IperWriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Venerdì, ore 13. Ecco apparire la nave IperWriters.
La guarderete dalla riva, perplessi, e vi domanderete: Che tipo di scrittori trasporta e quale genere di libri dovremmo aspettarci di trovare in quei container?
Non lo sappiamo.
Non possiamo saperlo: le radici di una letteratura viva sono state recise, come le radici di ogni forma di vita. Possiamo soltanto dirvi, come Eugenio Montale, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Non sappiamo più chi siamo, e cerchiamo di ritrovarci sperando di non scontrarci con il nemico o di non essere bombardati dall'alto.
Sappiamo molto bene quali libri non vogliamo.
Non vogliamo niente di quello che ci e vi viene proposto da qualche decennio a questa parte: monologhi joyciani, mummie di avanguardie che girano come tanti Belfagor il fantasma del Louvre, ironie postmoderne, romanzi sul nonsense della vita, sul vuoto, sul nulla, e sulla morte del romanzo stesso.
Non vogliamo metafore del Novecento incarnate in personaggi folli, perché ci è bastata la follia di quel secolo.
Non vogliamo romanzi di formazione, a meno che non siano L'educazione sentimentale di Flaubert.
Non vogliamo storie sulla condizione femminile a meno che non siano scritte da Jane Austen.
Non vogliamo libri su malattie terminali, perché il nostro tempo è già abbastanza terminale. Stiamo scomparendo, e parlare soltanto di agonie significa sprecare quel poco di vita che ci resta.
Non vogliamo, infine, propaganda politicamente corretta. C'è già chi ne è maestro, e noi non reggeremmo il confronto.
Come potremmo sapere quali libri vogliamo? Alcuni di noi hanno provato a scriverli, altri stanno provando e altri ancora proveranno. Non è facile essere Iperwriters in un mondo in cui occorre continuamente risintonizzarsi per essere visibili.
Cerchiamo libri che accendano in noi l'emozione estetica della prima lettura.
Se ne avete, salite sulla nave.
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