giovedì 23 marzo 2023

Iperwriters - Le nonne del Corsaro Nero

Photo: Maksim Kaharlitsky on Unsplash

Iperwriters - Editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 17 - Le nonne del Corsaro Nero

Venerdi, ore 13. Ovviamente, non ho assorbito e metabolizzato soltanto libri. La mia è stata la prima generazione italiana cresciuta (allevata?) dalla televisione. Prima nelle case dei vicini, in brevi flash allucinatori che riempivano di delizia. Talvolta di deliziosa paura, come quando Belfagor, il fantasma del Louvre, avanzava lungo le sale del museo, nel suo paludamento nero e con la sua maschera funeraria.
Ricordo Ivanhoe, una serie di telefim di cui cantavamo la sigla in coro ai giardini pubblici. Narrava, con ogni probabilità, le imprese di Ivanhoe.
Alle medie inferiori, con l'apparecchio in casa, seguivo La nonna del Corsaro Nero, un musical avventuroso-satirico che tutti (tutti, l'ho scoperto nel corso del tempo) gli scrittori della mia età hanno amato. La serie non si trova negli archivi della RAI. È perduta per sempre, e la piangiamo. La sigla faceva: "Un grande urrà per nonna sprint, la vecchia che è più forte di un barile di gin..." ecc.
Esiste ancora invece, ed è disponibile, Biblioteca di Studio Uno, con Quartetto Cetra, altra serie (assai letteraria) che ho adorato nella mia adolescenza.
Più avanti, alle medie superiori, passavo un pomeriggio alla settimana guardando Gulp - Fumetti in tivù, un programma divulgativo di storia e critica del fumetto. Avevamo una sfufa in cucina che riscaldava soltanto metà della casa e la televisione in soggiorno, alla fine di un lungo corridoio, che d'inverno era una ghiacciaia. Accendevano una stufetta più piccola, a bombola. Il piacere che provavo riscaldandomi i piedi gelati è coniugato nella mia memoria al piacere di scoprire i fumetti.
Ovviamente ne leggevo a vagonate, in quel periodo. Potevo passare da I promessi sposi a Satanik apprezzando e godendo entrambi, senza soluzione di continuità mentale.
Erano tutte droghe e realtà corrette, per me. Amabili nonne del corsaro nero che mi addolcivano la vita, come fate su una culla.
E poi i due film settimanali, e gli sceneggiati gialli. Mi chiedevano, all'epoca del mio primo romanzo giallo, come avessi potuto ideare e padroneggiare una struttura di quel genere, avendo letto solo (e poca) Agatha Christie.
E si stupivano. Io mi stupivo del loro stupore. Per assimilare una struttura gialla non bastavano Perry Mason e il tenente Sheridan?

venerdì 10 marzo 2023

Iperwriters - Correzioni della realtà

Photo: Renan Savidan on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 16 - Correzioni della realtà

Venerdì, ore 13. Il 13 è un numero fortunato o sfortunato a seconda delle culture e dei paesi. E' una fortuna o una sfortuna stare stretti nella realtà?
C'è chi nasce per l'azione e nella realtà sta come un delfino fra le onde. Non ha bisogno di immaginare, perché il suo paradiso è già intorno a lui/lei (o forse questo tipo di persone, come i delfini, sono minacciate da inquinamenti e disagi ambientali?)
C'è chi nasce per l'immaginario, e la scienza moderna non sa o non vuole spiegare perché (l'assunto è che di base siamo tutti uguali... come le formiche operaie).
Ricordo la prima volta in cui ho immaginato qualcosa di irreale. Sono piccola, in seconda o terza elementare. Ho una compagna di scuola preferita, che mi tradisce preferendomi un'altra, prendendomi perfidamente in giro. Conosco l'amarezza del tradimento, e l'umiliazione mi appare intollerabile.
Dopo non so quanto tempo, tempo per assimilare e riprendermi, sto seduta davanti a una finestra. Guardo fuori e lascio andare la mente. Comincio a immaginare che la compagna di scuola mi ami, mi preferisca a ogni altro essere umano. Camminiamo insieme tenendoci per mano, in perfetta armonia. Su un sentiero fiorito, nel sole.
Queste correzioni della realtà diventeranno presto abituali, quasi automatiche. Una sedia davanti alla finestra, lo sguardo perduto in lontananza, tutta la noia e disgusto trasmutati in luce.
Qualcuno potrà giudicarlo deviante, patologico. Ma, a meno che non si considerino normali bullismo, perfidia e piacere nell'infliggere sofferenza, diciamo che è normale correggere la realtà. Non resta che far torto o patirlo, essere bulli o correggerli almeno con l'immaginazione.
Due o tre anni dopo, in quinta elementare, ho capito di saper scrivere vincendo un concorso per il miglior tema sulla visita alla centrale del latto locale. Inventando un teaser, il mio gatto che leccava la ciotola del latte. Questo gatto, che avrei voluto, non esisteva. Avevo corretto la realtà.
Correggendo la realtà con l'immaginazione si può arrivare ovunque, dal passato più leggendario al futuro più inimmaginabile.
Si può riuscire a correggerla di fatto: per tutta la vita mi sarei procurata la compagnia di gatti.
Per andare a vivere in Atlantide ci vorrà più impegno.

mercoledì 8 marzo 2023

Eva Kant: 60 anni nel crimine


Il 1°marzo 1963 il pubblico del fumetto italiano incontra un nuovo personaggio, che affianca il protagonista della testata Diabolik e rimarrà al suo fianco per i sessant'anni successivi e oltre. Si chiama Eva Kant (il cognome si pronuncia come si legge, come quello del filosofo tedesco) e porterà un cambiamento profondo nella storia del fumetto.
Angela Giussani ha dato vita alla serie ispirandosi al primo romanzo del ciclo di Fantômas dei francesi Allain & Souvestre trasferendone le situazioni mezzo secolo dopo, nei più tecnologici anni Sessanta. Subito affiancata dalla sorella Luciana, rimane sorpresa del successo del primo albo e del suo protagonista, apparsi nel novembre 1962. Forse anche per la misteriosa sparizione del disegnatore del numero uno, hanno tardato qualche mese a mandare in edicola il secondo albo, uscito il 1°febbraio 1963, ma il terzo arriva puntuale quattro settimane dopo. Si intitola L'arresto di Diabolik.
Nella serie, ancora sotto l'influenza del romanzo di Allain & Souvestre, Diabolik è l'equivalente di Fantômas, l'ispettore Ginko è la trasposizione dell'ispettore Juve, il giornalista Fandor si è trasformato in Gustavo Garian, destinato negli anni ad avere un ruolo minore. Manca ancora una figura femminile, un personaggio che replichi la complice di Fantômas, Lady Beltham. Le sorelle Giussani danno vita a Lady Eva Kant, ma proprio dopo la sua apparizione la serie Diabolik comincerà ad allontanarsi dal modello originale, seguendo sentieri sempre nuovi e originali.

Illustrazione di Giuseppe Palumbo, copyright Astorina Srl

Le sorelle Giussani sono tra le prime donne italiane a dedicarsi al fumetto. Trattandosi di un giallo dalle connotazioni criminali, si firmano A. e L. Giussani forse nel timore che il pubblico non sia interessato a leggere storie di quel genere non scritte da uomini: dopotutto le già numerose autrici di gialli, a partire da Agatha Christie, sono più orientate sulla detective story più classica.
Il loro primo personaggio, che ruba e uccide impunito, è già di per sé una rivoluzione nel fumetto, solitamente popolato da eroi senza macchia e senza paura. Ma l'ingresso di Eva Kant è una seconda rivoluzione: una donna che lotta per la propria parità, conquistandola un po' alla volta negli episodi successivi, non perché Diabolik sia maschilista, ma solo perché per le sue esperienze passate non si fida di nessuno. Tuttavia stiamo parlando di un'antieroina innovativa, di fatto femminista come le sue autrici, che si distingue dalla maggior parte delle "fidanzatine" di altri personaggi dei fumetti precedenti, il cui ruolo era spesso solo quello di essere salvate dall'eroe.
Anche nell'aspetto Eva Kant lascia il segno. Non sfugge una possibile influenza dell'immagine di Grace Kelly in Caccia al ladro di Hitchcock, dove l'attrice interpreta l'aspirante complice del ladro gentiluomo incarnato da Cary Grant. La prima apparizione a fumetti di Lady Kant ricorda decisamente l'entrata in scena di Grace Kelly nel film. In questo la sua attuale interprete cinematografica, Miriam Leone (nellimmagine di apertura), è assolutamente perfetta.


Se Diabolik dà origine a una lunga serie di epigoni a fumetti, dei quali il più rilevante è senz'altro Kriminal di Magnus & Bunker, anche Eva Kant ispira qualche imitatrice, come Zakimort (pubblicata dalla casa editrice di Gino "Ginko" Sansoni, marito di Angela Giussani) o Satanik (anch'essa di Magnus & Bunker) nelle storie della quale si trovano maggiori componenti fantastiche e suggestioni erotiche.
Ma Eva Kant, tra tutte, è l'eroina criminale destinata alla carriera più lunga, giunta ai sessant'anni il 1° marzo 2023, anche se per lei, in base alla regola "bisestile" (un anno di invechciamento ogni quattro di pubblicazioni) ne sono passati solo quindici. Fin dalla sua apparizione la testata potrebbe anche ribattezzarsi Diabolik & Eva Kant. Ma ci sono state diverse storie in cui è stata lei stessa protagonista unica, con il proprio marchio in copertina, dai fumetti al mio quarto romanzo originale della serie, Eva Kant - Il giorno della vendetta del 2009.
La prima storia che ha visto insieme la diabolika coppia ha avuto un "remake" a fumetti che ne espandeva la vicenda ed è approdata nel 2021 sul grande schermo con Diabolik-Il film dei Manetti Bros. diventando nel contempo un mio romanzo. Ma anche nel film successivo, Diabolik - Ginko all'attacco! del 2022 (anch'esso basato su una storia a fumetti degli anni Sessanta e ora trasposto in un mio libro), Eva ha un ruolo quasi superiore a quello del suo compagno di avventure. La casa editrice Astorina ne ha celebrato l'anniversario con l'albo inedito in edicola nel marzo 2023: Nel nome dei Kant, mentre l'8 marzo è arrivato in dvd in edicola e sulle piattaforme tv il film Ginko all'attacco!

(Di Eva Kant si è parlato su Radio Number One il 1° marzo 2023)

Tutto sui romanzi di Diabolik & Eva Kant a questo link.

mercoledì 1 marzo 2023

Hopscotch (2 sotto il divano, 1980)


Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi

La metamorfosi di un romanzo in sceneggiatura e film è spesso un percorso curioso: un libro in genere nasce da una singola mente solitaria, mentre ciò che approda sullo schermo è il prodotto di molti fattori, non ultimi la scelta degli interpreti, il periodo in cui viene girato e il tipo di mercato in cui dev'essere proposto.
Nel caso di Hopscotch, tuttavia, l'evoluzione è particolarmente atipica: da un asciutto noir a sfondo spionistico a un thriller internazionale in chiave di commedia. Ma non un tradimento, bensì un gioiello quasi dimenticato che, forse ancora meglio del testo originale, veicola il pungente messaggio politico contenuto in entrambe le opere.


Nei primi anni Settanta il romanziere americano Brian Garfield (1939-2018) è già autore di una sessantina di libri, molti dei quali western in franchise sotto pseudonimo. Nel 1972 ha conquistato fama mondiale con il romanzo Il giustiziere della notte (Death Wish) trasposto da Michael Winner nel celebre e controverso film con Charles Bronson, che avrà quattro sequel nel ventennio successivo e un remake con Bruce Willis nel 2018; mentre il "vero" seguito del romanzo, Death Sentence (del 1975, apparso nel 1982 ne Il Giallo Mondadori come Il giustiziere della notte n.2) ispirerà a sua volta un film nel 2007.
Il prolifico Garfield pubblica uno o due romanzi all'anno, tra cui un piacevolissimo noir-western umoristico a quattro mani con l'amico Donald E. Westlake, 20.000 lingotti sopra i mari (Gangway, del 1973) e nel 1975 scrive la spy-story Hopscotch, con cui vince l'anno dopo il prestigioso Edgar Award conferito dai Mystery Writers of America. Il libro è pubblicato in Italia da Mondadori a fine 1976 nella collana da edicola Segretissimo con il titolo Spionaggio d'autore. All'uscita del film sarà riproposto con lo stesso titolo nella collana da libreria Classici dello spionaggio.
Hopscotch è il nome in inglese del gioco della campana e si riferisce ai continui spostamenti del protagonista del romanzo da una "casella" all'altra in varie parti del mondo, per sfuggire ai suoi ex datori di lavoro della CIA. Miles Kendig è infatti un ex agente della "Compagnia" costretto poco dopo i cinquant'anni d'età a un pensionamento forzato dopo aver servito per un trentennio il suo paese, prima come soldato e poi come spia: annoiato e malinconico, ha deciso di giocare un'ultima partita, denunciando in un memoriale le pratiche dei servizi segreti - in particolare del suo - condite con rivelazioni scottanti.
Mentre ancora lo sta scrivendo, organizza abilmente la pubblicazione del suo libro intitolato Conspiracy of Killers, ma trasforma se stesso in un bersaglio. A dargli la caccia sono Myerson (direttore della sua sezione della CIA), Cutter (ex allievo di Kendig e suo successore) e gli ex colleghi Follett e Ross, coadiuvati dall'FBI nel territorio USA; ma anche Yaskov, veterano del KGB in Europa. Quindi, sfruttando contatti e luoghi segreti che conosce grazie alla sua esperienza sul campo, il protagonista deve far perdere le proprie tracce prima che qualcuno lo faccia tacere per sempre.


Il libro è figlio dei suoi tempi. In quel periodo gli Stati Uniti sono arrivati in fondo a un processo di autocritica cominciato con l'assassinio di Kennedy nel 1963 e culminato con lo scandalo Watergate del 1972. Nel 1975 viene creato il Church Committee, presieduto dal senatore Frank Church, che porta alla luce i lati più oscuri della CIA. Gli americani non si fidano più del loro servizio segreto e la narrativa riflette l'umore dell'epoca, come testimonia il romanzo I sei giorni del Condor di James Grady (Six Days of the Condor, 1974), da cui proprio nel 1975 viene tratto il film di Sydney Pollack I tre giorni del Condor (Three Days of the Condor).
Lo stesso vale per Hopscotch, in cui viene citato di sfuggita l'ex agente della CIA E. Howard Hunt, inquietante figura centrale del caso Watergate (ma anche autore di spy story sotto pseudonimo, i cui libri vengono pubblicati tempestivamente in Italia in Segretissimo con il suo vero nome in copertina, dopo che è stato scoperto e condannato, acquisendo un'improvvisa notorietà internazionale).
Brian Garfield scrive una propria sceneggiatura basata sul suo romanzo, mantenendone l'atmosfera noir. Ma tutto cambia quando nel progetto di portare Hopscotch sullo schermo viene coinvolto l'attore Walter Matthau.


Ho sempre sospettato che l'idea di far entrare Matthau nel film sia nata dalla somiglianza tra Miles Kendig e il protagonista di Chi ucciderà Charley Varrick? (Charley Varrick, 1973, di Don Siegel) tratto dal romanzo del 1968 The Looters di John H. Reese, altro scrittore proveniente dal western: in quella vicenda, il personaggio eponimo viene braccato dopo avere svaligiato una banca in cui una gang criminale nasconde i propri proventi illeciti.
Con quella pellicola l'attore lascia per qualche anno la commedia per il noir, girando la trasposizione a San Francisco del romanzo Il poliziotto che ride (1968) della coppia svedese Sjöwall & Wahlöö, L'ispettore Martin ha teso la trappola (The Laughing Policeman, 1973), e Il colpo della metropolitana (The Taking of Pelham 123, 1974) dal romanzo omonimo di John Godey. Ma, dopo questa parentesi, forse non ha intenzione di girare un film che in chiave "seria" ricorderebbe troppo quello di Siegel. Quindi condiziona esplicitamente la propria partecipazione a una nuova sceneggiatura sotto forma di commedia. Non solo: sarà lui a scegliere buona parte dei brani classici e lirici che accompagnano la colonna sonora, da Mozart a Rossini (con una battuta sui diversi Figaro della lirica, che immagino scritta proprio da Matthau) fino a Puccini.
Così sul primo script interviene il regista-scrittore britannico Bryan Forbes, che firmerà la sceneggiatura insieme a Garfield. Alcune battute resteranno identiche a come sono nel libro, anche se in corso d'opera saranno apportate ulteriori modifiche. Alcune variazioni sono del regista del film, il veterano Ronald Neame, che nel campo della spy story ha già diretto due classici: L'uomo che non è mai esistito del 1956, basato sull'omonimo resoconto di Ewen Montagu dell'Operazione Mincemeat, e Dossier Odessa del 1974 dal romanzo di Frederick Forsyth. Altre, come dicevo, sono per mano dello stesso Walter Matthau, tra cui la prima e l'ultima scena con Glenda Jackson. Perché una delle modifiche più significative è l'inserimento di un unico e continuativo love interest per il protagonista, che all'inizio del romanzo si limitava a trascorrere una notte a Parigi con l'avvenente vedova Stein, incontrata a un tavolo da poker, e più avanti aveva una fugace relazione con Carla Fleming, pilota di aerei da turismo reclutata per una delle sue fughe.
Nasce quindi per il film il personaggio di Isobel von Schönenberg, vedova di un ricco austriaco, ex agente occasionale della CIA, ora amante e ironica complice di Kendig. La parte viene offerta all'attrice inglese Glenda Jackson, che accetta con entusiasmo, avendo già recitato con Walter Matthau nel brillante Visite a domicilio (House Calls, 1978, di Howard Zieff). Il ruolo di Carla - qui solo abile pilota - andrà invece a Lucy Saroyan, figlia dell'attrice teatrale Carol Grace che, dopo il divorzio dallo scrittore William Saroyan, si era risposata proprio con Matthau. Per restare in famiglia, a interpretare l'agente della CIA Ross è David Matthau, figlio del precedente matrimonio dell'attore.


Il film dipinge buona parte degli agenti della CIA come incompetenti, quando non arroganti come il caposezione Myerson (Ned Beatty), di cui viene delineata magistralmente la personalità in una precisa sequenza: mentre questi interrompe una riunione con Kendig per parlare al telefono con la moglie, l'agente ha il tempo di osservare le fotografie appese alle pareti, in cui Myerson appare insieme a Richard Nixon, Henry Kissinger e John Wayne, a una battuta di pesca mentre esibisce la sua preda e in posa alla Clint Eastwood al tiro a segno, con accanto incorniciati i bersagli in cui ha fatto centro.
La chiave umoristica del film non altera la sequenza degli avvenimenti del libro, anche se cambiano molte delle ambientazioni e alcuni dei passaggi sono più lineari, a tutto vantaggio peraltro della solidità della trama. Nella sequenza di apertura si spiega anche la ragione per cui Miles Kendig perde il suo incarico: un confronto con il rivale Yaskov durante l'Oktoberfest di Monaco si è risolto con un accordo tra gentiluomini in cui l'agente del KGB (forse un po' idealizzato, nell'elegante interpretazione di Herbet Lom) ha accettato di buon grado la sconfitta. Myerson non è in grado di capire certe sfumature, a differenza di Cutter (Sam Waterston) che pur, dovendo catturare Kendig, nel film non è troppo dispiaciuto dal fatto che il suo superiore venga ripetutamente beffato. Da questo punto di vista, il film, quasi più del romanzo, è un'ottima lezione su come si possa costruire una vicenda spionistica.
Una curiosità: nel romanzo una delle false identità di Kendig è "Parker", che usa per contattare "Dortmund", alias di Yaskov; è noto che Parker e Dortmunder sono i più famosi personaggi seriali di Donald E. Westlake, amico e collega di Garfield. Nel film l'editore britannico del memoriale di Kendig (qui intitolato proprio Hopscotch) si chiama Parker Westlake. Ma gli inside jokes si moltiplicano: nel romanzo, forse per puro caso, appaiono i cognomi Fleming, Follett e Ross; se il primo è lo stesso dell'autore di James Bond; il secondo è quello di uno scrittore britannico poco noto nel 1975, ma che nel 1978 sarebbe divenuto celebre per La cruna dell'ago (Edgar Award nel 1979); mentre Ross era uno dei suoi numerosi pseudonimi usati in precedenza. Nel film, oltre a questi nomi, compare anche un certo Ludlum, che richiama ovviamente l'autore di molti bestseller spionistici.


In chiusura, qualche osservazione sulle versioni italiane: riletta oggi, la traduzione del 1976 appare piuttosto datata, specie perché all'epoca Il Giallo Mondadori e Segretissimo mantenevano l'usanza del "voi" nei dialoghi, spesso usato anche quando i personaggi si potrebbero dare semplicemente del "tu". Ben riuscito invece il doppiaggio del film, anche se viene inserita una battuta inesistente nei dialoghi originali, a proposito di un albergo dove in passato Kendig e Isobel sarebbero finiti "sotto il divano".
Ma in qualche modo bisognava giustificare la scelta un po' improbabile del titolo 2 sotto il divano, che riecheggia Tre sul divano (Three on a Couch, 1966), commedia sulla psicoterapia diretta e interpreta da Jerry Lewis. D'altro canto il titolo italiano del romanzo era troppo serio e la traduzione letterale di quello originale, "Campana", sarebbe stata fraintesa (nel doppiaggio viene citato come "salto della quaglia"). In realtà il divano appare unicamente nel manifesto con cui la pellicola venne distribuita dalle nostre parti. Non mancarono lo stesso gli equivoci: quando uscì al cinema, se non erro nel dicembre 1980, ricordo una signora che lo scambiò per il titolo di una commedia sexy.
Il film è ricomparso qualche anno fa in dvd, ma di recente mi sono impadronito di un'ottima edizione spagnola in blu-ray - con il titolo 1 enredo para 2 (più o meno "Un intrigo per due") - contenente anche la traccia originale e quella doppiata in italiano.

venerdì 17 febbraio 2023

Iperwriters - La monaca di Monza

Photo. Korie Jenkins on Unsplash

Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori

Letteratura italiacana - 15 - La monaca di Monza

Venerdì, ore 13. Dunque, fin dalle elementari ho fatto uso di droghe. Le mie sostanze stupefacenti sono state, come ho detto, libri, film e telefilm.
Le ragioni per cui qualcuno cerca un'evasione da una vita che rifiuta e che lo/la rifiuta (mentre altri vi si gettano come nuotatori, non leggono e vanno al cinema solo per farsi due risate) sono ignote. E' quell'attitudine particolare che poi ti farà dire, da grande, se hai guadagnato due soldi in diritti d'autore, "So solo scrivere".
Il fatto è che per me l'Immaginario è stato, fin dai primi anni di vita, famiglia, patria e religione. Non so se ho cominciato a immaginare perché assorbivo fiction o se cercavo fiction per nutrire l'immaginazione: potrebbe essere un unicum, in fondo.
Dopo i libri, sono arrivati i film.
Pare che la prima volta in cui un bambino guarda un film o una qualche forma di spettacolo (qualcosa insomma in cui appaiono creature non di questo mondo, o in situazioni oltre le regole di questo mondo) prova paura.
E' assolutamente vero, almeno nel mio caso. Il primo contatto con il mistero dell'immagine, del quadro, della rappesentazione non può lasciare indifferenti e immutati. Pensiamo alla sindrome di Stendhal.
Il mio primo film è stato Los tres caballeros, della Disney. Una domenica, con mio padre, in una sala parrocchiale. Ho gridato di terrore, supplicando di andare via. Ma, una volta a casa, più calma, ho capito che qualcosa non andava. Non mi ero comportata nel modo giusto, non avevo approfittato di quell'esperienza che doveva (lo sentivo) essere preziosa. Ero fuggita. Allora ho chiesto di essere riportata là. A lungo e vincendo la resistenza e lo stupore di mio padre. Una volta nuovamente nella sala buia, ho compreso quanto lo spettacolo fosse incantevole.
Un film che mi ha lasciata sotto shock per più di una settimana è stato La monaca di Monza. Finiva con una soggettiva della protagonista murata viva. Voglio dire: io venivo chiusa in una cella cieca e, un mattone sopra l'altro, aria e luce mi venivano tolte.
Dopo, il cinema è stato un amore eterno e oggi posso vedere qualsiasi cosa (proprio qualsiasi cosa) in una fiction provando solo piacere, se la fiction è buona.
Ma tutto ha avuto origine da un film di animazione musicale e da una condanna a una sepoltura in vita.

martedì 14 febbraio 2023

"Spy Game": i thriller della Guerra Fredda

Checkpoint Charlie, Berlino (foto: A. C. Cappi)

A cura di Andrea Carlo Cappi

Questa pagina è dedicata a origini, retroscena e novità di Spy Game - Storie della Guerra Fredda, la collana thriller in ebook di Delos Digital dedicata alla spy story "classica" made in Italy. Ogni numero a 1,99€. A questo link trovate tutti i titoli disponibili, direttamente dal catalogo Delos. Gli ebook possono essere acquistati anche nelle principali librerie online.

Dopo il n. 43 la collana prende la consueta pausa estiva.
Appuntamento a settembre con il n.44.

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Tutte le nuove uscite di Spy Game in versione per Kindle (su Amazon.it):




40-Franco Luparia Un gentiluomo a Berlino

39-Giovanni Ingrosso Nome in codice: Fiamma

38-Andrea Carlo Cappi Il passeggero americano

37-Franco Luparia Un gentiluomo alla deriva

36-Enrico Luceri Caccia alla strega-II parte

35-Enrico Luceri Caccia alla strega-I parte

34-Andrea Carlo Cappi La trappola di Synok

33-Valentina Di Rienzo Abn'awah-Lo sciacallo

32-Andrea Carlo Cappi La lista di Norimberga

31-Giovanni Ingrosso L'uomo di Cambridge

30-Valentina Di Rienzo Almujanad-La recluta

29-Andrea Carlo Cappi Rischio sulle Ramblas

28-Giovanni Ingrosso L'oro del lago

27-Enzo Verrengia Caccia a due

26-Andrea Carlo Cappi Notte e nebbia

25-Giovanni Ingrosso Ufficio R

24-Enzo Verrengia La corsa della tartaruga

23-Andrea Carlo Cappi Nome in codice: Ombra



La storia della collana

A creare Spy Game, nel 2019, fu Stefano Di Marino, il più grande autore italiano di spionaggio (e di narrativa di genere in ogni campo), che l'inaugurò in occasione dei trent'anni dal crollo del Muro di Berlino. Vi partecipano esclusivamente autrici italiane e autori italiani, beninteso competenti in materia. Dopo che negli ultimi decenni la storica collana Segretissimo di Mondadori ha portato alla luce i talenti del thriller spionistico made in Italy - spesso per tradizione celati sotto psedudonimi stranieri - era tempo di riconoscere l'esistenza di una "scuola italiana" della spy story, senza più travestimenti.
Le trame di Spy Game sono diverse dallo stile di Segretissimo, meno imperniate sull'azione e più sullo spycraft, ovvero le tecniche reali dei servizi segreti. Le storie - racconti lunghi o veri e propri romanzi brevi - narrano di intrighi internazionali, ma le ambientazioni possono essere tanto straniere quanto italiane, così come i protagonisti. Alcune storie sono autoconclusive, altre costituiscono miniserie complete; nel caso di Dark Duet, invece, si tratta di un serial in cui episodi indipendenti sono concatenati fra loro. Anche le epoche variano, tra l'immediato dopoguerra e la fine degli anni Ottanta.
Nell'estate del 2021 la scomparsa di Stefano Di Marino, oltre a privarci del suo enorme talento e di un grande amico, ha imposto l'interruzione della collana al numero 22. Ma era doveroso riprenderla. per ribadire che nella spy story, come in altri campi della narrativa di genere, la narrativa italiana non ha nulla da invidiare a quella estera. Ed è l'occasione per scoprire vicende inedite e nomi nuovi della letteratura spionistica, a confronto con una Storia recente che è bene non dimenticare.






venerdì 10 febbraio 2023

Audition (Ôdishon, 1999)


Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi

Audition è uno dei titoli più noti della vasta produzione del regista giapponese Takashi Miike, quello che tra il 2000 e il 2001 lo ha reso noto a livello internazionale. All'epoca si raccontava del pubblico sotto shock durante le proiezioni ai festival, probabilmente perché ignaro di ciò che li aspettava. Se n'è riparlato di recente, quando è stato proposto per alcuni giorni nelle sale italiane come "evento speciale". Mi è venuta voglia di rispolverarne un'edizione spagnola di in dvd, vent'anni fa, con traccia in giapponese e sottotitoli.
Il film, drammatico anche se potrebbe sembrare romantico con qualche punteggiatura umoristica, sfugge alle definizioni: se in Giappone il termine saiko haraa (derivato da psycho horror) indica in realtà storie di oscure presenze sovrannaturali, Audition è un'autentica vicenda di "orrore psicologico", relativamente poco esplicito, ma agghiacciante per tutto ciò che evoca... con l'assoluta mancanza di freni che spesso caratterizza il cinema nipponico di genere.
Tratto da un romanzo del 1997 di Ryu Murakami, racconta di Shigeharu Aoyama (Ryo Ishibashi), solitario vedovo quarantatreenne di Tokyo, che su suggerimento del figlio teenager Shigehiko (Tetsu Sawaki) decide di risposarsi. Senza nemmeno accorgersi dell'interesse pressoché manifesto della sua assistente personale in ufficio, il brav'uomo ambisce a ricreare il rapporto che aveva con la defunta moglie, bella, intelligente e colta. Ma dove trovare una giovane donna che risponda a tali requisiti?

L'amico produttore televisivo Yoshikawa (Jun Kunimura) gli suggerisce un espediente: convocare aspiranti attrici per il casting di un film che non verrà mai realizzato e, fra le trenta candidate preselezionate in base al curriculum, scegliere la moglie ideale.
Quando le potenziali interpreti si presentano per l'audizione, tuttavia, Aoyama è già stato colpito dalle note personali di Asami Yamazaki (Eihi Shiina), che per un incidente ha dovuto rinunciare alla carriera di ballerina. La ventiquattrenne Asami, timida e quasi infantile, gli appare subito come una creatura angelica e seducente nella sua innocenza. In effetti, l'attrice aveva ventitré anni all'epoca delle riprese, ma sembra quasi coetanea del figlio del protagonista.
Aoyama non ascolta, ovviamente, il consiglio di Yoshikawa, che a pelle intuisce che qualcosa non vada nella ragazza. E non coglie i segnali del passato traumatico di Asami, che dovrebbe richiedere l'intervento immediato di una task force di psicologi. Al pubblico, tuttavia, la protagonista femminile viene mostrata anche con il suo lato più oscuro, che richiama giustappunto le figure femminili del saiko haraa, pur essendo in carne e ossa.

La ragazza sparisce nel bel mezzo del loro primo weekend romantico e non risponde più alle telefonate. Lui non ne conosce l'indirizzo, gli unici indizi sono una vecchia scuola di danza e un bar in cui lei lavora come cameriera. Aoyama comincia ad avere qualche sospetto quando, nella sua ricerca disperata, sente parlare di persone scomparse, omicidi e amputazioni assortite. Ma è troppo tardi: Asami vede riflessi in lui i responsabili del suo ampio bagaglio di abusi e si è convinta che le sue promesse d'amore siano false... Ma non rivelo come andrà a finire.
Audition è tutt'altro che banale e manicheista: Asami non è una dark lady vecchio stampo, mentre Aoyama, come certi personaggi di Hitchcock, non è del tutto innocente, anche se non merita certo di pagare per colpe altrui. La parte finale della pellicola gioca tra realtà e allucinazione (barando leggermente per spiazzare il pubblico) e trasmette sensazioni dolorose quasi quanto l'uso perverso dell'agopuntura evocato dalle parole kiri kiri kiri, per non parlare dell'altro strumento impiegato nel film.
Ma il fascino di Audition risiede proprio nella ricerca disperata dei protagonisti di una certezza di essere amati o amate. E in fondo, come disse qualcuno, chi ruba un piede è fortunato in amore... O forse no.

Iperwriters - Tiro al piccione su Superman

Photo: Johan Taljaard on Unsplash I perwriters - Editoriale di Claudia  Salvatori Letteratura italiacana - 59 - Tiro al piccione su Superman...