Iperwriters, editoriale di Claudia Salvatori
Letteratura italiacana - 10 - Il sacrificio di un poeta
Venerdì, ore 13.
Questa volta coincide con una data: 2 novembre 1975.
Hanno assassinato Pier Paolo Pasolini.
La sera dopo Max e io camminiamo lungo un viale alberato (lui mi sta riaccompagnando a casa), al buio, smuovendo le foglie marcite che ci arrivano quasi alle ginocchia.
Siamo disgustati e sgomenti, ma anche confusamente consapevoli che qualcosa è cambiato. Evento tragico che ha spostato e dato una svolta irreversibile all'ordine sociale.
Che cosa è accaduto, precisamente?
L'epilogo di una lunga opera di eliminazione che il genio della vittima stessa ha traformato in un rito iconico per le generazioni successive. L'indesiderato non poteva ancora essere cancellato con il silenzio idiota di oggi; occorrevano violenza, strazio, sangue.
L'ultimo sacrificio umano visibile, e l'inizio di un'umanità sacrificata al pensiero orizzontale. La fine dell'artista in possesso di una lingua personale e dell'intellettuale libero. Dopo, soltanto artisti di regime e pseudointellettuali allineati. Che non ci sia mai più, mai più uno come lui.
Uno che poteva contestare la sua stessa parte politica, che aveva intuito il passaggio del potere ad una nuova élite di figli di papà “progressisti” e la nascita di una nuova casta di poveri. Un grande guru di sinistra, infatti, ha commentato la sua scomparsa così: “Finalmente ce lo siamo tolto dai piedi. Faceva solo confusione”.
Ma riuscite a immaginare che cosa ci avrebbe detto, questo confusionario, se fosse vissuto fino alle soglie degli anni Duemila? Oh, my God! E non sarebbe stato possibile chiudergli la bocca.
Ma forse sarebbero riusciti a sprofondarlo nel nulla, triturandolo nei talk show, fingendo di chiedergli perdono per le persecuzioni passate, forse facendolo sposare.
Moravia che al funerale grida: “Abbiamo perso un poeta... ne nascono soltanto due o tre in un secolo... il poeta dovrebbe essere sacro.”
Questo mi riporta nuovamente alle medie superiori. In televisione danno lo sceneggiato Odissea e Giuseppe Ungaretti recita i versi di Omero. E' vecchio, ha pochi denti e la esse sibilante: pronuncia Ulissssccce. Tutta la mia classe ride e gli rifà il verso.
Addio, cari poeti.