martedì 15 settembre 2020

A proposito di Max



Ricordo a più voci per Massimo Caviglione

Ci sono persone che nella vita hanno fatto poco o nulla, ma a lungo e rumorosamente, tant'è che è difficile scordarsi di loro. Viceversa, ci sono persone che hanno fatto moltissimo, ma con eleganza e silenzio. Giustamente (?) la gente non si è mai accorta di loro, troppo impegnata a seguire gli inutili e chiassosi. Giustamente (?) certuni non si ricordano di loro, a meno che non ci sia qualche pretesto per usarli a proprio vantaggio, mettendosi in mostra come "miglior amico" del defunto del momento. Per questo oggi, nel giorno del suo primo compleanno negato, Borderfiction Zone ospita i ricordi di coloro che hanno conosciuto Massimo Caviglione. (Noi ci rivediamo in fondo, per tirare le somme. A.C.C.).


Max era un uomo raro. Di pochissime parole, non faceva nulla per apparire simpatico al mondo. Eppure lo era, privilegio degli autentici amabili che non cercano il consenso come strategia sociale.
Sarà che ho vissuto a lungo in Liguria, per tutto il tempo dei miei studi universitari, e di liguri veraci tra Balbi e De Ferrari ne ho conosciuti a bizzeffe, e francamente di primo acchito si mostravano tutti burberi, un po' scostanti, avari di sorrisi. In verità non era mai così: quella sorta di maschera bisognava gestirla e scalfirla col tempo e, dopo l'inevitabile e necessario periodo di rodaggio (che pareva quasi un corteggiamento), arrivavano amicizie indimenticabili, autentiche. Che poi non siano durate nel tempo, ci metto la mia parte di responsabilità – purtroppo la distanza geografica ha un suo notevole peso specifico.
Sono convinto che Max facesse parte di questa categoria. Purtroppo la crudeltà fulminea del tempo incombente e gli eventi della vita hanno avuto un pessimo sopravvento. Sono riuscito soltanto a “intravedere” un uomo divertente, colto e un grande professionista. Ci siamo, per così dire, sfiorati. Di sicuro poteva andare meglio. Ma io credo nell'eterno ritorno degli spiriti e da qualche parte, in un'altra epoca, ci “ribeccheremo” (passatemela...), inanellando interminabili discussioni sul Male, sul capitalismo e sulle donne creative. 
Max era Massimo Caviglione. 
Danilo Arona 



Di Max ricordo innanzitutto la capacità di ascoltare, di mettersi in sintonia. I silenzi riempiti dalla sua voce, e lui, attento che valuta, ti consiglia, ti solleva. 
Max, un fratello maggiore, comprensivo, dolce e ironico. Poi penso alla casa con il bovindo ombreggiato di piante, e al giardino profumato dov’era bello chiacchierare con lui e Claudia, in un angolo il gatto Abel. I libri dappertutto, a creare un nido accogliente e rassicurante. Max si ritagliava da quel giardino segreto come un intellettuale fervido e appassionato. Mi ricordo il suo gusto della ricerca che lo portava a scoprire misteriosi testi gotici e non solo. Ti faceva appassionare con entusiasmo e competenza. Era un amante della parola, un traduttore raffinato che non si accontentava ma sapeva rendere un testo qualcosa di unico.

Cristiana Astori



Ho avuto troppo poco tempo per conoscerlo, Max, e anche questo significa la sua morte per me: la perdita di una persona che avrei voluto continuasse a essere qui, presente in questo presente, a farsi conoscere. Da me, e da altre persone. Da più persone possibili. Perché avrei voluto che diffondesse il più possibile quello che, con il suo semplice esistere, ha donato a me in pochissimo tempo. Lo ricordo e ricorderò passeggiare lungo un viale alberato. Forse aveva un braccio dietro la schiena, o forse è stato il suo incedere tranquillo, pacato eppure pensieroso, leggero e grave al contempo, a farmelo dipingere così.
Parlavamo di non so bene che cosa. Di libri, forse, o della lingua francese da cui lui traduceva, o di ricordi vecchi di decenni riportati al presente con una freschezza lucida, distaccata ma piena di compassione - quell´affetto verso ciò che si è stati che è prerogativa di chi ha la pazienza, il coraggio, l´umiltà di mettersi a tavolino davanti a se stesso per comprendersi senza giudizio. 
Max parlava, mi parlava, della sua conoscenza con Claudia, del suo percorso e di quello di lei, di idee e progetti e forse speranze e ideologie, visioni che tutt´oggi sarebbero viste come radicali, folli, utopie che vanno bene giusto nei libri, eppure erano state lì - con lui, con Claudia, decenni prima, e io cercavo di capire grazie a lui come possa accadere questa strana cosa, dove finiscano la eclatanti rivoluzioni di ieri, dove vadano a nascondersi idee che, ai tempi, promettevano di non poter essere dimenticate.
E lui me ne parlava, passeggiando quieto come un reduce di una guerra ideologica conclusa prima di poter essere vinta o persa - o così la vedevo io allora, non concependo una terza via, non avendo ancora intuito che alcune strade non smettono mai di essere percorse, di decennio in decennio e di generazione in generazione, e anche per questo la sua morte ha scavato un buco dentro di me: per quello che Max, con il suo modo di essere, rappresentava. 
Leggo e rileggo l´ultima lunga e goffa frase e mi domando come epurarla da ogni tono eclatante preservandone l´intensità. 
Quel che di Max ho conosciuto è il contrario dell´eclatanza: non urla né slogan, non il tono carico di promesse delle grandi affabulazioni storiche, non l´impianto spettacolare dei sogni narcisisti. Neanche la non meno solipsistica autocommiserazione di chi è invecchiato vedendo il proprio credo venire maliziosamente relegato tra i trafiletti meno rilevanti. 
(Non so se fosse ottimista o pessimista, Max, ma vorrei dirglielo, oggi, che le cose per molti versi stanno migliorando. Che cammino in una società che penso potrebbe piacergli, e di cui vorrei mostrargli i germi - Guardali, Max, sono lì, non sono più soltanto nei discorsi e nei libri.) 
Quel che di Max ho conosciuto era l´esatto opposto: rivelare i grandi eventi con i piccoli gesti - e me lo immagino, ora, come un amanuense che, con movimenti sciolti e precisi, compila preziosi scrigni di testimonianze. 
Lo ricordo e ricorderò mentre, passeggiando lungo quel viale alberato tra un accenno di discorso e l´altro, ha fatto un passo più breve e si è fermato. Non si parlava più, a quel punto, di libri o lingua francese o lotte o visioni o quel che rimane, ma di lui. Lui solo, lui nudo, spogliato da ogni interpretazione e significato e in ciò disarmato - non so se ci sia qualcosa che trovo più coraggioso, quando si tratta di rappresentarsi - solo per condividere con me un frammento microscopico e pesantissimo di sé, evocandolo con un gesto che, in qualsiasi altro frangente, non avrebbe lasciato in me nessuna impressione - ma Max era Max, e quel suo disarmarsi ha disarmato anche me, facendomi finire sul palco in cui stava rimettendo in scena quel frammento del proprio vissuto, imprimendomelo dentro. 
E così, ogni volta che mi capita d´inciamparvi - in quell'apparentemente innocuo, per niente eclatante, gesto - penso a Max. Al coraggio necessario non tanto a esporsi così a una semisconosciuta con cui stai passeggiando in paese, ma a realizzarsi con tale dolorosa precisione - a quanta brutale lucidità serva per mostrarsi così a se stessi. 
Non avrei scritto queste parole se Claudia non mi avesse chiesto di commemorare Max. Non sono capace di fare delle condoglianze senza che un acuto senso di vanità, horror vacui, distorca le mie parole, tantomeno di trasformare una morte nell'occasione di un discorso celebrativo, d´ispirazione, motivazionale - ma è quello che in questo caso vorrei. 
Vorrei che Max continuasse a riverberare - quella sua capacità di darsi, dicendosi, così intensamente, e per quel che mi ha detto e dato. 

Serena Bertogliatti 




Ricordo Massimo Caviglione come una persona autenticamente libera, prima di tutto. Aveva un’indipendenza di giudizio, uno spirito critico, una capacità di attingere a un patrimonio cospicuo di letture, esperienze, approfondimenti nei vari campi della cultura che ne facevano un interlocutore sempre stimolante e originale. Un uomo così chiaramente disdegnava le maschere, le ipocrisie, i compromessi del vivere sociale, a costo anche di muovere contro i propri interessi. Integro, dunque, e tenace nella difesa dei propri principi. 
Non si può parlare di Massimo senza ricordare il suo lungo sodalizio di vita e artistico con Claudia Salvatori, scrittrice eclettica e fuori dagli schemi, che nel corso della sua carriera ha contaminato e attraversato i generi, in alcuni casi arrivando a riformularne i paradigmi. Il mio ricordo più vivido è legato a lunghe chiacchierate con loro, durante le quali avevo l’impressione di entrare in una sorta di cenacolo, di laboratorio culturale in servizio permanente effettivo. Le parole e i momenti vissuti con loro mi hanno fatto crescere come persona, come lettore, come autore. 
Vorrei, però, che non venissero trascurate le traduzioni dalla lingua francese curate da Massimo, quelle che me lo hanno fatto enormemente apprezzare come intellettuale; in particolare, ricordo come particolarmente curate e raffinate quelle legate ai romanzi di Eliette Abécassis, penso ad esempio a Qumran o a L’oro e la cenere, di cui conservo gelosamente una copia autografata proprio da lui. Lo considero il ricordo prezioso di un’amicizia che ha conosciuto alti e bassi, come spesso accade alle vicende umane, ma che ha lasciato il segno di un incontro importante, ricco, capace di imprimere un segno importante.

Daniele Cambiaso 



Sono diventata amica di Massimo e Claudia durante la decade dei miei venti anni, che è coincisa con l`inizio del Millennio. 
Come molti giovani della mia generazione, non sapevo da che parte iniziare a scegliere, a farmi strada. A me piacevano le Lettere, le Lingue, la psicologia, l`introspezione, l`arte. Mia mamma, che non sapeva come consigliarmi, mi disse che Claudia e Massimo magari avrebbero potuto. Un giorno li vidi camminare per il paese e decisi di fermarli, chiacchierammo, mi diedero il loro numero di telefono fisso e poi venni invitata a un dopo-cena nella loro casa isolese con vista fiume Scrivia. 
Volevo sapere come si fa a diventare uno scrittore: se ci fosse una ricetta da seguire. 
Ma, a parte l`inclinazione, è una questione di determinazione nel continuare a seguire la propria vocazione. E allora ricordo molti discorsi fatti su questo punto. Mi spiego meglio: quando in età post-adolescente si insinua in noi il tarlo di volere fare ciò che ci piace, ma che non è in campo medico, né edile, né commerciale, ecco innescare un circolo mortale nel parentado e nelle conoscenze che iniziano a tempestarci di domande e cercano di farci cambiare idea. Allora ineffabilmente ci attacchiamo al gruppo giovanile filo-artistico di turno, che nel mio caso di allora era quello genovese. Claudia e Massimo mi raccontarono dei loro ricordi giovanili e dei tempi universitari. 
Per me Massimo e` stato un grande amico, paziente, buon ascoltatore, colto e fidato.  Credo abbia notato come io a quei tempi fossi in difficoltà nella ricerca di un equilibrio di vita e forse alle volte incerta sul da farsi.  E mi ha sempre spinto a continuare la ricerca di un mio mondo, una mia dimensione. 
Per cui ricordo che letteralmente mi diceva di “non mollare mai !” Poi a volte mi diceva che io gli nascondevo qualcosa; intendeva che potevo anche incazzarmi con lui, come dire che ero troppo educata. Pero` dico io: incazzarmi di cosa? Di sicuro non con Massimo, ma con la gente magari, boh? 
Andammo a Milano con Claudia e Massimo e anche a Genova a delle presentazioni letterarie. Diciamo che sono stata un pochino come una “nipote” virtuale. 
Io ora abito da dieci anni all`estero e in tutto questo termpo ho rivisto Claudia e Massimo una sola volta, cinque o sei anni fa, nella loro nuova casa ad Arquata. In quell`occasione Massimo si lamento di come la crescita esponenziale di internet con tutte le sue app e derivati abbia svalorizzato le traduzioni fatte dai professionisti. Credo che Massimo avrebbe voluto e meritato di piu` dalla sua professione. 
Durante il lockdown Claudia mi ha contattato per rendermi noto della scomparsa di Massimo avvenuta qualche mese prima: sono rimasta di stucco alla notizia. 
Mi rattrista ampiamente la perdita di un caro amico, che di sicuro sara` sempre ricordato. 
Mia figlia e` nata il 16 Settembre e quando avevo comunicato la notizia a Claudia e Massimo, con molto entusiasmo Massimo disse che lo stesso giorno era nato lui. 
Mi dispiace molto sapere che non ci rincontreremo più e che non potrò farti conoscere la mia bambina. Riposa in pace. 

Emanuela Casella



Massimo Caviglione. Una voce artistica e letteraria

Il bello delle serigrafie è che i colori sono assolutamente veri e che tutto in esse sembra permanere. 
La sentinella dell’arte: quale consolazione poter pensare spesse volte a quell’opera che lui amava e che anche a distanza era capace di farti vedere e contemplare. Opera che rappresenta l’uccello-garante dell’arte vera. Così come erano pure e incommensurabilmente uniche la sua umanità e la sua sensibilità, garanti del vero artistico e letterario, ma non solo.
Erano generosità intellettuale e dialogica a caratterizzarlo anche mentre contemplava l’opera di Concetto Pozzati; contemplazione che secondo lui serviva anche da difesa in caso di eccessivo risucchio concettuale; (mentre manteneva sempre dubbi sull’eventuale non riproducibilità delle opere, soprattutto nell’epoca attuale, ma viveva la cromia sempre come assolutamente vera).
Per lui il titolo del quadro concettuale, che mostra qualcosa per dire qualcos’altro, poteva essere importante ma era già successivo alla contemplazione, chiedendosi se, non a conoscenza della concezione, il primo piano enorme di un uccello gli avrebbe comunicato parimenti il concetto. Il fenomeno contemplativo nel suo primo livello di trance per lui non c’entrava infatti con quello che il quadro voleva e vuole rappresentare, ma era il fascino figurativo in quanto tale ad esercitarsi. Nel momento in cui il suo occhio si fissava sul dettaglio, ogni dettaglio era un reticolo di altro. Mentre come ben sapeva, l’opera sfugge per definizione a tutti i significati.
Quest’oggi, rivolgendo ancora una volta l’attenzione alla Sentinella dell’Arte, non possono non affiorare alla memoria le sue parole sulla medesima opera, consegnate con generosa fraternità un grigio pomeriggio di pioggia, trascritte allora su un non grande foglio di carta riciclata.
“Voglio descrivertela brevemente affinché anche tu possa averne visione come in presenza. È un primo piano enorme, sarà novanta per novanta, un quadrato, quasi tutto occupato da questo primissimo piano d’uccello. Lo sfondo è blu poroso, quasi a indicare una sorta di cielo notturno, in alto a destra la luna quasi dorata. Poi tutto risulta occupato dall’uccello bianco con la cresta nera, e sotto il collo c’è una striscia dorata che fa da pendant alla luna. A prima vista dà l’impressione di una specie di collage. Evoca una sorta di sovrapposizione tra i quattro piani: cielo, luna, uccello, striscia. In realtà è tutto stampato perché è una serigrafia. All’interno di questo primo piano, ci sono però alcune parti dipinte a mano, è questa la cosa rilevante. È simbolo della verifica, notturna, legata all’elemento oscuro primordiale, fondo; fa da richiamo questo uccello al vero valore artistico, schernendo o ridicolizzando tutto ciò che artistico non è? È davvero la simbolizzazione del vero artistico? Sentinella appunto. L’elemento notturno rappresenta sia l’elemento ctonio, sia il fatto che si tratta di un animale mitologico: non è un uccello di specie riconoscibile. Cresta e becco neri, le altre parti della testa bianche; e dal collo dipinte a mano: righe del pennello sovrapposte a mano. Nel momento in cui la contempli è come se ti addormentassi e ti risvegliassi in un mondo perfettamente sconosciuto, ti addormenti e ti svegli in un’altra dimensione, come in certe favole ti trovi in un altro mondo quasi di colpo.” 

Erika Dagnino


Ricordo di Max

Poche parole, scarne, dure, in un tiepido pomeriggio di gennaio. 
Freddo e sgomento, le gambe che cedono, il vuoto che si apre gelido dentro la pancia, mentre il volto avvampa e la gola si fa arida. 
A quasi otto mesi di distanza da quel giorno, le sensazioni riescono a tornare prepotentemente, come fossero ancora attuali. 
Il dolore lo è e continuerà a esserlo sempre. 
Avverto un senso di colpa profondo. 
L’ultimo appuntamento mancato a dicembre, la tua influenza – apparentemente un normale male di stagione – poi il ricovero per accertamenti, il pensiero che tutto dovesse risolversi in pochi giorni, senza problemi, il pensiero di venirti a trovare appena rientrato a casa, per non darti ulteriore incomodo in quel momento e in quella circostanza fastidiosa. 
Poi quella notizia. 
Inattesa e devastante. 
E il senso di colpa. 
Avrei sicuramente potuto fare di più. 
È sempre così. È la storia che si ripete. 
Rimane di te il ricordo di un amico delicato, attento, che non dimentica i dettagli, che dà importanza ai dettagli, che racconta e insegna con la leggerezza di un professore antico, che nasconde un sorriso sincero dietro quella barba ispida e quel volto apparentemente burbero. 
Ora posso dirtelo: mi hai sempre indotto un po’ di soggezione. O forse sarebbe meglio dire timore reverenziale. Sì, lo ammetto, la tua cultura, la tua memoria e il tuo piglio mi hanno sempre fatto sentire al cospetto di una commissione d’esame, alla fine sempre benevola e conciliante, ma che al principio di ogni nostro incontro pareva una parete impossibile da scalare. 
Complicato e pragmatico al tempo stesso, come un ossimoro, custodivi in te qualcosa di insondabile, qualcosa di arcano e arcaico a cui forse solo una persona poteva avere accesso. L’unica persona che ha condiviso con te l’essenza stessa della vita e che ti ha accompagnato lungo tutto il cammino, dai giorni spensierati dell’adolescenza fino all’ultimo sofferto passaggio. Sono certo che dobbiate essere entrambi grati del vostro incontro e di tutto ciò che ne è seguito. 
Mi sarebbe piaciuto avere la possibilità di lavorare con te, confrontarci sui temi a noi cari, mettere alla prova la mia narrativa con le tue competenze. Purtroppo il tempo non è mai stato dalla nostra parte. E poi non c’è stato più. 
Mi manca, colpevolmente mi manca, il saluto che non ci siamo dati. 
Sono certo che avresti trovato le parole per rendere tutto più lieve e sdrammatizzare il momento. 
Resta il dolore della terra, quella nuda terra che ti ha accolto e quella fredda che mani aliene hanno posto sul tuo ultimo giaciglio. 
Restano i discorsi interrotti, quelli che, presi e ripresi, avremmo potuto continuare a fare… 
Manchi e mancherai. 
Spero di essere stato all’altezza della tua amicizia. 
Un grande e affettuoso abbraccio, Max, ovunque tu sia… 

Gianluca D'Aquino



Il mio ricordo più antico di Massimo risale a quindici anni fa, quando l'ho conosciuto a Genova, la nostra città natale. A quel tempo collaboravo con un'associazione culturale e dovevo curare la presentazione di un libro di cui proprio Massimo era il relatore. Quella conversazione ha dato tanto ad entrambi perché fin da subito è nata un'intesa, un'affinità di anime che abbiamo percepito subito; è stato uno di quei momenti in cui il tempo si ferma e ci si trova catapultati in una dimensione speciale fatta di letteratura, scrittura e amicizia, le nostre opinioni si fondevano magicamente e alla fine abbiamo deciso come fanno i bambini, perché Massimo aveva una parte infantile da fanciullino pascoliano che non si vergognava di mostrare alle persone di cui si fidava; abbiamo deciso di diventare migliori amici. Purtroppo ci vedevamo poco, abitando lontani, ma tutte le volte che lui e Claudia venivano a Genova io ero alla stazione sull'attenti ad aspettarli. 
Le telefonate con Massimo erano infinite anche se rare e negli ultimi anni sempre più rare, perché io ho avuto la bambina e il tempo era sempre meno, purtroppo. 
Quelle telefonate svisceravano tutti gli argomenti che ci stavano a cuore al momento e poi c'era sempre quel terreno comune fatto di belle lettere che ci rendeva felici, a volte ci divertivamo a non andare d'accordo su alcuni autori classici ma sempre nel rispetto reciproco perché Massimo nell'amicizia metteva sempre al centro la persona con una delicatezza commuovente. 
Massimo correggeva i miei racconti e mi pungolava a scrivere, non sempre gli piaceva quello che leggeva ed io apprezzavo la sua sincerità. Aveva una visione particolare molto angolata nel raccontarmi alcuni suoi aneddoti di vita come uno scrittore surrealista, ma lui era un traduttore puro e mi parlava di questa sua affascinante attività nei particolari. 
Ricordo anche i pranzi tutti insieme e l'emozione quando presentavamo un nuovo libro della nostra adorata Claudia, che tanto assomiglia a Massimo in alcune espressioni e movenze, perché le anime gemelle spesso si assomigliano dopo una vita passata insieme. 
Addio Amico, ci hai lasciati in un silenzio invernale che ci ha lasciati attoniti, inaspettatamente presto, ti ricordo col sorriso dei tuoi occhi azzurri. 

Francesca Galleano 



La nostra amicizia è cresciuta nel tempo ... iniziata in un incontro a piazza della Annunziata quando avevo circa diciotto anni e si è trasformata in un amore fraterno. Max era mio fratello davvero e la sua sensibilità ha colmato buchi affettivi di tante persone. La dolcezza e la comprensione misurata in ore di attenzioni e parole e carezze verbali non hanno avuto eguali nella mia vita ed è per questo che Max ha lasciato un vuoto, un profondo e doloroso buco che solo i ricordi, e solo in parte, riescono a colmare.
L'attenzione che metteva a disposizione per chi ne aveva bisogno andava oltre il semplice ascolto. Siamo tutti capaci di ascoltare, ma è nel passaggio successivo, nella capacità empatica di capire l'altro che si trova la differenza tra le due modalità. Max era questo: non l'orecchio che ti ascoltava, ma il cuore che sentiva e capiva e sapeva riconoscere dal tono di voce il tuo stato d'animo. 
La presenza costante di un affetto grande e la conoscenza profonda del sentire femminile erano la sua forza e mostravano un livello di apertura mentale e di rispetto che rasentano l'unicità di un uomo che conosceva il sapore del sale e cercava in ogni modo di adattare il suo essere ad un mondo che non era e non è abituato a tale forma di profondità e di emotività verso gli altri. 
La sua sofferenza nel non essere talvolta capito nell'espressione della sua amicizia ed essere altrettanto misconosciuto nell'ambito lavorativo lo mortificano ma non lo hanno mai reso diffidente.... nella sua fragilità era nascosta una forza incredibile che lo ha migliorato anno dopo anno e di tutto questo amore ne era consapevole, grato alla vita di aver avuto al suo fianco Claudia, moglie, ma soprattutto compagna in un percorso angusto, ma agevole se teneva stretta la sua mano.
Ti vorrò sempre bene Max e sono sicura che troverai il modo di farci sentire ancora il tuo bene e la tua vicinanza, come sono certa che il mondo che ti ha accolto dopo il tuo ultimo respiro sia migliore di questo e ti riconosca il merito e il privilegio del tuo valore. 

Maura Grosso 


Si dice che le persone dall’animo sensibile abbiano voce bassa, sguardi tenui, forse tratti gentili. Sono idiozie, credo, perché ho conosciuto nerboruti maschiacci straordinariamente delicati, o donne dall’aspetto di vecchie iene con cuori di zucchero. 
Max era una persona dall’animo sensibile, certamente una persona gentile. Io l’ho visto solo una volta di persona, ma non certo dal suo aspetto ho potuto dedurre che fosse deluso, che fosse una persona piena di voglia di dare amore incappata nei meandri pericolosi della vita. Era un’anima candida e ferita. 
Mi è stato vicino, con amicizia fraterna, in un momento difficile per me. Mi scriveva, con Claudia, degli sms (che non cancellerò mai) così intrisi di affetto e bontà da lasciarmi sgomenta. 
Ovunque sia, io lo ringrazio di aver sfiorato la mia vita con il suo affetto e la sua vicinanza. In quei giorni bui i suoi messaggi erano per me un grande conforto, la forza con cui mi esortava a non abbattermi era commovente e nello stesso tempo contagiosa. 
Grazie Max. Amico. 

Michela Martignoni 


Ciao Massimo, Buon Compleanno! Che poi oggi è anche il mio di compleanno e quindi auguri ad entrambi. 
Sei stato proprio dispettoso ad andartene così. 
Quanti ricordi! Eravamo compagni di classe e tu eri un buon compagno. 
Comunque la nostra lunga amicizia è iniziata il quinto anno di scuola superiore, quando con noi è arrivata Claudia.
Abbiamo iniziato ad uscire insieme. Insieme abbiamo pranzato, passeggiato nella pineta di Pegli,insieme siamo andati in discoteca. 
Poi il lavoro, la vita di tutti i giorni, l'amicizia e...il tuo amore per Claudia eterno, inalterato fino alla fine.
Ecco cosa mi manca: le nostre conversazioni di persone ormai anziane.
Parlavamo di tutto senza falsi pudori o retorica: religione, politica, letteratura, i tempi della scuola, i miei nipoti e , come ho detto, prima del tuo bene grande, grandissimo per la tua Claudia con la quale sei stato ancora più dispettoso perché l'hai lasciata sola. 
Addio Massimo o meglio arrivederci. 

Erminia Pastorino 



Le stampe di Max 

L’ultima traduzione di Massimo Caviglione apparsa in stampa è quella, curatissima come sempre e giustamente divertita, offerta a un gioiellino nero/ironico dell’Ottocento, La città vampira di Paul Féval, nel volume da edicola Cerimonie nere (luglio 2017): il canto del cigno della collana Urania Horror finiva col prefigurare due congedi ben più seri e tristi, il primo di Giuseppe Lippi (dicembre 2018) – che lì regalava una delle sue ultime curatele gotiche – e il secondo appunto di Max, pochi mesi fa.
In realtà per me il primo incontro con le sue raffinate capacità di traduttore era stato su Qumran di Eliette Abécassis, un romanzo affascinante con connotazioni insieme di genere e letterarie, dove davvero la squisita eleganza nel confronto col francese aveva avuto modo di brillare. In questo ricordo parto volutamente dal fronte del lavoro di Max, delle sue tante traduzioni, perché mi pare un sacrosanto ancorché minimo tributo a un grande professionista: un uomo che del mondo editoriale ha potuto conoscere aspetti interessanti, coinvolgenti, diciamo pure appassionanti, come pure altri molto più amari. Un professionista e insieme un gentiluomo incapace di sgomitare come altri farebbero, incapace di fare il cortigiano, e che – diciamo – non ha avuto sempre fortuna con gli interlocutori. Et de hoc satis.
Solo in seguito avrei conosciuto – in realtà pochi incontri, ma affettuosi – anche l’uomo Max: un signore barbuto, garbato e coltissimo, incontrato assieme a Claudia, sua compagna di una vita, una volta ad Arquata Scrivia e tre a Torino. Quasi sempre per parecchie ore di chiacchiere vivaci: piacevolissimo conversatore, Max mostrava panorami di letture da cui emergevano gusto, intelligenza e genuino piacere intellettuale. Un curiosus – non soltanto di libri, ma di film e arti varie – di animo limpido, con una vena di malinconia profonda da sapiente antico. Nell’imbattermi in certi busti classici mi sarà caro pensare al suo profilo. 
Max era affascinato da stampe e acqueforti: ne aveva in casa, ne parlava con entusiasmo. Da uomo di cultura con esperienze editoriali, il tema della riproducibilità dell’arte poteva affascinarlo intellettualmente: ma era puro piacere quello che si avvertiva in lui davanti alle tavole. Profili di città, mappe, architetture fantastiche… Girando con mia moglie per il centro di Torino, davanti a qualche negozio o bancarella con stampe esposte, è immediato pensare a lui. Ecco, mi piace ricordare quest’uomo buono alla luce delle sue gioie. E tra le pieghe delle sue traduzioni, in certi guizzi, in alcune soluzioni del passaggio tra una lingua e l’altra che denotano non solo professionalità e soddisfazione artigianale ma un piacere più intimo, non sarà una forzatura anche per noi individuarne qualche traccia. 

Franco Pezzini


Dietro ogni grande donna c'è un grande uomo. Di solito si dice viceversa, ma per la par condicio dovrebbe essere vero anche il contrario. Specie se la coppia è composta da due persone inimitabili che sono una persona senza confronti. Ho conosciuto per prima il volto più pubblico di quest'entità, ancorché schivo e più dedito a questioni serie - per esempio scrivere e pubblicare splendidi romanzi e racconti - che all'apparenza, da qualche decennio molto di più importante della sostanza. Quando in un incontro pubblico le ho chiesto come facesse a scrivere tanto bene sia la soggettiva femminile, sia quella maschile, Claudia Salvatori rispose: Perché io sono un uomo.
Del resto ogni scrittrice/scrittore (quant'è scomodo essere politicamente corretti in una lingua in cui in realtà scrittore è anche neutro ma se lo usi ti dicono che è maschile e discriminatorio) ha il diritto di essere nel contempo di ogni sesso, razza, età, religione e universo, a seconda di quale voce decida di assumere, a patto che abbia la capacità di interpretarla. Ma nel caso di Claudia, l'interconnessione artistica con Massimo Caviglione le ha sempre consentito di essere anche uomo. Ergo, lui era anche moglie: tant'è che rilevava con la sua consueta ruvida ironia di essere chiamato il signor Salvatori. Noncurante della stupidità delle convenzioni.
Vedere questa coppia, in realtà un unico essere con due teste (bizzarro, per l'autrice che ha esordito con La donna senza testa), due corpi e una doppia possibilità di percezione, per me rappresentava la realtà di una perfetta macchina bio-intellettuale, impossibile da progettare ma realizzata dal destino. Metà scrittrice, metà traduttore, entrambi con la capacità di accedere al doppio di stimoli e al doppio di letture e interpretazioni. Ora, in apparenza, Max ci ha lasciati. Ma io non credo. Max vive non solo nel ricordo di chi, come avete visto, lo ha amato, apprezzato, stimato e ascoltato. Max vive in una coppia indissolubile, in ciò che insieme hanno dato alla cultura italiana finora e in quello che entrambi potranno continuare a dare in futuro. Superman non muore mai, il titolo di un romanzo di Claudia, vale anche per i superpoteri della cui esistenza il fumetto ancora non ha preso atto.

Andrea Carlo Cappi

domenica 13 settembre 2020

Premio Torre Crawford - Il programma


Sabato 19 settembre dalle 19.00 al Belvedere (via Villa) di San Nicola Arcella (Cosenza) si celebra la serata del Premio Torre Crawford 2020, in onore dello scrittore americano Francis Marion Crawford. Nato a Bagni di Lucca nel 1854, visse in India e negli Stati Uniti per poi tornare in Italia, dove abitò nella sua villa a Sant'Agnello (Napoli) e a San Nicola Arcella nella torre spagnola del XVI secolo che oggi porta il suo nome. Proprio nella località del cosentino ambientò il suo racconto più celebre, Perché il sangue è la vita, pietra miliare nella letteratura sui vampiri. Morì a Sant'Agnello nel 1909.

Nel corso della serata, condotta da Andrea Carlo Cappi:

-la premiazione dei vincitori e la presentazione dell'antologia ufficiale

-lo spettacolo teatral-musicale Sulla pelle del diavolo di e con Giada Trebeschi e Giorgio Rizzo

-la conversazione Paura, ieri oggi e domani con Cristiana Astori, Rosario De Sio, Ferdinando Romito, Giada Trebeschi. Sarà presente l'esperto di F. M. Crawford e membro della Pro Loco Giuseppe Solano.

-in conclusione, la performance di danza con AlmaDance e il duo musicale Carmelina Colantonio & Luca Longo

Leggi anche gli altri post del Premio Torre Crawford:

-l'intervista a Giada Trebeschi

-l'intervista a Cristiana Astori

-l'intervista ad Andrea Carlo Cappi

-F.M. Crawford raccontato da Andrea Carlo Cappi

-il mito del vampiro raccontato da Andrea Carlo Cappi

-i vincitori dell'edizione 2020




sabato 12 settembre 2020

Premio Torre Crawford - Vampiri tra noi!

Vampiri tra noi! di Andrea Carlo Cappi

Sabato 19 settembre 2020 dalle 19.00 al Belvedere (via Villa) di San Nicola Arcella (Cosenza) si celebra la serata del Premio Torre Crawford, in onore dello scrittore americano Francis Marion Crawford, che proprio nella località del cosentino ambientò il suo racconto più celebre, Perché il sangue è la vita del 1905 (qui sopra un'illustrazione d'epoca), pietra miliare nella letteratura sui vampiri. Di seguito Andrea Carlo Cappi, curatore dell'antologia ufficiale del Premio - intitolata appunto Perché il sangue è la vita - vi racconta il mito del vampiro e della sua storia nella cultura di massa.

I vampiri sono tra noi. Da sempre. Se ne trovano tracce in civiltà antichissime. Dopotutto incarnano alcune delle paure ataviche dell’uomo. Sono nosferatu, nachzehrer, esseri umani morti eppure non-morti, portatori malsani di un’immortalità a rovescio che, come gli zombie dei miti voodoo, fuoriescono nottetempo dalla tomba per cibarsi dei vivi. Probabilmente la nascita del mito è legata al fraintendimento dei fenomeni di decomposizione, che provocano alterazioni del cadavere e persino suoni misteriosi dall'interno della bara, da cui l'ipotesi ascientifica dei masticatori di sudari. Possono essere generati da morti violente - come racconta F. M. Crawford - e in particolare dal suicidio. Sono associati alle pestilenze, che non a caso producono una grande quantità di corpi da smaltire, e anzi, ne sono ritenuti responsabili. Si legga in proposito il romanzo storico Il vampiro di Venezia di Giada Trebeschi, anche lei ospite del Premio Torre Crawford.

Si attribuisce loro la capacità di trasformarsi in animali: originariamente in lupi, poi – forse per evitare il conflitto giurisdizionale con i licantropi – in pipistrelli; è probabile che la scoperta da parte dei conquistadores dei pipistrelli succhiasangue del Nuovo Mondo abbia qualcosa a che fare con l’introduzione del mammifero volante nel mito. Ma, se l’immortalità e le metamorfosi possono in qualche modo accomunare i vampiri agli dèi della mitologia, la loro abitudine di nutrirsi di sangue, anche e preferibilmente umano, e la loro possibilità di contaminare le proprie vittime trasformandole in altri non-morti, fanno di loro l’incarnazione del terrore che ci attende quando ignari e indifesi cadiamo preda del sonno. I vampiri non si possono esporre alla luce del sole, quindi è di notte che vivono la loro non-vita e vanno a caccia di prede.

Con la letteratura gotica del XIX secolo – da Il vampiro di John Polidori al Dracula di Bram Stoker – il non-morto assume le caratteristiche che lo rendono uno dei principali cattivi della narrativa. Il primo adattamento cinematografico di Dracula è del 1922, venticinque anni dopo la pubblicazione del romanzo di Stoker, quando senza pagare i diritti d’autore il regista tedesco Murnau cambia il nome del personaggio in Orlok e gira Nosferatu. Altri nove anni e il conte approda a Hollywood, dove, prima del suo celebre Freaks, Tod Browning dirige Bela Lugosi in un Dracula ufficiale che apre la stagione dei mostri della Universal Pictures. E voilà, il vampiro è servito: da quel momento e per decenni (soprattutto nei film della casa di produzione britannica Hammer, che recluta l'impeccabile Christopher Lee nel ruolo del conte) eleganti succhiasangue di nobili natali addentano il collo di giovani fanciulle.

In realtà, sottolinea il saggista Paul Barber nel suo Vampiri, sepoltura e morte, secondo la tradizione slava un vampiro autentico dovrebbe avere l'aspetto di un contadino grassottello e rubizzo, con gli umili vestiti ancora sporchi di terriccio. Niente pallidi nobiluomini seduttori in mantello nero. E poi, perché dovrebbero essere per forza di sesso maschile? Può essere una donna-vampiro a sedurre amanti malcapitati, come nel racconto di Crawford. E non è neppure detto che le prede debbano per forza essere di sesso opposto, come sottolinea Joseph Sheridan Le Fanu nel suo celebre Carmilla del 1872 (sotto un'illustrazione d'epoca) che avrebbe generato il ricco filone delle vampire lesbiche.


Ormai nel mito è incastonata anche una componente erotica più o meno riconoscibile, che si proietterà nei romanzi di Anne Rice come in quelli di Laurell K. Hamilton. C’è anche chi, per emulare Dracula o Lestat, cerca di imitare i vampiri nella vita reale: si legga in proposito l’interessantissimo
Bloodlust - Conversations with Real Vampires di Carol Page. Senza contare i serial killer più o meno cannibali che dalla cronaca nera passano a infestare letteratura e cinema, usurpando i tradizionali territori del vampiro. Questa, tra l'altro, è la tematica della novelette di Cristiana Astori all'interno dell'antologia ufficiale del festival.

Nel frattempo i fumetti anni Settanta della Marvel Comics (che oltre ad adattare Dracula danno vita anche al cacciatore di vampiri Blade e allo scienziato vampiro mutato Morbius) hanno generato i vampiri-supereroi: una nuova tipologia che, oltre che nella corrente stagione dei cinecomics, sullo schermo è stata rivisitata anche nella saga di Underworld, dove li abbiamo visti in guerra contro i licantropi, confratelli proletari e molto meno trendy nell’abbigliamento. Ogni tanto qualcuno si ricorda delle origini di predatore del vampiro, ed ecco le feroci creature della trilogia Dal tramonto all’alba di Rodriguez & Tarantino.

Mentre al cinema il non-morto nella sua accezione originale ha popolato le pellicole di zombie contaminati - da George Romero a Resident Evil - alle nuove generazioni del XXI secolo il vampiro è stato invece presentato come un teenager tenebroso che non si può esporre al sole perché luccica di lustrini (mi rendo conto: chiunque si vergognerebbe a uscire di giorno con la pelle glitter). Così, mentre le adolescenti di mezzo secolo fa ancora temevano le visite notturne del Conte transilvano, le twilighters del 2010 spalancavano gioiose le finestre sognando timidi giovanotti palliducci, senza sapere quali orrori le attendessero. Molto meglio l'affermazione del vampiro nero negli anni Settanta - un'epoca in cui non c'era bisogno di imporre l'inclusione per legge, bastava già il cinema blaxploitation - con i film di BlaculaE, a proposito di inclusione, ora porto l'acqua - anzi, il sangue, notoriamente più denso - al mio mulino e riprendo il discorso sulle vampire lesbiche.

Qualcuno ricorderà come il filone sia stato ripreso al cinema alla fine degli anni Sessanta e almeno fino agli anni Ottanta da registi come lo spagnolo Jess Franco (autore tra l'altro del classico Vampyros Lesbos/Las vampiras) o il francese Jean Rollin (a partire da La vampire nue). Inutile nascondere che l'elemento sessuale del mito vampiresco fosse un ottimo pretesto per esibire nudità femminili, ancora insolite per il grande schermo... in una parola, sexploitation. Ma va rammentato assolutamente il contesto storico di ribellione post-Sessantotto in cui venivano distribuiti questi film. In particolare, per Franco - che casualmente aveva lo stesso cognome del dittatore al potere nel suo paese - raccontare una storia di lesbiche nude e sessualmente libere era una sfida aperta alla repressiva mentalità vetero-cattolica, in un'epoca in cui un cinema come quello di Pedro Almodovar non poteva essere neanche minimamente immaginato.

Nello stesso periodo però anche nel nostro fumetto nazionale si avvertivano esigenze analoghe: libertà espressiva, ribellione alle convenzioni e alle censure di un'Italia democristiana e, s'intende, sfruttamento commerciale delle pulsioni erotiche adolescenziali. Dopo la stagione criminale dei fumetti 'con la K' sul filone inagurato da Diabolik & Eva Kant, arrivò quella del fumetto esplicitamente sexy, di cui le vampire (preferibilmente lesbiche) erano le protagoniste principali: Zora, Jacula, Sukia, per citare le testate più famose. Nel tempo sull'abbinamento eros & thanatos avrebbe prevalso l'elemento più esplicitamente porno, prima del tramonto del fumetto sexy, sopraffatto dalle più immediate videocassette hardcore.

Nondimeno, a mio avviso, il filone meritava una rilettura più consona ai nostri tempi, non necessariamente finalizzata a un fugace consumo onanistico. Non a caso il pubblico che più ha gradito i miei romanzi di Danse Macabre - pur dichiaratamente ispirata a quel cinema e a quei fumetti - non è costituito da maschietti arrapati ma da lettrici che, a giudicare dalle lusinghiere recensioni, vi hanno trovato una carica erotica e - forse - una visione del mondo a loro più prossima; inaspettatamente considerando che l'autore è di sesso maschile.

Ora i primi due romanzi del ciclo Danse Macabre, ovvero Le vampire di Praga e Sangue freddo, sono disponibili in un volume doppio edito da Excalibur, con doppia copertina, su entrambi lati con un'immagine della protagonista, interpretata dalla modella Délice la Rouge. Lo trovare in vendita nelle librerie Mondadori (dove lo potete ordinare, anche se alcuni vi racconteranno il contrario) e online su IBS, Mondadori Store, e Amazon. Chi passasse da San Nicola Arcella la sera di sabato 19 potrà acquistarlo sul posto: sarò lieto di fare una dedica.

Ma intanto non abbassate la guardia. Non lasciatevi ingannare o sedurre da vampiri o vampire al di fuori della letteratura o del cinema: in qualsiasi epoca, sono sempre belve pericolose dall’aspetto falsamente umano, che si nutrono del nostro sangue. Fenomeni di un baraccone che ancora ci spaventa e ci affascina, dopo tanti secoli. O dovrei dire millenni?

Leggi anche gli altri post del Premio Torre Crawford:

-l'intervista a Giada Trebeschi

-l'intervista a Cristiana Astori

-l'intervista ad Andrea Carlo Cappi

-F.M. Crawford raccontato da Andrea Carlo Cappi

-il mito del vampiro raccontato da Andrea Carlo Cappi

-i vincitori dell'edizione 2020



Premio Torre Crawford - Cristiana Astori

Sabato 19 settembre dalle 19.00 al Belvedere (via Villa) di San Nicola Arcella (Cosenza) si celebra la serata del Premio Torre Crawford, in onore dello scrittore americano Francis Marion Crawford. Nato a Bagni di Lucca nel 1854, visse in India e negli Stati Uniti per poi tornare in Italia, dove abitò nella sua villa a Sant'Agnello (Napoli) e a San Nicola Arcella nella torre spagnola del XVI secolo che oggi porta il suo nome (nella foto). Proprio nella località del cosentino ambientò il suo racconto più celebre, Perché il sangue è la vita, pietra miliare nella letteratura sui vampiri. Morì a Sant'Agnello nel 1909.

La scrittrice e traduttrice Cristiana Astori è tra gli ospiti tanto della serata di sabato 19, 
quanto dell'antologia Perché il sangue è la vita edita da Oakmond Publishing: il libro ufficiale del Premio Torre Crawford, oltre alla storia originale dello scrittore americano e ai vincitori del concorso letterario, contiene la sua novelette  dal titolo Ti piace il sangue? L'autrice, già vincitrice di numerosi premi, dopo avere pubblicato racconti in molte riviste, esordi con un proprio libro a metà degli anni Duemila: il suo Il Re dei Topi entusiasmò cultori illustri della narrativa thriller e horror, quali Alan D. Altieri, Claudia Salvatori e Joe R. Lansdale, che la definì una scrittrice di storie lucide e taglienti, una stella brillante nei cieli della letteratura. Nella collana Il Giallo Mondadori, Cristiana Astori ha pubblicato la trilogia Tutto quel... proseguita dall'editore Eliott con il quarto romanzo, Tutto quel buio. Le abbiamo rivolto un paio di domande.


Che cosa significa l'horror, oggi?

L'horror di qualità è quello che rivela il lato oscuro dell'individuo o della società, e spesso attraverso l'uso di potenti metafore ci permette di guardarci allo specchio, e non solo di scoprire ma di vivere sulla nostra pelle gli aspetti più oscuri e spaventosi che ci appartengono e non sempre abbiamo il coraggio di affrontare.

Se l'horror ci mette di fronte a qualcosa di noi che forse non vorremmo vedere... perché è tanto amato da scrittori, sceneggiatori e lettori?

Proprio perché si tratta di un genere viscerale e coinvolgente. L'horror ha una valenza catartica e ci permette di abreagire le nostre paure, di dare loro sfogo e liberarcene. In sostanza, è una forma di narrativa che ci conduce in profondità: è quanto avviene in speleologia, quando ci si cala in una grotta oscura e fangosa per poi uscire a riveder le stelle. Conoscere il buio ci permette di comprendere l'importanza della luce.



giovedì 10 settembre 2020

Premio Torre Crawford - Andrea Carlo Cappi


Sabato 19 settembre dalle 19.00 al Belvedere (via Villa) di San Nicola Arcella (Cosenza) si celebra la serata del Premio Torre Crawford, in onore dello scrittore americano Francis Marion Crawford. Nato a Bagni di Lucca nel 1854, visse in India e negli Stati Uniti per poi tornare in Italia, dove abitò nella sua villa a Sant'Agnello (Napoli) e a San Nicola Arcella nella torre spagnola del XVI secolo che oggi porta il suo nome (sopra, in una foto di Amalia Grosso). Proprio nella località del cosentino ambientò il suo racconto più celebre, Perché il sangue è la vita, pietra miliare nella letteratura sui vampiri. Morì a Sant'Agnello nel 1909.


Lo scrittore, editor e traduttore Andrea Carlo Cappi, presidente della giuria del Premio Torre Crawford, è anche il curatore dell'antologia Perché il sangue è la vita edita da Oakmond Publishing. Il volume contiene i racconti selezionati al concorso insieme alla storia originale di F. M. Crawford e alla novelette dell'autrice-culto dell'horror italiano Cristiana Astori Ti piace il sangue?

Cosa può anticipare del libro?

L'idea era di mettere a confronto l'opera originale di Crawford - che ho ritradotto io stesso - con storie contemporanee di autori italiani, ispirate dalla stessa citazione della Bibbia che lo scrittore aveva scelto come titolo. Gli eventi che hanno segnato il mondo durante il concorso hanno influito su alcuni autori, trasformando il libro in un'originale testimonianza del nostro tempo.


Come sono stati scelti i racconti vincitori?

Sulla base della qualità, dell'originalità e del rispetto della citazione scelta come tema del concorso. Non dovevano per forza essere racconti di vampiri: uno di quelli selezionati è di fatto in puro stile Alfred Hitchcock presenta. La giuria ha letto testi presentati in forma anonima: solo alla fine ho saputo che tra gli autori premiati ce n'erano un paio già piuttosto noti. Ma intanto ho avuto il piacere di scoprirne di nuovi.

Cosa avverrà alla serata di sabato 19, di cui sarà il conduttore?

Sarà una serata di intrattenimento: da oltre venticinque anni amo proporre la cultura in modo divertente. Oltre alla premiazione, si assisterà allo spettacolo teatrale-musicale Sulla pelle del diavolo, di e con Giada Trebeschi e Giorgio Rizzo, a una brillante conversazione con gli ospiti e a un'esibizione di AlmaDance con il duo musicale Carmelina Colantonio-Luca Longo. Insomma, sarà tutto fuorché la noiosa presentazione di un libro.

Leggi anche gli altri post del Premio Torre Crawford:

-l'intervista a Giada Trebeschi

-l'intervista a Cristiana Astori

-l'intervista ad Andrea Carlo Cappi

-F.M. Crawford raccontato da Andrea Carlo Cappi

-il mito del vampiro raccontato da Andrea Carlo Cappi

-i vincitori dell'edizione 2020

lunedì 7 settembre 2020

Tenet: una spia nel tempo


Recensione di Alby Bottecchia

Kiev, Ucraina: la micidiale quanto misteriosa spia nota come il Protagonista, interpretato da John David Washington (Malcom X, Blackkklansman), partecipa all'azione di un gruppo estremista allo scopo di "estrarre" un contatto la cui copertura è saltata e recuperare un misterioso pacchetto: la missione riesce ma l'agente viene successivamente scoperto, catturato e torturato riuscendo però a mordere una capsula di cianuro piuttosto che rivelare informazioni. Al suo "inaspettato" risveglio la spia scopre che la capsula inserita nel suo molare era fasulla: un test dell'agenzia per mettere alla prova la sua lealtà nei confronti del team. Quindi al Protagonista viene assegnata una nuova missione: salvare il mondo da una sorte peggiore della terza guerra mondiale in una "missione che trascende gli interessi nazionali".
Con solo una parola chiave, Tenet, l'agente comincia la sua indagine partendo da una misteriosa tecnologia che consente a persone e oggetti di invertire la propria entropia, permettendo loro di spostarsi nel flusso temporale attraverso un meccanismo denominato "inversione".
Seguendo le tracce di una partita di munizioni "invertite" a Mumbai, il Protagonista e il collega Neil, interpretato da Robert Pattison (Twilight Saga, The Lost city of Z.), penetrano all'interno dell'attico di Priya Singh, misteriosa quanto influente trafficante d'armi che mette i due agenti segreti sulla pista di Andrei Sator, interpretato da Kenneth Branagh (Enrico V, Assassinio sull'Orient Express, Morte sul Nilo), un oscuro oligarca russo dai pericolosi intenti.
Per fermare i piani di Sator i protagonisti dovranno allearsi con Kat, interpretata da Elizabeth Debicki (The Night Manager, Operazione Uncle), moglie dell'oligarca desiderosa di sfuggire al suo oppressivo controllo.
Al suo undicesimo film Christopher Nolan confeziona la sua personale versione di Bond movie affidandosi a una sceneggiatura (da lui stesso ideata), complessa ma avvincente, condita da ritmo adrenalinico e azione mozzafiato affidandosi a due interpreti d'eccezione per condurre lo spettatore nel crepuscolare mondo dello spionaggio. Time is running out.

domenica 30 agosto 2020

Le terme con delitto di Albina Olivati



Recensione di Andrea Carlo Cappi

I gialli di Albina Olivati assomigliano molto alla loro autrice. La simpatia dei protagonisti si mescola a un'osservazione del mondo attenta e arguta, a volte quasi affettuosa nel descrivere vanità e debolezze di molti personaggi. Anche se in mezzo a difetti e difettucci si nasconde qualcosa di più grave: l'elemento che sfocia nel delitto, celato tra i dettagli che incontriamo lungo la narrazione. Forse c'è qualcosa di vero nell'astrologia, dato che Albina condivide lo stesso segno zodiacale di Agatha Christie: qui naturalmente non siamo negli scenari sontuosi delle crociere sul Nilo o dei vagoni dell'Orient Express, bensì in quelli di provincia tanto amati anche dalla maestra del mystery classicoin cui l'assassinio matura tra vicende in apparenza più modeste. E, come già ho notato nella recensione del romanzo precedente, Termine corsa, la trama dell'indagine è in simbiosi con la commedia umana, che quando si tratta di terme trova un ambiente perfetto, come già aveva scoperto Manuel Vázquez Montalbán..

Siamo in un'epoca imprecisata che potrebbe essere la fine degli anni Sessanta o il principio degli anni Settanta, alle Terme del Monte di Bormio, frequentate da turisti e gente del luogo. Ed è qui, che tra fanghi e saune, il cadavere del ragionier Menaroli viene trovato galleggiante nella vasca del Bagno di Apollo. No, non è stato un incidente. Viene convocato il maresciallo dei Carabinieri, ma il caso vuole che proprio quel giorno si presenti alle terme il professor Ersilio Salvi, già protagonista suo malgrado del romanzo precedente. Ed ecco dunque che si ricostituisce la coppia investigativa, con la più giovane e più brillante collega Clementina Olmi (il vero alter ego dell'autrice) e la collaborazione di un giovane giornalista locale. A proprio rischio e pericolo, il terzetto si mette a curiosare tra i segreti di Bormio, per scoprire cosa abbia indotto un assassino a togliere di mezzo un ragioniere dall'aria innocua e dagli improbabili calzoncini da bagno.

Di certo ad Albina Olivati è d'aiuto la lunga esperienza nel giornalismo, cominciata e proseguita molti anni proprio nella Valtellina che fa da sfondo ai suoi libri, prima che l'autrice trasferisse a Milano la sua attività di cronista. Ma il gusto di raccontare le tante storie dei personaggi che si incrociano nella vicenda, in tono lieve ma a volte pungente... quello è tipico di una vera scrittrice ed è ciò che contraddistingue questi libri: il ritratto di un Italia prima dei computer, dei telefonini e delle mascherine, ma sotto molti aspetti non sostanzialmente diversa da quella in cui viviamo.

Albina Olivati Il Bagno di Apollo, Edizioni DrawUp, 128 pagine, 12 euro (epub 3,99 euro)

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...