Considerazioni di Claudia Salvatori
È
il 1960. Qualcosa sta cambiando nel mondo e nell'immaginario
collettivo: un nuovo modo di percepire il Male. Ora non arriva più
da lontananze tenebrose e infernali al di fuori di noi, ma da abissi
oscuri (ma forse non insondabili) all'interno
di noi. Cominciamo a sapere che ogni persona ha una parte buona e
una cattiva, e che spesso le due parti si mescolano
inestricabilmente.
I
mostri siamo noi: la psicanalisi
regna ovunque sulla terra, entra nel discorrere quotidiano dei
salotti, nelle pieghe più riposte della cultura e del
linguaggio. Fa il suo ingresso a vele spiegate nella fiction.
Tutto
è cominciato con Ed Gein, un assassino del Wisconsin attivo
negli anni Cinquanta. Sorvoliamo sulle sue imprese, ma diciamo che ha
ispirato Psycho di
Robert Bloch e una miriade di altri scrittori e cineasti fino ad
American horrror story.
Il
film del 2012 Hitchcock (12)
mostra il regista impegnato
nell'ideazione e nella realizzazione di Psycho.
Stanco di intrecci giallo-rosa spionistici, sente il bisogno di
cambiare, di dare una nuova svolta al suo lavoro, di rischiare. Si
appassiona al romanzo di Robert Bloch e al suo protagonista Norman
Bates, che alla Paramount definiscono (sic
nella traduzione in lingua italiana) un finocchio ammattito
che uccide la gente negli abiti di sua madre.
La
genialità di Hithcock consiste soprattutto nella sua scelta
del protagonista, che è quella che i tempi gli richiedono e
che lui sa cogliere nell'aria.
Perché,
per interpretare Norman Bates, l'assassino schizofrenico con due
personalità – una delle quali è la mamma dissepolta e
mummificata in cantina – sceglie un delicato e sensibile attore che
fino allora è stato sugli schermi il miglior figlio, il
miglior fratello, il migliore amico, il miglior ragazzo.
Ciascuno
di noi è stretto in una trappola. Mordiamo e graffiamo
soltanto l'aria, soltanto chi ci sta vicino. E non ci muoviamo di un
millimetro.
(Psycho)
Anthony
Perkins, nato nel 1932, talento musicale (che ha trasmesso a uno dei
suoi figli), poco prima di calarsi nella doppia personalità di
Norman Bates ha recitato al cinema e in commedie musicali a Broadway,
e inciso tre lp come cantante. Un suo singolo è stato
ventiquattresimo nella top 100 dei dischi più venduti.
Possiamo sentirlo, su Youtube, cantare Moonlight Swim:
con voce dolcissima.
Troppo
dolce.
Tanta
dolcezza deve celare qualcosa di molto cattivo, no? E se non c'era
nulla da celare, tanto meglio: la via è libera per scatenare
invenzioni e proiezioni.
Strana
carriera, quella di Anthony Perkins.
Iniziata
per trasmettere tenerezza e “normalità”, viene ribaltata
più volte, e lui è precipitato in un incubo, suo
(dall'interno di lui) e collettivo (dall'interno di noi proiettati su
di lui), costretto a rappresentare l'io diviso, la follia, la
duplicità, la “femminilità” e infine la sventura:
tutto quello che temiamo di ospitare in noi stessi, tutto quello che
potrebbe scappare
fuori da noi, tutto quello che preghiamo di non
essere.
La
sua interpretazione in Psycho (13)
è indimenticabile: misuratissima, ma attraversata da tutte le
scariche del suo corto circuito interno.
Anthony
non ride come Vincent: non può. Il suo Mamma,
sangue, sangue! lo agghiaccia e
ci agghiaccia. Anthony sorride, a labbra chiuse, come le antiche
statue delle divinità, ma la luce di pazzia nello sguardo ci
proietta in un mondo in cui dobbiamo temere la nostra ombra (o
piuttosto il nostro inconscio).
Quel
sorriso criminale, perduto, che non rinuncia alla sua soavità,
è uno dei cartelli indicatori sulla via del nuovo millennio.
Svegliatevi.
Questo è il mondo che avete voluto. È questo il mondo
in cui dovete vivere.
(Rebus
per un assassinio)
Da
Psycho in poi, come
sappiamo, Anthony è segnato da Norman Bates, come se lo
avessero spinto a un punto di non ritorno.
È
nuovamente un tenero amante in Le piace Brahms? (14),
ma presto diventa l'equivalente maschile della donna ragno: il
ragazzo sbagliato, “cattivo” o malato o troppo debole perché
la protagonista femminile possa appoggiarsi a lui.
Ritorna
al musical e fa altri film, ma è inseguito da quel Male, da
quella Morte che le platee di tutto il mondo hanno visto in
sovraimpressione sul suo viso.
Guardiamolo
in Dieci incredibili giorni (15),
tratto dal capolavoro degli Ellery Queen. Sono passati dieci anni da
Psycho, e la somatizzazione di Norman Bates è arrivata a
compimento. I tic, le smorfie del nevrotico spossessato si muovono
sotto la pelle, deformano la faccia sempre più scavata e
atterrita che gli conosceremo da ora in poi.
Anthony
tenta di difendersi, sicuramente: prendendo la parola. Scrive
insieme al compositore Stephen Sondheim la sceneggiatura di un
giallo, Un rebus per l'assassino
(16), con il quale vince un Edgar nel ʻ74. Smonta il meccanismo
dello show-biz e ne mostra il funzionamento: alcuni cineasti usano
una serie di crimini prima come gioco di società, e in seguito
come materiale per un film: chi sono i veri cattivi?
Il
suo umorismo vira sempre al nero: dirige Una fortuna da
morire (17), una black comedy in
cui un ragazzo, sentendosi fortunato perché invitato a cena
dalla ragazza dei suoi sogni, ignora di essere lui stesso la cena.
Si
può immaginare che Anthony si sia sentito dato in pasto a
Hollywood e al pubblico delle sale.
Vuole
prendere la fuga da Norman Bates, poi cambia idea e cerca giustamente
di assumermene il controllo, accettando di interpretare Psycho
II (18) e dirigendo Psycho
III (19).
L'assassino
malato di mente va protetto e rieducato, perciò nei sequel di
Psycho un Norman Bates
guarito cerca di riprendersi la propria vita, ma viene risospinto
nella follia dalle malefatte di altri. Ed è tragico che la sua
innocenza non valga a salvarlo e riportarlo fra i vivi.
(Intelligentemente, la serie Bates Motel,
un prequel di fantasia di Psycho,
mostra un Norman diciassettenne con la sua mamma ancora viva,
disturbati e fragili ma distrutti dalla marcia “normalità”
dell'ambiente).
Sembra
che la stessa sorte sia toccata all'attore in carne e ossa, che pur
lottando per tornare a ruoli “normali” non riesce più a
districare carne e ossa dall'identità dello psicopatico, dello
spostato, del borderline.
Un
film con un titolo italiano simile a quello del giallo da lui
scritto, Rebus per un assassinio,
(20) lo mostra ancora una volta come un criminale, al contempo banale
e surreale. È un piccolo funzionario megalomane e masochista
che vive in una topaia ma possiede un potere immenso smistando un
flusso di immagini, documenti e intercettazioni da tutto il mondo:
informazioni, buchi neri di informazioni, galassie di
informazioni. Manovra il
presidente degli Stati Uniti ma è a sua volta manovrato da
poteri forti invisibili e ineffabili.
In
questa interpretazione, interessante in quanto segnale dell'inizio
della civiltà contemporanea (o della fine della civiltà),
il suo volto è ulteriormente devastato, diventato di sasso.
Anche il corpo è come disarticolato, da insetto, da automa, da
essere disumanizzato e non più comprensibile.
Così
anche nella vita reale: c'è una frattura tangibile fra le sue
interviste giovanili e quelle tarde. Il sorriso è scomparso,
gli occhi sono accesi da una fissità vitrea. Una maschera di
dissoluzione, caos e decadenza.
Uccidimi!...
Rendi la mia vita degna di essere vissuta, dà un senso alla
mia morte. Io sono te. Uno di noi due deve morire perché
l'altro possa vivere.
(China
blue)
Così
dice Anthony alla prostituta ninfomane di China Blue (21),
dove interpreta un reverendo predicatore ossessionato dal sesso
(armato di un vibratore-pugnale), una nuova ed estrema versione di
Norman Bates, con un sogghigno pietrificato sul volto scavato, che
pare divorato dall'interno.
Nella
scena climax, dopo averci fatto crepare dal ridere suonando il piano
e cantando, morirà infilzato dal suo stesso vibratore.
Ovviamente indossando i vestiti di China Blue e pronunciando le sue
ultime parole con la voce di lei.
Da
Psycho in poi sono
usciti film con emuli di Norman Bates muniti di tre, cinque, otto
personalità; ora la schizofrenia è globale, la
centrifuga delle identità inarrestabile, e la psicanalisi la
fa da padrona nei programmi televisivi di cronaca nera.
Una
delle ultime apparizioni di Anthony è nel doppio ruolo del
Dottor Jekyll e Mister Hyde sull'orlo della follia (22),
il padre e la madre di tutti i personaggi duplici della fiction.
Jekyll è stato traumatizzato da bambino (poteva essere
altrimenti?) e Hyde ritrova il sorriso di Psycho
esaltato da un incisivo trucco punk. Double the terror,
double the fun, recita la
locandina del film, che mostra i due volti dell'attore nelle sue due
identità. Doppio il terrore, doppio il divertimento.
Ma
alla fine il cattivo, in quanto folle, posseduto da sua madre o da un
filtro o trauma che lo altera, è un non colpevole, e il ruolo
che gli rende più giustizia è quello di Joseph
K. ne Il processo (23)
di Orson Wells. La vittima di un vivere e un morire resi insensati
non da una condanna metafisica, ma dalla caduta libera nel vuoto.
Giustizia,
ma non glorificazione per Anthony Perkins, rimasto caso esplicativo
di un bignamino di psicologia uso famiglia.
In
aggiunta alle difficoltà e alle sofferenze della sua vita
privata, questo attore è stato meno amato di quanto avrebbe
meritato. Non ci amiamo più molto, né in noi stessi né
negli altri, e non c'è più gloria per nessuno.
Anthony
Perkins muore nel 1992 e un anno dopo se ne va anche Vincent Price.
Sta
per iniziare il terzo millennio, e abbiamo già cominciato a
chiederci il giorno e l'ora della fine del mondo.
Ma
c'è un'altra rivoluzione antropologica in corso. Negando il
Bene e il Male assoluti, il bianco e il nero, abbiamo esagerato col
grigiore e ora questo colore è onnipervasivo. La società
ha aperto tutte le gabbie alle peggiori pulsioni della natura umana,
e non sa gestire le belve che ne sono uscite. Occorre difendersi,
eleggendo questo grigio unico a norma ed espellendo i mostri.
Il
risultato è un mondo (e uno stile di vita) dominato da un
satanismo molle, ignaro, sempre più robotizzato e idiotizzato,
con un suicidio di adolescente a colazione, un femminicidio a pranzo
e uno stupro di gruppo a cena, e bullismo reale e virtuale a ogni ora
del giorno ogni giorno. Non è esattamente che siamo adoratori
di Satana, ma ci comportiamo come se lo fossimo, senza saperlo o
fingendo di non saperlo.
Siamo
divisi ora fra persone grigie “comuni” e persone “orribili”.
Il Male, dopo essere passato attraverso di noi, è tornato
fuori. Fuori, ma non
in un altrove mitico, fantastico, piacevolmente orribile. Fuori in
senso fisico. Nella strada di fronte, sullo stesso ballatoio, ma
fuori.
E
fuori in senso psichico, emotivo, caratteriale: non lo si comprende.
L'assassino è sì l'assassino della porta accanto, ma se
non è recuperabile e messo in riabilitazione diventa un
enigma, è quello che chi l'avrebbe mai detto.
In definitiva, l'escluso sociale, perché nessuno vuole esserlo
o esserne coinvolto.
E
in un certo modo, paradossalmente, il Bene e il Male tornano a essere
valori assoluti: lo si vede dagli tsunami di odio che si alzano
contro le persone “orribili” e dall'aria di linciaggio che tira
quando arrestano un presunto colpevole. Ma sono fanatismi assoluti di
una macchina impazzita e del tutto viscerale.
Ora,
per rappresentare tutto questo, occorre un nuovo tipo di attore.
Qualcuno che sia in grado di raccogliere l'eredità dei
precedenti villain
dello schermo ed essere l'assassino della porta accanto, il male
(ormai non ha più la lettera maiuscola) che in alcune
condizioni si rovescia nel bene (idem) e sa agire da santo, e anche da uomo comune. Impossibile? No. Quel qualcuno è già
lì.
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