Retrospettiva
di Andrea Carlo Cappi
Complice
un blu-ray in offerta speciale la scorsa estate (tra parentesi, da
anni adoro l’usanza dei grandi magazzini spagnoli El Corte Inglés
di fare sconti del 40% su acquisti multipli nel settore cinema in
certi periodi dell’anno) mi sono rituffato in un classico del
cinema catastrofico anni Settanta: L’avventura del
Poseidon del 1972, pellicola
realizzata dal megaproduttore hollywoodiano Irwin Allen, che aveva
una particolare predilezione sia per le storie oceaniche (celebre il
suo Viaggio in fondo al mare),
sia per il disaster movie (produsse
anche L’inferno di cristallo),
tanto da essere soprannominato master of disaster.
Acquisiti
i diritti di un bestseller di Paul Gallico, Allen affidò la
regia al veterano Ronald Neame (autore tra l’altro di grandi
spy-story come L’uomo che non è mai esistito e
Due sotto il divano),
che con un collaudato sceneggiatore quale Stirling Silliphant (La
calda notte dell’ispettore Tibbs,
L’investigatore Marlowe,
Shaft e i mercanti di schiavi,
Killer élite)
portò sugli schermi un film memorabile, tanto che ebbe un
sequel (L’inferno sommerso,
diretto dallo stesso Allen) e due remake, uno per la tv e uno più
recente per il grande schermo.
Se
la più recente versione con effetti realizzati al computer non ha lasciato un segno particolare
nella storia del cinema, rimane insuperato l’originale, in cui il transatlantico Poseidon era in
parte un modellino, in parte la Queen Mary
a seconda delle riprese. La Fox si è
autoincensata per anni – tra le featurette
del film e una puntata del suo serial di documentari That’s
Hollywood – per come sono
state realizzate la celebre scena del capovolgimento della nave e i
conseguenti set rovesciati, uno sforzo produttivo enorme in un’epoca
in cui il pubblico si era fatto esigente e quasi tutto doveva essere
girato dal vero, o quantomeno con effetti speciali credibili.
Ciliegina sulla torta: la colonna sonora di John Williams, che di lì
a pochi anni sarebbe stato consacrato come nuovo maestro musicale di
Hollywood per Incontri ravvicinati del terzo tipo,
Star Wars e Superman.
Il
Poseidon
cinematografico originale vede la nave da crociera eponima in rotta
tra New York e Atene, un’ultima operazione commerciale per un
armatore greco senza scrupoli prima di consegnarla alla rottamazione.
Il capitano Harrison (Leslie Nielsen, all’epoca ancora dedito a
ruoli drammatici prima di passare alle parodie) fa del suo meglio per
gestirla al meglio, ma un evento sismico al largo di Creta produce
uno tsunami senza precedenti nel Mediterraneo, che travolge il
vascello in piene celebrazioni di Capodanno.
Tra
i superstiti dell’ondata che rovescia la nave di 180 gradi c’è
il reverendo Frank Scott (Gene Hackman, che illumina qualsiasi film
con la sua presenza), diretto in Africa come missionario, più che altro per
risolvere le sue questioni personali con Dio. Deciso e decisionista,
raduna intorno a sé un gruppo di audaci sopravvissuti che per
la par condicio hollywoodiana
include un’anziana coppia
ebraica diretta in Israele – i signori Rosen, interpretati da Jack
Albertson e da una ormai corpulenta Shelly Winters – un
anziano scapolo (Red Buttons), uno stagionato sbirro di New York
(Ernest Borgnine) e la moglie di questi ex-prostituta (Stella
Stevens, affascinante ancorché appassita), il maître di
bordo (un jolly del cinema americano, Roddy McDowell) oltre alla
traumatizzata cantante della band di fine d’anno (con la canzone
The Morning After
premiata dall’Oscar), a una teenager e al fratellino di questa, che
ha passato i giorni di navigazione a curiosare a bordo e si rivelerà
ottima guida
Mentre
altri superstiti rimangono nel salone capovolto, facendo presto una
brutta fine, e altri ancora si dirigeranno come zombie verso la prua
sommersa, il manipolo di audaci risale la nave da cima a fondo
puntando alla sala macchine, unica speranza di essere salvati. Ma,
come il trailer annunciava da settimane nelle sale cinematografiche di tutto il mondo, solo sei usciranno vivi e l’implacabile lotteria ha inizio... Non tutti arriveranno
in superficie, per essere salvati da un elicottero francese.
D’accordo,
in scena ci sono psicologie di grana grossa per un pubblico di massa,
ma lo spettacolo catastrofico funziona. E soprattutto l’inossidabile reverendo di Hackman, così razionale nella
sua fede in un Dio non troppo misericordioso, è un personaggio che
forse oggi nessuno oserebbe più mettere in scena e un leader
autocritico da cui trarre qualche lezione di vita.