Retrospettiva di Andrea Carlo Cappi
La metamorfosi di un romanzo in sceneggiatura e film è spesso un percorso curioso: un libro in genere nasce da una singola mente solitaria, mentre ciò che approda sullo schermo è il prodotto di molti fattori, non ultimi la scelta degli interpreti, il periodo in cui viene girato e il tipo di mercato in cui dev'essere proposto.
Nel caso di Hopscotch, tuttavia, l'evoluzione è particolarmente atipica: da un asciutto noir a sfondo spionistico a un thriller internazionale in chiave di commedia. Ma non un tradimento, bensì un gioiello quasi dimenticato che, forse ancora meglio del testo originale, veicola il pungente messaggio politico contenuto in entrambe le opere.
Nei primi anni Settanta il romanziere americano Brian Garfield (1939-2018) è già autore di una sessantina di libri, molti dei quali western in franchise sotto pseudonimo. Nel 1972 ha conquistato fama mondiale con il romanzo Il giustiziere della notte (Death Wish) trasposto da Michael Winner nel celebre e controverso film con Charles Bronson, che avrà quattro sequel nel ventennio successivo e un remake con Bruce Willis nel 2018; mentre il "vero" seguito del romanzo, Death Sentence (del 1975, apparso nel 1982 ne Il Giallo Mondadori come Il giustiziere della notte n.2) ispirerà a sua volta un film nel 2007.
Il prolifico Garfield pubblica uno o due romanzi all'anno, tra cui un piacevolissimo noir-western umoristico a quattro mani con l'amico Donald E. Westlake, 20.000 lingotti sopra i mari (Gangway, del 1973) e nel 1975 scrive la spy-story Hopscotch, con cui vince l'anno dopo il prestigioso Edgar Award conferito dai Mystery Writers of America. Il libro è pubblicato in Italia da Mondadori a fine 1976 nella collana da edicola Segretissimo con il titolo Spionaggio d'autore. All'uscita del film sarà riproposto con lo stesso titolo nella collana da libreria Classici dello spionaggio.
Hopscotch è il nome in inglese del gioco della campana e si riferisce ai continui spostamenti del protagonista del romanzo da una "casella" all'altra in varie parti del mondo, per sfuggire ai suoi ex datori di lavoro della CIA. Miles Kendig è infatti un ex agente della "Compagnia" costretto poco dopo i cinquant'anni d'età a un pensionamento forzato dopo aver servito per un trentennio il suo paese, prima come soldato e poi come spia: annoiato e malinconico, ha deciso di giocare un'ultima partita, denunciando in un memoriale le pratiche dei servizi segreti - in particolare del suo - condite con rivelazioni scottanti.
Mentre ancora lo sta scrivendo, organizza abilmente la pubblicazione del suo libro intitolato Conspiracy of Killers, ma trasforma se stesso in un bersaglio. A dargli la caccia sono Myerson (direttore della sua sezione della CIA), Cutter (ex allievo di Kendig e suo successore) e gli ex colleghi Follett e Ross, coadiuvati dall'FBI nel territorio USA; ma anche Yaskov, veterano del KGB in Europa. Quindi, sfruttando contatti e luoghi segreti che conosce grazie alla sua esperienza sul campo, il protagonista deve far perdere le proprie tracce prima che qualcuno lo faccia tacere per sempre.
Il libro è figlio dei suoi tempi. In quel periodo gli Stati Uniti sono arrivati in fondo a un processo di autocritica cominciato con l'assassinio di Kennedy nel 1963 e culminato con lo scandalo Watergate del 1972. Nel 1975 viene creato il Church Committee, presieduto dal senatore Frank Church, che porta alla luce i lati più oscuri della CIA. Gli americani non si fidano più del loro servizio segreto e la narrativa riflette l'umore dell'epoca, come testimonia il romanzo I sei giorni del Condor di James Grady (Six Days of the Condor, 1974), da cui proprio nel 1975 viene tratto il film di Sydney Pollack I tre giorni del Condor (Three Days of the Condor).
Lo stesso vale per Hopscotch, in cui viene citato di sfuggita l'ex agente della CIA E. Howard Hunt, inquietante figura centrale del caso Watergate (ma anche autore di spy story sotto pseudonimo, i cui libri vengono pubblicati tempestivamente in Italia in Segretissimo con il suo vero nome in copertina, dopo che è stato scoperto e condannato, acquisendo un'improvvisa notorietà internazionale).
Brian Garfield scrive una propria sceneggiatura basata sul suo romanzo, mantenendone l'atmosfera noir. Ma tutto cambia quando nel progetto di portare Hopscotch sullo schermo viene coinvolto l'attore Walter Matthau.
Ho sempre sospettato che l'idea di far entrare Matthau nel film sia nata dalla somiglianza tra Miles Kendig e il protagonista di Chi ucciderà Charley Varrick? (Charley Varrick, 1973, di Don Siegel) tratto dal romanzo del 1968 The Looters di John H. Reese, altro scrittore proveniente dal western: in quella vicenda, il personaggio eponimo viene braccato dopo avere svaligiato una banca in cui una gang criminale nasconde i propri proventi illeciti.
Con quella pellicola l'attore lascia per qualche anno la commedia per il noir, girando la trasposizione a San Francisco del romanzo Il poliziotto che ride (1968) della coppia svedese Sjöwall
& Wahlöö, L'ispettore Martin ha teso la trappola (The Laughing Policeman, 1973), e Il colpo della metropolitana (The Taking of Pelham 123, 1974) dal romanzo omonimo di John Godey. Ma, dopo questa parentesi, forse non ha intenzione di girare un film che in chiave "seria" ricorderebbe troppo quello di Siegel. Quindi condiziona esplicitamente la propria partecipazione a una nuova sceneggiatura sotto forma di commedia. Non solo: sarà lui a scegliere buona parte dei brani classici e lirici che accompagnano la colonna sonora, da Mozart a Rossini (con una battuta sui diversi Figaro della lirica, che immagino scritta proprio da Matthau) fino a Puccini.
Così sul primo script interviene il regista-scrittore britannico Bryan Forbes, che firmerà la sceneggiatura insieme a Garfield. Alcune battute resteranno identiche a come sono nel libro, anche se in corso d'opera saranno apportate ulteriori modifiche. Alcune variazioni sono del regista del film, il veterano Ronald Neame, che nel campo della spy story ha già diretto due classici: L'uomo che non è mai esistito del 1956, basato sull'omonimo resoconto di Ewen Montagu dell'Operazione Mincemeat, e Dossier Odessa del 1974 dal romanzo di Frederick Forsyth. Altre, come dicevo, sono per mano dello stesso Walter Matthau, tra cui la prima e l'ultima scena con Glenda Jackson. Perché una delle modifiche più significative è l'inserimento di un unico e continuativo love interest per il protagonista, che all'inizio del romanzo si limitava a trascorrere una notte a Parigi con l'avvenente vedova Stein, incontrata a un tavolo da poker, e più avanti aveva una fugace relazione con Carla Fleming, pilota di aerei da turismo reclutata per una delle sue fughe.
Nasce quindi per il film il personaggio di Isobel von Schönenberg, vedova di un ricco austriaco, ex agente occasionale della CIA, ora amante e ironica complice di Kendig. La parte viene offerta all'attrice inglese Glenda Jackson, che accetta con entusiasmo, avendo già recitato con Walter Matthau nel brillante Visite a domicilio (House Calls, 1978, di Howard Zieff). Il ruolo di Carla - qui solo abile pilota - andrà invece a Lucy Saroyan, figlia dell'attrice teatrale Carol Grace che, dopo il divorzio dallo scrittore William Saroyan, si era risposata proprio con Matthau. Per restare in famiglia, a interpretare l'agente della CIA Ross è David Matthau, figlio del precedente matrimonio dell'attore.
Il film dipinge buona parte degli agenti della CIA come incompetenti, quando non arroganti come il caposezione Myerson (Ned Beatty), di cui viene delineata magistralmente la personalità in una precisa sequenza: mentre questi interrompe una riunione con Kendig per parlare al telefono con la moglie, l'agente ha il tempo di osservare le fotografie appese alle pareti, in cui Myerson appare insieme a Richard Nixon, Henry Kissinger e John Wayne, a una battuta di pesca mentre esibisce la sua preda e in posa alla Clint Eastwood al tiro a segno, con accanto incorniciati i bersagli in cui ha fatto centro.
La chiave umoristica del film non altera la sequenza degli avvenimenti del libro, anche se cambiano molte delle ambientazioni e alcuni dei passaggi sono più lineari, a tutto vantaggio peraltro della solidità della trama. Nella sequenza di apertura si spiega anche la ragione per cui Miles Kendig perde il suo incarico: un confronto con il rivale Yaskov durante l'Oktoberfest di Monaco si è risolto con un accordo tra gentiluomini in cui l'agente del KGB (forse un po' idealizzato, nell'elegante interpretazione di Herbet Lom) ha accettato di buon grado la sconfitta. Myerson non è in grado di capire certe sfumature, a differenza di Cutter (Sam Waterston) che pur, dovendo catturare Kendig, nel film non è troppo dispiaciuto dal fatto che il suo superiore venga ripetutamente beffato. Da questo punto di vista, il film, quasi più del romanzo, è un'ottima lezione su come si possa costruire una vicenda spionistica.
Una curiosità: nel romanzo una delle false identità di Kendig è "Parker", che usa per contattare "Dortmund", alias di Yaskov; è noto che Parker e Dortmunder sono i più famosi personaggi seriali di Donald E. Westlake, amico e collega di Garfield. Nel film l'editore britannico del memoriale di Kendig (qui intitolato proprio Hopscotch) si chiama Parker Westlake. Ma gli inside jokes si moltiplicano: nel romanzo, forse per puro caso, appaiono i cognomi Fleming, Follett e Ross; se il primo è lo stesso dell'autore di James Bond; il secondo è quello di uno scrittore britannico poco noto nel 1975, ma che nel 1978 sarebbe divenuto celebre per La cruna dell'ago (Edgar Award nel 1979); mentre Ross era uno dei suoi numerosi pseudonimi usati in precedenza. Nel film, oltre a questi nomi, compare anche un certo Ludlum, che richiama ovviamente l'autore di molti bestseller spionistici.
In chiusura, qualche osservazione sulle versioni italiane: riletta oggi, la traduzione del 1976 appare piuttosto datata, specie perché all'epoca Il Giallo Mondadori e Segretissimo mantenevano l'usanza del "voi" nei dialoghi, spesso usato anche quando i personaggi si potrebbero dare semplicemente del "tu". Ben riuscito invece il doppiaggio del film, anche se viene inserita una battuta inesistente nei dialoghi originali, a proposito di un albergo dove in passato Kendig e Isobel sarebbero finiti "sotto il divano".
Ma in qualche modo bisognava giustificare la scelta un po' improbabile del titolo 2 sotto il divano, che riecheggia Tre sul divano (Three on a Couch, 1966), commedia sulla psicoterapia diretta e interpreta da Jerry Lewis. D'altro canto il titolo italiano del romanzo era troppo serio e la traduzione letterale di quello originale, "Campana", sarebbe stata fraintesa (nel doppiaggio viene citato come "salto della quaglia"). In realtà il divano appare unicamente nel manifesto con cui la pellicola venne distribuita dalle nostre parti. Non mancarono lo stesso gli equivoci: quando uscì al cinema, se non erro nel dicembre 1980, ricordo una signora che lo scambiò per il titolo di una commedia sexy.
Il film è ricomparso qualche anno fa in dvd, ma di recente mi sono impadronito di un'ottima edizione spagnola in blu-ray - con il titolo 1 enredo para 2 (più o meno "Un intrigo per due") - contenente anche la traccia originale e quella doppiata in italiano.