domenica 13 dicembre 2020

The Prisoner - Original Art Edition

Recensione di Andrea Carlo Cappi

Si scoprono sempre cose nuove, anche se ogni tanto con lieve ritardo, dato che il volume in questione è datato 2019. Per esempio, che da un telefilm di culto la Marvel Comics - la casa editrice dei supereroi - sia stata sul punto di trarre una serie a fumetti, che passò tra le mani di due dei più grandi disegnatori della storia, Jack "The King" Kirby e Gil Kane, anche se alla fine non fu portata a compimento. The Prisoner - Original Art Edition porta alla luce le due straordinarie versioni a fumetti, inedite, del primo episodio.

Molti ricorderanno la serie britannica Il Prigioniero (The Prisoner, 1967-68) che io scoprii affascinato negli anni Settanta, quando la RAI ne mandò in onda una manciata di episodi. In seguito fu trasmessa per intero in Italia su qualche rete in orario notturno, ma riuscii a vederla dall'inizio alla fine solo nei primi anni Duemila, quando ne uscì la collezione completa in edicola. Ne era ideatore, interprete principale e spesso regista Patrick McGoohan (1928-2009), attore irlandese attivo su entrambe le sponde dell'Atlantico, all'epoca reduce dal successo della serie spionistica Gioco pericoloso (Danger Man, 1960-68). Qualcuno lo ricorderà per avere interpretato almeno quattro diversi antagonisti del tenente Colombo, nella storica serie di tv movies di cui diresse anche un bizzarro episodio.

Bizzarro è un termine adatto, perché l'approccio di McGoohan al genere era assolutamente fuori dagli schemi. Se John Drake, il protagonista di Danger Man, era un agente segreto diverso dal James Bond dei romanzi e soprattutto dei film (l'attore fu candidato al ruolo di 007, ma non lo accettò, pare in quanto fervente cattolico), il protagonista de Il Prigioniero è ancora più atipico. Da quanto si vede nel primo episodio è a sua volta un agente segreto, o quantomeno fa parte di un'organizzazione governativa con sede a Londra, presso la quale rassegna in un impeto di rabbia le proprie dimissioni. Ma in tutta la serie non verrà mai rivelato il suo nome, né il suo ruolo: narcotizzato e rapito, l'uomo si risveglia in un luogo non identificato chiamato "il Villaggio" (gli esterni sono girati a Portmeirion, cittadina nel Galles settentrionale dalle stravaganti architetture) dove viene chiamato Numero Sei. L'obiettivo dei rapitori, una struttura ben organizzata e tecnologicamente avanzata, è sottoporlo a una serie di giochi mentali per indurlo a rivelare i suoi segreti, in particolare il motivo delle sue dimissioni.

Nella serie, a metà tra spionaggio e fantascienza, si percepiscono influenze letterarie che vanno da Il mondo nuovo di Huxley e dal 1984 di Orwell a L'uomo dei giochi a premio di Dick, passando per il racconto Attenti al cane di Roald Dahl (ispiratore diretto del film Le ultime trentasei ore e indiretto della serie tv Missione: Impossibile). Forse per necessità di esportazione sul mercato televisivo americano, quella che avrebbe dovuto essere una seconda stagione fu ridotta a quattro episodi conclusivi di cui gli ultimi scritti frettolosamente, in cui il sottofondo psichedelico delle sceneggiature andava in crescendo e il finale, anziché risolutivo, era più delirante di quelli di Twin Peaks. Lo spunto de Il Prigioniero sarebbe stato riutilizzato varie volte e se ne sarebbe visto persino un remake sotto forma di miniserie tv molto meno efficace nel 2009. In ogni caso Il Prigioniero di McGoohan raggiunge livelli epici nella descrizione di un uomo deciso a mantenere la propria identità in un contesto "sociale" che lo vuole omologato e accondiscendente a una "realtà" preconfezionata dal Potere, come avveniva nelle dittature del Novecento.

Art+Design Atomium Museum, Bruxelles
Foto A. C. Cappi

Torniamo al bellissimo (e inevitabilmente un po' costoso) volume della Panini Comics che riproduce in italiano il lavoro fatto nel 1976 da Steve Englehart (sceneggiatore) e Gil Kane (disegnatore) e da Jack Kirby (sceneggiatore e disegnatore) partendo dallo script di Arrival, primo episodio della serie tv. Sono le due diverse versioni della stessa storia, in buona parte rimaste a livello di matite, con solo alcune tavole a china e una splash page a colori. Quindi non ci si deve aspettare di trovare una versione deluxe di due albi Marvel standard. La versione di Kirby è presentata con lettering in italiano, la versione di Englehart-Kane è "al naturale", anche se riproposta poi, più in piccolo, con lettering e sceneggiatura tradotta a fronte. Chi conosce e ama i due disegnatori - che sarebbe riduttivo definire due dei più grandi che abbiano calcato le scene della Marvel e della DC Comics, creando l'immagine di personaggi leggendari - può immaginare l'entità dello spettacolo.

Per i cultori della televisione vintage ci sono interessantissimi retroscena, non solo della versione a fumetti ma anche della serie tv, tra cui la cartella stampa con cui la ITC lanciò Il Prigioniero, cercando di stimolare l'interesse di un pubblico abituato a fiction più convenzionale. Si sottolineava come si trattasse di una "serie di azione" anche se ambientata nello spazio ridotto del Villaggio. E si calcava la mano sul mistero che circondava tanto le sceneggiature quanto le riprese, compresa la location degli esterni, all'epoca poco conosciuta e quindi novità assoluta per gli spettatori. Risulta sorprendete la resa a fumetti tanto dell'ambiente del Villaggio quanto degli interni realizzati in studio, con elementi di design tipici dell'epoca, come la celebre poltrona sferica del Numero Due. Insomma, un tuffo emozionante nello spazio-tempo, irrinunciabile per chiunque (come racconta lo sceneggiatore Steve Englehart) abbia provato a immergersi nel mondo del Numero Sei e ne sia rimasto segnato.


sabato 12 dicembre 2020

Il grande sonno (1946)


Retrospettiva di Alby Bottecchia

Los Angeles non è un posto da angeli. A dispetto del nome e della patina glamour è una città dominata da vizi e corruzione.
Nessuno lo sa meglio di Philip Marlowe, interpretato da Humprey Bogart (Una pallottola per Roy, Il mistero del falco, Casablanca), un detective privato scaltro, sagace e all'occorrenza veloce coi pugni. Quando viene chiamato per risolvere un caso di ricatto ai danni della giovane e bellissima figlia del generale Sternwood, Carmen (l'attrice Martha Vickers) l'abilissimo investigatore entra in un autentico labirinto di intrighi, in cui rischia di perdersi anche la figlia maggiore del generale: l'affascinante e spregiudicata Vivian (Lauren Bacall), di cui Marlowe si innamorerà, ricambiato. Philip dovrà vedersela con un avversario spietato, facendo ricorso a tutta la sua astuzia e abilità per uscirne vivo.
Howard Hawks (Susanna, Un dollaro d'onore) dirige l'adattamento del primo romanzo del ciclo hardboiled di Raymond Chandler, realizzando uno dei capolavori del cinema noir anni Quaranta in cui ironia, azione e mistero si mescolano in un cocktail dosato alla perfezione, ancora godibilissimo a quasi settantacinque anni dall'uscita. Grazie anche all'adattamento di Leigh Brackett e William Faulkner, già collaboratori di Hawks in Acque del sud, da cui il regista riprende i protagonisti Bogart & Bacall (nel frattempo divenuti una coppia nella vita reale).
L'interpretazione di Bogart, in particolare, rimarrà per sempre associata all'incarnazione cinematografica di Philip Marlowe: grinta, ironia e classe che lo rendono un'icona immortale.
My, my, my! Such a lot of guns around town and so few brains.

venerdì 11 dicembre 2020

Iperwriters - Salvati dal naufragio, verso un roseo futuro


 Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Venerdì, ore 13. Oggi nasce IperWriters. La parola è una realtà vivente, come si credeva nell'antico Egitto. Il nome è moderno, ma ha una radice antica. Iper significa oltre, al di là. Oltre lo scrittore. Sempre andando avanti.
In questi giorni circola uno spot pubblicitario: uno strumento di ripresa gira intorno a una pila di libri in un lungo piano sequenza circolare, salendo e salendo. La pila sfuma lentamente nell'ombra, e l'ultimo volume sulla sommità si apre in un tablet di ultima generazione che irradia un fascio di luce abbagliante.
Sì, con la fine dell'era Gutenberg siamo naufragati nel mare del Web. Senza radici, senza maestri, senza esempi e senza storia, dal Titanic affondato abbiamo trovato rifugio sulla nave portacontainer.
Nei container ci siamo noi, gli scrittori. Noi che non ci siamo arricchiti, ma siamo sopravvissuti. Noi che, quando dovremmo essere categorizzati, scopriamo che “non facciamo statistica”. Noi, che con l'acculturazione di massa ci siamo moltiplicati all'infinito ma, di fatto, non esistiamo.
Nei nostri container vorremmo essere liberi. D'accordo, l'idea di libertà in uno spazio chiuso è un paradosso e un ossimoro, e avreste ben ragione a dirci che vi proponiamo solo di passare da un carcere a un altro.
Ma c'è tutta una letteratura che parla di voli meravigliosi nella cella di un monastero, sotto una tenda indiana, sulla cima di un pilastro.
E perché non in un container?
Naufragati, non abbiamo più nulla da perdere.
Nel mondo contemporaneo è d'obbligo stare in un container, ma in qualità di naufraghi abbiamo ben diritto di scegliercelo noi.
Nei nostri container non si dorme, ma si sogna molto. Il nostro sogno è ritrovare l'antica magia che i nostri talenti un tempo portavano alle coscienze attente.
La nave portacointainer va. Avanti.
Il mare è freddo, grigio, invernale. Ma il cielo è rosa, perché il futuro lo è sempre, e si riflette nell'insegna che ci rappresenta.
Siamo noi. Siamo gli IperWriters.

Continua...

mercoledì 9 dicembre 2020

La legge della notte (2016)


Retrospettiva di Alby Bottecchia

Chicago 1926: Joe Coughlin, interpretato da Ben Affleck (Pearl Harbour, Daredevil, The Accountant, Argo), è un veterano della prima guerra mondiale, ribelle per natura: pur essendo figlio di un commissario di polizia, rapina banche per puro brivido senza mai coinvolgere i civili, non ama prendere ordini ed è estremamente avventato.
Durante un colpo conosce e si innamora di Emma Gould, una ragazza tanto affascinante quanto superficiale legata sentimentalmente ad Albert White, potente boss locale. Scoperto il tradimento, White sta per fare del rapinatore un esempio giustiziandolo sul posto, quando interviene la polizia che arresta Joe per un colpo precedente (nel corso del quale sono rimasti uccisi quattro agenti).
Grazie alla mediazione del padre, Joe evita la sedia elettrica scontando cinque anni di carcere.
Una volta uscito Joe si pone sotto la protezione di Maso Pescatore l'unico capomafia con abbastanza potere da opporsi al dominio di White,
Pescatore riconoscendo il talento organizzativo e intimidatorio di Joe , lo manda in florida a gestire l'arrivo e lo spaccio clandestino di rum.
Dimostrandosi astuto e spietato, Joe si impone come il re dei trafficanti, innamorandosi, ricambiato, di Graciela Corrales, interpretata da Zoe Saldana (Avatar, Star Trek, Guardians of the Galaxy), sorella e socia del suo " fornitore" cubano.
Nonostante l'affetto di Graciela e il successo negli affari, su Joe incomberà sempre minacciosa l'ombra di Albert White; quando gli alleati diverranno nemici il giovane Coughlin dovrà impugnare un'ultima volta la pistola per la sfida decisiva.
Dal romanzo La legge della notte (Live by Night) di Dennis Lehane (già autore di Shutter Island), Ben Affleck trae nel 2016 come sceneggiatore, regista e interprete un film avvincente, adrenalinico e bruciante come un sorso di rum con protagonista taciturno e letale disposto a tutto pur di proteggere coloro che ama. Bang.

venerdì 4 dicembre 2020

Il solito vizio, di Pierluigi Larotonda


Presentazione di Enrico Luceri

Torino, febbraio 1975. Una città grigia, piovosa, dove i viali sfumano nella foschia, le locandine dei quotidiani appese alle edicole sventolano, agitate da un vento freddo e umido, e i passanti che si fermassero a leggere i titoli a caratteri cubitali, troverebbero le notizie su attentati terroristici e casi di cronaca nera.
Benevento è un poliziotto di origini meridionali, che si aggira per i quartieri più degradati di questa città industriale che già risente della crisi dei consumi dell’epoca.  Benevento non è un poliziotto qualsiasi: è stato corrotto da una gang siciliana per chiudere un occhio su un giro di bische clandestine. Come ammette egli stesso, si è corrotti per lucrare un guadagno illecito oppure per codardia e salvarsi la vita. Lui, poi, avrebbe come massima ambizione quella di ficcarsi in un posto di lavoro tranquillo e privo di rischi. Ma il destino decide diversamente.
Benevento non è solo un poliziotto corrotto. È l’io narrante del romanzo Il solito vizio, scritto da Pierluigi Larotonda, una storia che evoca immagini, suoni, voci e un’atmosfera che oggi pare remota e invece è immersa in un tempo relativamente vicino. Eppure reso così diverso e distante da un cambiamento epocale di abitudini e mezzi, favorito dal consumismo esasperato e dall’inarrestabile evoluzione della tecnologia.
Incaricato delle indagini sulla morte per apparente overdose della figlia di un maldestro ricattatore, Benevento scopre di amare il suo lavoro e dimostra capacità insospettabili di sbirro, aggirandosi in un milieu di immigrati senza possibilità di riscatto, emarginato con sospetto e sfiducia da colleghi e superiori. Allo sbaraglio dentro un intrigo che si rivela un vero labirinto di inganni e crimini, questo poliziotto scalcagnato che somiglia un po’ al sergente Sarti Antonio di Loriano Macchiavelli (che però è un questurino onesto fino al midollo) e cita correttamente Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, rovista a mani nude nella melma di usura, rapine, eversione, spaccio, truffa, prostituzione e un campionario vasto di delitti. A tratti confuso da personaggi abili a simulare un’indole diversa da quella reale, trova comunque il bandolo della matassa, consapevole del rischio che corre: essere soffocato dal filo teso attorno a lui da una singolare convergenza di interessi.
Una storia che sembra prendere vita dalle pagine e svolgersi davanti ai nostri occhi, per l’incisiva descrizione di un’umanità dolente, di una realtà di emarginati, piccola e media criminalità, spacciatori e tossici, insospettabili assassini e situazioni dove i profili di vittime e colpevoli si confondono e diluiscono, forse in quella stessa foschia che dilata le ombre e le facciate dei palazzi borghesi e popolari di Torino. Una sequenza ritmata di scene da film poliziottesco degli anni Settanta del secolo scorso, magari trasmesso qualche anno dopo da uno dei primi modelli di televisione a colori, con quell’effetto carico di ricordi addormentati nella memoria, e mai rimossi, che attendono solo una parola, un nome, il titolo di una canzone per svegliarsi. 
Perché i ricordi in fondo sono le nostre radici, e accettata l’indispensabile e minima dose di rimpianto, possono sfumare nella nostalgia solo a condizione di lasciarci guardare il futuro con la consapevolezza di ciò che siamo stati. E in fondo restano la più concreta testimonianza di essere vivi e vitali.
Il noir troverà la sua soluzione in un fatto di cronaca, in un vizio italiano purtroppo ancora ben presente nella società contemporanea.

Pierluigi Larotonda Il solito vizio, Bertoni Editore, euro 16,00

giovedì 22 ottobre 2020

Roubaix, une lumiere (2019)

 


Recensione di Andrea Carlo Cappi

Roubaix, la città francese al confine con il Belgio che forma un nucleo metropolitano con altre località, come Lille e Tourcoing, ha conosciuto tempi gloriosi. Ma ora è in fase di decadenza e la sua popolazione – comprendente comunità di immigrati da Italia, Portogallo, Polonia, Nordafrica... – è sempre più povera e afflitta da una criminalità crescente. In questo scenario si trova a operare il Commisariat Central, di cui è a capo Yakoub Daoud, nato in Algeria e cresciuto a Roubaix, cui sono legati tutti i suoi ricordi e dove ora è l’unico rimasto della sua famiglia; tranne un nipote carcerato, che rifiuta di vederlo e lo odia a morte senza motivo apparente, forse solo per i loro due ruoli opposti di sbirro e delinquente. 

Daoud (Roschdy Zem, premio Lumières e premio César per questo ruolo) è la figura dominante di Roubaix, una luce di Arnaud Desplechin: un poliziotto solitario dai modi apparentemente gentili, ma impietoso quando si tratta di portare alla luce la verità, che si tratti di una tentata frode assicurativa o di un omicidio. Fa amicizia con l’ultimo arrivato della squadra, Louis Cotterelle (Antoine Reinartz), prete mancato dalla fede in crisi, deluso dalla difficoltà di risolvere i casi in un contesto del genere. 

Per esempio, l’incendio doloso di una casa abbandonata in un cortile di rue des Vignes porta un gruppo di poveracci di etnie assortite ad accusarsi a vicenda senza che la polizia cavi un ragno dal buco. E le uniche testimoni, le conviventi Claude (Léa Seydoux) e Marie (Sara Forestier), hanno troppa paura per parlare. Poi, nello stesso cortile, avviene l’omicidio di un’anziana signora. Poveri che uccidono per derubare altri poveri. Ma stavolta l’intuito di Daoud e le tecniche di interrogatorio della sua squadra portano alla soluzione del caso, una verità triste e una confessione agghiacciante. Ma anche a una luce nell’ombra della città.

Il film si potrebbe definire un police procedural a sfondo sociale, con un’indagine principale in parallelo ad altri casi, in chiave realistica: non a caso è basato su un vero caso di omicidio a Roubaix del 2002, ricostruito nel documentario televisivo Roubaix Commissariat Central (di Mosco Boucault, France 3, 2008). Nessuna concessione viene fatta a buonismi o stereotipi da telefilm. Persino Léa Seydoux, sciupata ad hoc, si presenta qui in un ruolo del tutto non-glamour tra un film di 007 e l’altro. Girato nel 2018 e presentato con buona accoglienza a Cannes nel 2019, questo polar social è arrivato nei cinema italiani nell’autunno 2020. E viene da chiedersi se in luoghi come Roubaix, in questo anno ancora più difficile, la luce si sia spenta di nuovo. 


sabato 17 ottobre 2020

Arsenio Lupin (2004)


Retrospettiva di Alby Bottecchia

Francia 1905: Arsène Lupin (o Arsenio nella versione italiana), interpretato da Romain Duris, è un ladro elegante, raffinato e pieno di risorse; figlio di un istruttore di savate  e di una nobile discendente dai reali di Francia, ha una profonda cultura, un debole per le belle donne ed è orgoglioso di non aver mai fatto del male a nessuno durante i suoi furti.

Durante una visita alla madre malata apprende che l'assassino del padre, mai identificato, le ha fatto visita riaprendo una ferita mai del tutto rimarginata nel cuore del giovane. L'arrivo di un drappello di gendarmi sulle tracce di Arsène e il pur debole tentativo della donna di difenderne l'integrità, le causano un infarto sotto gli occhi impotenti del figlio. Al funerale della madre, il ladro rincontra dopo dieci anni la cugina Clarisse, interpretata da Eva Green (The Dreamers, Casinò Royale 300: the rise of an Empire),  con cui inizia una relazione.

Purtroppo lo spirito irrequieto di Arsène e il desiderio di mettersi alla prova in nuove sfide lo allontaneranno dalla giovane donna (che rimarrà sempre nel suo cuore), mettendolo sulle tracce del tesoro dei re di Francia. Questo colpo porterà lo scaltro Arsenio a confrontarsi con due avversari spietati: la perfida quanto affascinante Josephine de Cagliostro, interpretata da Kristin Scott-Thomas (Il Paziente Inglese, Mission: Impossible) e il subdolo agente governativo Beaumagnan, che sembra conoscerlo meglio di chiunque altro.

Dall'opera di Maurice Leblanc (in particolare il romanzo La contessa di Cagliostro) un film di Jean-Paul Salomé passato un po' troppo inosservato - in Italia è uscito direttamente in dvd - ma avvincente ed entusiasmante, fra travestimenti, fughe, passioni e duelli a mani nude. Fate attenzione: Arsenio Lupin potrebbe essere chiunque...

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...