici intrattenuti con le sue vittime, e portare sempre a termine con successo le missioni assegnatele; del resto non trovo corretto o veritiero che, in ambito narrativo, debbano essere sempre i russi a perdere la partita. La bionda, che ovviamente è di un’avvenenza esplosiva, ha un ruolo determinante nel quarto romanzo del ciclo a firma Jason Hunter dedicato a Wildguy, intitolato Il giglio del Ragno Rosso, nel quale, in un lungo flashback ambientato negli anni Ottanta, si trova a confrontarsi con il padre del protagonista. Vorrei far tornare Fedora in Spy Game o, addirittura, proporre una sua versione invecchiata ma ancora insidiosa in un prossimo romanzo della serie Agente Roachford (scritto sempre con lo pseudonimo Jason Hunter).
Vorrei ancora aggiungere che con Delos ho collaborato anche alla collana Passport, su invito dell’amico Fabio Novel, e come in Irina e Sangue sul Caucaso si trovino parecchi spunti mutuati da action e spy story.


SG: In passato hai anche collaborato alla serie Dream Force, sempre di Delos Digital, che invece era dedicata alla formula della "spy story sexy".

Dream Force è stato un gioco gioioso, voluto e realizzato, come per la stessa Spy Game, da Stefano Di Marino. Sono convinto che si divertisse, non solo scrivendo in prima persona racconti spy-action tremendamente sporcaccioni ma anche arruolando altri autori per constatare fino a dove si spingessero nella descrizione delle numerose scene hot di cui doveva essere tassativamente dotato il manoscritto. Me lo vedo sorridere mentre immaginava l’eventuale imbarazzo che poteva tingere di rosso le guance dell’interpellato di turno.
Ammetto di essermi divertito parecchio nel realizzare il lavoro e nel leggere o ascoltare i commenti di chi li aveva letti, Stefano davanti a tutti. A giudicare dal numero di download e dalla longevità della collana reputo che il vecchio amico avesse visto lungo e che numerosi siano i cultori dell’Ifix Tcen Tcen e gli estimatori di Lisa Ann. Il mio lavoro più scaricato si intitola Duro come la pietra, il che la dice lunga sui contenuti… almeno credo.


SG: La spy story ha numerose declinazioni, ma tu sembri trovarti a tuo agio sia con quella "d’azione", sia con quella più classica. Qual è la tua visione personale del genere?

La spy story abbraccia entrambi i versanti. Mi trovo più a mio agio con trame lunghe, ambientate nel presente e che concedano maggior spazio all’azione. Negli anni tale concetto è cambiato, divenendo via via sempre più estremo, crudele, quasi apocalittico.Il racconto breve mi sta stretto, non per nulla le saghe pubblicate in Spy Game sono in più parti e trovo più impegnativo tentare di coinvolgere il lettore solo con la narrazione degli eventi e una massiccia dose di dialoghi. Ma, se la sfida mi reclama, allora faccio il possibile per trovare il giusto compromesso: la riconvocazione di Andrea Carlo Cappi è stata un onore, come lo è comparire in una collana a fianco di altri autori di cotanta bravura ed esperienza, per cui mi ci sono buttato a capofitto. Se ho centrato l’obiettivo, saranno i lettori a giudicarlo e i download a provarlo.


SG; Cosa ti ha fatto appassionare alla narrativa di spionaggio?

Per rispondere a questa domanda bisognerebbe iniziare da molto lontano. Tenterò di sintetizzare: la prima passione è stata l’avventura, di ambientazione contemporanea (per gli anni di una lontana gioventù), insieme al western, passando da Emilio Salgari, Joseph Conrad, Jules Verne e Alexandre Dumas. E, guarda caso, già almeno un paio di questi autori narravano di spie. Prima metà anni Ottanta: è scoppiato il grande amore per i romanzi di Eric van Lustbader; e poi Tom Clancy, John Le Carrè… Scusate, qui non ci stanno tutti ma la direzione presa per arrivare a Daniel Silva dovreste averla capita.
In seguito ho trascorso anni alla ricerca di emozioni che il classico giallo, o thriller, non è mai riuscito a darmi; difatti non ne faccio gran consumo, vi prego di non volermene. Un giorno, passando dall’edicola, decisi di riavvicinarmi a Segretissimo Mondadori, che da tempo non seguivo più. E qui la definitiva folgorazione, scaturita dalla lettura di nomi a me nuovi: Stephen Gunn, François Torrent, Alan D. Altieri, Secondo Signoroni, Jo Lancaster Reno, Rey Molina e così via. Tali letture, di autori che con il passare del tempo scoprivo essere italiani. hanno riportato in superficie la voglia di cimentarmi nella scrittura in prima persona, desiderio sopito almeno venticinque anni prima. Il resto è storia recente e ogni mia produzione deve tanto a ognuno di loro.


SG: Con la vittoria del Premio Alan D. Altieri per il romanzo inedito nel 2020 sei entrato a far parte della "Legione Straniera" di Segretissimo sotto lo pseudonimo di Jason Hunter, dando inizio alla serie Agente Roachford, di cui è uscito da poco il nuovo episodio, Il morso dello squalo. Raccontaci la tua esperienza nella storica collana di Mondadori.

Un sogno che non avrei mai pensato di vivere e che si è realizzato grazie alla giuria presieduta da Franco Forte, tra le cui attività ha grande rilevanza quella che lo vede alla guida delle testate da edicola di Mondadori. La mia stima e la gratitudine che provo nei suoi confronti sono infinite: mi ha indicato la direzione, mi ha ascoltato e sopportato con infinita pazienza, e ha presieduto la giuria che mi ha giudicato degno di vincere il Premio Altieri: un amico, un uomo di cultura, un mentore. Grazie! Senza nulla togliere agli altri che mi sono stati vicini, esortandomi a continuare nella direzione indicata e a migliorarmi di continuo, Stefano e Andrea in primis.
Ho ricordi indelebili della storica serata in cui ho ricevuto il premio al Mystfest di Cattolica addirittura dalle mani di Valerio Manfredi. Penso sia stata una delle serate più bollenti del millennio, almeno per me che tendo ad agitarmi e a sudare quando vengo premiato e coinvolto davanti a un pubblico stupendo quale quello che affollava il luogo in cui si teneva l’evento; a tale condizione si aggiungevano i trentanove gradi con il novanta per cento di umidità che alle ventidue ancora, ci avvolgevano. Non so come sono riuscito a spiccicare quattro parole senza svenire sul palco. Mi hanno applaudito, quindi missione compiuta. Stupendo, indimenticabile.
Ho conosciuto tutti i miei eroi che seguo e che diventavano in tale occasione anche colleghi. Ne mancavano almeno tre: Secondo Signoroni, che mi pare di capire non compaia spesso in pubblico, Andrea Carlo Cappi e Stefano Di Marino; ancora mi spiace. Vi assicuro di aver prontamente perdonato Andrea e Stefano: con loro, per mia fortuna, avevo già avuto occasione di trascorrere alcune belle serate a tema in Milano; il primo addirittura avevo avuto occasione di conoscerlo a Casale Monferrato, città in cui risiedo, in occasione di una tre giorni dedicata a Diabolik. Purtroppo non immaginavo che non avrei mai più avuto occasione di rivedere Stefano, non su questo piano astrale almeno, e ciò è ancora motivo di grande afflizione. E come non ricordarsi dell’affetto e della partecipazione del pubblico che han fatto sì che quella serata diventasse qualcosa di indimenticabile?
Oggi mi onoro di fare parte di una squadra che si è ampliata con nuovi ingressi, con i quali sono in contatto tramite chat singole o comuni, social e, più di rado, incontri dal vivo in occasione di eventi vari, primo tra tutti il Mystfest. Far parte della Legione è qualcosa che va al di là del semplice commento, bisogna farne parte per capirlo. Grazie a tale appartenenza ho stretto impagabili rapporti di amicizia con lettrici e lettori di ogni dove. Insomma, un’esperienza superlativa sotto tutti i punti di vista!


SG: Come molti autori di spionaggio, stai lavorando in un universo in cui i tuoi diversi cicli sono collegati tra loro: nelle storie del gentiluomo, oltre ad alludere alla Rondine, ci sono agganci alle serie Wildguy e Agente Roachford.

R - Se Cappi ha il suo Kverse, diamine, io ho idealizzato un personale Hunterverse che è parallelo a quello in cui si muovono Nightshade, il Professionista o lo Sniper. Almeno credo, come già detto: “mai dire mai"... Comunque sì, la fonte di ispirazione di questa visione è l’immenso Alan D. Altieri, che mantiene connessioni di continuità tra protagonisti e comprimari dei suoi lavori che vanno dal Medio Evo allo spazio profondo di un futuro non troppo lontano, passando per i tiri infallibili del colonnello Kane. Non mi spingo a raggio talmente ampio ma ho allargato man mano la mia personale cosmologia.
Partendo da Wildguy, il mio primo agente del caos, ho contagiato Roachford catapultandolo, dal secondo romanzo in avanti, in un ambiente di lavoro che è il medesimo in cui si muove Wildguy: stessa agenzia spionistica, stesso direttore, parecchi comprimari comuni, pur con cattivi e zone di azione differenti. I punti in comune sono molti, anche se non credo scriverò mai un crossover esteso. Comunque, prestate attenzione: i due si sono trovati costretti a collaborare nelle vicende narrate ne Gli angeli di Kabul racconto pubblicato nel luglio 2022 da Segretissimo Mondadori all’interno dell’antologico Big Wolf. Ho in mente anche un breve incontro di tipo colloquiale nel prossimo romanzo di Wildguy. Roba breve, seduti al tavolino di un bar affacciato sul mare, per intendersi.
Anche i miei Spy Game rientrano in tale universo: la Rondine, comparsa nel romanzo citato in precedenza, nei racconti che la vedono esordire ha uno stretto rapporto con il padre di un personaggio cardine della saga di Wildguy. Infine, senza spoilerare troppo, anticipo che nei prossimi episodi del Gentiluomo farà la sua comparsa un personaggio di peso nell’economia della serie appena citata. Puro divertimento, credetemi, che mi auguro tutti i lettori riescano a cogliere e di cui godere appieno.


SG: Per concludere, ti chiediamo un tuo ricordo personale dell’ideatore della collana Spy Game, oltre che più importante autore italiano di narrativa di genere e, in particolare, di spionaggio: Stefano Di Marino.

Solo al pensiero di formulare una risposta un nodo mi stringe la gola. Stefano è stato il primo autore di Segretissimo che ho avvicinato e incontrato, con cui mi sono dilungato a discorrere di temi cari a entrambi, a proposito dei quali era ben più formato del sottoscritto. Una persona di grande cultura, gentile, mite, spiritosa, un sognatore che ha preferito inseguire appunto quei sogni giovanili che tanto facevano parte del suo bagaglio, piuttosto che una strada all’apparenza già scritta, sfidando tutto e tutti, diventando uno dei più grandi e prolifici narratori del panorama di genere italiano.
Devo essere entrato in modo definitivo nelle sue corde quando, da mie battute e confidenze, ha capito di trovarsi di fronte a un ragazzaccio mai cresciuto che, senza mai accasarsi, ha frequentato per lungo tempo quei localacci e quelle donne di dubbia moralità che tanto piacevano a Chance Renard. E che forse, per lo stesso motivo, tanto ha apprezzato il Professionista. La sua assenza pesa e lo farà sempre, non solo nel mio cuore ma anche in quello di coloro che lo hanno conosciuto di persona o per mezzo dei suoi scritti. Ciao Stefano.
Giunti a questo punto voglio ringraziare il mio etereo intervistatore, BorderfictionZone che pubblicherà queste quattro chiacchiere, le altre case editrici che, oltre a Delos Digital, danno spazio ai miei prodotti (Mondadori ed Edizioni della Goccia) gli amici lettori tutti ai quali mando un abbraccio: senza di Voi non esisterebbero Jason Hunter o un Franco Luparia agente di commercio che scrive di agenti segreti.

Da Franco Luparia nella collana Spy Game:

venerdì 23 febbraio 2024

Iperwriters - Il paese più bello

Photo: Roger Hoyles on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 41 - Il paese più bello

Venerdì ore 13. Ancora verso la fine degli anni Ottanta. Viviamo nel paese più bello e più negletto dell'entroterra, a cui tutti preferiscono luoghi privi di laghi, luoghi asciutti scelti dai ricchi per le villeggiature. Inventati dai ricchi solo perché ci hanno costruito le loro case, creando una bellezza artificiale. Ma nel nostro paese la bellezza è naturale. I dintorni sono talmente belli da ospitare un concorso di pittura. Tutti sanno che i dintorni sono meravigliosi, con le incantevoli frazioni appese a mille metri di altezza, i laghetti, il prato chiamato "delle fate", i sentieri panoramici, i boschi di castagni. Ma quando si tratta di abitarci è come se non lo fossero.
Siamo arrivati lì da disoccupati, confusi e speranzosi. Ma stanno per tornare i fumetti, e anche le pubblicazioni.
Il nostro tenore di vita è basso, bassissimo, e tale resterà, anche nei periodi alti in cui ci limiteremo a risparmiare per l'avvenire. Una modesta casa ex contadina, impianti essenziali, mobili misto Ikea/rigattiere. Qualcuno arriccerà il naso con disprezzo, entrandoci. Niente auto, niente lussi, niente fashion, niente trend, niente status. Niente cellulare, nei primi anni in cui circolavano con umani attaccati a parlare nel vuoto. Ma il computer sì, siamo stati fra i primi ad averlo. La connessione a internet sì, siamo stati i primi ad averla, almeno a livello locale.
Ci vestiamo di stracci. Non da straccioni ottocenteschi, con i buchi negli indumenti e nelle scarpe, ma anticipando quel glamour per tutti che è comune oggi e omologa tutto il popolo che non è vip.
Nessuno vivrebbe come noi. Una condizione che chiunque della classe media (o appena un po' arricchito) non accetterebbe mai. Non si vive senza il parquet (che tutti vogliono, anche se lo chiamano palché), senza il divano di pelle bianca e senza andare al ristorante da cinque stelle sulle guide.
Noi, in quei ristoranti, ci andiamo solo per i compleanni e gli anniversari. E qualche volta, se siamo euforici, brindiamo: Al nostro ultimo anno da pezzenti.
Va bene così. La nostra idea di una buona vita è così. Non un lavoro da schiavi e una botta da sbronzi di due settimane di vacanza all'anno. Ma vivere in un luogo verde e acquatico (non turistico), svolgendo un lavoro che si ama, sempre al lavoro e sempre in vacanza.
Sta per iniziare uno dei periodi più felici della nostra vita.

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...