martedì 12 dicembre 2017

Ultima cena sull'Orient Express


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Quando parlo di Agatha Christie mi è difficile non pensare alla sua principale studiosa ed esegeta in Italia, Lia Volpatti, e a una sua osservazione sulla teatralità del giallo classico: a riprova citava, tra le altre, la tipica situazione in cui Hercule Poirot raduna in scena i sospettati per dare inizio alla sua spiegazione finale. E alla teatralità non rinuncia Kenneth Branagh, regista e interprete della versione 2017 di Assassinio sull'Orient Express, quando arriva alla soluzione del caso, costruendo una doppia scenografia: da un lato, citando visivamente L'ultima cena leonardesca, con gli indiziati in fila dietro a un tavolo allestito in una galleria ferroviaria a fare da spettatori all'esibizione del prim'attore; dall'altro lato il detective, che recita la sua parte con le luci e la sagoma della locomotiva alle spalle. Come ha osservato Giovanna Pimpinella, impegnata sul suo blog in un compendio della Regina del Giallo libro per libro, Kenneth Branagh cerca di fare Shakespeare anche quando fa la Christie.
In questo caso però si tratta di uno dei capolavori di Dame Agatha, famoso anche per l'ambientazione: il leggendario treno in servizio tra Istanbul e Parigi, celebrato in letteratura anche da Graham Greene e Ian Fleming. Per chi avesse poca familiarità con il mystery d'epoca, la trama vede Poirot – il geniale e azzimato detective belga con cui l'autrice si era imposta nel genere fin dal 1920 – costretto a indagare su un omicidio commesso a bordo dell'Orient Express, bloccato dalla neve in mezzo ai Balcani.
Nel 1974, a quarant'anni dall'uscita del libro, Sidney Lumet ne diresse un impeccabile adattamento cinematografico che lanciò la moda dei film all-star tratti dai gialli della scrittrice, nessuno tuttavia perfetto quanto il primo. Merito del ricchissimo cast, con un Albert Finney che ricalcava ogni aspetto dell'icona di Poirot e una Ingrid Bergman premiata con un Oscar, ma anche di una sceneggiatura e una regia che esaltavano proprio l'aspetto dialogico e teatrale della vicenda senza rinunciare a scene di grande effetto come la partenza del treno dalla stazione di Istanbul, esaltata da una notevole colonna sonora. E qui cito invece l'osservazione di uno scrittore e saggista che se ne intende, Stefano Di Marino: perché rifare a tutti i costi un film che è già stato realizzato in modo perfetto?
Curioso a dirsi, uno dei difetti della versione di Branagh, prodotta dalla Scott Free di Ridley Scott, è proprio cercare di essere più cinematografica del necessario. Si sospetta l'aspirazione di qualche ufficio marketing di attirare un pubblico giovanile, abituato ai film d'azione; non dev'essere un caso, del resto, se molti interpreti sono fin troppo giovani per la parte, in qualche caso minando la credibilità del ruolo. Dubito però che gli spettatori si convertano ad Agatha Christie solo perché qui l'Orient Express viene fermato da una valanga realizzata al computer, anziché da un semplice muro di neve sui binari. Questo tipo di operazione ha funzionato con lo Sherlock Holmes di Guy Ritchie, basato su storie originali in chiave avventurosa e portato al limite dello steampunk, perché era una variante clamorosamente diversa del personaggio di sir Arthur Conan Doyle, in un'epoca in cui, tra i molti apocrifi letterari e le nuove riletture televisive, è divenuto legittimo sperimentarne versioni alternative.
Inutile fare un confronto interprete per interprete dei due adattamenti di Assassinio sull'Orient Express: il paragone con Sean Connery, Vanessa Redgrave, Anthony Perkins, Lauren Bacall e via dicendo sarebbe schiacciante. Vale semmai la pena di considerare l'errore principale nel montaggio, ossia la frammentazione di certi dialoghi tra Poirot e i singoli indiziati, per accelerare il ritmo anche quando non sarebbe richiesto, con l'effetto però di non dare ai vari indizi il peso che meritano. Così come risulta artificioso l'inserimento di scene d'azione (o quasi) destinate a dare una maggiore fisicità a Poirot.
Non bisogna tuttavia essere troppo prevenuti: dopotutto i migliori film su miss Marple - l'altra celebre investigatrice seriale dell'autrice - sono stati quelli con Margareth Rutherford, tutt'altro che la fragile vecchina descritta dalla Christie e, oltretutto, interprete solo di una pellicola basata su un romanzo con miss Marple: delle altre tre, due erano tratte da romanzi con Poirot e una era basata su una sceneggiatura originale. Sicché, dopo aver visto il detective belga interpretato in tanti modi diversi – da Tony Randall a Peter Ustinov, fino al fedelissimo David Suchet – desta quantomeno un certo interesse la versione di Branagh, più drammatica ed emotiva, con ombre di un amore perduto che lascia sospettare sviluppi in possibili film successivi. Dove, nel caso, auspico un minor uso del computer e un maggior uso di soluzioni registiche, come quella senza dubbio interessante della scoperta del cadavere, ripresa interamente dall'alto. In sostanza, l'Assassinio sull'Orient Express del 2017 è un piacevole spettacolo, ma non certo un capolavoro in grado di scalzare dalla memoria la versione precedente.

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