Riscoperta di Andrea Carlo Cappi
In vista dell'uscita imminente di un nuovo film su una delle icone della fantascienza, Godzilla, il re dei mostri, può essere interessante riscoprirne le origini e le varie interpretazioni nel corso dei decenni. In particolare il significato storico della scelta di qualcosa di enorme come un dinosauro mutante dalle dimensioni esagerate, quindi una minaccia in apparenza insormontabile per gli esseri umani, un'arma di distruzione di massa vivente sotto la quale si sbriciolano le nostre costruzioni più ardite, una forza della natura alterata dalla degenerazione della scienza.
Gli anni Venti e Trenta videro approdare al cinema i mostri della letteratura gotica ovvero minacce di proporzioni umane, più o meno in grado di mimetizzarsi tra noi, a volte come predatori (Dracula, dal romanzo di Bram Stoker) a volte come esseri disadattati e persino discriminati (la creatura di Frankenstein, dal romanzo di Mary Shelley). Forse una metafora involontaria delle dittature nascenti in Europa, in cui singoli uomini avrebbero portato allo sterminio di altri uomini perché ritenuti diversi. Ma in quei decenni, in cui il cinema passa dal muto al sonoro, si avverte anche il primo impulso ad affrontare fenomeni di dimensioni superiori.
Nel film Il mondo perduto (1925), tratto con qualche libertà da un romanzo di sir Arthur Conan Doyle – sì, il creatore di Sherlock Holmes – il professor Challenger scopre un'isola popolata da dinosauri superstiti e riesce nel finale a portare a Londra un brontosauro che, sfuggito al controllo, devasta la città: è il primo esempio di confronto diretto tra natura preistorica incontrollabile e mondo moderno governato dall'uomo. Otto anni dopo, nel 1933, il concetto viene ripreso da King Kong, con l'enorme gorilla idolatrato dalla popolazione di un'isola sconosciuta, anch'essa popolata da creature preistoriche; il gigante scimmiesco, trascinato a New York, avrà modo di creare scompiglio nella modernità occidentale rappresentata dalla città.
Apprendo da Wikipedia che il successo di King Kong in Giappone produsse due curiosi effetti collaterali: una commedia di mezz'ora intitolata Wasei Kingu Kongu (ovvero "King Kong alla giapponese", 1933), in cui il protagonista è un uomo che indossa un costume da gorilla per replicare su un palcoscenico le gesta di King Kong su una città in miniatura, causando però equivoci quando esce per la strada; e un falso sequel apocrifo intitolato Edo ni arawareta Kingu Kongu (ovvero "King Kong appare a Tokyo", 1938) in cui ad avere tale nome è tuttavia una sorta di scimmia-killer ammaestrata di proporzioni "normali". Entrambi i film sono andati distrutti durante la guerra e vengono iscritti come prototipi del filone kaiju, "mostri", anche se non si tratta di "grandi" mostri.
La vera nascita dei kaiju eiga (i film giapponesi di mostri, definizione divenuta popolare solo da alcuni anni anche in Occidente, dopo Pacific Rim) si ha negli anni Cinquanta. Si può dire che il genere sorga contemporaneamente a Hollywood e a Tokyo, in concomitanza con il crescente sviluppo delle armi nucleari e la percezione collettiva di una hybris della scienza, che potrebbe condurre l'umanità alla distruzione. Tra questo, gli avvistamenti UFO postbellici negli USA e le premesse della conquista russo-americana dello spazio, il cinema di fantascienza diventa un prodotto di attualità, oltre che di massa. Ma in Giappone tutto ciò assume un significato particolare.
Nel 1954 quello del Sol Levante è un paese segnato in profondità dalla guerra. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki del 6 e 9 agosto 1945, con le loro conseguente sia immediate sia protratte nel tempo, sono un ricordo ancora bruciante, testimoniato dai cheloidi sui corpi dei superstiti che ispireranno la pelle di Godzilla. Ma è anche l'epoca degli esperimenti nucleari nel Pacifico, le cui conseguenze si fanno sentire anche sulla popolazione nipponica: il primo marzo di quell'anno la Daigo Fukuryu Maru (nota anche come Lucky Dragon 5) attrezzata per la pesca del tonno, viene investita da una pioggia di cenere radioattiva prodotta dal test americano Castle Bravo sull'atollo di Bikini, pur trovandosi al di fuori dell'area indicata come a rischio; quasi tutto l'equipaggio si salverà, benché contaminato, e la vicenda sarà oggetto di un film giapponese del 1959. In Gojira, che esce il 6 novembre 1954, una donna fa riferimento proprio a «tonno all'idrogeno e pioggia radioattiva» ma in tutta la pellicola si avverte l'incubo delle armi nucleari e delle radiazioni misurate dai contatori Geiger.
Lo stesso Godzilla viene giudicato dall'insigne paleontologo Yamane, personaggio che appare nei primi film, un rettile preistorico anfibio contaminato dalle radiazioni e mutato a seguito di queste; allontanatosi dal proprio habitat in fondo all'oceano a seguito degli esperimenti nucleari, il mostro va ora in cerca di un nuovo ambiente, grazie alla sua capacità di muoversi anche sulla terraferma. L'aspetto della creatura – un misto fra iguanodonte, tirannosauro e stegosauro – è il risultato finale di una lunga serie di ipotesi tra produttore e autori: si pensa inizialmente a un ibrido tra gorilla (gorira, dato che in giapponese la lettera l viene pronunciata r) e balena (in giapponese kujira), da cui il nome Gojira; dopo varie riflessioni, a Gojira viene data però la configurazione di un dinosauro. La versione inglese Godzilla inserisce la parola god, cioè dio, esaltando l'aspetto di divinità pagana del mostro ed evocando, seppure solo nel nome, la figura di King Kong.