sabato 4 novembre 2023

Spy Game incontra Valentina di Rienzo


Continua su Borderfiction Zone la serie di incontri con gli autori della collana in ebook di Delos Digital Spy Game – Storie della Guerra Fredda. Dopo Enzo Verrengia, Giovanni Ingrosso e Andrea Carlo Cappi, conosciamo Valentina Di Rienzo, autrice entrata da poco a far parte della squadra, con un un curriculum di cinque romanzi e due riconoscimenti nell'arco di un anno, in due edizioni consecutive del Festival Torre Crawford: il Premio "Il Prof" (dedicato alla memoria di Stefano Di Marino) nel 2022 e il Premio Torre Crawford nel 2023.

Valentina Di Rienzo: l'esigenza del thriller

SG: Benvenuta in Spy Game. Presentati al pubblico.

VDR: Mi chiamo Valentina e non scrivo da un giorno. Qualcuno dovrebbe inventarlo per davvero, il gruppo di mutuo aiuto degli Scrittori Anonimi. O magari esiste già e devo solo scoprirlo. Chissà.
Sono nata nel 1984. Mamma e papà mi hanno cresciuta con l’idea che la televisione fosse il male e, ci crediate o no, il loro movente non si era generato sulla convinzione che il tubo fosse saturo di seni e sederi - erano gli anni di Drive In - o dei messaggi elettorali del Cavaliere. Piuttosto ritenevano che quella fosse una distrazione poco formativa per la mia creatività e per il mio futuro, di sicuro non la migliore. Quale ne sia il vero motivo, questa decisione ha fatto sì che dovessi escogitare un sistema per passare il tempo, soprattutto perché ero una bambina introversa e timida, a tratti asociale. Con gli anni poi sono peggiorata.
Prima ancora che imparassi a scrivere dovetti quindi inventarmi un sistema per passare le giornate. Mi si apriva un bivio: potevo sezionare animali e intraprendere una serena carriera da omicida seriale - peraltro rara, in quanto femmina - oppure impiegare l’unica passione che a quel tempo avevo. Disegnare. Amavo Diabolik e Dylan Dog, mi piaceva molto ricopiare le loro tavole oppure disegnare, mia sponte, soggetti che ne fossero ispirati almeno nello stile.

SG: Dal disegno come sei arrivata a scrivere thriller?

VDR: Il passo successivo fu una sorta di sincrasia. Mescolai in un amalgama dai contorni indefinibili i miei hobby. Con il passare degli anni la TV era diventata sempre più accessibile anche alla sottoscritta. Mi ero innamorata del disneyano Aladdin, guardavo volentieri i vari cartoni animati del periodo. Ero appassionata anche a I cavalieri dello zodiaco; la mia già fragile psiche ne fu presto ricompensata quando un vero genio fu assunto per scegliere gli spot trasmessi dal canale: incurante del target di riferimento dell’emittente in quel particolare orario pomeridiano, costui (o costei) pensò bene di inserire il trailer di Twin Peaks fra una puntata e l’altra dell’anime. Scene spaventose, quelle della pubblicità in questione, che mi hanno perseguitata fino all’età di vent’anni. Mancava però la ciliegina sulla torta.
A circa otto anni vidi per la prima volta It, il film in due episodi creato per la televisione... Stia calmo, assistente sociale, erano gli anni Novanta e le concezioni generali sull’educazione dei più piccoli molto meno stringenti rispetto a oggi; stringente era invece l’ambivalenza di opinione dei miei genitori, è evidente. It fu una specie di epifania, per la mia mente. Il caro Stephen lì aveva piazzato di tutto: la pubertà e l’inizio di adolescenze travagliate, problemi familiari, i primi amori, un pagliaccio omicida, la metafora del fatto che ciò che non risolvi da piccolo tornerà in forma ancora più mostruosa quando sarai adulto. Cosa però più importante, It mi iniziò alla lettura. Fu il primo romanzo degno di questo nome - un libro da grandi - che lessi nella mia vita.
La prima vera forma di creatività che concretizzai dopo il disegno fu la creazione di un fumetto. Da cima a fondo, storia, dialoghi e illustrazioni. Del resto avevo dieci anni e nessuna idea che quel lavoro richiedesse in realtà l’impegno di diverse figure professionali. Il tentativo fu fallimentare. Nel giro di quattro, cinque tavole l’impresa mi apparve titanica - come in effetti era - e irrealizzabile, perciò deposi matita e blocco di fogli. Mi era rimasta però la voglia di raccontare una delle molte storie che mi passavano per la testa. Dal nulla, senza che io le cercassi o le stimolassi, almeno consapevolmente.
L’unica soluzione che mi sembrò praticabile fu provare a metterle nero su bianco. Non sulla carta ma sullo schermo dell’Intel 486 che mio padre ci aveva regalato. La storia era embrionale, sconclusionata, ma il solo fatto di scriverla, l’azione di crearla, mi piacque. Così diventai una ventenne lettrice di thriller - amavo molto Jeffery Deaver - e un’aspirante scrittrice. Della mia passione per il disegno avevo fatto un lavoro, la grafica pubblicitaria.

SG: E a questo punto comincia la tua avventura nel thriller...

Il mio primo romanzo (Il vangelo segreto) fu pubblicato nel 2011 da Edizioni Centoautori. Racconta la storia di una giovane egittologa americana che vive e studia al Cairo e, suo malgrado, si trova a inciampare in un antico papiro copto, il cui ritrovamento mette a repentaglio la vita sua e di tutti quelli che la circondano.
La promozione mi portò a conoscere alcuni autori, inoltre iniziai a muovere timidamente i primi passi nell’ambiente dei narratori della mia città, Milano. Approdai così ad Andrea G. Pinketts, Andrea Carlo Cappi e Stefano Di Marino. Quando mi avvicinai a loro per la prima volta, per me fu difficile anche solo pensare di aprire bocca. Li avevo raggiunti durante uno degli storici incontri settimanali, qualcosa che ai miei occhi di ragazza appariva come una via di mezzo fra l’invadenza e lo stalking. Perdipiù avevo scoperto che Cappi non solo era un prolifico e bravissimo autore italiano ma anche uno dei più capaci traduttori del mio amato Deaver. Una sorta di creatura mitologica, lì, proprio a pochi passi da me.
Pinketts era Pinketts, che altro potrei dire? E poi c’era Stefano Di Marino, il Prof. Si sarebbe aggiunto alle mie conoscenze, poco tempo dopo, Giuseppe Foderaro, che è diventato negli anni un mio caro amico. Ora. Uno si aspetterebbe che autori così siano inarrivabili, inaccessibili, trincerati dietro spessi scudi di meritata fama e successo. Avrei scoperto più avanti che non sempre è così. Il successo non segue teorie logiche, non accompagna necessariamente i meriti e la fama non è sempre in grado di colmare la solitudine.
Da tutti loro ho imparato qualcosa. Tutto ciò che so sull’azione, sulla costruzione di una scena di combattimento, sulle armi da fuoco e da taglio, su come riportare sulla carta una scena erotica, lo devo al Prof, ai suoi manuali, ai suoi corsi di scrittura creativa cui ho potuto partecipare e ai suoi numerosissimi romanzi. Era un uomo estremamente ricco di fantasia, pieno di talento, ma che non si risparmiava quando poteva trasmettere queste immense passioni e capacità.
Da allora sono trascorsi oltre dieci anni e purtroppo Stefano non è più tra noi. È stato commovente vincere il premio a lui dedicato nel corso della terza edizione del Premio Torre Crawford e ancora di più lo è stato essere invitata a partecipare a questa bellissima raccolta di storie di spionaggio da lui creata. Oggi il testimone è nelle mani di Andrea Carlo Cappi, uno fra i suoi più cari amici.


SG: Abbiamo conosciuto il tuo nuovo protagonista, negli episodI Almujanad-La recluta e Abn'awah-Lo sciacallo, inizio di una serie dall'ambientazione insolita. 

Il protagonista della serie è Hazim Shawqi, un agente ventiduenne della Polizia Nazionale del Cairo. All’inizio della storia Shawqi lavora all’interno del deposito prove del commissariato, ha quindi un ruolo marginale, potremmo dire, nelle forze dell’ordine.

SG: Cosa ti spinge a tornare letterariamente al Cairo e a scegliere proprio il 1970?

Sono appassionata all’Egitto da moltissimi anni - sia all’antichità artistica e storica sia al Paese che è oggi, sebbene sia un luogo non semplice e di certo non a misura d’uomo. Nel 2006 ebbi la fortuna di visitarlo attraverso una crociera archeologica sul Nilo che mi consentì di vedere Il Cairo, appunto, e poi il resto, giù fino alla Nubia e al confine con il Sudan. A quel tempo stavo scrivendo il romanzo che cinque anni più tardi sarebbe stato pubblicato da Edizioni CentoAutori, la mia opera d’esordio: Il vangelo segreto, thriller storico-archeologico ambientato ai giorni nostri. Oggi quel romanzo è disponibile in una seconda edizione - rivista e corretta - che risale al 2021 e che, alla scadenza dei diritti del “vecchio” editore, ho ripubblicato in autonomia su Amazon KDP. È l’episodio pilota di una serie di tre romanzi nei quali ritroviamo i medesimi personaggi, fra cui Raul Ferrini, il tenente dei carabinieri cui ho dedicato un primo spin-off dal titolo L’esigenza di uccidere (Morellini Editore, 2022) e un secondo che si chiama Il favore delle tenebre (Morellini Editore, 2023).
Questa lunga premessa bibliografica mi serviva per rispondere alla domanda principale: Hazim Shawqi è uno dei personaggi di quel primo romanzo. Ne Il vangelo segreto, Shawqi è però un uomo adulto, ultracinquantenne, ed è arrivato al grado di colonnello della Polizia Nazionale. Anche un altro personaggio che compare ne Lo sciacallo si trovava già in questo romanzo: Anwar Hassan. Quando sono stata invitata a partecipare alla collana Spy Game mi è perciò venuto naturale pensare di sfruttare le biografie di due personaggi che avevano già fatto parte del mio universo narrativo. A maggior ragione è stato stimolante chiedermi cosa li avesse portati a diventare i personaggi che erano ne Il vangelo segreto. Ma devo evitare spoiler.
Mi limito ad aggiungere qualche parola sull’ambientazione geografica e temporale: l’Egitto era un luogo che avevo visto di persona e il cui scenario politico-economico conosco perché ne sono appassionata e perché avevo già fatto delle ricerche per gli altri miei romanzi. Approfondendo il periodo storico che mi interessava, ho subito realizzato che, sebbene non fosse coinvolto direttamente nella Guerra Fredda, anche l’Egitto offriva un panorama socio-politico interessante per una serie di spionaggio.
Il 1970 fu l’anno della morte del presidente Nasser, che fu sostituito da Sadat. Nasser stesso aveva creato un’organizzazione segreta che vigilava sui nemici del sue regime, era da poco nata la Fratellanza Musulmana e via dicendo. Avevo per le mani ottimi spunti su cui imperniare la creatività. Il primo episodio della serie, La recluta, inizia nel febbraio del 1970: a quel tempo fra le sabbie e la terra arida d’Egitto ribolliva lo scontento e un sempre più feroce desiderio di rivalsa contro il governo, e soprattutto verso un presidente che aveva ormai deluso le aspettative su entrambi i fronti politici, perfino fra i suoi sostenitori. C’era poi la questione del conflitto con Israele, le ferite della sconfitta subita durante la Guerra dei sei giorni non si erano ancora rimarginate. Il febbraio di quel 1970 mi è sembrato immediatamente il momento perfetto da cui far partire la serie.


SG: Le tue storie di spionaggio denotano capacità e competenza. Quali sono le tue letture e visioni di questo genere? Qual è il tuo approccio alla spy story?

Qui casca l’asino, come si suol dire. Grazie per il complimento, ma in realtà non sono una grande esperta di spionaggio letterario o cinematografico, almeno non di quello classico. Ho visto qualcuno dei film di 007 e letto il romanzo apocrifo di Bond scritto da Jeffery Deaver. Temo che molti lettori della serie ora chiuderanno la pagina e smetteranno di seguirmi.
Scherzi a parte, restando sui classici, purtroppo, non posso annoverarne molti altri fra le mie letture. Ho seguito con piacere qualche serie TV e ho amato/amo le storie di Stefano Di Marino, specialmente quelle de Il Professionista. Il fatto è che sono sempre stata molto più appassionata di crime, di noir, di poliziottesco, anche d’azione. Il giallo canonico stesso - inteso come quello all’inglese, per esempio, mi annoia un po’. Prediligo storie con più adrenalina oppure più dure, più pulp, come per esempio la celeberrima serie con Duca Lamberti di Scerbanenco, che ho letteralmente adorato, o tanti altri autori italiani, Enrico Pandiani fra i miei preferiti. A Di Marino stesso, così come ad Andrea Carlo Cappi, devo l’avermi insegnato - perlopiù attraverso i loro testi e le narrazioni - come scrivere lo spionaggio.
Credo infatti che il mio stile nella collana sia un po’ più action di quanto una classica spy-story dovrebbe essere. D’altro canto trovo affascinante anche raccontare gli appostamenti, i pedinamenti e il mestiere più analitico tipico del genere. Quando mi è stato chiesto di scrivere il pilota di questa serie, devo ammetterlo, ero intimorita proprio per il fatto di non reputarmi una grande conoscitrice del tema. Per me era una sfida e non mi sarei tirata indietro per nessun motivo al mondo. Quando poi ho iniziato a scrivere La recluta mi sono resa conto di quanto fosse divertente intessere una trama spionistica, soprattutto per via dell’ambientazione. Non ho vissuto personalmente il periodo storico di cui scrivo, gli anni Settanta, ma posso ripescare informazioni dai libri, dalle foto d’epoca e soprattutto dai racconti di mio padre che in quegli anni era adolescente - e ha ottima memoria, sebbene pensi il contrario.
Ho rispolverato, fra le altre, la mia curiosità sulla fotografia come era intesa a quel tempo, andando a frugare anche fra i ricordi delle scuole superiori, quando sviluppavamo in camera oscura dalle pellicole in bianco e nero. Io potevo usare una bella reflex della Pentax, che è di mio padre; le fotocamere digitali, nei primi anni Duemila, erano ancora rare e dai prezzi proibitivi. Insomma: il mio approccio a Spy Game è stato una vera full immersion in manuali, serie TV, quel poco di romanzi che il tempo che avevo a disposizione mi consentiva di leggere, tanta ricerca sul web e qualche domanda al papà. Un po’ più complesso è reperire materiale sull’Egitto degli anni Settanta, ma per quello ci sono il buon senso e la fantasia.
Sono veramente orgogliosa di poter scrivere questa serie, quindi aspettatevi a breve nuovi sviluppi per Shawqi, Samira e Hassan!

Gli episodi di Spy Game di Valentina di Rienzo

Le precedenti interviste di Spy Game

venerdì 3 novembre 2023

Iperwriters - Lascia stare i santi

Foto: Bernd Dittrich on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 33 - Lascia stare i santi

Venerdì, ore 13. Non ricordo che cosa ho fatto dal 1987 fino agli anni 90. Una caligine vischiosa, senza direzione.
Verso i trent'anni vivevo ancora con i miei genitori e lavoravo nello studio di Max, anche lui nella casa natale. Non è una vergogna. Stavamo semplicemente precorrendo la condizione di ogni trentenne attuale nei quartieri degli schiavi. Con i nostri lavori saltuari e precari non potevamo permetterci una casa nostra, e neppure di fare la spesa tutti i giorni del mese.
Anche i fumetti erano scomparsi. In agenzia mi avevano sempre detto: "C'è la crisi". Nel mio entusiasmo per il nuovo lavoro, ero andata avanti ignorando la crisi. Ora mi ritrovo ad affrontare un lungo periodo di disoccupazione. Mi mancano quattro esami e la tesi per laurearmi, così arrivo a questo traguardo molto, moltissimo fuori corso.
L'argomento della mia tesi è in controtendenza rispetto a tutto, non essendo io né cattolica né materialista. Un proverbio dice: "Scherza con i fanti, ma lascia stare i santi". Quanto è vero. Attualmente è richiesto di lasciar stare i santi (con la sola eccezione delle fiction televisive). Come un nuovo tabù, nonostante la Chiesa negli ultimi decenni ne abbia fabbricati a nastro, su scala industriale.
Tutti mi chiedono: Che cosa c'entri tu con Santa Caterina? Intendendo che sono troppo poco racchia per scrivere una tesi da baciapile. Il fatto è, l'ho detto, che non sono né baciapile né atea.
I miei interessi coprono uno spettro che può andare da un estremo all'altro, e posso essere pornografa e dedicarmi allo studio di religioni comparate. Sono fatta così, e non credo di essere fatta male. Il mondo è rotondo, e la personalità umana è rotonda, non a scacchi, non divisa in categorie e attività che si escludono. Forse sono pagana, forse sono un'antica tutta d'un pezzo capitata in un mondo a pezzi.
E' stato il cristianesimo a separare erotismo da spiritualità e corpo da anima. Tuttavia i santi cristiani mi sono sempre piaciuti per la loro dimensione eroica e antiumana.
Anche la tesi mi riesce facile e felice, un lavoro di un mese. E' buona. il mio relatore è soddisfatto. Il corelatore, docente di Letteratura Italiana, non è presente alla discussione ma invia una lettera di elogi.
Ma non esco dall'Università con un centodieci e lode, come tutti. Solo un misero centootto.

domenica 22 ottobre 2023

70 anni di 007



Non si direbbe, ma nel 2023 James Bond ha compiuto settant'anni. Il primo romanzo di Ian Fleming con protagonista il celebre agente segreto, Casinò Royale, fu pubblicato infatti nell'aprile 1953. Inoltre lo scorso 5 ottobre si è celebrato il "Global James Bond Day", ormai una ricorrenza annuale che corrisponde alla data di uscita del primo film, Agente 007 - Licenza di uccidere, nel 1962.
Per questo la Ian Fleming Publications Ltd., che detiene i diritti letterari del personaggio, ha deciso di ripubblicare proprio in questi giorni tre libri della saga narrativa di James Bond. Ma non scelti tra quelli del suo creatore Fleming, ormai più volte apparsi sul mercato di lingua inglese: sono stati selezionati invece tre volumi tra i più significativi degli autori che hanno proseguito la serie.
Comincio da quello più recente, Zero Minus Ten, uscito a suo tempo in Italia con il titolo 007 - Conto alla rovescia: fu il primo romanzo che lo scrittore americano (e da allora mio caro amico) Raymond Benson dedicò al personaggio; ne avrebbe scritti poi altri cinque, oltre a tre novelization e a tre racconti. Il libro fu pubblicato nel 1997 ed era una storia "in presa diretta" che si svolgeva durante il delicato passaggio di consegne del territorio di Hong Kong dal Regno Unito alla Cina. Fu anche il primo romanzo di Raymond che ho avuto il piacere di tradurre: in seguito mi sono occupato di quasi tutti i suoi James Bond e di alcuni degli splendidi noir che scrive tuttora.


Ma in assoluto il primo romanzo con 007 concepito dopo la prematura scomparsa di Ian Fleming nel 1964 è Colonel Sun, edito in Italia come Il Colonnello Sun e da noi apparso per la prima volta a puntate sulla Domenica del Corriere. Fu scritto dal romanziere britannico Kingsley Amis e pubblicato nel 1968 sotto lo pseudonimo (confessato) "Robert Markham". Ora per la prima volta Kingsley Amis appare ufficialmente come autore nella nuova copertina. Ho avuto modo di tradurre anche questo romanzo, qualche anno fa, per una sua nuova edizione italiana che temo però non sia più disponibile.
Il terzo titolo di 007 riproposto in questi giorni è il più particolare di tutti. Si tratta dell'autobiografia... o meglio della "biografia autorizzata di 007", pubblicata nel 1973. L'autore John Pearson, già amico e biografo di Ian Fleming, finge di avere incontrato personalmente James Bond e di essersi fatto raccontare da lui tutto ciò che fino a quel momento non si sapeva del suo passato.
Ma oltre a queste uscite - purtroppo solo in lingua inglese - con protagonista James Bond, ce ne sono due in italiano che riguardano Ian Fleming. Per cominciare, la casa editrice La Nave di Teseo annuncia per il 26 novembre 2023 la ripubblicazione del suo appassionante libro di non-fiction dal titolo Thrilling Cities - Le città dell'avventura, anche questo tradotto da me. Ma sta per arrivare persino un romanzo inedito (italiano) di spionaggio che vede Fleming tra i protagonisti.


Ho già parlato in questa rubrica delle esperienze di Fleming - classe 1908 - nei servizi segreti della Royal Navy durante la Seconda guerra mondiale, argomento che ho ripreso in un altro articolo in occasione dell'uscita del film L'arma dell'inganno, basato su fatti realmente accaduti, che lo vede tra i personaggi. Presto potrete ritrovarlo in veste di agente segreto in un vero e proprio romanzo storico.
Da qualche tempo ho ereditato il ruolo di curatore della collana in ebook Spy Game - Storie della Guerra Fredda creata dallo scomparso Stefano Di Marino e pubblicata da Delos Digital, cui partecipano esclusivamente autrici e autori italiani. Se nelle storie di spionaggio solitamente prevale l'azione, in questa collana si dà invece molto più spazio all'atmosfera.
Ho proposto la sfida anche a un grande scrittore italiano di mystery ben noto al pubblico de Il Giallo Mondadori, Enrico Luceri, sicuro che sarebbe stato in grado di affrontare la materia in modo brillante e originale. E così è stato. A breve uscirà il suo Caccia alla strega, una spy-story raffinata, colta ed elegante in cui sono coinvolti Ian Fleming e altre importanti figure del Novecento, alla ricerca della soluzione di un reale enigma della Storia. Il romanzo sarà pubblicato (esclusivamente in ebook) in due parti, la prima martedì 12 dicembre 2023, la seconda martedì 16 gennaio 2024. Sarà una lettura affascinante, a riprova del fatto che la spy story italiana ha raggiunto la sua maturità.

Dall'intervento andato in onda su Radio Number One martedì 17 ottobre 2023, nel programma Happy Hour di Lukino.

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giovedì 19 ottobre 2023

Iperwriters - Decapitazione

Photo: Philippe Oursel on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 32 - Decapitazione

Venerdì, ore 13.
Torniamo indietro di un anno. Prima che mi annunciassero di aver vinto il Premio Tedeschi.
il sentimento che avevo provato durante la stesura de La filosofa è stato così forte e bello, che non mi fermo. Continuo a scrivere. Un altro mese di lavoro, con la stessa facilità e felicità.
L'idea l'avevo da tempo. Il luna park della mia città aveva ospitato, fino a pochi anni prima, i freaks. Certo non quelli di Todd Browning, forse non creati dalla natura, probabilmente falsi: ma che importa, ai fini dell'immaginario? Donne con due teste, donne ragno e la donna senza testa. Esattamente come l'ho descritta nel romanzo intitolato La donna senza testa.
Niente di femminile, femminilista o femminista. La donna con la testa rivoltata all'interno ero io, o un essere di una casta subordinata provvisto di una cultura inservibile, scomodo, impensabile, pertanto non esistente. Un corpo. Un corpo, e nient'altro. La condizione umana.
Ora, forte del Premio Tedeschi, mi illudo di poter pubblicare La donna senza testa. Il romanzo viene rifiutato da tutti, tuttissimi. Quello che più mi sbalordisce è che non lo vuole neppure una grande casa editrice femminista (dopo tutto può trattarsi della condizione femminile, no?), con la motivazione che non raggiunge un sufficiente esito stilistico.
Scopro inoltre che, per le agenzie letterarie, il Premio Tedeschi non vale nulla: non ho bisogno di un agente per pubblicare gialli (peccato che non possa pubblicare neppure quelli).
Partecipo a due concorsi per inediti. Premio Calvino (in palio la pubblicazione da Einaudi): finalista con altri dieci fra cui Susanna Tamaro (non vince neppure lei). Premio Montblanc (in palio la pubblicazione presso un editore da definirsi): finalista con altri cinque.
Pensavo di vincere, perché ho già vinto una volta, e il libro (così mi pare) è nuovo e forte. Niente. Sbatto contro muri. Non capisco cosa sta succedendo.
Pubblico La donna senza testa, non a pagamento, da Graphos, un editore locale dignitoso, con un catalogo interessante. Faccio qualche presentazione, giro per librerie. A Milano, un personaggio molto influente dell'ambiente letterario mi tratta da cameriera di colore che ha preso l'autobus dei bianchi.
Vedo la mia testa rotolare dalla ghigliottina.

venerdì 6 ottobre 2023

Iperwriters - O fortuna

Foto: A. C. Cappi

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 31 - O Fortuna

Venerdì, ore 13.
È il 1985, e ho vinto il Premio Tedeschi. il cambiamento c'è stato. Economico ed esistenziale. Allora il premio consisteva in un contratto di pubblicazione con anticipo di cinque milioni, una discreta somma all'epoca. Avrei guadagnato ancora con le royalties e con un adattamento del romanzo per un radiodramma della RAI.
Mi godo la rivincita sugli artisti locali: di colpo mi trovo molto più avanti di loro, che restano comunque al di sopra di me. Ma imbarazzati, perché sono diventata un imbarazzo.
Io patisco lo stress da troppa positività: passata di colpo dalle capanne degli schiavi a una pubblicazione Mondadori, da un quartiere fetido agli ipnotici laghi di Segrate. E adesso?
È stata una fortuna? Sì. E nello stesso tempo una sfortuna.
Sono troppo giovane, e nello stesso tempo troppo vecchia. Sono troppo avanti, e nello stesso tempo troppo indietro. Se fossi appartenuta alla generazione precedente, accedendo all'editoria a fumetti e vincendo il premio Tedeschi, avrei avuto tutto. Una fama duratura, opportunità, amicizie, cinema, una casa, una vita di benessere sotto tutti gli aspetti. Se fossi appartenuta alla generazione successiva, quella della carica dei seicento scrittori, non avrei messo un dito su una tastiera neppure per fare la lista della spesa.
Ma ero in mezzo. Avevo visto, sentito, odorato quello che può dare la bravura in una carriera letteraria. E quando mi sono accorta, negli anni 2000, del niente che stava cominciando a dare, non potevo aderire a quel sollevarsi (pur legittimo) di una moltitudine di scrittori pieni di ambizioni destinate a essere vanificate.
La fortuna? Sono nota a livello locale. I giornali mi fotografano e intervistano. È qualcosa, senza internet e social: la visibilità è tutta lì. Ho collaborazioni con riviste. Mi contattano produttori. Parlo al telefono con Armando Crispino, che ha diretto L'etrusco uccide ancora.
La sfortuna? Non riesco a pubblicare un secondo libro con le indagini del mio commissario. Nessun editore, nessuno scrittore pubblica gialli italiani: è troppo presto, sono troppo in anticipo.
Oggi il mondo pullula di commissari.
Nel corso di tutta la mia vita professionale ogni fortuna si è tramutata in sfortuna, e viceversa. Come si canta nei Carmina Burana: O fortuna, semper crescis aut decrescis.

venerdì 22 settembre 2023

Iperwriters - Inverno giallo

Photo: Griffin Wooldridge on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 30 - Inverno giallo

Venerdì, ore 13.
È l'inverno dell'84 e fa molto freddo. Come sempre, la stagione mi manda in letargo, ma è uno stato onirico attraversato da idee e scene visualizzate. Sono chiusa in casa di Max. Ho sulle ginocchia il nostro gatto di allora, una femmina nera. intelligentissima e divenente, che abbiamo chiamato Stregatta. Fra me, l'animale e la macchina per scrivere Olivetti lettera 32 c'è una specie di sinergia. Un mese di lavoro per comporre il testo con cui partecipare al Premio Tedeschi.
Mi è tutto chiaro fin dall'inizio: giallo italiano e mystery inglese. Avrei usato un commissario corredato da una presenza femminile trasversale alle indagini, in una cornice ereditata da Agathe Christie, con riunione finale degli indiziati per lo svelamento del colpevole (mi è sempre piaciuta). In questa struttura avrei sceneggiato le mie esperienze personali, i personaggi (perché erano già personaggi nella vita reale) che avevo conosciuto, i movimenti segreti che avevo intuito sotto la superficie della “normalità”.
Una graphic novel in prosa. Tutto facile e felice. Ero stata così bene scrivendo che era probabile che vincessi. Potevo vincere? il lavoro era buono, ma si prestava a scivolare verso la categoria del giallo “femminile”, pur non contenendo temi rosa. Avrebbe vinto un uomo con un noir metropolitano duro e politicizzato, genere da sempre collocato al di sopra del giallo “femminile”. Secondo Max non era detto: il mystery è popolare, ha una maggiore presa sul pubblico, si addice di più alla collana di destinazione.
Mi (ci) è stato rimproverato in seguito questo atteggiamento poco “artistico”. Pensare al pubblico e alla testata escludono ispirazione e passione? Nel mio caso no. il punto centrale di La filosofa (poi diventato Più tardi da Amelia per un leit motiv del teaser) è l'odio maschile verso le donne dì talento. E anche la scelta di questo tema può sembrare un'operazione di vile ruffianesimo. Non è così. Quello che ho deciso di raccontare l'avevo vissuto con il mio corpo e sangue, ce l'avevo nell'utero e sulla pelle.
Una nevicata epica, insolita per la mia città. Con la neve alle caviglie vado all'ufficio postale a spedire il dattiloscritto. In primavera, la telefonata dalla redazione.
A Segrate, durante il pranzo con Laura Grimaldi, Gian Franco Orsi e Lía Volpatti, un tappo di spumante sparato da un altro tavolo mi colpisce. Non mi fa male e mi dicono che porterà fortuna.

venerdì 8 settembre 2023

Iperwriters - Campo di decentramento

Photo: Andreas Dittberner on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 29 - Campo di decentramento

Venerdì, ore 13.
1984. Pieno decentramento culturale, e pienone di artisti locali. Tutti a guardarmi dall'alto dei cieli in cui volano gli autori.
Non che io sia senza peccato. Ci sono cascata, e ho provato a fare l'autore. C'era una miriade di corsi per imparare a fare l'artista e ne ho frequentati diversi. Ho realizzato dei film in formato Super8, che allora richiedevano tecnica e fatica (li guardo oggi riversati in dvd e credo che sarei riuscita, come cineasta), ho messo in scena un paio di spettacoli teatrali (pochi lo sanno, ma i miei primi tentativi letterari erano rivolti verso il teatro).
Niente da fare. Quella che in una intervista ho chiamato polvere creativa sparsa vorticava incessantemenente, ma il risultato era l'immobilità. E gli artisti continuavano a volare sopra di me come eleganti aironi. Felici, loro, anzi giulivi. Io ero in preda a uno strisciante malessere.
C'era il Premio Tedeschi della Mondadori per un giallo italiano inedito. Max mi diceva tenta, tenta. Un nostro amico, immigrato dalle capanne degli schiavi dell'ex regno delle due Sicilie, era appassionato di fumetti, gialli e cinema (sarebbe diventato proiezionista) e anche lui mi diceva tenta, tenta. Insomma, l'idea mi stava entrando in testa.
Vedevo bene che le esperienze da artista locale venivano vanificate, e non potevo avere accesso al fumetto d'autore, mancandomi il talento per il disegno. Tornando alla prosa, alla scrittura, avrei volato come un airone, o almeno un'anatra.
Avevo aderito al censimento dei giovani artisti della mia città, ed ero apparsa in poche righe su un volumetto: copertina grigio marciapiede costellata di cicche. I giovani artisti erano mozziconi di sigaretta gettati via?
Poco tempo dopo l'apparizione di questo catalogo, un giornale locale esce con un articolo in cui vengono sbeffeggiati gli artisti come imbecilli velleitari e autoreferenziali. E scelgono ad esempio me, facendo il mio nome. E' troppo.
Ovviamente non rispondo, non invio lettere al vetriolo. Ma implodo per il furore. Perdio, impreco, basta. Preferisco scrivere i miei fumetti che vengono distribuiti e letti su tutto il territorio mazionale, che sfinirmi in attività inutili ed essere insultata al posto di altri. E vaffanculo agli artisti.
Urgeva un cambiamento, al più presto possibile. C'era il Premio Tedeschi, e Max mi diceva tenta, tenta, tenta.

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...